Thursday, December 14, 2017

Lo stato non paga i fornitori

IL CASO DI SERGIO BRAMINI DI MONZA



di Mauro Suttora

Oggi, 7 dicembre 2017

«Per non licenziare 32 dipendenti ho ipotecato la casa. La mia azienda è fallita, anche se ho 4 milioni di crediti con la pubblica amministrazione».
La Icom spa dell’imprenditore Sergio Bramini di Monza va bene, si aggiudica appalti importanti. Ma i pagamentinon arrivano, lui ipoteca la casa.

L’azienda fallisce, e ora è stato sfrattato: «Vivo con i miei figli e la mia nipotina. Ho pensato di suicidarmi. La Icom andava bene, ho vinto vari appalti nel Sud Italia, in Sicilia e a Napoli per l’emergenza rifiuti, ma i pagamenti non sono arrivati e le banche hanno interrotto le linee di credito».

Bramini avrebbe potuto chiudere l’azienda licenziando tutti i dipendenti, ma non lo ha fatto: «Ho pensato alle trentadue famiglie che dipendevano da me, e ho ipotecato la mia casa. Sono comunque fallito».
Il tribunale ha decretato il fallimento della Icom nel 2011, due anni prima dell’entrata in vigore della legge europea che obbliga lo stralcio di dissesti provocati dal mancato pagamento di enti pubblici. Bramini, quindi, non può usufruirne.

Nonostante le promesse, l'Italia è ancora maglia nera in Europa per i tempi di pagamento degli enti pubblici alle imprese fornitrici.  
Per questo la Ue ha riattivato la procedura d'infrazione, aperta nel 2013. Allora il premier Matteo Renzi fece approvare il decreto Sblocca debiti. 
Ma secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) il 70% delle imprese di costruzioni registra ancora ritardi, che causano gravi ripercussioni: metà di esse hanno ridotto gli investimenti, e una su tre ha dovuto licenziare. Si arriva a ritardi di 168 giorni (più di cinque mesi), contro il limite di 60 giorni.

«La vicenda di Bramini non è la prima in Italia, e non sarà l’ultima se il governo non cambierà rotta», dice a Oggi Andrea Innocenti, consulente d’impresa.  «La procedura promessa da Renzi in tv era semplice: le aziende con crediti verso gli enti pubblici maturati entro il 2013 chiedevano la certificazione con garanzia dello stato. Poi andavano da una banca a farsi anticipare i soldi, e la banca a sua volta avrebbe ottenuto entro 180 giorni il pagamento, grazie a un fondo apposito».

Tutto semplice, quindi?
 
«No, perchè proprio lo stato ha iniziato a negare le nomine dei commissari ad acta per la certificazione, per esempio per le Ato, Autorità d’ambito territoriale ottimale, in Sicilia, sostenendo che non sarebbero enti pubblici, ma spa, società per azioni, private. Eppure sono enti istituiti per legge, che riscuotevano la tassa rifiuti».

Le ex Nettezze urbane.

«Sì. Ma ci sono voluti ricorsi in tribunale per ristabilire questa semplice verità. E nonostante le sentenze, i governi hanno continuato a non certificare. Anche nell’unico caso in cui lo hanno fatto, non hanno pagato la banca che ha anticipato i soldi all'azienda, circa 35 milioni. Hanno così creato un pregiudizio e una diffidenza di tutte le banche italiane, che a quel punto hanno negato alle aziende operazioni simili».

Perché?
 
«Un commissario ha ammesso in privato, con me, di non avere certificato dei crediti per "imposizioni informali del ministero dell’Economia"».

A quanto ammontano i crediti pubblici non pagati?

«La Sicilia da sola ha accumulato debiti per almeno due miliardi di euro, non inseriti nei bilanci dello stato. Mi sembra insomma che il governo stia “nascondendo” molti debiti alla Ue. Intanto le aziende falliscono, e vari imprenditori si suicidano».
Mauro Suttora


Thursday, December 07, 2017

Il recordman dei trapiantati di cuore in Europa è italiano



50 ANNI DOPO IL PRIMO TRAPIANTO DI BARNARD IN SUD AFRICA

Il trapiantato più longevo d'Europa è italiano: Gian Mario Taricco, 32 anni con un cuore nuovo. E il cardiochirurgo che lo ha salvato ha effettuato più di mille interventi dopo il suo

di Mauro Suttora

Oggi, 30 novembre 2017

Alle cinque di domenica 17 novembre 1985 il professor Mario Viganò di Pavia stava guardando la partita di pallacanestro Annabella-Forlì.
Arriva una telefonata: il cuore di un ragazzino di 14 anni, Andrea Orlandi, morto in un incidente, è disponibile per l’espianto a Legnano (Milano). Il professore, cardiochirurgo di fama, perfezionato a Parigi, si mette in moto.

Alle due di notte, su due Alfette della polizia stradale, una squadra di medici pavesi arriva a Legnano per l’espianto. E di notte il cuore viene trapiantato su Gian Mario Taricco, 20 anni, studente al secondo anno di Legge a Torino.

Pochi giorni di vita

Taricco era malato di miocardite acuta. Senza un cuore nuovo sarebbe morto entro pochi giorni. Era tenuto in vita soltanto da dosi massicce di nitroprossiatosodico, per non fargli scoppiare il cuore.
Fino a una settimana prima i trapianti erano vietati, in Italia. Il padre di Gian Mario, preside a Dogliani (Cuneo), si era informato per farlo operare a Lione o a Montecarlo.

Improvvisamente il ministro della Sanità Costante Degan promulga una circolare che autorizza i trapianti di cuore. Il primo viene effettuato a Padova. A ruota, Pavia. E oggi Taricco è il più longevo trapiantato di cuore non solo in Italia, ma in tutta Europa. Il record mondiale ce l’ha un americano del Minnesota, operato nel 1983.

Taricco aveva due anni nel 1967, non può ricordare quel 3 dicembre in cui una notizia arrivata dal Sud Africa sconvolse il mondo: il chirurgo Christian Barnard aveva effettuato il primo trapianto di cuore all’ospedale Grote Schuur di Città del Capo. Battendo gli specialisti statunitensi in Texas e California, e lasciando di stucco anche il giovane Viganò, allora borsista assistente a Parigi: «Fu uno choc per tutti, noi sperimentavamo i trapianti di cuore sui cagnolini».

Ma ne valeva la pena?

Dopo l’entusiasmo iniziale, per tutti gli anni 70 ci furono polemiche sull’utilità dei trapianti: la sopravvivenza di chi riceveva un cuore nuovo era di pochi mesi o anni, e non giustificava la complessità degli interventi.
«La svolta avvenne nel 1980, con l’introduzione della ciclosporina che ha ridotto le crisi di rigetto», spiega a Oggi il professor Viganò. «Ci vollero dieci anni di esperimenti dopo la prima scoperta casuale dei funghi nel 1969».

Ancor oggi la vita di Taricco dipende dal farmaco immunosoppressore Tacrolimus: «Lo prendo ogni giorno, per il resto la mia esistenza scorre normale».

Controlli ogni 4 mesi

Laureato in legge, lavora in banca, ha sposato un’amica di sua sorella, ha due figli e un cane. È diventato amico dei genitori del ragazzo il cui cuore batte nel suo petto. E anche del professor Viganò, il suo salvatore. Che vede ogni 3-4 mesi, quando torna a Pavia per i controlli.

Due anni fa, però, riprecipita nel dramma: alla lunga, la terapia gli ha logorato i reni. I farmaci antirigetto hanno causato un’insufficienza renale cronica progressiva.Dopo un anno di dialisi, deve subire un secondo trapianto.
«Psicologicamente è stato peggio del primo: allora avevo vent’anni, la malattia era arrivata all’improvviso, io ero spensierato e incosciente. Questa volta invece è stata dura».

L’intervento, alle Molinette di Torino, è riuscito perfettamente. Dopo due settimane era già a casa, mentre 32 anni fa rimase in ospedale per mezzo anno. «E rischiò ancora la vita dopo l’operazione», ricorda il professor Viganò, «perché aveva sviluppato un’infezione».
Incredibile coincidenza: alla Molinette Taricco ha ritrovato il chirurgo Mauro Rinaldi, che era nell’équipe di Viganò a Pavia un terzo di secolo fa.

Interventi sicuri

Rispetto al 1985, quello dei trapianti è un altro mondo. Viganò, dopo quello su Taricco, ne ha effettuati più di mille a Pavia, anche con interventi doppi cuore-polmoni.

In Italia i trapianti l’anno scorso sono stati 3.736. Al primo posto i reni, oltre 2mila. Poi il fegato, 1.235, il cuore (267) e il polmone (154).
La durata media della vita dei trapiantati è di decine di anni. Per il cuore i centri più attivi sono Milano Niguarda, Pavia, Bologna e Padova.
Per soddisfare le liste d’attesa, però, ci vorrebbero 700 donatori di cuore all’anno in Italia, contro gli attuali 300.

«C’è sempre il problema della scarsità di donatori, soprattutto al sud», ci dice il professor Viganò. «E non è una questione religiosa, perché già vari decenni fa il cardinale Angelini, ministro della salute del Vaticano, definì le donazioni “una prosecuzione della creazione di Dio”».
E allora che cosa blocca i familiari dal concedere l’autorizzazione all’espianto? «Preoccupazioni scaramantiche».
I progressi della scienza, comunque, ora permettono di recuperare cuori un tempo considerati non trapiantabili.
Mauro Suttora


Wednesday, November 29, 2017

Che stangata per Veronica Lario



Clamorosa sentenza sul Cavaliere e la ex moglie
Svelati i documenti sul divorzio

CHE VITA SUPERLUSSO QUANDO ERA LA SIGNORA BERLUSCONI!

Ville, piscine, barche, viaggi in mezzo mondo e decine fra domestici e guardie del corpo. Miriam Bartolini aveva chiesto tanto e ottenuto alimenti da favola. Ora glieli hanno azzerati. E non solo: le tocca restituire le somme già incassate

di Mauro Suttora

Oggi, 23 novembre 2017

Adesso, per risparmiare, dovrà scegliere. L’attico e superattico al 18esimo piano del grattacielo Magnolia fra le Torri Bianche di Vimercate, quelle che si vedono dall’autostrada, o il palazzetto di via Bigli nel centro di Milano?

Miriam Raffaella Bartolini, alias Veronica Lario ex Berlusconi, si divide fra queste due case dopo aver dovuto lasciare la magione di Macherio da 78 milioni nel 2012: le centinaia di metri quadri in affitto di Vimercate, con vista sulle Prealpi e sui nuovi grattacieli di Milano, e l’altrettanto spazioso appartamento dietro via Montenapoleone, acquistato per 11 milioni, già set del film Happy Family (2010) del premio oscar Gabriele Salvatores. Vicini di casa: i Tronchetti Provera, i Moratti, l’ex moglie di Galliani, la Casaleggio & Associati srl.

Dopo la disastrosa sentenza che le ha azzerato gli alimenti, l’ex moglie di Silvio Berlusconi dovrà sicuramente rivedere quello che gli avvocati chiamano «il suo treno di vita».

Peggio di così, non poteva andare. E pensare che solo cinque anni fa la sentenza di separazione le aveva assegnato l’astronomica cifra di 3 milioni al mese. Ogni anno 36 milioni. Tanto che l’ex premier ci scherzò su: «Anche oggi la mia ex, quando si sveglierà, dovrà decidere come spendere i suoi 100 mila euro giornalieri».

È una vera rivoluzione per i divorziati italiani

Già due anni fa, però, la sentenza di divorzio le aveva dimezzato il sontuoso appannaggio. Ma neanche nei suoi peggiori sogni la povera Veronica avrebbe immaginato che alla fine la corte d’Appello di Milano non le avrebbe riconosciuto neppure un centesimo.

E non solo: le tocca pure restituire una sessantina dei milioni già ricevuti. Che si riducono a una quarantina perché il caro Silvio, sperando in un futuro sconto, aveva già iniziato da mesi a ridurre l’assegno.

La rivoluzione è scoppiata pochi mesi fa, quando la Cassazione ha deciso che l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli non doveva più mantenere l’ex moglie, perché la signora era in grado di provvedere da sola. Basta con l’ex coniuge ricco che deve garantire all’altro lo stesso “treno di vita” goduto durante il matrimonio.



Patrimonio di Silvio: 7 miliardi di euro

Ora di questa svolta epocale approfitta Berlusconi, il quinto uomo più ricco d’Italia, 7 miliardi di patrimonio personale. Che non dovrà più garantire alcunché a Veronica, visto che lei può trarre sostentamento dal suo patrimonio accumulato durante il matrimonio: un centinaio di milioni.

E pensare che gli avvocati della Lario si erano dilungati fino alle minuzie per descrivere la sua vita da sposata, convinti che Berlusconi avrebbe dovuto garantirgliene una di pari livello. Prima della separazione Veronica risiedeva nella Villa Belvedere di Macherio dotata di piscina coperta e palestra, con 12 domestici (7 donne e 5 uomini: cuoco, cameriere, giardinieri, personal trainer, restauratori).

Si trasferiva nella Villa Certosa di Porto Rotondo per almeno 5 settimane all’anno, e altrettanto tempo trascorreva sullo yacht Morning Glory.
Alla signora piace molto viaggiare. Nei quattro anni prima della separazione si è recata a Galapagos, Polinesia, Figi, Nuova Zelanda, Cambogia, Laos, Thailandia, Brasile, Siria, Praga.
Andava più volte all’anno a New York, Londra, Parigi, Venezia, Roma, e in montagna nella villa di St.Moritz. E naturalmente, come precisano gli avvocati, «viaggia sempre nelle classi massime».

Berlusconi possiede non un aereo privato, ma un’intera società dotata di vari velivoli, la Alba Servizi. E Veronica ne è stata un’assidua cliente, sia sul Gulfstream 450 (viaggi intercontinentali) che sui tre Hawker e l’elicottero.
Erano ben 25 le guardie del corpo della signora, distribuiti su vari turni 24 ore su 24.
E la memoria specifica che il marito provvedeva a saldare i conti per gli acquisti di «abiti di noti stilisti», nonché per l’opera di estetiste, parrucchieri e personal trainer a domicilio.

Ora tutto è stato ridimensionato. Ma non troppo. Oltre alle due case dove abita a Milano e Vimercate, infatti, Veronica può contare su un palazzetto  a S-Chanf, accanto a St. Moritz, intestato alla madre.



Case a New York, Londra e in Sardegna

La sua società immobiliare Il Poggio incorpora residenze a Londra (valore: 3 milioni), New York (Park Avenue, 7 milioni), Porto Rotondo (600 mila euro), Bologna (117 mila euro).

I cespiti maggiori per il futuro reddito che l’ex signora Berlusconi dovrà a questo punto autoprodurre sono due interi palazzi di uffici a Milano 2 (il Canova, otto piani, valutato 33 milioni, piano terra affittato al supermercato Crai, e il Borromini), uno a Milano (12 milioni), e 55 posti auto a Segrate. Veronica inoltre avrebbe incassato 15 milioni vendendo Villa Minerva in Sardegna al miliardario russo Tariko Rustam.

Insomma, senza contare gli investimenti finanziari, la signora dovrebbe farcela a estrarre una rendita decente per vivere, visto che il totale degli  immobili a bilancio nella sua srl risulta di 46 milioni, ma probabilmente il valore commerciale reale è il doppio.
Mauro Suttora