Friday, June 09, 1989

Tien an men, gli studenti

Europeo, 2 giugno 1989

Mal di Cina

55 giorni a Pechino: perche' gli studenti vogliono restare in piazza

Democrazia e diritti umani e' il ritornello di tutti a Tien an men. Ma dietro slogan e cartelli si cela l'amara realta' di un paese povero e di una partitocrazia corrotta. Che i giovani vorrebbero cambiare con la non violenza per credere ad un futuro

dal nostro inviato Mauro Suttora

La signorina Wu Mei Li ha 18 anni e ne dimostra 13. Porta un vestitino rosa, ha un fioccone sui capelli, e per venire a Pechino si e' messa le scarpe di vernice nere col tacco. Frequenta il primo anno di universita' a Xian, l'antica capitale dell'impero cinese a 900 chilometri da Pechino. Facolta': lingue straniere. Da grande fara' la traduttrice, studia l'inglese da un anno e lo parla gia' piuttosto bene. Sa anche il giapponese.

Adesso Wu si aggira in piazza Tienanmen con gli occhi sgranati per la felicita', la stanchezza e la meraviglia, tenendo per mano la sua compagna di classe Chen Hong Moi. Ci hanno messo due giorni per arrivare in treno , lei e altri trenta universitari della sua facolta' . Ma ne valeva la pena : l' ultimo week end di questo " maggio rivoluzionario " cinese rimarra' a lungo per la piccola Wu quello piu' eccitante della sua vita . E la prima volta che viene a Pechino . " Siamo scappate giovedi' , senza dire niente ne' alle nostre famiglie , ne' al preside di facolta' . Se no , non ci avrebbero permesso di venire " . Sono arrivate venerdi' sera e hanno dormito in piazza , per terra.

La notte e' tiepida a Pechino , non fa freddo , non c' e' umido . Sacchi a pelo e stuoie le distribuisce Chai Lin , studentessa ventenne che in questo mese di lotte si e' conquistata sul campo il pomposo titolo ufficiale di " Presidente della protezione della Tienanmen " . E lei a organizzare i 10 mila ragazzi che continuano imperterriti a occupare l' immensa piazza sacra della capitale cinese . Cibo , soldi , acqua , tende , pulizia , megafoni , gabinetti , servizio d' ordine : Chai Lin si occupa di tutto , e per questo adesso e' ricercata dalla polizia , che arresterebbe volentieri i leader per decapitare il movimento.

Il regime ha gia' bloccato i conti bancari su cui finivano i soldi per la solidarieta' agli studenti , assegni provenienti da tutto il mondo . Non e' mai echeggiata finora , pero' , l' accusa di ricevere soldi dall' estero . Quella di Chai Lin e' , comunque , una clandestinita' relativa . La sera di sabato 27 maggio e' riapparsa al comizio sotto il monumento agli eroi della Rivoluzione (quella comunista di 40 anni fa) e , dall' alto del suo metro e mezzo di statura , ha arringato gli studenti con un discorso calmo e ragionato , del tutto privo di retorica .

C' erano anche gli altri due leader piu' in vista della rivolta studentesca : i pallidissimi e glabri Wan Dan (con i suoi occhialoni panorama alla Spike Lee e i capelli alla Beatles) e Wuercaixi (diventato famoso quando ha osato rimproverare al premier Li Peng di essersi presentato in ritardo a uno dei pochi incontri che l'establishment ha concesso agli studenti) . Lo slogan degli studenti di Berkeley, un quarto di secolo fa , era : " Non fidatevi di nessuno oltre i trent' anni". I contestatori cinesi di oggi sono molto piu' giovani : quasi tutti sulla carta d' identita' esibiscono il ' 68 e dintorni come data di nascita.

La rivoluzione di Wu Mei Li e' durata poco . E dovuta tornare a Xian gia' domenica sera, " e speriamo che il preside non si accorga della nostra assenza " . Altre venti ore di treno filate , con i controllori ferroviari ufficialmente redarguiti dal governo perche' non fanno pagare il biglietto ai ragazzi che accorrono a Pechino . Wu ha fatto in tempo , comunque , a visitare un po' dei viali della metropoli , sfilando con il corteo di domenica 28 .

Ti piace Pechino , Wu ? " Si' , perche' e' la capitale del mio paese " . Perche' hai voluto anche tu venire fin qui a protestare , patriottica Wu ? " Perche' voglio democrazia , diritti umani e giustizia " . Cos' e' la democrazia ? " Riformare il governo " . E i diritti umani ? " Poter andare dove si vuole . Io , per esempio , vorrei venire a lavorare come guida turistica a Pechino , ma so gia ' che non potro' farlo . Troppi raccomandati , da padri potenti , dal partito . . . Ma tu piuttosto , e' vero che vieni dall' Italia ? Ah , e' il paese della moda , tutti quei bei vestiti . . . Me lo fai un autografo , mi dai il tuo indirizzo ? " .

Tutti chiedono autografi a tutti , in piazza Tienanmen . Ragazzi e ragazze fanno amicizia offrendosi a vicenda quaderni aperti e penne per firmare . Poi , quando cala il fresco della sera , da qualche tenda si leva il suono della chitarra ; canzoni pop cinesi , ma con melodie che sembrano estratte di peso dai successi di Al bano e Romina.

Forse questa e' la rivoluzione piu' dolce della storia . In un mese e mezzo di manifestazioni , con la terza superpotenza della Terra sbeffeggiata da ragazzi digiuni di politica , solo qualche contuso in una lite periferica con un gruppetto di soldati . Dove hanno imparato la nonviolenza i ragazzi della Tienanmen ? " Gandhi ? Ah , si' , il padre dell' indipendenza dell' India " , borbotta Liu Dong , 21 anni , secondo anno di ingegneria tessile all' universita' di Pechino , vicino alla bandiera rossa con su scritto il nome della sua facolta' . " Martin Luther King ? L' abbiamo studiato anche lui al liceo . Grandi uomini entrambi , hanno lottato per la democrazia e i diritti umani . . . Ammiro tutti quelli che lottano per la giustizia " , sentenzia definitivo .

Inutile cercare di parlare troppo di politica con i giovani cinesi dell' 89 : idee poche , semplici e senza fronzoli . Il ritornello " democrazia e diritti umani " . Un " no al comunismo " dato quasi per scontato ma mai gridato apertamente : tanto quello economico si va sgretolando da dieci anni . E poi perche' pestare inutilmente i calli a ideologi ottantenni ? Questi studenti sono pragmatici e astuti . " Che facciamo se l' esercito viene a sgomberarci ? Ce ne andiamo noi via per primi " , ride Liu , " e poi torniamo in piazza quando se ne vanno i soldati " . Non opporrete resistenza ? " No " , e ridiventa serio , " per la democrazia si puo' lottare solo pacificamente . Anche i soldati devono capire quello che vogliamo " .

Forse aveva ragione Gandhi : la nonviolenza e' antica come le montagne . Ma insomma , il maggio cinese dell' 89 ( " Le 1789 de la Chine " , in francese su un cartello al corteo del 28 maggio) ha vinto o ha perso ? Il detestato premier Li Peng e' sempre li' nella cittadella segreta dove i gerarchi comunisti vivono e lavorano , senza uscirne mai . Anzi , si e' rafforzato . Pero' sono sempre li' anche gli studenti , dopo ben dieci giorni di legge marziale inapplicata . In teoria , l' esercito dovrebbe controllare la citta' . In pratica , Pechino in questi giorni e' una delle citta' piu' smilitarizzate del mondo : non si vede in giro ne' un poliziotto ne' un soldato .

Le uniche dieci divise in piazza Tienanmen sono quelle delle guardie al mausoleo di Mao , alla bandiera e al Palazzo del popolo . I 150 mila soldati chiamati dal dittatore Deng Xiaoping per " fermare il caos " non sono ancora riusciti a entrare in citta' . E in citta' il caos non c' e' : a parte Tienanmen , la vita scorre tranquilla , la gente lavora e riempie come sempre di bici le strade .

Ecco un comico resoconto apparso sul quotidiano dell' esercito : " I soldati e gli ufficiali trasferiti a Pechino per imporre la legge marziale dicono che prima o poi riusciranno a convincere i residenti . . . Tutte le truppe hanno aggiunto capitoli gloriosi agli annali dell' esercito popolare " . Ora , se e' certamente glorioso per un esercito il non sparare sui propri concittadini , e' vero anche che esso e' stato bloccato da una marea umana . Esattamente come capito ' ai militari pro Marcos nell' 86 a Manila .

Il Tg del 29 maggio ha informato che i soldati , dopo essere stati costretti a dormire sui camion per diversi giorni , si sono anche loro sistemati in tenda . Ma molto lontano dalle tende degli studenti in Tienanmen . Il Tg non ha detto , pero' , che il comandante del 38 corpo d' armata , proveniente da Baoding , si e' rifiutato di muoversi perche' tra i manifestanti c' e' sua figlia . E pare che anche il ministro della Difesa stia con gli studenti.

Che strano esercito , che simpatica legge marziale , che buffo dittatore ! L' unica carica attuale di Deng e' , ufficialmente , quella di presidente della commissione forze armate . Ma e' lui il solo , vero padrone della Cina . " Possiamo soltanto aspettare che muoia " , commenta fatalista Bao Gang , 22 anni , studente di relazioni internazionali assoldato in questi giorni come interprete da una Tv americana . Altri sono piu' cattivi : " Deng , ti si e' atrofizzato il cervello , vattene in pensione a giocare a bridge ", intima un poster sulla piazza .

Minuscolo , malfatto e macerato dai suoi 84 anni , il grande vecchio non vuole ritirarsi . Gorbaciov e Raissa , nel loro storico incontro di due settimane fa , lo hanno quasi preso in braccio , stringendolo affettuosamente come un bambolotto . Ma il vecchietto ha ancora una tempra d' acciaio . Il suo passatempo preferito e' mangiarsi i propri attempati delfini ogni volta che questi simpatizzano con gli studenti : Hu Yaoban due anni fa , Zhao Zyang adesso .

Zhao , 70 anni , segretario del partito comunista , lo ha liquidato cosi' : " Ho tre milioni di soldati dietro di me " . L' incauto Zhao gli ha risposto : " Io ho tutto il popolo cinese " . E lui gli ha spiegato : " Allora non hai nulla " . E invece il " nulla " durante questo maggio ha dimostrato di poter contare qualcosa , in Cina .

Gli studenti sulla Tienanmen sono uno schiaffo permanente in faccia a Deng . La loro primavera sembra adesso avere come avversario piu' temibile l' estate , che a Pechino e' gia' arrivata : con il suo caldo , i suoi 35 gradi , la tortura di stare seduti per terra sotto tende di cellophane tenute in piedi da canne di bambu' , o al riparo di qualche ombrellone .

Nell' afa , nelle lunghe ore di attesa , le notizie , vere e false , arrivano e si diffondono come cerchi di pietre buttate in uno stagno . Lunedi' 29 si e' alzata altezzosa l' ennesima sfida al regime : una statua della Liberta' di ben 20 metri , costruita in una sola notte dagli studenti con un' impalcatura di tubi . Naturalmente , l' hanno dedicata " alla democrazia , ai diritti umani e alla legalita " .

Martedi' 30 un improvviso thriller . C' e' chi giura che il governo sta per mandare i soldati all' assalto della statua . Immediatamente torna l' atmosfera di mobilitazione . Le fonti divergono , però c' e' chi valuta in un milione i pechinesi tornati sulla Tienanmen per difendere la Liberta' . Ma i soldati non si fanno vivi e la statua resta li' . Come Mitterrand con la sua piramide del cinese Pei al Louvre , piazzata sulla verticale dell' Etoile , anche gli studenti di Pechino hanno intaccato una storica prospettiva : quella fra il ritratto del presidente Mao e il mausoleo che lo fronteggia , un chilometro piu' in la' .

Adesso la maggioranza degli studenti (o forse una minoranza di arrabbiati , comunque la maggioranza di quelli che occupano Tienanmen) ha deciso di prolungare il sit in fino al 20 giugno . La proposta dei loro capi Wuercaixi e Wan Dan , di levare le tende alla fine del mese e di limitarsi a occupare la piazza ogni domenica , non e' passata . " Staremo qui fino alla vittoria " , annuncia Liu , fiero e inesausto . Quale vittoria , Liu ? Volete le dimissioni di Li Peng e Deng ? " No , ci basta la convocazione del Congresso nazionale del popolo " . Che e' quanto di piu' simile esista in Cina ai nostri Parlamenti : naturalmente non e' eletto , ma non e' neanche controllato totalmente dal partito . Si dovrebbe riunire nel palazzo in cui Gorbaciov e' dovuto entrare dalla porta di servizio , per non inciampare negli studenti . Il suo segretario e' convocato per il 20 giugno , e per questo i ragazzi della Tienanmen hanno scelto quella data come nuovo obiettivo .

Adesso pero' , giorno dopo giorno , aumentano le probabilita' di un intervento dell' esercito . Deng finora ha intelligentemente evitato la prova di forza , e ha usato i militari solo per purgare i liberali di Zhao . Ma se gli studenti in piazza diminuiranno , sara ' piu' facile sgomberarli . I segni di stanchezza ci sono . Non e' uno scherzo tenere occupata la piazza piu' grande del mondo . Dopotutto , gli studenti del maggio ' 68 a Parigi non si sognarono certo di occupare per un mese place de la Concorde , ne' gli italiani piazza del Popolo o gli americani Times square .

Nel " camping " studentesco rifiuti e cartacce svolazzano dappertutto e fermentano sotto il sole di mezzogiorno . Negli ultimi giorni sono arrivati nella piazza migliaia di studenti dalle altre citta' cinesi , accampandosi in permanenza . Gli universitari che abitano a Pechino , invece , in famiglia o nei college , possono andare a turno a dormire e a darsi una lavata a casa .

Liu ci mette un quarto d' ora in bici per raggiungere il suo appartamento : sono 40 metri quadrati dove si affollano in cinque . Oltre al fratello e ai genitori c' e' la nonna . " Mio padre e' d' accordo con me . Anche lui , dal ' 47 al ' 49 , fece parte di un movimento : quello di Mao contro il Kuomintang . E combatte' la guerra civile . Ma non e' iscritto al partito : allora i comunisti stavano dalla parte del popolo , adesso non piu' . Molti leader del Pc sono ricchi e corrotti . E anche i loro figli " .

Fra due anni , quando comincera ' a lavorare come ingegnere , Liu prendera' 55 yuan (15 mila lire) al mese , come tutti i giovani al primo impiego . Unico vantaggio : la leva non e' obbligatoria , e gli universitari sono troppo preziosi per non lavorare . Suo padre , pensionato , guadagna 200 yuan (60 mila lire) , che e' lo stipendio medio di professori e impiegati . E vero che un chilo di riso costa solo cento lire , e il biglietto del bus dieci . Ma e' comunque miseria nera , Terzo mondo , anche se nessuno muore di fame . Perfino la bici e' un lusso . L' auto , neanche parlarne : 20 mila yuan . Solo una famiglia su cinque ha il frigo .

Le ragioni della rivolta sono gia' tutte qui . Forza Wu , coraggio Liu ! Avrete trent' anni nel Duemila : il prossimo secolo sara' tutto vostro . E forse , con un po' di fortuna , riuscirete a farlo cominciare con qualche anno d' anticipo. Senza ammazzare nessuno, questa volta.

Mauro Suttora

Friday, May 12, 1989

I Verdi alle Europee 1989

L' Europa delle fronde

Contro corrente i verdi alle elezioni di giugno

Non hanno un' ideologia comune , se non abbattere il mercato unico , la Nato , il nucleare. Fra poco , quando probabilmente triplicheranno i seggi di Strasburgo, cosa faranno ? Per cominciare, litigheranno tra loro

di Mauro Suttora

Europeo, 12 maggio 1989

A Strasburgo sara' un'esplosione. Alle europee di giugno i Verdi triplicheranno i loro seggi e potranno formare un gruppo di una trentina di eurodeputati. I sondaggi sono unanimi. In Germania Ovest i Gruenen dovrebbero mantenere l'8 per cento e i sette eletti conquistati nell' 84, cosi' come i belgi confermeranno i loro due parlamentari. Ma fra un mese e mezzo, a dar loro man forte , piombera' a Strasburgo la valanga dei Verdi francesi: almeno dieci nuovi eurodeputati. E poi gli italiani (cinque, sei, anche di piu) , qualche spagnolo. Mancheranno solo i britannici , vittime del sistema elettorale maggioritario.

Quella dei Verdi sara', probabilmente, l'unica grande novita' del Parlamento che accompagnera' l' Europa all' appuntamento con il mercato unico del 1992 . " E noi siamo pronti ad approfittare del piccolo terremoto che provocheremo " , annuncia battagliero Antoine Waechter , capo dei Verdi francesi , " per batterci contro l' Europa dei mercanti , dei militari , del delirio automobilistico e dell' energia atomica " . Vediamo quindi , paese per paese , chi sono e che cosa vogliono questi nuovi protagonisti della politica continentale che , in nome della natura , stanno togliendo consenso e potere ai partiti tradizionali .

FRANCIA
Pochi lo sanno , ma e' stata la Francia, e non la Germania , la culla dell' ecologia politica in Europa . Nel '72 , quando in Italia Adriano Buzzatti Traverso e Aurelio Peccei venivano considerati poco meno che simpatici pazzi se parlavano di " limiti dello sviluppo " , a Parigi le " bicifestazioni " verdi contro le autostrade urbane del presidente Georges Pompidou gia' attiravano migliaia di persone . La Bretagna era in fiamme per l' opposizione alle centrali atomiche in costruzione , e sull' altopiano del Larzac venivano combattute epiche battaglie nonviolente tra militari e contadini che resistevano agli espropri . Il giornalista Andre' Gorz , uno dei fondatori del Nouvel Observateur nel ' 64 , teorizzava l' " addio al proletariato " in polemica con i sessantottini , e proponeva le sue " tesi per cambiare la vita " : consumare meno , produrre meno , conservare di piu' . Nel ' 73 agli ecopacifisti si uni' perfino un generale , Jacques de la Bollardiere , che su una barca di Greenpeace ando' a disturbare gli esperimenti atomici francesi a Mururoa , nel Pacifico . Riviste gioiosamente anarchiche come Gueule ouverte e Charlie Hebdo vendevano centomila copie . E nel ' 74 300 mila francesi votarono per il candidato presidenziale verde René Dumont , agronomo terzomondista . L' opposizione al massiccio programma nucleare dei tecnocrati parigini si ingrossava , e nel ' 77 i Verdi ottennero il 12 per cento a Nizza , il 20 per cento a Chambery . A Parigi l' " amico della terra " , Brice Lalonde , ebbe il 10 per cento , piu' che alle municipali di due mesi fa .

Insomma , " veniamo da lontano " , puo' dire oggi con orgoglio Waechter , 40 anni , ingegnere di Strasburgo che gia' nel ' 65 lottava contro un' autostrada in Alsazia ( " E vincemmo " , precisa) . Poi pero' , nell' estate ' 77 , lo choc : una manifestazione contro il Superphenix di Malville (la centrale al plutonio posseduta per il 30 per cento anche dall' Italia) viene caricata duramente dai Crs , la celere francese , e ci scappa il morto . Il riflusso oltralpe ha le tinte della paura , e cosi' lo " Stato atomico " descritto minuziosamente dal futurologo austriaco Robert Jungk riesce a portare a termine il piu' massiccio programma di centrali nucleari del mondo .

Negli anni Ottanta il consenso elettorale rimane (un milione di voti nell' 81 per il candidato verde Lalonde , altrettanti l' anno scorso per Waechter) , ma la ghigliottina che elimina i partiti sotto il 5 per cento causa parecchi danni . Alle europee dell' 84 , per esempio , il quorum non viene raggiunto , e incominciano i primi dissapori con i Verdi tedeschi che non vedono tornare indietro i soldi prestati per la campagna elettorale . Ma il fossato fra i Verdi francesi e tedeschi si allarga anche sul pacifismo : la Francia resta allergica al grande movimento contro i Cruise che invade le piazze europee fino all' 84 .

L' anno scorso , il fattaccio : i Gruenen tradiscono i fratelli d' oltre Reno , considerati non abbastanza di sinistra , e appoggiano il candidato presidenziale Pierre Juquin , comunista dissidente . Nessuna meraviglia , quindi , che all' annuale congresso dei Verdi europei , a Parigi un mese fa , non si sia fatto vivo nessun deputato verde di Bonn , tranne Petra Kelly . Gia' nei mesi scorsi i francesi hanno messo bene in chiaro le cose : " A Strasburgo vogliamo formare un gruppo verde , senza Verdi rossi " . Sara' burrasca con i tedeschi , molti dei quali si professano apertamente marxisti e di sinistra . Waechter e' un tipo molto concreto , preciso , di poche parole , privo di carisma e di senso dell' humour .

Insomma , l'esatto contrario di Marco Pannella e di certi retorici Verdi italiani . I suoi ispiratori : Ivan Illich (il filosofo che vuole semplificare e deprofessionalizzare la societa) e Gorz . I suoi chiodi fissi : l' energia nucleare ( " deve sparire " ) , l' auto ( " limitarla , fa piu' perdere tempo che guadagnarlo " ) , il mercato unico ( " distruggera' le regioni piu' deboli con la concorrenza selvaggia " ) . Antieuropeista ? " No " , spiega all'Europeo , " pero' siamo contro questa Cee , che vuole fare l' Europa unita solo con una sfrenata circolazione dei capitali e delle merci . Il tanto decantato 1992 e' una fregatura : per la gente normale non migliorera' nulla . Un esempio ? La politica agricola della Cee , che causa abbandono delle campagne , sovrappopolazione nelle citta' , inquinamento . Nel 2000 ben 15 milioni di ettari verranno ' ' congelati' ' in Europa , perche' produciamo troppo " . Voi cosa proponete ? " L' Europa e' un prezioso mosaico di differenze . Bisogna salvaguardarle : e' questa la nostra ricchezza . Con uno slogan : Europa delle regioni " . Non solo uno slogan , per i Verdi francesi : al terzo posto in lista c' e' Max Simeoni , leader nazionalista corso .

I candidati sono alternati : un uomo e una donna . Tutti si sono impegnati per scritto alla rotazione a meta' mandato . Nessuna apertura ai Verdi rossi di Juquin . Ma il loro programma , nonostante le accuse tedesche , non sembra affatto moderato . Vogliono che l' Europa mandi in pezzi la Nato , il disarmo unilaterale atomico negoziato con lo sviluppo delle liberta ' all' Est , alternative di difesa non armata . Tutt' altro che succubi del tabu' della " force de frappe " francese , insomma . Waechter gia' si presenta , sicuro di se' , come il leader di tutti i Verdi europei . Puo' farlo : dopo un decennio di vacche magre , infatti , i Verdi francesi hanno trionfato alle amministrative dello scorso marzo . Alcuni sondaggi li accreditano perfino del 15-18 per cento . " Il polo europeo dei Verdi si spostera' a sud " , propetizza l' ambizioso ingegnere .

GERMANIA OVEST
Petra Kelly , 41 anni, resta sempre la verde tedesca piu' ispirata. Ma e' come Danton: amata dal popolo , odiata da molti burocrati del suo stesso partito . E la burocrazia , anche fra i Gruenen , avanza : 50 mila iscritti , 5 mila eletti , milioni di marchi incassati dallo Stato per le " fondazioni " culturali amiche (l' ipocrita sostituto tedesco al finanziamento diretto ai partiti , che in Germania non esiste) , 44 deputati a Bonn e ben 250 impiegati nel gruppo parlamentare . Da cinque mesi i " realisti " , favorevoli ad allearsi ovunque con i socialdemocratici , hanno sconfitto i " fondamentalisti " . Questi ultimi non vogliono " sacrificare i principi ecologisti , femministi ed emancipatori al carrierismo politico " , come avverte Jutta Ditfurth , la ex segretaria che minaccia di abbandonare i Gruenen se , dopo le elezioni del ' 90 , questi accetteranno di andare al governo nazionale assieme alla Spd . La Kelly sta in mezzo : ne' con i fondamentalisti marxisti ex sessantottini , ne' con i realisti , " che stanno perfino per accettare la Nato " .

La bionda Petra , con il suo carismatico torrente di parole , ha affascinato anche i guardinghi Verdi francesi al congresso europeo di Parigi . E li ha mandati letteralmente in sollucchero quando ha attaccato i socialisti , bestia nera dei Verdi sia in Francia sia in Germania . A Parigi l' ex leader verde Lalonde e' passato direttamente a Mitterrand , che lo ha nominato ministro per l' Ambiente . " E in Germania , per raccattare voti " , avverte la Kelly , " certi Verdi si stanno socialdemocratizzando . I nostri veri partner non devono essere i socialisti , ma Solidarnosc , Greenpeace , Amensty . Non dobbiamo fare politica , ma antipolitica . Solo cosi' riusciremo a cambiare la politica , come ha fatto Solidarnosc in Polonia " . Anche la Kelly si proclama contraria alla Cee . Ma allora perche' accettate di entrare nel suo Parlamento ? " Per utilizzarlo come megafono per le nostre idee " , risponde Petra all'Europeo .

" Ma per me l' Europa e' anche quella dell' Est . Solo che , proprio mentre l' Ungheria vuole uscire dal Patto di Varsavia , alcuni nostri Verdi ' ' riscoprono' ' la Nato e addirittura rivalutano Adenauer " . E giu ' una bacchettata sulle mani agli europarlamentari Gruenen , che hanno pubblicato una cartina dell' Europa senza l' Est . " E nostra responsabilita' occuparci di quello che sta succedendo li' , dei tremila gruppi ecologici e antimilitaristi nati in Polonia , intrometterci negli affari interni di Germania Est , Romania , Cecoslovacchia che , come la Turchia in campo Nato , violano i diritti umani e gli accordi di Helsinki . Molte delle tanto lodate joint venture con cui Gorbaciov si sta aprendo all' Ovest sono antiecologiche . La Cee d' altra parte non si deve chiudere in se stessa ne' dove minacciare la neutralita' di paesi come Austria , Svizzera , Svezia , Finlandia . L' Europa unita dovra' comprendere l'Est ed essere tutta neutrale e smilitarizzata " .

Ma per ora l' unica solidarieta' internazionale dei Verdi europei e' andata all' Olp , con un documento assai squilibrato e violentemente antisraeliano proposto da un europarlamentare tedesco . Anche su questi temi di politica estera , probabilmente , ci saranno differenze nel nuovo Parlamento europeo fra Verdi di sinistra e Verdi nonviolenti . Per ora , fra i Verdi tedeschi c' e' tregua : all' ultimo congresso di Duisburg , in marzo , i tre nuovi cosegretari eletti rappresentano tutte le correnti . C' e' la " realista " Ruth Hammerbacher , 36 anni , la femminista radicale Verena Krieger , 28 anni , e il " centrista " Ralf Fucks , 37 anni . Ma la Kelly insiste : " Se diventiamo come i socialdemocratici , perche' mai ci dovrebbero votare ? " . Eterno dilemma di ogni minoranza .

BELGIO
Europa unita , Belgio diviso. Ci sono i Verdi valloni (Ecolo) e quelli fiamminghi (Agelv) , rigorosamente separati . Un eurodeputato ciascuno , fin dal 1984 . E nel Parlamento uscente i Verdi belgi hanno sofferto , perche' rappresentavano l' ala destra del gruppo Arcobaleno , che comprende anche ecologisti di sinistra come gli italiani di Dp e molti tedeschi . Paul Staes e Paul Lannoye aspettano quindi con sollievo l' arrivo dei francesi . Loro dovrebbero mantenere il 7 per cento dei voti , ma con uno stratagemma gli eurodeputati belgi saranno quattro invece che due : raddoppiano grazie alla rotazione e al " deputato supplente " .

OLANDA
L' attuale eurodeputato Bram Van der Lek , 58 anni , fa parte del gruppo Arcobaleno ma proviene dal Psp (Partito socialista pacifista) , che assieme al Partito radicale olandese occupa da decenni lo spazio dei Verdi . Cio' non ha impedito la nascita dei Groenen , che pero' hanno ottenuto risultati scarsi (1 , 3 per cento dei voti) . Grazie al sistema proporzionale , comunque , i Groenen hanno eletti all' Aja e ad Amsterdam.

LUSSEMBURGO
Dein Greng Alternatif ha due deputati e ottiene regolarmente dal 10 al 20% dei voti nelle municipali . Alle europee , pero' , dovrebbero avere il 16 per cento per conquistare uno dei sei seggi riservati al piu' piccolo paese della Comunita' : impossibile .

GRAN BRETAGNA
Il Green party e' letteralmente cancellato dal sistema elettorale uninominale ( " a causa del quale siedono a Strasburgo molti piu' conservatori di quelli che dovrebbero esserci " , denuncia la signora Jean Lambert) . Tuttavia , continuano imperterriti a presentarsi e presumibilmente a rubare voti ai laburisti . Il 18 giugno saranno presenti in tutti i 78 collegi del Regno Unito , spendendo un bel po' di soldi : un deposito di mille sterline per ogni collegio , in totale quasi 200 milioni di lire . Ma e' sicuro che non raggiungeranno la maggioranza in alcun collegio . E questa e' l' unica dura regola per essere eletti , sotto il sistema maggioritario . In totale , alle scorse europee i Verdi avevano comunque raccolto il 4 , 6 per cento . Va un po' meglio nelle elezioni locali : i Greens hanno cento consiglieri municipali e otto distrettuali : uno di loro ha avuto addirittura il 61 per cento dei voti , ed e' certamente il Verde piu' votato del mondo .

IRLANDA
Comhaontas Glas in gaelico significa Alleanza verde . Fondata nell' 81 , finora e' riuscita a conquistare soltanto un consigliere locale . Il capolista a Dublino per le europee e' Trevor Sargent , ma per essere eletto dovrebbe raggiungere il 15 per cento . Invece i Verdi irlandesi non hanno mai superato il 9.

DANIMARCA
In questo paese perfino la regina e i ministri si proclamano ecologisti . Nell' 85 ci fu addirittura un ex ministro della Difesa che ando' a protestare contro gli esperimenti atomici francesi di Mururoa a bordo della nave di Greenpeace . I Gronne hanno qualche eletto locale , ma nazionalmente sia nell' 83 sia nell' 87 hanno raccolto appena l' 1 , 3 per cento . I quattro deputati del Movimento anti Cee sono stati finora accolti nel gruppo Arcobaleno , a Strasburgo , ma e' difficile che la collaborazione con i Verdi continui nel nuovo Parlamento , quando gli ecologisti saranno abbastanza per formare un gruppo autonomo.

SPAGNA
Il primo partito ecologista , Alternativa verda , e' nato a Barcellona nell' 83 . Poi sono venuti Los Verdes e infine , nell' 85 , e' apparsa la Confederacion de los Verdes , capitanata da Santiago Vilanova . Come tutti i Verdi latini , litigano molto fra loro . Scarsissimi i risultati : 0 , 6 per cento Los verdes , 0 , 3 per cento la Confederacion . A complicare il panorama ci sono le rivalita' regionali fra Catalogna e Castiglia , e la concorrenza di ex comunisti e umanisti : anche loro alle elezioni si dicono Verdi . Non si sa , quindi , se alle europee ci sara' una sola lista.

PORTOGALLO
Una bella e bellicosa signora , Maria Santos , e' deputata a Lisbona per Os Verdes . E stata eletta nelle liste del Partito comunista : una specie di indipendente di sinistra , insomma . Solo che il Pc portoghese brilla per il suo stalinismo. I Verdi europei hanno allora accolto nel loro coordinamento una seconda formazione : il Mdp (Movimento democratico portoghese) .

GRECIA
E' il caos totale. Nella miriade di gruppuscoli e movimenti ecologisti, il coordinamento europeo non ha ancora scelto un interlocutore nazionale . Anche perche' molte organizzazioni Verdi greche sono controllate dal partito socialista o dai due partiti comunisti.

Mauro Suttora

Stilisti al verde

SNATURATI

Operazione ambiente. L’incontro “Natura e impresa" organizzato dalla Regione Lombardia


di Mauro Suttora


Europeo, 12 maggio 1989


Salvatore Giannella e Ruggero Leonardi, direttori di Airone e Natura Oggi (le due maggiori riviste verdi), erano andati speranzosi all'incontro "Natura e impresa", organizzato dalla Regione Lombardia. Scopo della riunione: spingere le industrie a sponsorizzare progetti ecologici. 

Ma quando Carlo Peretti, vicepresidente dell'Assolombarda, ha preso la parola, agli ambientalisti presenti sono cascate le braccia. "L'inquinamento industriale è inferiore a quello di altre attività… Non si può ritornare a una civiltà arcaica e bucolica… L'uomo si è sempre dovuto difendere dalla natura", ha tuonato il rappresentante degli industriali.


"Che faccia tosta", commenta la deputata verde Gloria Grosso. "Certi vecchi pescecani prima si sono arricchiti inquinando, e adesso vogliono arricchirsi anche disinquinando". Ultimamente, però, gli industriali desiderosi di costruirsi un'immagine "ecologica" hanno trovato una buona sponda nelle associazioni verdi. 

Così la Lipu si è fatta sponsorizzare dalla Piaggio, Lega ambiente dai petrolieri Monteshell per la campagna "Auto sicura”, e il semisconosciuto gruppo Mare Vivo ha pensato bene di invitare all'assaggio del tonno Riomare. Così sono sistemati i verdi contrari a motori e caccia. Gli Amici della terra sono anche amici di Italstat e Italimprese, che oltre a finanziare un convegno sull'ambiente hanno cementificato mezza Italia.


Ma il simbolo più ambito è il panda del Wwf, associazione prestigiosa quanto la Croce Rossa o Amnesty international. Cominciate con uno scivolone (il connubio verde etilico con Vecchia Romagna), le sponsorizzazioni proseguono intensamente. Anche perché, nonostante i suoi 200mila soci, il Wwf copre solo un terzo del proprio bilancio annuo di dieci miliardi con le quote degli iscritti.

Quindi, ecco il Wwf raccomandare la Zurigo Assicurazioni, le pile "verdi" Mazda (senza mercurio, ma con l'altrettanto inquinante cadmio) e le fotocopiatrici Minolta (come se la carta riciclata non potesse essere usata su tutte le fotocopiatrici).

Ma lo sponsor più scomodo è stato certamente il sarto socialista Trussardi: il suo Palatrussardi a Milano, infatti, è un abuso edilizio, sorto illegalmente su un'area tutelata a verde dalla legge Galasso.

Friday, May 05, 1989

Nella Siria cacciata dal Libano

Perché Hafez Assad non vuole ritirarsi dal Libano

IL LEONE DI DAMASCO

Ha saputo giostrare contro 1000 avversari. Ha fatto della Siria la maggior caserma del Medio Oriente. Ma oggi che le sue folli spese militari hanno dissanguato il Paese, tutto il mondo arabo lo sta isolando. E l'Irak pensa già alla vendetta

dal nostro inviato a Damasco Mauro Suttora

Europeo, 5 maggio 1989

Il tassista ferma la sua grande e scassata Chrysler gialla anni Sessanta, si volta e sorride. Fa quel gesto, con le dita della mano riunite all'insù, che da noi significa "che vuoi?" e fra gli arabi "aspetta". Apre la portiera, esce dalla macchina e se ne va a contrattare il prezzo di due caschi di banane da un ambulante lungo la strada. 

Siamo a Chtaura, nella verde vallata libanese della Bekaa. Stiamo fuggendo da Beirut insanguinata in quattro, io e tre musulmani libanesi, su un taxi collettivo. Andiamo verso Damasco, verso un tetto sicuro, insieme a centinaia di altri profughi di Beirut ovest, stanchi della roulette russa dei bombardamenti. 

Anche Chtaura viene bombardata dai cannoni del generale cristiano Michel Aoun, che da un mese e mezzo osa sfidare i 40 mila soldati siriani in Libano. I missili e le bombe dei mortai da Beirut est, superato il monte Libano, piombano anche qui, nella speranza di colpire le postazioni siriane che da 13 anni controllano la grande vallata, la Bekaa di fatto annessa alla Siria: mezzo Libano. Chtaura ne porta i segni. Muri sfondati attraverso cui occhieggia il cielo, sacchetti di sabbia davanti alle vetrine, nastri di scotch che cercano di impedire che i vetri cadano a pezzi. 

Il tassista siriano torna indietro con le sue banane Dole, "product of Ecuador", molto più grosse delle banane locali. Forse le bananine mediorientali rimangono così rachitiche perché non sono trattate con tiabendazolo, come indicato sulle Dole. Fatto sta che queste ultime finiscono nel bagagliaio del taxi, confondendosi con i nostri bagagli. 

Prima della frontiera, nello spazio di 20 chilometri, il tassista ci pregherà di aspettare altre quattro volte: per comprare due taniche metalliche d'olio, una confezione gigante di fazzoletti di carta, altre banane, una stecca di sigarette. Smette solo quando nel bagagliaio non sta più neppure uno spillo. Proprio questa sua spesa forsennata spiega molte cose: le ragioni per cui la Siria si è impadronita del Libano (il 70 per cento del territorio e tutte le città più importanti: Beirut ovest, Tripoli, Tiro, Sidone), come mai non voglia andarsene e anche perché sia in perenne crisi economica. I beni di consumo che il tassista si è assicurato, infatti, sono un po' un simbolo: quello di una Siria per cui era insopportabile avere, tra sé e il mare, un paese piccolo, libero e ricco come il Libano. 

I soldati siriani, calati dalle montagne del Jebel Ansarié (la patria alauita del dittatore di Damasco , Hafez Assad), o arruolati fra i beduini del deserto, si sono impadroniti del raffinato Libano con la stessa fame, la stessa rabbia, lo stesso complesso di inferiorità di un barbaro di fronte a Roma. Beirut, ex emporio miliardario, dopo 14 anni di martirio riesce ancora ad offrire ben più della Siria. 

Una conferma mi verrà, arrivato a Damasco, da una visita al suk nella città vecchia. Quello che un tempo era il bazar più ricco e sfavillante del Medio Oriente dopo il Gran Bazar di Istanbul è ridotto a due misere gallerie maleodoranti. Poca e povera la merce esposta. Solo i tessuti di cotone e gli abiti tradizionali vi portano una nota multicolore. Già: è grazie all'industria tessile che la Siria può assicurarsi ancora le forniture di armi sovietiche; Mosca gliele dà in cambio di prodotti di cotone, mentre considera la valuta siriana carta straccia. Come il resto del mondo. 

Nella galleria principale del suk, quella che porta alla grande moschea degli Ommayadi, i commercianti disponibili a scambiare quattro chiacchiere sono pochi. La polizia politica di Assad è assai occhiuta, i militari sono dappertutto. Il regime non tollera critiche e lamentele. Ha dovuto risparmiare di malavoglia il comico Duraid Laham che lo mette alla berlina, perché è protetto da una popolarità a prova di bomba. Finalmente, mentre compro di che radermi in una misera bottega di chincaglieria, il negoziante sibila in francese: "Il nostro problema? Che buttiamo il 65 per cento delle spese di bilancio nella difesa". 

Sono forze armate ipertrofiche, quelle siriane: mezzo milione di soldati su nove milioni di abitanti. Un modo per impiegare disoccupati che sarebbero cronici, ma anche un grande serbatoio di popolarità e un cuscinetto di sicurezza per Assad. "Questa gente", spiega un diplomatico occidentale, "Assad doveva pure impiegarla. Non potendo farlo contro Israele, dopo le batoste del '67 e dell'82, ha pensato bene di offrire 'un aiuto fraterno' al Libano".

La Siria ha sempre considerato il Libano parte della "Grande Siria": non ha mai aperto ambasciate a Beirut, né richiesto passaporti per passare la frontiera. Lo stesso Assad ha goduto dell'ospitalità libanese ai tempi in cui era un giovane militante del partito Baas che complottava per impadronirsi del potere a Damasco. All'indomani del golpe fallito, nel marzo del '62, fu però arrestato a Tripoli, tenuto in prigione 9 giorni e infine estradato.

C'è chi dice che questa disavventura gli abbia messo in corpo il desiderio di vendetta. Ma sono voci, interpretazioni che filtrano attraverso la pesante cortina di un culto della personalità da antico satrapo d'Oriente. "In realtà", lo descrive Karim Pakraduni, un dirigente libanese che ha negoziato a lungo con lui, "Assad è molto razionale. Da buon pilota militare abbraccia le cose dall'alto: con un colpo d'occhio individua dettagli e bersagli. E dopo aver colpito, si ferma a riflettere, negoziare, esplorare. Fino al colpo successivo". 

Proprio grazie a questa tecnica, otto secoli dopo Saladino, Damasco ha ritrovato un padrone assoluto. Nato nel 1928 sulle aride montagne della regione alauita, allora autonoma dalla Siria e governata dai francesi, Assad scende a studiare sulla costa, a Latachia. A 24 anni, come molti altri membri della minoranza alauita, fulcro dell'esercito siriano, entra all'accademia militare di Homs. Stages in Urss, espulsione dall'esercito, esilio al Cairo dove vive il suo idolo, Nasser. 

Nel '66, dopo un colpo di Stato, torna e viene nominato ministro della Difesa. E nel 1970, "grazie" ai palestinesi, diventa presidente: rifiuta infatti di difendere i fedayn sterminati dalla Giordania durante il Settembre Nero, e ciò offre al presidente Salah Jedid il destro di sostituirlo; ma Assad è più rapido e sostituisce lui il presidente. 

"C'e' da stupirsi?", si chiede il diplomatico con cui parliamo di tutto ciò. "Il Medio Oriente abbonda di questi colpi di scena… Certo, nella vita di Assad ce ne sono più che nella media. Basta pensare allo scherzo che il destino ha fatto al Libano, dove nel 1976 furono i cristiani a chiamare Assad perché eliminasse i fortini costruiti dall'Olp intorno a Beirut, dopo l'espulsione dalla Giordania. Assad distrusse il campo profughi palestinese di Tall el Zataar, ma subito dopo tradì i cristiani libanesi. Fece anche eliminare il capo dei drusi, Kamal Jumblatt. E non è vero che oggi il figlio di Kamal, Walid, è il miglior alleato di Assad? Assad vuol dire leone in arabo".

La parte del leone si attaglia perfettamente alla Siria, che è oggi, dopo la dichiarata intenzione del Vietnam di andarsene dalla Cambogia, l'unico Paese al mondo ad occupare un altro Paese: appunto il Libano, preda che non intende mollare. Naturalmente questo ha isolato la Siria anche nel contesto arabo. 

Se si considerano i complicati rituali che regolano la cosiddetta "nazione araba", non è senza significato che Damasco non faccia parte di alcuna organizzazione economica. Passi per il Magreb, per cui valgono considerazioni territoriali (ne fanno parte Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania) e passi, per analoghe ragioni, il Consiglio di cooperazione del Golfo nato nel 1980 (Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Bahrein, Emirati e Qatar). Ma la Siria non è stata neppure chiamata a far parte del Mashrek , l'organizzazione nata nel febbraio 1989 tra Irak, Egitto, Giordania e Yemen del Nord. 

L'accordo di formazione è stato siglato a Bagdad e si dice che l'Irak l'abbia condizionato alla non partecipazione della Siria. Il che è comprensibile, data l'inimicizia tra i due partiti Baas. Ma è abbastanza grave per il regime di Assad (ormai legato solo all'Iran, musulmano ma non arabo e di volubili alleanze). Infatti, attraverso le anodine alleanze economiche passano sotterranee correnti politiche: per esempio l'Irak ha fornito alla Giordania 150 carri armati per mantenere l'ordine interno, e dire Giordania vuol dire Arabia Saudita. Non solo: sempre in Irak ci sono molti campi militari di Fatah, la corrente dell'Olp che fa capo ad Arafat. Il che vuol dire, per Assad, trovarsi contro anche l'Egitto. 

Ma il regime non sembra preoccuparsene. Damasco, dopo l'inferno di Beirut, è un'oasi di calma. Passeggiare per i suoi verdi giardini è un piacere. All'Hadykat Zanoubie, sulla riva del laghetto nel parco, un gruppo di soldatesse scherza. Altre ragazze, nessuna porta il chador in un momento di fervore islamico, camminano a braccetto. Sono un altro indice dell'abilità di Assad: qui la donna ha gli stessi diritti, almeno sulla carta, dell'uomo.

I radicali musulmani sono solo un ricordo (Assad provvide a farne eliminare migliaia in una sanguinosa purga ad Hama, nel 1982). La libertà di culto è assicurata. Perfino la minoranza cristiana, il 12% della popolazione, vive in pace. Tanto che quando vado, di domenica, a cercare un funzionario cristiano amico al ministero degli Esteri, sicuro di trovarlo (la giornata di festa canonica dei musulmani è il venerdi), mi dicono che non c'è: è a messa. 

Parlo con un suo collega musulmano e gli chiedo provocatoriamente come mai dappertutto a Damasco si incontrino militari. "È solo perché siamo in zona di confine", mi spiega un po' confuso. Comunque è vero. Israele è lì, sul Golan occupato dal 1967 e annesso nel 1981, ad appena 90 chilometri. Nel 1982 ha distrutto in pochi minuti tutte le postazioni di missili sovietici installate dai siriani nella Bekaa. E ancor oggi lancia indisturbato, ogni due-tre settimane, raid chirurgici punitivi contro le basi militari palestinesi che i siriani tollerano nel Libano del sud. "Da qui", mi dice un cameriere in un bar sul monte Cassiun che domina Damasco (dove Assad vorrebbe farsi costruire un faraonico palazzo presidenziale, bloccato dall'86 per mancanza di fondi), "ogni tanto si vedono bagliori lontani. I razzi israeliani". 

Sono 41 anni che la Siria combatte Israele. E questo perfino per uno Stato caserma, privo degli elementari diritti civili (parola, stampa, riunione, associazione, da tutte le copie dei giornali stranieri venduti negli hotel vengono sforbiciati gli articoli sulla Siria), è troppo. "Se non fossimo in guerra con Israele", s'era lasciato sfuggire al ministero degli Esteri il funzionario musulmano, "il mio stipendio sarebbe cinque volte superiore". 

È un altro elemento per capire la determinazione della Siria a non andarsene dal Libano, pompa d'ossigeno per dare un po' di respiro a un moribondo economico. "S'e' mai chiesto", mi domanda un diplomatico francese, "come mai la causa scatenante dell'ultima guerra in Libano, l'8 marzo, sia stato il tentativo di Aoun di ripristinare il controllo statale sui porti? Significava il blocco del contrabbando, dell'import-export illegale. Ha fatto infuriare un po' tutti, ma specialmente drusi e siriani. Probabilmente perché sono proprio loro ad esercitare il traffico di droga e armi. Secondo la polizia inglese, i due terzi della droga sequestrata in Gran Bretagna vengono dai porti turco ciprioti, proprio di fronte a Tripoli, controllata dai siriani. Del resto, a fine marzo è stata sequestrata in Mediterraneo una nave siriana carica di stupefacenti. Veniva dal Libano? Sa, la Bekaa è piena di coltivazioni di hashish e papavero". 

Una storiaccia. Non peggiore, però, di tante altre che circolano qui a Damasco. Dove si è addirittura calcolato che la metà della produzione annuale di grano siriana viene venduta illegalmente in Turchia, invece di affluire nei magazzini dello Stato "socialista". La gente così fa la coda per accaparrarsi beni di consumo primario e la valuta al mercato nero ha valore di un quarto rispetto al cambio ufficiale. 

Per soffocare il malcontento, lo spettro del grande nemico, Israele, serve a meraviglia. Perfino ad Assad, che non viene certo da una famiglia antisionista. Ecco infatti quel che scriveva il nonno di Assad, Solimano, il 15 giugno 1936 in un appello al premier francese Leon Blum: "I bravi ebrei hanno portato civiltà e pace agli arabi musulmani". 

Solimano cercava di convincere i francesi a proteggere le minoranze presenti in Siria e Palestina sotto l'occupazione franco-inglese. E fra le minoranze, oltre agli ebrei, c'era allora anche la famiglia del piccolo Assad: gli alauiti, l' 11 per cento dei siriani, che avrebbero voluto anche loro l'indipendenza dalla Siria o, al massimo, l'inclusione nel Libano. Ma in questo modo la Siria avrebbe perso ogni sbocco al mare. 

Dispute storiche che gettano la propria ombra anche sulle vicende di oggi. Per quanto tempo la minoranza alauita di Assad riuscirà a tenere in pugno la Siria con la sua maggioranza sunnita? L'uomo forte di Damasco è al potere da 19 anni, ma oggi tutto sembra congiurare contro di lui: il mondo intero si commuove alla tragedia di Beirut, la diplomazia è in movimento, perfino la Lega araba sembra rinnegare Damasco. 

E la Siria, per di più, appoggia gruppi palestinesi come quello di Ahmed Jibril sospettato di aver fatto esplodere l'aereo Pan Am a Natale. I rapporti con la Gran Bretagna sono ancora interrotti dopo l'"affare Hindaui" dell' 86 (attentato fallito contro un aereo El Al a Londra, commissionato dal capo dei servizi segreti siriani). Soprattutto, adesso a Mosca c'è Gorbaciov. E se i sovietici hanno bisogno della base navale siriana di Tortosa (Tartus), non è detto che vogliano continuare per sempre ad armare la caserma più bellicosa del Medio Oriente. 

Nella hall del mio albergo, lo Sham, c'è una carta geografica. Il nome di Israele non compare neppure. Vi compare invece quello dell'Irak, con il quale è molto più probabile che la Siria si trovi a fare presto i conti. Saddam Hussein non ha dimenticato che Assad è stato l'unico alleato arabo dell'Iran nella guerra del Golfo, né che tra l'80 e l'81 una decina di diplomatici iracheni nella zona musulmana di Beirut hanno subito attentati; il 15 dicembre '81 veniva addirittura ucciso l'ambasciatore Razzak Lafta. 

"Allora", mi ha detto a Beirut un comandante cristiano, "Saddam Hussein era impelagato nella guerra del Golfo. Oggi non più. E ha già cominciato a saldare i conti mandando ai falangisti cristiani di Samir Geagea un centinaio di carri sottratti agli iraniani". "Se i siriani non se ne andranno, chiameremo gli iracheni", aveva avvertito il generale Aoun. C'è da chiedersi se la questione libanese non verrà regolata da Bagdad dall'altro "ragazzo terribile" del Baas, capo di un'altra grande caserma del Medio Oriente.
Mauro Suttora

Friday, April 14, 1989

Guerre senza fine: la violenza torna a divampare a Beirut

L’ultima crociata


“Liberare il Libano dai siriani”: è lo slogan di Michel Aoun, premier cristiano della zona est della città. Ma nasconde anche uno dei tanti regolamenti di conti tra opposte fazioni. E intanto nel tiro incrociato finiscono i civili


dall’inviato a Beirut Mauro Suttora


Europeo, 14 aprile 1989

 

“Cosa pensano di noi i cristiani d'Europa?", mi domanda Bassam Kafrouni, 23 anni, sottotenente delle forze libanesi, gli occhi azzurri assetati di solidarietà internazionale. "Assolutamente nulla", gli rispondo sincero, "indifferenza totale. L'unica cosa che si pensa è che forse siete un po' tutti stufi di farvi guerra in Libano dopo 14 anni, no?" I baffetti neri di Bassam si irrigidiscono sulla bocca chiusa. 

È Pasquetta. Sono le due del pomeriggio. Stiamo attraversando piazza dei Martiri. Era il centro di Beirut: negozi, uffici, ristoranti e sfavillanti night club. Adesso di colorato è rimasto solo lo scheletro di una grande pubblicità luminosa: orologi Orient. Tutto il resto sono solo palazzi abbandonati. Diroccati, bruciacchiati, forati soprattutto. Basta con il cedro: il nuovo simbolo del Libano anni Ottanta è il foro del proiettile. Sventagliate di mitra o colpi di fucile di cecchini isolati. E poi i buchi più grandi: quelli di bazooka, obici, cannoni. Dei missili. Non c’è casa a Beirut, anche nei quartieri residenziali più chic, che non esibisca qualche foro sui muri.

"Sono come le cuvées", scherza il fotografo Karim Daher. "Si possono riconoscere le annate. Queste sono le tracce dei combattimenti del '76 , queste dell'82 , queste dell'86… I più esperti riescono perfino a distinguere i buchi fatti dai vari eserciti: siriani, israeliani, palestinesi, falangisti, sciiti…” 


Pasqua a Beirut. La guerra del Libano compie 14 anni. Fu una scaramuccia fra i palestinesi e la scorta del presidente cristiano ad accendere la miccia, nell'aprile 1975. In quegli stessi giorni i nordvietnamiti conquistavano Saigon. Beirut invece era la "Parigi del Medio Oriente": la città più ricca, elegante e cosmopolita del Mediterraneo. Nessuno poteva immaginare che il Libano proprio in quel momento stesse ereditando dal Vietnam l'orrendo ruolo di guerra più lunga ed estenuante del secolo.

Da allora, nell'unica democrazia del mondo arabo sono morti in 120 mila. Calcolando che il Libano ha appena tre milioni di abitanti, in proporzione sarebbe come se in Italia una guerra facesse due milioni e mezzo di vittime. E la mattanza continua. 

In marzo a Beirut è scoppiata la terza guerra del 1989. Quest'anno il ritmo è infernale: ogni mese una nuova guerra. In gennaio c’è stato il conflitto fra sciiti prosiriani del partito Amal, "Speranza" in arabo, e quelli pro iraniani di Hezbollah, il "partito di Dio". In febbraio, a san Valentino, un rapido ma sanguinoso regolamento di conti in campo cristiano: le forze libanesi del falangista Samir Geagea contro l'esercito regolare libanese del generale Michel Aoun. Il quale poi, arrivata la primavera, ha lanciato l'ultima, temeraria sfida: "Comincia la guerra di liberazione, via gli invasori siriani dal Libano". 


Ci sono 30mila soldati siriani attualmente in Libano. Occupano i due terzi del paese: la valle della Bekaa, il nord, tutto il sud tranne la striscia dei filo israeliani e quella dell'Onu. E Beirut ovest, quella prevalentemente musulmana. Ai libanesi cristiani rimangono solo 1.500 chilometri quadrati, una striscia costiera lunga una cinquantina di chilometri e larga 30 che si stende da Beirut est su verso il nord. Niente di più. 

Da sette mesi, ormai, il paese non è più unito. Neanche formalmente. Alla scadenza del mandato del presidente Amin Gemayel, infatti, si sono formati due governi. A Beirut est c’è quello guidato dal capo dell'esercito Aoun. L'altro, a Beirut ovest e nel Libano occupato dalla Siria, è presieduto dall'ex premier musulmano Selim Hoss. I libanesi cristiani però sottolineano che la guerra d’indipendenza è rivolta solo ed esclusivamente contro gli invasori siriani . E che non si può quindi parlare di "guerra civile fra libanesi". Nessuna accusa di collaborazionismo sfugge mai contro Hoss, gli sciiti, i sunniti o i drusi. 

Fatto sta che i cannoni di Beirut est stanno bombardando le case dei civili a Beirut ovest, e viceversa.


Anche i pretesti, naturalmente, sono simmetrici ed equivalenti. "Colpiamo solo le postazioni siriane. Sono loro, per proteggersi, che si mettono in mezzo ai civili", dice il generale Aoun. "Colpiamo solo obiettivi strategici come la sede presidenziale dove Aoun si è installato illegalmente", si giustificano dall'altra parte. Anzi, a Beirut ovest nessuno si giustifica, perché ufficialmente nessuno spara . Però, chissà come, ogni giorno dalle quattro del pomeriggio alle due di notte anche da lì piovono bombe. 

Ne hanno fatto le spese soprattutto i quartieri residenziali attorno al palazzo del presidente Aoun, a Baabda. Ma anche piazza Sassine, nel cuore del quartiere cristiano di Achrafie, zona considerata sicurissima, ha ricevuto la sua dose di obici da 155 a 240 millimetri che hanno perforato i muri dei condomini, entrando ed esplodendo in piena notte nelle camere da letto. Il risultato finale è sempre lo stesso, da 14 anni: per ogni soldato morto, da una parte o dall'altra, venti sono i civili innocenti ammazzati.


L'immoralità delle guerre moderne, bomba atomica o no, è contenuta tutta in questo semplice ma tragico rapporto di proporzione: uno a venti. Fino alla prima guerra mondiale erano soprattutto i soldati a morire in battaglia. Adesso invece i militari sparano e i civili muoiono. In Libano è successo tante di quelle volte: a Tall El Zatar nel '76 i soldati siriani massacrarono donne e bimbi palestinesi perché nei sotterranei del campo profughi i fedayn avevano nascosto i loro carri armati; lo stesso fecero i falangisti a Sabra e Chatila nell'82; o gli sciiti nel campo di Bourj El Barainj nell'87; o i palestinesi filosiriani di Abu Mussa contro altri palestinesi nell'estate ' 88 . Eccetera.

Ma almeno questi nomi di stragi rimarranno in qualche modo nella storia degli orrori libanesi. Chi si ricorderà, invece, dei signori Tanios Dumit, Elias Dumit o Suad Kassaifi, tre delle vittime dei bombardamenti di questa Pasquetta '89, colpiti solo perché la loro casa era troppo vicina al palazzo presidenziale di Baabda?

A Beirut non ci sono più giornalisti. Sette anni fa erano in duemila ad affollare gli alberghi; oggi siamo in tre ad aggirarci nell'atrio vuoto dell'hotel Alexandre. Peccato, generale libanese Michel Aoun, la tua guerra di liberazione contro gli invasori siriani non interessa il mondo: eppure l'hai sparata grossa venerdì santo, quando hai dichiarato: "Se per liberare il Libano Beirut dovrà essere distrutta, che lo sia: è già stata ricostruita otto volte nella sua storia, la ricostruiremo ancora".

E il giorno dopo hai rischiato grosso: mentre ti intervistava un giornalista di Zurigo, nel tuo studio sotterraneo, è caduta una pioggia di obici sul palazzo di Baabda, dove lo scorso settembre l'ultimo presidente Amin Gemayel ti nominò presidente del Consiglio solo tre minuti prima che gli scadesse il mandato, dopo averti odiato per anni. Il tassista del giornalista zurighese, che aspettava nel parcheggio, si è preso le schegge. Ma tu, presidente, saresti morto se fossi stato alla tua scrivania normale: un missile si è piantato proprio in mezzo alla sedia.


"Nous tiendrons jusqu'au bout", grida durante la messa di Pasqua una donna dal fondo della chiesa cattolica di Nostra Signora dell'Assunzione. "Resisteremo fino in fondo": se lo giurano in molti, fra il milione di cristiani assediati nell'enclave libanese. Di mattina i bombardamenti cessano, e così a Pasqua a Beirut est tutte le chiese erano piene zeppe. In quella di Nostra Signora dell'Assunzione vengo coinvolto in una scena incredibile assieme al fotografo francese Alain Nogués, fondatore dell’agenzia Sygma. È in corso la messa, in arabo. Diciamo al sacrestano che alla fine vorremmo parlare con il prete. Ma questi, avvertito immediatamente della presenza di due giornalisti europei, ci convoca sull'altare in piena messa. Ci bisbiglia in francese: "Dopo la predica dirò qualcosa su di voi". Lo farà, rivolto ai fedeli: "Fratelli, sono fra noi due rappresentanti dell'opinione pubblica cristiana europea. Che Dio li illumini e possa far descrivere loro la nostra situazione e la nostra continua lotta in difesa della cristianità”.

Alé, abili e arruolati sul campo, mille anni dopo la partenza della prima crociata contro gli infedeli! Ma è esattamente questo il clima in cui vivono centinaia di migliaia di cristiani libanesi oggi. E non capiscono perche', invece di aiutarli a cacciare via i siriani dal Libano, il presidente francese Francois Mitterrand abbia accolto proprio durante la settimana santa il ministro degli Esteri siriano a Parigi. E si sia addirittura impegnato a incontrare presto il presidente della Siria Hafez Assad.

 

Esattamente come i Pieds Noirs algerini trent'anni fa, i cristiani di Beirut, tutti arabi ma francofoni, considerano la Francia la loro protettrice e madrepatria. Anche gli armeni cilici di Antelias, sulla strada verso il porto di Junie, discutono e commentano i bombardamenti che non li hanno fatti dormire la notte precedente. Sotto la cipria, profonde occhiaie: siamo andati nei rifugi, ci siamo addormentati solo verso le tre, si lamentano le mamme.

A ogni incrocio di Beirut est c’è un altarino alla Madonna. Ogni due incroci, un murale con il ritratto del vecchio Pierre Gemayel. Ogni tre, quello del figlio Bechir, il leader della falange fatto saltare in aria poco dopo essere stato eletto presidente nell'82. Il fratello Amin, che ne ha preso il posto ed è sopravvissuto per sei anni, invece non è più popolare: "Troppi compromessi con i siriani", gli rimproverano. 

Anche Amin, assieme ad altri sei ex presidenti e primi ministri del Libano (la costituzione lasciata nel '43 dai francesi stabilisce che i presidenti siano cristiani e i primi ministri musulmani), è volato a Tunisi la scorsa settimana per i negoziati condotti, in nome della Lega Araba, dall'ambasciatore del Kuwait in Siria. Ma diversi cristiani accusano l'ultimo dei Gemayel di essersi arricchito illecitamente durante la presidenza. E poi ormai vive a Parigi, ha chiesto il divorzio dalla moglie, convive con un'amante… e i maroniti storcono il naso.


Riuscirà il generale Aoun a diventare il nuovo eroe nazionale dei cristiani del Libano? Sta facendo del suo meglio. A nord dell'enclave il territorio controllato dal cristiano Suleiman Frangie, ottuagenario ex presidente, è sotto dominio siriano. Anche Pierre Hobeika, capo dei falangisti fino al 1986 e tristemente famoso per la strage di Sabra e Chatila, è passato con Damasco. Ma, a parte questi due "Giuda", il fronte cristiano ha ritrovato la sua compattezza contro la Siria. I due risultati più concreti degli scontri intercristiani di febbraio sono stati il ritorno del controllo dell'intero porto di Beirut nelle mani dell'esercito regolare, quindi dello Stato, e la chiusura del quotidiano Le Reveil. Era l'organo delle forze libanesi (falangisti più i liberali di Eddy Chamoun più i Guardiani del Cedro) e ha sospeso le pubblicazioni per un motivo molto semplice: l'edificio dove veniva stampato è passato sotto il controllo fisico dell'esercito.

Una disavventura simile, del resto, è toccata anche al principale quotidiano libanese scritto in francese, L'Orient Le Jour: ha la redazione a Beirut est, ma la tipografia all'ovest. Così, per essere venduto anche nell'enclave cristiana, viene spedito via telefax ogni notte.


Ma le Forze libanesi continuano a essere un potentissimo stato nello stato , nel Libano cristiano. Il traghetto che collega di notte Cipro al Libano (unico modo di arrivare a Beirut se l'aeroporto è chiuso) è di loro proprietà. Appena salito a bordo, sabato santo, mi sono accorto che il potere anche nel Libano cristiano è diviso in due: accanto al funzionario statale che controllava i passaporti c'era quello delle Forze Libanesi. 

Il traghetto viene spesso bombardato da drusi e siriani quando arriva al porto di Junie, 15 km a nord di Beirut, ma rimane l'unico contatto dell'enclave cristiana col mondo esterno. Infatti i siriani dal 20 marzo hanno bloccato tutti i passaggi fra Beirut est ed ovest. La linea verde, il confine fra le due Beirut, con quella specie di muro di Berlino improvvisato fatto di container che ostruiscono ogni via di accesso tranne i pochi passaggi ufficiali, è anch'essa spartita, dalla parte cristiana, fra esercito e miliziani delle Forze Libanesi. Queste ultime controllano la parte nord, vicina al mare. E qui, da 40 giorni ininterrottamente è stazionato il sottotenente Kafrouni. La milizia gli dà tutto: mangiare, dormire, vestiti e 200 dollari al mese. "Mi bastano, perchè non sono sposato". "Sei fidanzato?". "Sì". " E lei è contenta che non ritorni a casa da 40 giorni?". “È normale, è la guerra". " È più brutta questa guerra contro i siriani o quella del mese scorso contro l'esercito regolare?". "Con l'esercito c'è stato solo un piccolo problema. Con i siriani il problema è molto più profondo". 

Friday, February 24, 1989

L'Italia secca

INCHIESTA DI COPERTINA

Europeo, 24 febbraio 1989

Grande sete: i danni della stagione piu asciutta del secolo

Acqua razionata , colture distrutte , boschi bruciati , concentrazione dell' inquinamento . Ecco , regione per regione , la mappa di un' emergenza provocata da un eccesso di bel tempo invernale . E che si potra' risolvere soltanto con una bruttissima primavera

di Salvatore Gajas
e Mauro Suttora

Ci mancava soltanto il Worldwatch Institute . Il prestigioso centro di futurologia statunitense venerdi' 10 febbraio ha diffuso ai giornali di tutto il mondo il suo rapporto annuale . E in questo rapporto c' e' scritto , nero su bianco , che se non riduciamo l' inquinamento di ogni tipo (da quello delle industrie e quello delle auto , dal taglio delle foreste al sovrappopolamento) la Terra subira' danni irreversibili entro il 2000 . Cioe' entro dieci anni .

In Italia , intanto , molti cominciano a maledire il sole . Non piu' soltanto gli sciatori e gli albergatori di montagna che , dopo il Capodanno senza neve , vedono svanire anche la possibilita' di rifarsi con le settimane bianche di febbraio e marzo . O gli agricoltori del Sud e del Nord che hanno le colture distrutte dalla siccita' , e i vigili del fuoco costretti ai salti mortali dai mille incendi che continuano a scoppiare nei boschi secchi . Adesso anche i cittadini comuni scrutano il cielo con apprensione . Per ora soltanto quelli di Genova , Vigevano e Chioggia , che hanno gia' subito il razionamento di " sorella acqua " . Ma fin dai prossimi giorni l' emergenza siccita' si allarghera' e tocchera' concretamente la vita quotidiana di molti di noi .

Colpa nostra , maledetti inquinatori che abbiamo rovinato perfino l' elemento primario di ogni forma di vita sul nostro pianeta ? O tremenda fatalita' del destino , calamita' biblica contro cui non si puo' far nulla se non pregare ? Gli appelli apocalittici del Worldwatch Institute lasciano perplessi e scettici anche ecologisti di provata esperienza come Laura Conti , deputato del Pci . Ma certo l' inusuale siccita' che sta colpendo l' Italia in queste settimane e' aggravata dall' imprevidenza ambientale dei nostri governanti . Cosi' , nel momento in cui per cause naturali diventa poca , l' acqua potabile e' resa ancora piu' inquinata dall' atrazina , i cui livelli minimi tollerabili vengono aumentati per decreto governativo . E diversi acquedotti sono chiusi non per mancanza d' acqua , ma perche' i veleni si concentrano troppo nel poco liquido rimasto .
Ecco , regione per regione , la mappa del disastro . Provocato dal destino , ma anche dall' incuria .


PIEMONTE

Qui il bicchiere e' ancora pieno . Ma avvelenato . Per lo meno nelle province di Vercelli , Novara , Asti e Alessandria , dove atrazina , bentazone e molinate la fanno da padroni . Casale Monferrato e' all' asciutto , ma lo era gia' tre anni fa . E non perche' le falde sotterranee e i pozzi si siano inariditi (anzi , non per nulla queste sono le regioni del riso) , ma perche' diserbanti e fertilizzanti chimici sono penetrati nella terra e hanno inquinato l' acqua potabile . Eppure , in teoria , il Piemonte e' , assieme al Trentino Alto Adige , la regione italiana con la maggiore disponibilita' di acqua , sia di sorgente sia di falda . Ma la rete idrica e' antiquata . Anche in periodi normali , un quarto della popolazione piemontese riceve una quantita' di acqua potabile ritenuta insufficiente dalle stesse autorita' pubbliche .

Da ottobre il cielo e' uno specchio limpido su tutta la regione . Il raccolto di grano e' gia' dato per compromesso al 15 per cento . In provincia di Cuneo soffrono soprattutto gli alberi da frutta . Per la prima volta nella storia del Piemonte si discute sull' opportunita' di costruire serbatoi artificiali per riserve idriche . Emilio Lombardi , assessore regionale all' agricoltura , chiedera' lo stato di calamita' .


LOMBARDIA

I devoti cattolici lombardi pregano . E ormai le invovazioni sono diventate ufficiali . Domenica 12 febbraio hanno chiesto nubi all' orizzonte da tutte le chiese . Che sarebbe finita cosi' , l' aveva capito per primo un parrocco brianzolo , don Gino Molon , malgrado la delusione finale . Aveva esposto nella chiesa di Canzo (Como) le reliquie di San Miro Paredi (uno dei pochissimi santi forniti anche di cognome) , noto e apprezzato durante i secoli per le pioggie provocate in suo nome . Questa volta , pero' , nonostante le preci dei fedeli di fronte alle sue ossa , nulla di nulla . Cosi' , dopo due giorni , don Gino ha riposto San Miro nell' urna per evitargli ingiusti sarcasmi . E i brianzoli si consolano con pellegrinaggi alla fonte Gajum , dove pero' le taniche si riempiono piu' faticosamente del solito .

Le acque lombarde sono oggetto di grandi traffici . Dopo aver avvelenato le preziosissime acque sotterranee di falda (che in queste zone scorrono anche a soli 50 centimetri dalla superficie , rendendo cosi' i campi i piu' fertili d' Europa) , adesso i politici accarezzano un sogno costosissimo : dissetare Milano con l' acqua di Ticino e Adda , potabilizzata e trasportata in acquedotto dai laghi Maggiore e di Como . E il cosiddetto " piano Lambro " , che invece di far disinquinare ai colpevoli , prevede molto cemento in opere pubbliche . Costo : 5 mila miliardi , tutti soldi pubblici . Significato concreto dell' operazione : piu' appalti , piu' tangenti , piu' finanziamenti per i partiti .

A Roma , in Parlamento , circola la facile battuta : " I nordisti hanno inventato Lambro e Po per istituire la Cassa del Mezzogiorno di Milano " . Sempre in quest' ottica , assistenzialista , ammaestrati dalle centinaia di miliardi spillati grazie all' alluvione in Valtellina , i politici lombardi gia' chiedono 1 . 500 miliardi per gli agricoltori . Un' enormita' , se si pensa che la nebbia umida ha limitato i danni in Padania , e che la Sardegna ha chiesto solo 800 miliardi , ma con danni ben maggiori . Intanto , l' " acqua all' atrazina " viene bevuta da 273 mila lombardi sparsi in sei province (escluse solo Sondrio , Varese e Como , troppo montane per avere le falde gia' inquinate) e in 73 comuni . Le piu' colpite sono le province di Milano (30 comuni) e Bergamo (22) .

LIGURIA

E' la regione settentrionale piu' colpita . I " mareometri " di Genova e Savona segnalano che il mare in Liguria si e' abbassato di 36 centimetri . Ma questo e' solo l' aspetto piu' spettacolare della siccita' . A Genova c' e' il razionamento dell' acqua gia' da dieci giorni . Per ora e' vietato lavare le automobili e innaffiare i giardini . Cosi' si risparmia l' equivalente di dieci milioni di bottiglie di acqua potabile ogni giorno . Ma , in mancanza di pioggia , da lunedi' 20 febbraio scatterranno misure ben piu' restrittive . Il comune ha gia' preparato il piano di razionamento , con mappe e calendario quartiere per quartiere .

Intanto Liguria ed Emilia litigano per la " briglia " sul Cassinghero : Genova accusa Piacenza di rubarle la poca , preziosa acqua del fiume Trebbia . Altra acqua , poi , ci pensa lo stesso acquedotto di Genova a sciuparla : nonostante che le tubazioni piu' recenti risalgono agli anni ' 60 , infatti , le perdite raggiungono spesso punte del 30% , contro una percentuale del 12 fisiologica in ogni acquedotto . Cosi' , mentre il fabbisogno canonico pro capite sarebbe di 400 litri al giorno , ogni genovese anche in periodi normali puo' contare solo su 320 litri .

Infuriano gli incendi nei boschi : i danni ormai si calcolano in migliaia di ettari . Vicino a Savona e' precipitato un Canadair " innaffiatore " , e i due piloti sono morti . Una delle cause " umane " degli incendi , oltre ai piromani che stanno agendo anche in questi giorni , e' la preferenza data alle conifere nei rimboschimenti degli ultimi anni . Querce e lecci , invece , sono molto piu' resistenti al fuoco . Il sughero , poco infiammabile al contrario della resina dei pini , fa da scudo per le parti vitali dei tronchi , e permette alle querce attaccate dal fuoco di riprendersi nel giro di poche stagioni .

VENETO

Gli epicentri della siccita' qui per ora sono due : l' altopiano di Asiago (Vicenza) e Chioggia (Venezia) . I sindaci dei piccoli comuni dell' altopiano stanno emanando ordinanze per evitare l' uso dell' acqua potabile nell' innaffiamento dei giardini . L' acquedotto che rifornisce Chioggia invece e' gia' rimasto chiuso per tre giorni , fino a sabato 11 , per un inquinamento del fiume Adige . E scattato un vero e proprio piano di emergenza , come se ne vedranno molti in altre parti d' Italia se non piovera' molto e presto . Il sindaco ha fatto chiudere le scuole , la gente ha dovuto comprare il pane in comuni limitrofi . Sono arrivate in citta' autobotti sia di privati , sia del IV Corpo d' armata , di Udine , sia dei vigili del fuoco di Mestre e Vicenza . Il problema piu' grosso e' stato quello dei servizi igienici : " Va bene , non useremo l' acqua per berla o per cuocerci la pasta , ma almeno datecela per far funzionare lo sciacquone " , imploravano soprattutto i negozianti . Sabato l' acquedotto e' stato riaperto , ma l' acqua puzza di solvente al nitro . Puo' davvero servire solo per il bagno .

TRENTINO ALTO ADIGE
È la regione meno colpita dalla siccita' . Eppure in Val d' Isarco , vicino a Vipiteno , domenica scorsa e' scoppiato un incendio che e' stato difficilissimo domare per mancanza d' acqua . Ci sono voluti gli elicotteri per circoscrivere le fiamme , che minacciavano il villaggio di Campo Trens .

FRIULI VENEZIA GIULIA

Il " Tilimint " (Tagliamento) e' ridotto a un rigagnolo . Per ora non si parla di razionamenti , ma soia e mais stanno gia' soffrendo . Qui il vescovo aveva invitato a pregare gia' una settimana prima che a Milano , ma per ora egualmente senza esito . Assieme alla siccita' e' arrivata perfino la nebbia , fenomeno rarissimo da queste parti . Il Friuli e' rinomato per essere la regione piu' piovosa d' Italia , e le riserve sotterranee non sono ancora prosciugate . Ma i vigili del fuoco hanno fatto molti straordinari , dai primi di gennaio ad oggi , per affrontare incendi che sul Carso vengono aggravati dalla bora .

EMILIA ROMAGNA

A Ferrara l' acqua potabile e' un bene prezioso gia' da vari anni . Infatti , poiche' questa citta' ricava le sue scorte idriche direttamente dal Po , almeno una volta all' anno gli inquinamenti del grande fiume malato bloccano l' erogazione : vengono raggiunti livelli spaventosi di atrazina . " In Emilia Romagna c' e' stato il 64% in meno della media delle precipitazioni avvenute negli ultimi sessant' anni " , ha calcolato Mauro Bencivenga , ingegnere del Servizio idrografico del ministero dei Lavori pubblici . La Lipu (Lega italiana protezione uccelli) ha chiesto ai ministri dell' Agricoltura e dell' Ambiente l' immediata chiusura anticipata della caccia su tutto il territorio nazionale : " Milioni di uccelli migratori sostano nel nostro paese trovando rifugio in zone umide che adesso invece sono completamente secche , e non trovano tregua perche' quando non piove vanno tutti a caccia " , avvertono gli ecologisti .

Intanto , e' scoppiata la psicosi dell' acqua minerale : a Rimini diverse famiglie hanno ordinato scorte per 30 40 casse , e anche i bolognesi sono terrorizzati dalla sete . La Cerelia , una delle ditte distributrici piu' importanti , ha 600 mila bottiglie in circolazione , ma sempre meno vuoti tornano indietro . Cosi' l' Emilia Romagna si avvia a battere il proprio record di 70 litri annui di minerale a testa , secondo solo alla Lombardia.

TOSCANA

La riserva e' di nove milioni di metri cubi , si puo' andare avanti ancora per 40 giorni . Poi , per Firenze sara ' l' emergenza . I pozzi della citta' sono quasi tutti contaminati dalla trielina , l' Arno e' ridotto al 10% della sua portata , ma il bacino dell' Anconella allontana il pericolo delle autobotti militari . Sara' un' annata preziosissima quella dell' 89 per il Chianti : gia' oggi si stima una produzione d' uva decimata dal secco . Ancor peggio andando a sud , in provincia di Grosseto . L' Ombrone e' arrivato al 7% della portata . Il ricordo della grande siccita' dell' 85 e' ancora forte in Toscana , ma la soglia dell' Arno nel bacino dell' Anconella , che allora aveva raggiunto i 17 centimetri , adesso e' ancora a 38 . Ma gia' si parla di bloccare gli autolavaggi , di chiudere le piscine , di limitare il lavoro delle lavanderie e di vietare l' innaffiamento dei giardini .

UMBRIA

" Danza della pioggia " a Gubbio organizzata dal clero cittadino sotto la piu' rassicurante forma della " veglia di preghiera " . L' iniziativa ha pero' provocato reazioni rabbiose da parte della gente . Costretti a un razionamento " da Terzo mondo " , gli eugubini se la sono presa con l' amministrazione comunale , colpevole di avere annunciato tante volte , e di non aver mai realizzato , un grande serbatoio di riserva per le emergenze . A Terni la situazione e' appena migliore : l' acqua non manca , ma la pressione e' ormai tanto bassa che chi abita nei piani piu' alti delle palazzine della parte nuova della citta' deve aspettare la notte per lavarsi .

Nel capoluogo invece le cose vanno decisamente meglio . A palazzo dei Priori , sede del municipio di Perugia , i funzionari snoccialano le cifre con l' orgoglio di chi ha vinto una battaglia : " Attualmente giungono a Perugia cinquecento litri d' acqua al secondo , di cui quattrocento da pozzi e cento da sorgenti appenniniche " . Invece che diminuire , l' erogazione e' addirittura aumentata , passando dai 37 . 800 metri cubi dell' ultimo trimestre dell' 87 ai 38 . 890 metri cubi del periodo corrispondente dell' 88 . Anche per il futuro non c' e' da temere : le riserve non mancano e nel prossimo marzo la disponibilita' d' acqua sara' di 38 . 890 metri cubi , mentre in aprile si scendera' di poco , toccando i 35 . 800 metri cubi . Ma se , a parte qualche caso , le citta' e le campagne umbre non soffrono troppo per la siccita' , i piu' pessimisti pensano gia' al futuro : ad Assisi il sindaco e l' assessore ai servizi tecnici hanno messo in allarme le squadre antincendio , per la prima volta nella loro storia . E hanno preteso che si lanciassero in una estenuante serie di esercitazioni dal vivo , sotto gli occhi un po' stupefatti della gente .

MARCHE

Nessun caso di razionamento nelle citta' e che vede gli agricoltori preoccupati ma non in difficolta' . Unica eccezione : Ancona , servita da un acquedotto tanto vecchio e inefficiente da essere continuamente soggetto a guasti .

LAZIO

Roma , che consuma con i suoi oltre quattro milioni di abitanti piu' acqua di tutto il resto della regione , non soffre di problemi gravi e finisce anche , con allacciamenti volanti sul suo acquedotto , per fare da pompa di rifornimento per chi ne ha bisogno . Nell' alto Lazio la situazione e' del tutto diversa , e i problemi peggiori li hanno proprio le zone che finora venivano additate a modello di buona gestione del patrimonio idrico . E il caso del Consorzio Maremma Etrusca , che grazie a impianti modernissimi permette di norma la messa a coltura di oltre 5 . 500 ettari dalle capacita' produttive record . " Quest ' anno certo non sta andando cosi " , si lamentano a Tarquinia , centro del Consorzio . " Nel 1987 passammo grossi guai perche' l' acqua era tanta , al punto che registrammo una serie di inondazioni disastrose . Ora siamo arrivati al punto di irrigare perfino il grano , che d' inverno di solito non ne ha certo bisogno . Ma nonostante questo , una gran parte del seminato e' gia' andato in malora . Per non parlare degli altri prodotti pregiati , come il carciofo , le barbabietole e i finocchi che stanno venendo su tanto duri e immangiabili da valere la meta " .

ABRUZZO

Unica o quasi fra le regioni del Centro Sud , l' Abruzzo non sembra aver risentito della siccita' generale . All' Aquila , dove la celebre fontana delle 99 cannelle continua a gettare , giorno e notte , freschi zampilli d' acqua , nessuno sembra troppo preoccupato . Si pensa , piuttosto , al futuro . E molti discutono del progetto del primo , modernissimo depuratore , che e' stato approvato proprio in questi giorni . Il Marsica 1 , finanziato con i fondi del minstero del Tesoro per oltre 20 miliardi , sara' un gioiello nel suo genere . " Ce lo invidieranno tutti " , dicono da queste parti , " questo nuovo impianto , che sara' facilissimo da gestire , produrra' anche acque depurate per irrigare i campi " .

CAMPANIA

Le citta' da sempre servite da acquedotti vecchi e poco efficienti sono ormai alle prese con il razionamento , soprattutto nell' area che corre intorno al Vesuvio . A Napoli , che in passato ha avuto per anni l' acqua a singhiozzo , i timori sono molti , ma la situazione non sembra drammatica . " I veri guai vengono soprattutto dagli incendi nei boschi " , ha dichiarato qualche giorno fa l' assessore regionale all' agricoltura Nicola Mottola . " Ne stiamo registrando un numero impressionante , peggio che d' estate " .

PUGLIA

" Anche la siccita' e' di due tipi " , si lamenta il presidente del Consorzio bonifica apulo lucana , Angelo Schittulli . " Di serie A quella del resto d' Italia , di serie B la nostra " . Vittimismo meridionalistico ? A giudicare dalla situazione , si direbbe proprio di no . A pezzi l' agricoltura , che vede compromesso quasi l' ottanta per cento del seminato di grano e di altri cereali e che e' ormai di fronte alla terribile prospettiva di un crollo della produzione di vino e olio , due colture che proprio in questo periodo immagazzinano le proprie riserve d' acqua . Guai grossi anche per l' acqua potabile , le cui riserve sono ridotte a un decimo di quelle considerate normali . Complessivamente , in Puglia sono rimasti appena 1 , 2 miliardi di metri cubi (per tutti gli impieghi) di fronte ai circa 150 miliardi che costituiscono la norma .

BASILICATA

In questa regione , da cui sotto molti aspetti dipende proprio la Puglia per l' approvvigionamento idrico , la situazione non e' migliore . Colture pregiate , come la vite , sono in pericolo .

CALABRIA

In panne l' agricoltura , anche perche' tutto e' affidato di norma a una piovosita' eccezionale per il Mezzogiorno (in media 1176 millimetri , contro i 970 di media nazionale) , che compensa in gran parte la mancanza di grandi bacini e corsi d' acqua . " Dato che il sessanta per cento delle piogge si concentra di norma nei mesi di novembre , dicembre e gennaio " , spiega Nunzio Laquaniti , direttore regionale della Coldiretti , " si puo' ben capire quanti guai possono scaturire dalla totale assenza di piogge che abbiamo registrato quest' anno . Ormai il rischio si e' esteso anche alle colture tradizionalmente piu' resistenti , come gli agrumi e gli alberi da frutta " .

SICILIA

La situazione e' disperata soprattutto nelle province di Gela e Caltanissetta , dove e' stato introdotto ormai da settimane il razionamento sia dell' acqua potabile sia di quella destinata all' agricoltura . Nel resto dell' isola i problemi non mancano , ma sembrano quasi attenuati dalla tradizionale mancanza d' acqua che da sempre costringe cittadini e agricoltori a sopravvivere con poco o nulla . Nella marea di segnalazioni e di problemi , non c' e' che da pescare a caso : a Modica , per esempio , la mancata istallazione di una pompa di sollevamento delle acque indispensabile quando i livelli delle scorte si abbassano ha messo improvvisamente a secco i rubinetti cittadini , mentre nel quartiere siracusano di Cassibile (dove fu firmata la resa dell' Italia agli Alleati nel ' 43) e' l' inquinamento a fare la parte del leone . Un inquinamento del quale il sindaco di Siracusa sembra sia stato informato solo ora con mesi di ritardo . Ma non basta : oltre alla altissima concentrazione di colibatteri e di streptococchi che rendono l' acqua del tutto imbevibile , i tecnici hanno indicato nelle condutture dell' acquedotto , realizzate trent' anni fa con l' eternit , un materiale oggi fuorilegge per questo genere di impieghi , una potenziale fonte di casi di cancro .

SARDEGNA

Non e' piu' soltanto siccita' , ma una vera e propria carestia , paragonabile soltanto ai grandi flagelli medievali . " Si tratta di un dramma di proporzioni immense " , spiega Salvatore Demuro , commissario straordinario per il Flumendosa , il bacino idrografico che , insieme con il Tirso garantisce la maggior parte delle gia' magre scorte idriche sarde . " Un dramma che non coinvolge piu' soltanto l' agricoltura , ma che coinvolge e coinvolgera' sempre piu' la popolazione " .

Bastano pochi dati a chiarire la proporzione della catastrofe : nella zona tradizionalmente piu' ricca della Sardegna , in Campidano , sono disponibili oggi appena 8 , 5 milioni di metri cubi d' acqua : un quantitativo sufficiente ad assicurare per appena un mese l' erogazione ridotta di sola acqua potabile e destinata alle industrie primarie . Un dato che ha indotto le autorita' a ridurre ancora la distribuzione , che fino ad oggi era pari all' 80 per cento del fabbisogno .

" Oggi " , spiega il presidente del Consorzio bonifica integrale del Campidano , Giovanni Crobe , " siamo gia' al 60 per cento ed e' prevedibile che si debba scendere ancora . Del resto in Sardegna ormai non abbiamo che cento milioni di metri cubi di riserve , contro una norma di oltre un miliardo " . Ma come verra' distribuita la poca , preziosissima acqua che rimane ? I piani ci sono , ma vengono tenuti gelosamente nel cassetto : " Quattro anni fa , in condizioni molto migliori di questa " , spiegano i responsabili , " facemmo l' errore di rendere pubblico il programma . E ci trovammo di fronte a una specie di guerra civile , che vedeva opposti cittadini e agricoltori , coltivatori di grano e di ulivo , industriali e proprietari di aziende zootecniche . Ognuno contestava il piano di razionamento e voleva piu' acqua per se " .

In attesa di un autentico miracolo che salvi la situazione (ma e' gia' stato calcolato che dovrebbe diluviare ininterrottamente per oltre due mesi per ristabilire le riserve necessarie) , i sardi guardano impotenti e disperati le prime , autentiche scene della carestia : nei campi , gli uccelli che non trovano piu' cibo nelle erbe selvatiche hanno cominciato a smuovere le zolle fino a venti centimetri di profondita' per cercare i semi impiantati dall' uomo . E l' acqua , a centinaia di metri cubi alla volta , viene estratta dalle vecchie miniere abbandonate o risucchiata , con pazienza e fatica , perfino dalle pozzanghere e dai fossi piu' minuscoli .

Salvatore Gajas
Mauro Suttora