Saturday, June 06, 1987

Etica dei professionisti


Medici, avvocati, ingegneri: quali sono i loro dilemmi etici?

di Mauro Suttora

Europeo, 6 giugno 1987

Medici

Luigi Rainero Fassati, professore al Policlinico di Milano, mette al primo posto dell'etica medica la preparazione professionale: "È la base di tutto: un buon medico dev'essere soprattutto un medico bravo. In questo senso, i piani di studio riformati che entreranno in vigore fra un paio d' anni nelle università faciliteranno la qualificazione, con più pratica e meno teoria. Poi c'è il rapporto medico paziente.  È ora di finirla con gli atteggiamenti di superiorità: il medico è un professionista come un altro, e deve restare su un piano di parità con il suo paziente. Deve dirgli la verità sulla sua malattia, naturalmente con tatto, ma senza ammantarsi di mistero. Altrimenti i malati continueranno a essere ingannati, e non per questo staranno meglio". 

E la genetica ? La fecondazione artificiale ?
"Sono grandissimi problemi che fanno sconfinare la medicina in altri campi, che non sono più suoi".

Parliamo di soldi.
"Gli stipendi della struttura sanitaria pubblica (servizio che deve continuare assolutamente a essere garantito a tutti i cittadini) devono naturalmente permettere una vita decorosa ai medici. Ma io sono per la meritocrazia: guadagni di piu' il medico più bravo, senza posti di primario, di aiuto o di assistente garantiti a vita". 

Avvocati

Alberto Dall'Ora, illustre penalista milanese, ex difensore (con successo) di Enzo Tortora e attualmente parte civile contro la modella Terry Broome, riprende le fila del secolare dibattito sull'etica dell'avvocato: "Purtroppo in Italia c'è ancora la tendenza a guardare con sospetto chi difende imputati di delitti gravi, come quelli mafiosi o di violenza carnale. Li si considera complici, avvocati della mafia, 'avvocati del delitto'. E invece sono solo i necessari difensori di persone che, fino alla condanna, non si possono considerare colpevoli o innocenti. Io comprendo l'esigenza di lottare contro il crimine, ma ad esempio le condizioni di lavoro per i difensori nei maxiprocessi sono proibitive". 

Sì, però è dimostrato che mafia e camorra si avvalgono dei servizi "giuridici" di parecchi avvocati. 
"Il fenomeno del 'consiliori' è un altro discorso: c'è sempre stato, ed è giustamente punito come concorso in reato". 

Ma c' e' un confine, per gli avvocati? 
"Siamo in mezzo all' eterno conflitto : da una parte l'interesse del cliente , dall'altra quello della giustizia. E, spesso, per noi è crisi di coscienza". 

Jacques Verges, il difensore del nazista Barbie, non sembra averle. 
"Non conosco il suo caso. Ma ogni avvocato è punibile se scade nell'apologia dei reati dell'imputato". 

Ingegneri

Silvio Terracciano è il presidente del consiglio nazionale dell' Ordine degli ingegneri (86 mila iscritti): "Il primo problema etico, per noi, è quello di non fare illecita concorrenza ai colleghi : non possiamo accettare incarichi che vengano retribuiti al di sotto delle tariffe professionali. Inoltre, quando un ingegnere si sostituisce a un altro nel corso di un'opera, deve informare il collega a cui subentra, per evitare di usufruire di un lavoro intellettuale già svolto. E poi, non è lecito approfittare di una particolare situazione per ottenere un incarico. Per esempio, un ingegnere che lavora a un piano regolatore non può contemporaneamente avere rapporti con un privato".

E la sovracementificazione? In giro si vedono tanti di quei bunker che sorge un sospetto : ingegneri e cementieri sono buoni amici? 
"Per quanto riguarda la sicurezza, i controlli dei collaudatori statici escludono ogni rischio. Per il resto, è una questione di gusti".

E i partiti politici ? 
"La lottizzazione è insopportabile. La spartizione nelle commissioni di collaudo è tale che, per esempio, in Campania recentemente ne è stata nominata una con 14 membri : tre avvocati, quattro ragionieri, altri signori, e un solo ingegnere". 

Mauro Suttora 

Saturday, April 25, 1987

Jugoslavia spaccata: Slovenia e Croazia

LA LEGA DEI CONSUMISTI

Europeo, 25 aprile 1987

Inchiesta: i paesi dell'est nell'era di Gorbaciov.
Benedetta primavera/Jugoslavia, i figli di Tito non sono tutti uguali

I friulani che affollano il casinò di Nova Gorica. Lubiana l'austriaca. Zagabria la mitteleuropea. Nel ricco Nord della federazione c'è un modo per battere la crisi. Spendere

di Mauro Suttora

"Vincitrì! Diopoi, atu viodut?" ("Ventitre! Diobuono, hai visto?"). La pallina della roulette si è fermata sul 23. Il grifagno croupier sloveno spazzola impassibile il tappeto verde. E il friulano trentenne col giaccone di similpelle invoca Dio dopo aver perso tutti i gettoni. Il casinò di Nova Gorica è il più economico d'Europa. Si entra in jeans, senza cravatta, basta pagare 5mila lire. Arrivano soprattutto gli arricchiti friulani: commercianti di Udine, mobilieri di Manzano, contadini scesi dalle valli del Natisone.

Nessun jugoslavo: "Per noi i giochi d'azzardo sono vietati", mi spiega Ales Komavec, dirigente della sala da gioco. L'idea di aprire un casinò "strangers only" è venuta un anno fa ai 400 dipendenti della Hit, una delle migliaia di imprese autogestite jugoslave. Hit sta per "Hoteli, igralnica, turizem", igralnica vuole appunto dire casinò. È una specie di azienda di soggiorno, della parte slovena di Gorizia (22 mila abitanti, mentre la città italiana ne fa 55 mila), che gestisce tre alberghi e molti negozi. Risultato: un successo strepitoso, pienone tutte le sere.

Komavec non vuole fornirci i dati degli incassi, ma ci fa capire che gli affari vanno a gonfie vele. Vanno così bene che da un anno all'altro con i soldi degli italiani i dipendenti della Hit si sono raddoppiati gli stipendi. Adesso un croupier, mance comprese, arriva a guadagnare l'equivalente di un milione di lire. Poco, in confronto ai tre-sei milioni al mese dei colleghi italiani. Ma molto rispetto alla media jugoslava.

Cominciamo il nostro viaggio nella Jugoslavia della crisi da Nova Gorica, da questa isola felice dove l'autogestione permette ai dipendenti di un'azienda, se gli affari vanno bene, di aumentarsi subito gli stipendi. E di litigare fra loro: infatti ai 75 lavoratori del casinò non piace dividere il guadagno con gli altri 300 colleghi, baristi o cameriere della Hit, che le fiches non le hanno mai viste.

Alla frontiera di Gorizia ci si accorge subito del salto di ricchezza fra Italia e Jugoslavia: fino a pochi anni fa per comprare un dinaro ci volevano trenta lire, adesso ne bastano due. Ma ormai anche quello ufficiale è un tasso arbitrario: al mercato nero lira e dinaro si cambiano alla pari. Più che confine fra Est e Ovest, questo è oggi un confine con il Medio Oriente.

Certo, la Slovenia è di gran lunga la più ricca fra le repubbliche jugoslave, e la sua aspirazione a entrare nella Cee non è campata in aria: ha un reddito pro capite superiore a quello della Grecia, pari a quello spagnolo. Ma la zavorra del Sud (Macedonia, Kosovo) e i costi della burocrazia tirano giù anche le efficienti Slovenia e Croazia.
La Jugoslavia è, insomma, un Paese diviso in due. Nessuna meraviglia, allora, se il razzismo interjugoslavo aumenta, se gli sloveni considerano "turchi" macedoni e albanesi, e se spesso i numerosi immigrati bosniaci vengono presi a sassate.

Gorizia è la nostra piccola Berlino. Dal 1945, dopo la guerra persa dall'Italia, il confine jugoslavo ha incorporato la stazione e alcuni quartieri periferici. Nova Gorica, a Est, è una città nuova, costruita negli ultimi decenni, con molto verde e palazzi alti. Al centro, vicino al casinò, ci sono un'isola pedonale e un centro commerciale che potrebbero sembrare scandinavi se l'incuria balcanica non facesse invecchiare tutto precocemente.

La frontiera di Gorizia è sempre la più aperta fra le due Europe, sembra quasi di passare dall'Olanda al Belgio: niente filo spinato, solo una tranquilla cancellata verde alta due metri. Agli abitanti locali non serve il passaporto e neanche la carta d'identità: per andare a far benzina (700 lire in Jugoslavia) basta la "propusniza", un lasciapassare che permette un viavai continuo. Adesso poi, con i nuovi numeri nero su bianco, le targhe delle macchine italiane si confondono con quelle slave: GO per Gorizia, GO per Nova Gorica. C'è solo una stellina rossa in più sulle targhe jugoslave. La vera differenza sta nella cilindrata: al di là del confine sono le R4, le 126 e le vecchie 600 a farla da padrone.

Prendiamo la corriera per Lubiana, capitale della Slovenia. Il pullman è pieno di studenti, contadine e soldati di leva col cappottone fuori misura. La radio trasmette cronache entusiaste per le imprese degli sciatori jugoslavi alla Coppa del mondo di Sarajevo, inframmezzate da canzoni dei Dire Straits. Alcuni tratti della strada statale sono in pavé e cemento: un lascito dell'impero austriaco? Una delle prime ferrovie del mondo fu, nel 1848, proprio quella fra Vienna e Lubiana, allora capitale della provincia della Carniola. Oggi invece gli sloveni accarezzano il progetto del traforo autostradale sotto le alpi Caravanche, per collegare Lubiana a Klagenfurt. E in genere vanno in visibilio per tutto ciò che li unisce al Nord austriaco, italiano e anche bavarese.

È una questione molto delicata: Stane Kavcich, allora capo del governo sloveno, fu vittima dell'ultima purga del maresciallo Tito negli anni Settanta proprio perchè accusato di "voler annettere la Slovenia alla Cee e alla Baviera di Strauss". Niente da fare: i due milioni di sloveni, orgogliosi della propria lingua (una delle quattro ufficiali della Jugoslavia, con croato, serbo e macedone), continuano a fare di testa loro. C'è bisogno di uno slogan turistico? Eccolo subito pronto, fatto apposta per suscitare le ire dei meridionali: "Slovenia, terra a sud delle Alpi". C'è una rassegna teatrale? La organizza la comunità Alpe Adria, che unisce Slovenia e Croazia alle austriache Stiria e Carinzia, al Friuli, al Triveneto e alla Baviera.

Boschi, boschi e boschi: le valli attorno a Lubiana sono tutte verdi, ma le conifere anche qui sono rovinate dalle piogge acide. La Jugoslavia alla frontiera regala all'Italia un Isonzo limpidissimo, verde azzurro. Ma l'acqua è meglio non berla, perchè anche in Slovenia le industrie scaricano nei fiumi. I duecentomila abitanti di Lubiana, poi m, sono particolarmente sfortunati, perchè la loro città sorge in una conca poco ventosa: sono costretti a respirare una miscela micidiale di nebbia e carbone, ancora molto usato per il riscaldamento.

Lubiana non è in Jugoslavia. Lubiana è in Austria. I 500 anni di dominio asburgico pesano più degli ultimi 70 di faticosa unione con gli jugoslavi, letteralmente "slavi del Sud". L'architettura del centro cittadino profuma di Mitteleuropa, i marciapiedi sono puliti più che a Trieste. Nessuna minaccia separatista, intendiamoci, e poche nostalgie per l'imperatore Francesco Giuseppe. Il quotidiano principale della Slovenia, Delo, esibisce sulla testata il motto marxista "Proletari di tutto il mondo unitevi", e non c'è traccia di opposizione politica esterna al partito unico.

Ma quelle vetrine con i completi di Missoni nella via principale, quei locali con i nomi americani, quei film e quei libri alla portata di tutti, perfino quelle facce di borghesi grassi che mangiano allegri al ristorante Privitezu ci dicono tre cose: primo, che è lontana l'epoca dell'hotel Slon, dove gli agenti segreti di Tito controllavano gli stranieri; secondo, che i comunisti sloveni stanno vivendo una fervida stagione di ripensamenti ideologici; terzo, che la bancarotta jugoslava tocca solo marginalmente il Nord.

"Vuoi capire il succo del problema oggi in Jugoslavia?", mi chiede Sreco Zajc, giornalista del settimanale frondista Mladina al tavolo del fumoso bar Union pieno di giovani.
"Guarda quei due tavoli". In uno ci sono due militari di leva, "meridionali", capelli corti, sguardo smarrito, figli di contadini. A quello vicino è seduta una coppia di universitari di Lubiana. Alteri, belli, biondi, uguali a tutti gli universitari di questo mondo, con i loro occhiali e le loro sigarette.
"Ecco la differenza: mentre la Slovenia è già arrivata alla quinta generazione di lavoratori industriali, le altre repubbliche sono alla prima o alla seconda. Naturale che gli sloveni siano insofferenti. Il governo di Belgrado non può adottare le stesse misure per tutta la Jugoslavia. Qui da noi, per esempio, non c'è disoccupazione. Il rischio è che per salvare il paese dal collasso economico Belgrado adotti le maniere forti".

Loredana Panariti, ricercatrice italiana di storia all'università di Lubiana, vorrebbe una semplificazione della burocrazia: "La mia pratica per la borsa di studio è andata avanti da aprile a settembre, ho dovuto raccogliere una quantità inverosimile di documenti". Il compagno di Loredana si chiama Lloyd, ha 28 anni, viene dal Montenegro e ha gli occhi azzurri: "Mio padre mi ha chiamato così in onore del premier inglese Lloyd George".
Gli inglesi sono stati i migliori alleati dei partigiani di Tito nell'ultima guerra, e Tito li amava più dei sovietici. La storica rottura con Stalin, nel 1948, avvenne anche per una frase dell'allora primo ministro Milovan Gilas (che dal 1954 ha rotto con Tito e ha fatto otto anni di prigione): "Gli ufficiali inglesi hanno più senso morale di quelli russi".

Lloyd lavora come chimico al laboratorio dell'università e ha un ottimo stipendio: circa 600mila lire italiane al mese. L'università esegue lavori per l'industria, anche estera, e a Lloyd la Bosch tedesca aveva proposto di andare a fare rilevazioni in Algeria. Lui ha rifiutato "perchè qui guadagno di più". Infatti i prezzi sono bassi, e gli orari (si lavora dalle sette alle tre del pomeriggio) permettono una miriade di doppie attività: non si spiega altrimenti la pazienza di un Paese dove il reddito reale si è dimezzato negli ultimi otto anni.

A Lubiana poi ci sono anche molti ricchi: alcuni papaveri della nomenklatura, ma soprattutto i negozianti e gli artigiani che hanno un'attività privata. Al venerdi pomeriggio prendono la Mercedes e vanno nel "vikend", che sarebbe la villa per i week end, sulle Alpi o al mare in Istria. Se sono giovani, la sera vanno a ballare nella discoteca Valentino, immersa nel verde del parco Tivoli, oppure fanno viaggetti a Graz e in Italia. Parlano tutti un ottimo inglese, che i licei jugoslavi insegnano meglio di quelli italiani. Obbligatori anche una seconda lingua straniera, un'altra lingua nazionale jugoslava e l'alfabeto cirillico (usato in Serbia, Montenegro e Macedonia).

Le mete più pubblicizzate dalle agenzie di viaggi sono Fatima e "Lurd": in Slovenia (e Croazia) dopo 40 anni di ateismo ufficiale ci sono un 80 per cento di credenti e un 60 per cento di praticanti. Le chiese sono affollate, alla domenica offrono tre messe pomeridiane: alle quattro, alle sei e l'ultima alle nove e mezzo.

"Sacrifici? Certo: compro meno libri, non posso permettermi il personal computer, niente nuova macchina, pochi viaggi", dice il giornalista Zajc. "Ma sono felice di vivere in Slovenia, non c'è paragone con il resto della Jugoslavia. Politicamente, poi, rispetto a tre anni fa qui il cambiamento è enorme: non c'è più paura di esprimere le proprie idee, la gente scrive lettere ai giornali..."

Zagabria

I 120 chilometri di treno in prima classe fra Lubiana e Zagabria costano duemila lire. Nella stretta valle della Sava passano l'Orient Express e tutti i treni internazionali. A Krsko, vicino alla frontiera fra Slovenia e Croazia, la ferrovia lambisce l'unica centrale atomica jugoslava. Poco prima della catastrofe di Chernobyl il governo di Belgrado aveva deciso l'acquisto dall'Unione Sovietica di quattro centrali di quello stesso modello, il cui sistema di raffreddamento è d'altronde prodotto da un'impresa jugoslava, la Energoinvest della Bosnia. Decisione improvvida, e quindi rimasta segreta. Così come segreto era il piano di localizzazione delle 11 centrali jugoslave, reso pubblico a fine marzo dal settimanale zagabrese Danas: tre in Dalmazia, sul mare, le altre tutte in prossimità della Sava.
"La cooperazione tecnologica con l'estero", avverte in proposito Sreco Zajc, "è importantissima per la Jugoslavia. Se si dovesse rafforzare il legame con l'Urss, settori delicati di ricerca avanzata cadrebbero sotto il segreto militare, rafforzando il potere dell'esercito. È anche per non avere una ricerca mi mlitarizzata che vogliamo aderire al progetto Eureka dell' mEuropa occidentale".

Al confine fra Slovenia e Croazia il treno si ferma in mezzo alla campagna per cambiare locomotiva: rito assurdo e ineluttabile che si ripete a ogni frontiera delle sei repubbliche e due regioni autonome che compongono la Jugoslavia . La vecchia stazione imperialregia di Zagabria è in rifacimento, ma tutta la città è un cantiere. In luglio infatti la capitale della Croazia ospiterà le Universiadi, e questo per la Jugoslavia è un avvenimento importantissimo, paragonabile solo alle Olimpiadi bianche di Sarajevo del 1984.

Lo scoiattolino azzurro , simbolo delle Universiadi, occhieggia dalle vetrine di ogni negozio, dai poster sui muri, perfino dalle scatolette col sapone negli alberghi. Il clima di mobilitazione civica per l'avvenimento sportivo contrasta con la crisi economica, che a Zagabria ha provocato numerosi scioperi nelle fabbriche. Ma qui, al contrario che in Slovenia, il governo comunista è ortodosso, e si guarda bene dall'approfittare della crisi per chiedere maggiore autonomia economica e ideologica: bruciano ancora le ferite dell'epurazione compiuta da Tito 15 anni fa. A Zagabria tutti, anche i giovani, hanno la memoria lunga e amano la storia. Ma soprattutto la propria storia: quella della Croazia.

"Vedi quel re a cavallo?", mi chiede fiera Marina Simich, 27 anni, studentessa di etnologia, indicando il monumento che domina la piazza della stazione. "È Tomislav, fondatore dello Stato indipendente croato nell'anno Mille. Per noi è molto importante".
Dal 1527 al 1918 la Croazia ha fatto parte dell'impero asburgico, ed era l'estremo baluardo di fronte alle incursioni ottomane. Quando, fra le due guerre mondiali, si è ritrovata dentro alla Jugoslavia dominata dalla Serbia, peggio che peggio: i nazionalismi si esasperarono e portarono nel 1941 alla Croazia indipendente di Ante Pavelic, vassallo dei nazisti e capo della estrema destra Ustascia. Contro di lui combatterono sia i partigiani di Tito, sia i serbi "cetnici" di Draza Mihajlovic, i quali contemporaneamente si sterminavano fra loro.

Dalla carneficina (in Jugoslavia ci sono stati quasi due milioni di morti su 15 milioni di abitanti nella seconda guerra mondiale, contro i 400 mila italiani) è emersa la grossa personalità di Tito, l'unico che offriva una proposta federalista con il mastice dell'ideologia comunista, e che dopo il 1948 ha dato agli jugoslavi anche una forte identità internazionale, prima rompendo con l'Urss e poi fondando il movimento dei non allineati.

Le cicatrici interne sono rimarginate? Forse. Oggi Zagabria fornisce di sè una bella immagine. Nonostante la crisi economica i caffè della città alta sono pieni di giovani ogni sera, i numerosi tram trasportano quantità incredibili di persone durante l' mora di punta, dalle due alle quattro del pomeriggio, quando chiudono scuole, uffici e fabbriche, e fino alle otto di sera i negozi del centro sono affollati.

La vita culturale è intensa: teatro, opera, musica da camera e concerti, una miriade di mostre d'arte e della nuova grafica croata. Il 2 aprile sono arrivati gli Spandau Ballet: costo del biglietto 4mila dinari, 8mila lire che i giovani della Masarykova, la strada degli artisti e dei bohemien, non hanno faticato a reperire. Insomma, sotto austerità ci si può anche divertire. 
"Con l'inflazione al 130 per cento l'unica soluzione è risparmiare in valuta estera, o spendere subito tutto. Tenere i soldi in banca non conviene", spiega un primario cardiologo di Zagabria.

Zeljka Kontent, 28 anni, laureata in legge, è procuratrice legale dell'Ina, la più grossa azienda petrolifera croata. Guadagna 550mila lire italiane al mese. "Vivo con una mia amica, ma la maggioranza dei miei coetanei sta con i genitori: un po' per risparmiare, un po' perchè a Zagabria non si trova casa. All'Ina non ci sono stati scioperi. Io ho fatto la delegata sindacale per due anni, appena assunta: dicevano che bisogna ringiovanire, e allora mi hanno eletta. Ma la politica non mi interessa".

Seguiamo Zeljka alle prove del coro Joza Vlahović, dove lei va tre sere alla settimana: la sede è in una delle sale più deliziose di Zagabria, al primo piano della Kamenita Vrata, la "porta di pietra ?" che apriva la città vecchia verso Est. Il coro ha un'ottantina di persone, in maggioranza giovani. Lo dirige da 40 anni il maestro Emil Cossetto, figlio di un triestino che le persecuzioni fasciste fecero fuggire a Zagabria: "In città ci sono 80 cori, ma questo è il primo che si costituì dopo la Liberazione"  Il repertorio è diviso a metà: primo tempo folk slavo, secondo tempo classici, da Palestrina a Bach.

Viaggia per tutta Europa , il coro Vlahovic, e colleziona coppe e medaglie nei festival ai quali è invitato. "Alla fine degli anni Cinquanta, con l'arrivo della tv, la musica popolare e il nostro coro attraversarono un brutto periodo, ma poi è rifiorito l'interesse", racconta il maestro Cossetto, e sembra di sentir parlare un personaggio dello Scherzo di Milan Kundera. I giovani dopo le prove vanno in osteria e anche lì continuano a cantare, passando indifferentemente da un Agnus Dei a Milan moi, canto dalmata.

Dall'altra parte della città trasmette Radio 101, quella degli studenti. Solo rock e notiziari. È costata allo Stato 120 milioni di lire nel 1986, e altri 120 milioni li ha con la pubblicità. Rock inglese, Smiths e U2, ma anche rock jugoslavo: i migliori gruppi sono i Lacni Franz di Maribor (Slovenia) , i Film di Zagabria e gli Ekatarina Velica di Belgrado . Così sono tutti contenti: sloveni, croati e serbi.

E allora, che fine farà mai questa Jugoslavia senza Tito? Che fine faranno i suoi venti miliardi di dollari di debiti, eredità degli ultimi anni spendaccioni del maresciallo? Solo per pagare gli interessi ogni anno finiscono alle banche occidentali i due miliardi di dollari di entrate del turismo. 
Quanto a Michail Gorbaciov, negli ultimi mesi ha invitato al Cremlino i capi della Lega dei comunisti. Da che parte pencolerà la neutrale Jugoslavia nei prossimi anni? Basterà offrirle soldi per averla dalla propria parte?

Per adesso il problema pratico più grosso, per questi nostri sconosciuti vicini , oltre a quello di far quadrare i conti a fine mese , e' quello di stipare le banconote da 5 mila dinari dentro al portafoglio . Sono il taglio piu' grosso in circolazione , ma valgono si' e no 10 mila lire . Se non vuole suscitare sgradevoli ricordi di Weimar , il governo fara' bene a stampare al piu' presto nuovi tipi di banconote . Comunque , nelle banche si sono gia' attrezzati . Ad ogni sportello e' arrivato l' ultimo grido della tecnologia jugoslava : la macchinetta contabanconote.

Mauro Suttora

Saturday, February 28, 1987

Vita da malato di Aids

Malati e società: che cosa succede a chi dichiara di essere contagiato dal virus più temuto del secolo, l'Aids

VITA DA UNTORE

Un giornalista dell'Europeo, Mauro Suttora, ha viaggiato una settimana per l'Italia fingendo di essere affetto dalla malattia. Cacciato dai ristoranti, dai bar e dagli alberghi, rifiutato dai dentisti, evitato dai taxisti, accolto quasi ovunque con diffidenza, ma a volte con insospettata solidarietà.
Ecco le reazioni della gente di fronte allo spettro dell'Aids

di Mauro Suttora
foto di Piero Raffaelli

Europeo, 28 febbraio 1987




"Portatore sano? No, no, allora niente. La camera non gliela posso dare".
 Lo sguardo del portiere si irrigidisce nello spazio di un secondo, appena udita quella parola.
 "Guardi che ho detto portatore sano, non malato di Aids . In ogni caso, non è contagioso..."
"Ci sono gli ospedali per queste persone".
"Ma l'ho solamente voluta avvertire per correttezza , perche' possiate adottare alcune minime precauzioni di pulizia".
"Io un portatore sano non lo prendo".
 Dall'altra parte del bancone, nella morbida e lussuosa sala della reception foderata di legno, c'è una persona che in un baleno è riuscita a prendere una decisione gravissima e irreversibile. Neanche l' ombra di un dubbio, di un' incertezza.
"Allora mi faccia parlare con il direttore".
"Il direttore adesso non c'è".

Lo guardo negli occhi: ecco, si è volontariamente arruolato in un suo immaginario esercito, costituito lì per lì, sul momento: quello dei difensori delle persone sane contro gli appestati dell'Aids .
"Niente camera, allora?"
"No. Se volete una camera, portatemi un certificato di buona salute".
Non teme che dalla sua bocca possano uscire sciocchezze come questa, vuole soltanto che io e il mio amico untore ce ne andiamo il più presto possibile.
"Ma avete ricevuto delle istruzioni?".
"Mi dispiace".
Non parla più. Forse si è accorto dell'arbitrarietà della scelta presa, ma questo non fa che incaponirlo ulteriormente. Nessuna marcia indietro gli è più possibile. Buonasera.

Non siamo in un alberghetto di provincia. Siamo al Ciga Diana Majestic, nel centro di Milano, la città più europea d'Italia e quindi anche la più colpita dall'Aids. Hotel di lusso, a Porta Venezia: qui dormono ogni sera, a 141mila lire per notte, star del cinema e della musica internazionale, industriali, professionisti, businessmen americani e tedeschi, giapponesi e brasiliani. E quello che abbiamo riportato è il testo letterale del dialogo con il receptionist che era di turno lunedì 9 febbraio alle quattro del pomeriggio.

Eravamo entrati in due, io sorreggevo un amico e l'ho fatto accomodare su un divano della hall. Poi sono andato al banco e ho chiesto se erano disponibili due camere singole per una notte.
"Certo, signore".
"Le avete sullo stesso piano, vicine?".
"Vediamo... sì, sono una accanto all'altra".
"Molto bene. Volevo pero' avvertirla che c' e' un piccolo problema: il mio amico e' portatore sano di Aids".
E a questo punto e' scattato il rifiuto totale, immotivato.

All'hotel Diana Majestic di Milano, che ci ha rifiutati
Ho girato per una settimana nelle tre principali citta' d'Italia, Milano, Roma e Napoli, simulando da solo o con altri la condizione di malato di Aids o di sieropositivo. Ho avuto l'assistenza di Luca Lindner dell'agenzia Tbwa (la stessa che in Gran Bretagna conduce per conto del governo la campagna di informazione sull' Aids) che ha progettato e contribuito a realizzare il servizio, con l'aiuto di alcuni attori (i quali pero' non hanno influenzato le reazioni dei nostri ignari interlocutori). Il fotografo dell'Europeo Piero Raffaelli ci ha seguiti e ha documentato le situazioni da "candid camera" che abbiamo creato.

Non avevamo nessuna tesi da dimostrare, né alcun criterio statistico da rispettare. Abbiamo semplicemente voluto fare un viaggio per scoprire a quali problemi pratici può andare incontro oggi, in Italia, un malato di Aids o anche semplicemente un sieropositivo dichiarato, che voglia condurre una vita normale. Abbiamo raccolto i commenti e le reazioni spontanee della gente.

Diciamo subito che non abbiamo mai incontrato cattiveria ma soltanto, a volte, ignoranza, diffidenza o indifferenza. Nessuno ha gridato "All' untore!". Anzi , spesso abbiamo trovato solidarieta'.
Sara' bene, pero', che anche le associazioni degli albergatori e dei ristoratori, cosi' come hanno gia' provveduto a fare quelle dei dentisti o dei barbieri, diano indicazioni precise per l' accoglienza ai colpiti dall'Aids. I quali , se lo vogliono , avranno pure il diritto di viaggiare e di trovare un posto per dormire e mangiare.

Certo, forse finora il problema concreto non si è mai posto. Ma l'Aids colpira' 1200 cittadini italiani entro la fine di quest' anno, e diecimila da qui al 1990. E poi ci sono i portatori sani , che in quanto a contagiosita' sono equivalenti ai malati , e che gia' adesso sono 150 mila in Italia. Apartheid anche per loro? Solo qualche precauzione?
Quello che bisogna evitare, in ogni caso, è il loro silenzio rispetto alla propria condizione di potenziali diffusori della malattia . E invece abbiamo constatato che spesso a questi sfortunati conviene tenere la bocca chiusa.



Milano, lunedì 9 e martedì 10 febbraio

Tenere la bocca chiusa: me l'ha consigliato anche quel tassista che mi aveva imbarcato assai malvolentieri sulla sua auto gialla in piazzale Loreto a Milano la sera di lunedì. Vari tentativi prima erano andati a vuoto. Io e un amico ci avvicinavamo a un parcheggio di taxi, lui chiedeva di farmi salire da solo e di pagarmi la corsa . Prima che aprissi la porta per sedermi, pero', aggiungeva la fatidica frase: "Per onestà la devo avvertire che è malato di Aids. Comunque non c'e' pericolo di contagio".
Per tre volte abbiamo ricevuto un rifiuto. E questo significa anche perdere la possibilita' di salire su un qualsiasi altro taxi che aspetta in fila dietro al primo. Infatti il sospetto vola in un attimo, e non c'è affatto bisogno che sia Aids: da molti anni ormai sono gli eroinomani le bestie nere dei tassisti di ogni città.

Allora abbiamo cambiato tattica, attuando un approccio più deciso: il mio amico ha fornito l'avvertimento Aids soltanto dopo che mi ero già sistemato nel sedile posteriore. A quel punto , anche per il tassista meno desideroso di trasformarsi in ambulanza era quasi impossibile dire di no , riaprire la porta e farmi scendere . Cosi' , borbottata qualche protesta ("Non è per me, è per quelli che si siederanno lì dopo"), il tassista di piazzale Loreto è partito.

Piove , scivoliamo fra le luci dei negozi che stanno chiudendo . Ai semafori il silenzio carico di sospetto che ci separa si fa ancora piu' pesante. Dopo cinque minuti gli parlo: "Senta, stia tranquillo, non c'è nessun pericolo..."
"Io non so niente, non voglio sapere niente".
Passa un altro minuto, lunghissimo, di silenzio. Poi e' lui a rivolgermi la parola : "È malato da molto?".
"L'ho saputo qualche settimana fa. Adesso, per me e' solo questione di mesi. Ho smesso di studiare , ma cerco di vivere normalmente".
"L'ha preso da una donna di strada?"
"No".
"Stia tranquillo. Vedrà che fra poco troveranno un vaccino, e lei sicuramente si salverà. Pero', per adesso, le posso dare un consiglio? Non dica niente a nessuno. Prenda tutte le precauzioni necessarie per se' e per gli altri , ma non dica che ha l'Aids . Cosi', almeno , avra' la vita tranquilla . Io , per esempio , all' inizio mi ero spaventato. Non volevo caricarla, sa ? Insomma , se io fossi in lei me ne starei zitto".

Forse ha ragione. Un esempio? Le camere d'albergo: a Milano non è cosi' semplice trovarle disponibili per un malato di Aids. Curiosamente, abbiamo scoperto che la situazione in questo campo varia molto da zona a zona . In via Napo Torriani , per esempio , la strada vicino alla stazione Centrale zeppa di hotel di buon livello, non ci sono molti problemi.
Su sei tentativi , soltanto il direttore dell'Augustus ci ha risposto di no. Il portiere del San Carlo, albergo a tre stelle , si e' salvato in corner rimettendo la decisione al direttore , che pero' in quel momento era assente. Nell'hotel Bernina un si' condito da un certo fastidio : "Queste cose non le deve dire a me".

La mattina di martedì entriamo in un altro hotel di prima categoria vicino alla stazione Centrale: lo Splendido di viale Andrea Doria. All'avvertimento sull'Aids il portiere abbassa gli occhi e scompare: va ad avvisare il direttore in una stanza dietro. Il conciliabolo è lunghissimo. Dopo cinque minuti buoni il sospirato verdetto: "Sì, per una notte abbiamo posto. Con molti sforzi".
All' hotel Virgilio in via Giovanni da Palestrina, una nota ironica che frusta l'amico del malato : " Non abbiamo singole, pero' posso offrirvi una doppia. Per noi non c'e' alcun problema , semmai per lei", e sorrisetto ammiccante.

Niente da fare, invece, a Porta Venezia . Anche l' hotel accanto al Diana , il Promessi Sposi , ci dice di no . Con molta gentilezza , pero' , e spingendo sul tasto del " non ci metta in difficolta " . " Sa , siamo un albergo piccolo , solo 28 camere , e non abbiamo molte cameriere . . . Comunque la ringrazio per la sua correttezza " Se avessimo insistito , povera cameriera : quante volte le avrebbero fatto disinfestare letto , camera e bagno ?

Un'altra zona nera per i malati di Aids a Milano e' quella di via Broletto: sia l'hotel Centro ( " non e' per lei , ma per gli altri clienti"), sia lo Star in via dei Bossi ("mi mette in imbarazzo") ci mandano via: non li impietosisce neanche il nostro " ma e' il quarto albergo che non ci accetta".

Curiosa situazione, invece, in via San Raffaele, una piccola traversa di piazza Duomo: il Casa Svizzera pretende un improbabile permesso che dovrebbe rilasciare l'ufficio di igiene ; dieci metri piu' in la' , invece, al Grand Hotel Duomo (4 stelle) non ci sono problemi.

Passiamo da piazza Repubblica per controllare meglio la situazione nei Ciga hotels dopo l'inopinato rifiuto del Diana. Al Palace il receptionist va a consultarsi con il direttore. Mentre aspettiamo nella hall entra, bellissima nel suo montgomery rosso. Romina Power reduce da Sanremo . Il direttore le fa i complimenti per il risultato del festival. "Speravamo di piu", sorride lei . Dopodiché, il portiere ci annuncia via libera : al Palace l' Aids non e' tabu' . Nell' altro Ciga di fronte , il Principe , il si' da parte del portiere e' immediato . E ci mancherebbe altro , per 250 mila lire a notte. Che questi Ciga ci abbiano trattato meglio del Diana anche perché oggi siamo vestiti meglio, con loden e cravatta?

E ora di pranzo: trasferiamoci in zona Magenta. Qui , nessun problema per mangiare da Strippoli , cucina pugliese in via Boccaccio , dai Tre Fratelli in via Terraggio e da Enzo in via Nirone . Una cameriera invece ci caccia subito dal ristorante Metro Due in via Terraggio , mentre nella stessa via il proprietario dell' osteria Carbonella ci propone un compromesso per evitare l' uso delle posate : " Che ne dite di un bel panino?"

Ma le scene più singolari a Milano accadono nei bar. È una vera e propria strage di bicchieri. In un bar di piazza San Babila il cameriere, all' avvertimento della "spalla" sulla mia situazione, dopo che sono uscito prende con un fazzoletto di carta il bicchiere di vetro dove avevo bevuto un po' d' acqua, e lo getta nella pattumiera. Ma, di fronte ad alcuni clienti che domandano cosa sia successo, silenzio assoluto.

Nel bar della stazione del metro' di Palestro ci sediamo su un tavolino . L' unica cliente al banco , una signora di mezza eta' , fa una smorfia quando sente l' avvertimento di lavare bene il bicchiere perche' ho l'Aids. "Sono stato troppo buono: gli ho dato un bicchiere d' acqua, e lui adesso si e' anche seduto", mormora il giovane cassiere . Quando ce ne andiamo , inizia la commedia : nel bidone della spazzatura , oltre al bicchiere, finiscono anche il portacenere che era sul tavolino e la tovaglia che lo ricopriva : " Prendila dai bordi sotto", ordina allarmatissima la padrona al cameriere . Al bar della stazione Pagano , invece , un cameriere meridionale si rifiuta di credere all' Aids: "Ma no, avra' solo dei disturbi: e' tutta una 'pissicosi'".



Scendiamo nelle carrozze del metrò , e simuliamo malori da Aids. Non è facile: le facce livide e inespressive dei passeggeri si confondono con la mia . Insomma, ci vogliono proprio dei crolli plateali per attirare un po' d'attenzione. E anche allora, la maggioranza della gente pensa che io sia un eroinomane. Quando invece il mio amico diffonde, con discrezione, la notizia che ho l'Aids, non si verifica alcun fuggi fuggi. Anzi, sono numerose le persone (soprattutto donne giovani) che si informano, mi domandano se sto meglio, mi tastano il polso, mi aiutano a scendere.

Alla stazione Loreto un medico mi fa distendere sulla panchina, mi slaccia la cintura dei pantaloni , mi visita sommariamente . Un ragazzo, prima di uscire alla stazione Udine, mi sorride, mi tocca con la mano e mi dice: "Coraggio". Sono piccole cose, ma assai confortanti. E poi, ci sono i curiosi che ne vorrebbero sapere di più, ma che se ne stanno zitti perché temono di essere indiscreti. Sull'affollatissimo tram 1, invece, da piazza della Scala alla stazione Centrale , non abbiamo raccolto alcuna reazione se non l'indifferenza più totale.



Martedì mattina andiamo anche ai grandi magazzini Coin in piazza Loreto. Entro in un camerino a provare una giacca, poi sto per svenire e il mio amico chiede e ottiene subito una sedia e un po' d'acqua. Che arriva in un bicchiere di carta, ancora prima che lui possa pronunciare la parola Aids. Una giovane cassiera si dimostra assai preoccupata ; un commesso va a ritirare nel camerino due ometti di plastica che avevo usato; alla fine , rifiutata un'ambulanza, ci avviamo all'uscita circondati da sei-sette commesse premurosissime.

Costernazione anche al Nuova Idea di Milano, la "discoteca gay più grande d'Europa", dove accuso un malore la sera di sabato 14 febbraio. È San Valentino: una marea di coppie di omosessuali maturi volteggia nella sala del liscio, mentre nella discoteca rock è Tecla, una bellissima ed enorme transessuale bionda fasciata in un vestito di velluto rosso, a dare spettacolo.
Non c'è traffico nei gabinetti : sono molto piu' tranquilli di quelli di altre discoteche milanesi. "Ma non portarlo qui, che si prende l'Aids due volte", è il filosofico consiglio rivolto al mio accompagnatore mentre usciamo dal locale.

E mangiare al Savini, il ristorante più famoso di Milano? "Ci crea un bel pasticcio", risponde il direttore , anche perche' sono le tredici e lui e' tutto indaffarato ad accogliere le schiere di assessori comunali habitues ai tavoli delle sale interne.

Dopo questo mezzo no proviamo al Biffi, sempre in galleria . Una gentile cameriera di mezza eta' , dopo un consulto di ben sette minuti con il direttore dietro a una tenda , esce fuori allargando le braccia e ci dice : " Va bene , prenderemo le dovute precauzioni : un pasto non si puo' rifiutare a nessuno . Se ci avvertivate in anticipo . . . " . Piu' sbrigativo il responsabile della pizzeria Calafuria dietro al Duomo : " Il suo amico ha l' Aids ? Non ce ne frega proprio niente . Per me , qui puo' mangiare benissimo " .


Roma, mercoledì 11 febbraio 2006

Chiamiamo il padrone del ristorante di Trastevere e gli diciamo sottovoce: "Guardi che uno di quei due ragazzi che sono entrati adesso ha l'Aids. Lo conosciamo bene". Lui si volta a guardarli , poi si rivolta e ci domanda: "E allora?". "Secondo noi non dovrebbero mangiare in un locale pubblico. Per lo meno, a noi dà molto fastidio. Anzi, ci meravigliamo che lui non vi abbia già avvertito della sua situazione".

Detto fatto: il padrone chiama sua moglie, la quale si avvicina subito al tavolo da noi incriminato (dove si erano seduti due nostri attori), e annuncia: "Mi dispiace, ma era già prenotato".
Loro si guardano attorno : non restano altri tavoli liberi. Protestano: "Ma come , un minuto fa ci avete fatto accomodare , e adesso improvvisamente ci mandate via?".
"Mi dispiace , ma era già prenotato", ripete inflessibile la signora. I due se ne vanno minacciando ad alta voce di chiamare la polizia e di tornare dopo un' ora, per vedere se è libero qualche altro tavolo. Il padrone si allarma, e finché non arrivano altri clienti piazza sull'unico tavolo rimasto libero un suo amico.

Intanto, nella piccola sala del ristorante tutti commentano l'accaduto . " La signora ha fatto bene , ognuno e' padrone a casa sua".
"Ma scherzi ?", gli risponde un amico, "questo è un locale pubblico, non si può discriminare nessuno". La padrona si avvicina preoccupata al nostro tavolo: "Ma voi lo conoscevate veramente qual ragazzo? Ho fatto bene a mandarlo via?".
"Signora, la ringraziamo: secondo noi era pericoloso per tutti".
Siamo in tre, e vestiti bene: probabilmente il nostro aspetto ha fatto premio sui diritti dei due "untori" e sull' obiettiva assurdità della nostra richiesta di apartheid. Verso la fine della cena un distinto signore seduto in numerosa compagnia a un altro tavolo si avvicina e mi domanda : "Scusi , e' stato lei a far cacciare quei due ragazzi?".
"Sì" .
"Ma cos'avevano?".
"L'Aids".
"E allora? Lei cos'e'? Un giudice? Un medico? In base a che cosa li ritiene pericolosi?".
"Secondo me c'è pericolo di contagio".
"Sa cosa le dico ? Lei è un razzista , un nazista: dovrebbe andare a vivere in Sud Africa".



A Trastevere, oltre a questo ristorante, ce ne sono altri che hanno preferito declinare preventivamente , di fronte a una nostra esplicita richiesta, l'ospitalità ad ammalati di Aids o a portatori sani: l' Hostaria La Canonica, per esempio, e il ristorante Da Gino.
Disponibili, invece, la Tana de noantri, l'osteria der Belli e la Cencia. Ma, in generale, in tutta Roma abbiamo notato piu' indifferenza e ignoranza rispetto all' Aids che a Milano . Certo , anche qui la reazione, nei bar, nei ristoranti, negli alberghi e sui mezzi pubblici, e' quella di incredulita' di fronte all'improvviso concretizzarsi di un pericolo evocato insistentemente da giornali e tv, ma mai toccato con mano.

C'è però anche molto scetticismo: "Ma che fai ? Ma va' a mori' ammazzato", è stato il commento di un cliente quando il cameriere del bar Bibo in via di Ripetta ha buttato via con la punta delle dita il bicchiere di vetro nel quale avevo bevuto, prendendolo delicatamente con un fazzoletto. "A me sta venendo paura", gli ha risposto il cameriere.

In un bar di via della Scrofa, dopo che sono uscito , il cameriere commenta : "Mah, è tempo di Carnevale... E poi , se avesse avuto veramente l'Aids mi avrebbe chiesto subito un bicchiere di carta". "Ma che , con l'Aids gli viene sete ?", scherza un cliente. In un bar di via Tomacelli il cameriere non butta il bicchiere: "Tanto l'Aids cosi' non s'attacca. Comunque ha fatto bene a dirmelo. Poi disinfetto tutto, poveraccio".

Fingo di sentirmi male all'Alemagna di via del Corso, di fronte a palazzo Chigi, verso mezzogiorno di mercoledì. Sono di fronte al bancone, un cameriere mi porta una sedia, poi litiga con un collega che mi vuole mettere in un angolo: "E fallo respirare, no? Se lo nascondi li' dietro, non c'è aria". All'annuncio dell' Aids si crea un piccolo panico fra i camerieri , che avevano gia' messo assieme agli altri il bicchiere dove avevo bevuto.
Alcune ragazze che hanno sentito la parola Aids diventano molto inquiete: "Cia' l'Aids? Madonna, poverino. Ma chi l'ha detto?". "No, no, s'e' sentito male de stomaco", le tranquillizza un cameriere. Una giovane signora mi tasta a lungo il polso, propone di portarmi all' ospedale San Giacomo, poi vede che mi riprendo e mi domanda dove abito.

Non ci sono grossi problemi , nel centro di Roma , per trovare una stanza di albergo . L' hotel Internazionale in via Sistina , il Pincio in via Capo delle Case , il Torre Argentina in corso Vittorio e l'hotel Siena dicono di si' . Molta esitazione all' hotel Accademia vicino alla Fontana di Trevi : " Non so cosa dirvi , non mi e' mai capitato " . Assai preoccupato e scrupoloso il gestore del Concordia , fra via del Tritone e piazza di Spagna : " Non so , lasciatemi telefonare all' associazione . Cosa faccio poi con le lenzuola , devo buttarle ? Non so proprio , e' la prima volta che mi succede . Si' , certo , lo so che non si contagia cosi' . . . " . All' hotel Fontana , in piazza di Trevi , tentano di propormi un " affare " . " Ha questo problema ? Allora vada nell' altro nostro albergo , qui dietro , il Trevi . Cosi' risparmia pure : qui una stanza costa 86 mila lire , li' solo 38 mila , perche' stanno facendo dei lavori . . . " . Gia' , ma chi l ' ha mai detto che i malati di Aids vogliono spendere poco ?

Scendo nella metropolitana , direzione Cinecitta' . Due o tre persone mi si fanno intorno quando " mi sento male " . Un ragazzo commenta con il mio amico : " Vi aiuterei , ma scendo prima . Certo che la campagna del ministero della Sanita' piu' che informazione fa terrorismo " . Piano piano scendono tutti . Al capolinea di Anagnina nel vagone sono rimasto solo.

Ristorante a Roma
Grande tempestività e abilità al ristorante Delfino, in largo di Torre Argentina. Quando , finito il pranzo, mi accascio al suolo, accorre subito il responsabile del locale e diversi camerieri mi aiutano. La coppia che era seduta vicino a me si defila rapidamente. Il direttore dice subito ai suoi: "Niente paura , il contagio avviene soltanto attraverso sangue e sperma. Ci siamo già informati all' ufficio di igiene". Un cameriere al cuoco: "Hai visto che fanno bene a fargli i controlli?". Arriva uno straccio d'aceto sotto il naso, poi un cognacchino con zucchero in un bicchiere di carta. Mi rimetto in piedi , ringraziamo e andiamo via.

Prendiamo l'autobus 64, quello che collega San Pietro alla stazione Termini. È affollatissimo, ma il nostro test raccoglie l'indifferenza piu' totale.


Napoli, giovedì 12 febbraio 2006

"Sieropositivo? E che è?". La padrona della pensione Vittorio Veneto, vicino alla stazione Centrale, domanda lumi alla giovane e bellissima figlia che le sta accanto dietro al bancone. Lei ci sorride, e le dice che non c'è problema: "È l' Aids , mamma". La madre taglia corto: "Va bene, la camera ve la do. Tanto qui si dorme da soli".

A Napoli e in un grande magazzino


All'hotel D'Anna, invece, il portiere abbassa gli occhi e non ci guarda piu' in faccia: "Aids? No , no, non sono d' accordo. Trovate una sistemazione migliore".
"In un albergo... meglio evitare", è la risposta all' hotel Ideal , due stelle . Porte chiuse anche al Coral , all' Odeon , all' Holiday e al Nuovo Rebecchino . All'Eden mi supplicano: "Non ci mettete nei guai , gia' siamo senza lavoro. Andate in un albergo grande, che gli orchi non li tocca nessuno... Invece noi abbiamo un sacco di controlli , siamo un cagnolino piccolo", dicono, rafforzando il concetto con un gesto scurrile.

Seguiamo il consiglio e ci presentiamo all'hotel Terminus, prima categoria. Faccio accomodare il mio amico finto malato sul divano della hall , vado dal portiere e gli espongo il problema . La prima spontanea reazione e' burocratica : " Ma avete un certificato ? " . Poi lui va su dal direttore al primo piano . Dopo qualche minuto scende : " Il direttore vi vuole parlare". Gentilissimo , il direttore mi riceve nel suo ufficio e mi dice : " Conosciamo perfettamente il problema , sappiamo che il contagio avviene solo attraverso contatti di sangue e sperma . L' unica cosa di cui vi prego e' di non parlarne con il personale dell' albergo . Insomma , non lo dite in giro . . . ".

Anche in un altro grande albergo, il Palace, ci accolgono e, anzi , il portiere si impietosisce per la nostra perplessità di fronte al prezzo troppo alto (e' la scusa che usiamo per andarcene quando ci dicono di si) , e sta quasi per proporci uno sconto. Disponibilita' anche al Vesuvio (di fronte al Castel Dell' Ovo) e al Cristal. Al Cristal il commento e': "Aids ? Uh , terribile . . . Ma per noi , basta che pagate " .
In giro , pero' , c' e' molta ignoranza: " Malato di Aids ? No , mi dispiace , non vi posso prendere " .
" Ma non e' contagioso".
"Si' , ma se e' malato magari e' pure portatore sano . . . " .

Ignoranza comprensibile, d' altronde : se Roma finora ha la meta' dei malati di Milano , Napoli ne ha la meta' della meta' : una trentina in tutto . Alla Rinascente di via Toledo accuso un malore , la mia " spalla " diffonde in giro l' avvertimento che ho l' Aids . Incredulita' fra gli astanti , una signora mi porta un bicchiere di plastica con dell' acqua .

Andiamo a mangiare al ristorante Bergantino, vicino a piazza Bovio. Anche qui , come a Roma , quando entrano due ragazzi (i nostri amici attori) facciamo una scenata e diciamo al cameriere che uno di loro e' malato di Aids . Soltanto che qui la reazione, molto professionale, e' opposta a quella di Trastevere.



Il cameriere si mostra preparatissimo, ci rassicura, esclude che ci possa essere un qualsiasi pericolo di contagio, ci spiega che le posate vengono in ogni caso sterilizzate perché lavate con l'acqua bollente: "Direttive dell'ufficio di igiene non ce ne sono, comunque siamo assolutamente sicuri della nostra pulizia". Intanto il responsabile del locale , di fronte alle nostre minacce di abbandonare il ristorante ("o noi o loro") va a confortare il malato: "Se se ne vogliono andare, se ne vadano loro". E alla fine del pranzo invitano i due ragazzi a non andarsene via cosi' presto, a restare ancora un po', che per loro non c'è alcun problema.

Torniamo a Milano di notte, in cuccetta di seconda classe. Il treno è pienissimo, tutti uomini. La mia cuccetta, numero 83, è la mediana. L'amico avverte l inserviente, che non fa una piega: "Nessun problema, le lenzuola sono di carta, poi le buttiamo".
Silenzio assoluto per l'intero viaggio da parte degli altri quattro compagni di scompartimento, che pure avevano sentito il dialogo con l'inserviente. Solo uno di loro ha domandato al controllore se c'era una cuccetta libera da qualche altra parte. Risposta negativa: e allora anche lui, come tutti gli altri, ha mantenuto un aplomb e un'indifferenza quasi svizzeri.

Mauro Suttora

questa inchiesta ha vinto il premio Motta di giornalismo, 1988

Cuccetta Napoli-Milano

Saturday, February 21, 1987

Talamone e le armi per l'Iran


Guerra del golfo: chi rifornisce gli arsenali di Iran e Irak

C'ERA UNA VOLTA UN PERFIDO NAVIGLIO

L'incredibile storia della Sarah Jane. Il prezioso carico dell'Angelica. L'indirizzo dell'ufficio acquisti iraniano che tutti fingono di non conoscere. E undici Tir scoperti per caso a scaricare ordigni bellici nel porto di Talamone

di Mauro Suttora

Europeo, 21 febbraio 1987

Povero capitano Thomas Screech. Sulla sua nave, la Sarah Jane, aveva caricato nel 1982 a Setubal, in Portogallo, duemila detonatori per bombe. Provenienza della cassa, stampigliata con il marchio della dogana statunitense: Long Island, New York. Destinazione: Iran. Arrivato nel porto iraniano di Bandar Abbas , fa salire a bordo dei soldati per scaricare la merce. Ma loro, appena vedono sulla cassa l' odiato simbolo degli Stati Uniti , cominciano a prenderla a calci e a sputarci sopra. " Guardate che le vostre bombe non possono esplodere senza questi detonatori" , li avverte il capitano Screech . Niente da fare : un colonnello dell' esercito iraniano gli dice che i soldati si rifiutano di scaricare , e alla fine gli ordina di lasciare il porto con il carico .

Nella tappa successiva , a Dubai , i doganieri trovano i detonatori nella stiva e arrestano il capitano per importazione illegale di armi . Un telex inviato a New York produce la seguente risposta : " La societa' speditrice declina ogni responsabilita' sul carico " . Dopo cinque mesi di prigione a Dubai , il capitano Screech e' costretto a svendere la sua nave per pagare una multa di 80 milioni di lire .

Ma il caso di questo sfortunato capitano inglese e' un' eccezione . In realta' le importazioni d' armi dell'Iran, nonostante tutti i blocchi e gli embarghi solennemente decretati dai paesi della Nato e da altri paesi occidentali, rappresentano da anni un grosso affare per molte persone. E non c'e' voluto certo l' Irangate perche' i khomeinisti riuscissero a mettere le mani sulle sofisticate armi americane e sui pezzi di ricambio di cui hanno bisogno : fin dalla caduta dello scia', nel 1979, l' Iran non ha mai smesso di approvvigionarsi sul mercato bellico occidentale , con mezzi piu' o meno legali e piu' o meno clandestini .

A Londra , al numero 4 di Victoria street, c'e' addirittura un ufficio apposito, con una cinquantina di addetti iraniani, che non tanto segretamente conduce trattative con mercanti e industrie d' armi di tutto il mondo. E anche con i governi di nazioni che mai , ufficialmente , confesserebbero di vendere armi all' Iran. Sulla targa del portone c' e' scritto National Iranian Oil Co., ma la vera funzione dell'ufficio e' quella di centro logistico di supporto per le forze armate iraniane . Secondo lo spionaggio americano , qui verrebbero acquistate ogni anno dai tre ai quattro miliardi di dollari di armi , ovunque sia possibile : lo scorso luglio , per esempio , il Vietnam ha venduto all' Iran , per 400 milioni di dollari , 80 carri armati M 48 e duecento autoblindo M 113 che gli Stati Uniti abbandonarono quando fuggirono dal Vietnam nel 1975 .

Esempio tipico il Portogallo. Fino a quando Lisbona non e' stata citata dal bollettino ufficioso dei traffici, nessuno sospettava che il porto lusitano fosse cosi' attivo nelle spedizioni di merci "proibite". Una delle ultime , per esempio , risale al dicembre 1986 e questa volta " incriminato " e' il porto di Setubal: Angelica , un cargo panamense , ha preso il largo per il porto iraniano di Bandar Abbas con 1500 tonnellate di armi a bordo per un valore di oltre 13 milioni di dollari.

Queste spedizioni , che non appaiono del tutto illegali , hanno cambiato di 180 gradi la politica che nel 1980 il socialdemocratico Sa' Carneiro aveva fatto approvare : blocco assoluto di spedizioni di armi per l' Iran . E fino al 1983 l' Irak e' stato il cliente privilegiato del Portogallo . Bagdad riceveva tra il 50 e il 75 per cento di tutte le spedizioni di armi lusitane , per un valore intorno ai 40 milioni di dollari . Da allora pero' Mario Soares , attuale presidente della Repubblica , ha cambiato bruscamente politica .

Difficolta' economiche irakene , pressioni iraniane . Da allora Teheran diventa il primo cliente per le armi portoghesi : 67 milioni di dollari nel 1985 , poco meno l' anno successivo . L' attivita' di quella che probabilmente e' la piu' grossa rete di commercianti d' armi privati nella storia presenta pero' aspetti inquietanti . Che dire , per esempio , dei motori dei carri armati Chieftain che il ministero della Difesa inglese ha spedito due anni fa a Khomeini in casse con su scritto " parti di veicolo " ? " L' embargo non e' stato violato perche' i motori non fanno parte dei sistemi letali dei veicoli , e perche' erano stati ordinati nel 1979 , prima che Khomeini prendesse il potere " , e' stata l' imbarazzata e tartufesca risposta del governo britannico alle documentate accuse degli antikhomeinisti .

Un altro "articolo" che appare ogni mese nella "lista della spesa" dell' ufficio dell'Iran a Londra e' un proiettile d' artiglieria da 155 millimetri , quello che poi i pasdaran lanciano sull' Irak e sulla citta' di Bassora : ne comprano 150 mila per volta , al prezzo di 40 milioni di dollari. "E materiale che proviene necessariamente da un paese della Nato", rivela un commerciante d'armi. "È impossibile che simili quantita' di materiale vengano spedite senza il coinvolgimento dei governi, o per lo meno senza la loro acquiescenza".

Naturalmente le armi non passano fisicamente da Londra : gli ordini partono per telex a intermediari stranieri , i quali si incaricano di contattare broker marittimi , e questi ultimi a volte caricano sulla stessa nave armi sia per l' Irak che per l' Iran . Quasi sempre le armi vengono spedite a punti d' imbarco intermedi con falsi " certificati di destinazione finale " per dimostrare che l' acquirente e' uno Stato non belligerante , al di sopra di ogni sospetto. Come il Portogallo, per esempio .

I porti d'imbarco piu' utilizzati in Europa sono Santander in Spagna, Cherbourg in Francia, Zeebrugge in Belgio e Talamone in Italia. Solo tre settimane fa , il 22 gennaio 1987 , undici Tir zeppi di cariche di lancio fabbricate dall' azienda " La Precisa " di Teano (Caserta) e regolarmente scortati da polizia e carabinieri hanno rifornito la nave portoghese Mare I diretta a Lisbona . La cosa si e' risaputa solo perche' , in prossimita' del porto toscano , un Tir ha frenato di colpo a un passaggio a livello , uccidendo i due passeggeri di una Mercedes che sopraggiungeva e che e' finita sotto il rimorchio .

Gran parte dei traffici d' armi verso l' Iran sono in mano agli armatori danesi , che hanno una lunga esperienza in questo campo : sono almeno 40 i cargo della Danimarca che continuano a rifornire , anche dopo l' Irangate , sia l' Irak che l' Iran . Anche l' Irak , infatti , si avvale di una rete di trafficanti d' armi privati . Ma e' l' Iran ad aver compiuto la sforzo piu' grosso in Europa occidentale e negli Stati Uniti , perche' gran parte del suo arsenale consiste di aerei , elicotteri , missili , carri e radar comprati in Occidente dallo scia' negli anni Settanta .

All'inizio i tentativi degli emissari di Khomeini di mantenere il flusso dei rifornimenti di armi furono disastrosi. A volte per ottenere un pezzo di ricambio dovevano pagare un prezzo 500 volte piu' alto. Behnam Nodjoumi, per esempio, un espatriato iraniano, firmo' un contratto per la vendita di 8 mila missili anticarro Tow made in Usa (che aveva gia' decretato l'embargo dopo il sequestro degli ostaggi di Teheran nel 1980). Allora l'Iran pagava il 10 per cento del prezzo solo dopo un'ispezione della merce da parte dei propri ufficiali. Tre colonnelli iraniani mandati in Belgio per il controllo furono rapiti , assieme a due diplomatici iraniani e a un banchiere a Londra.

Fortunatamente per l' Iran, Scotland Yard scopri' la colossale truffa poche ore prima del pagamento su un conto svizzero. Nodjoumi e' finito in prigione, condannato a dieci anni . Un altro espatriato iraniano e' riuscito a far rubare da impiegati civili della marina Usa alcuni pezzi di ricambio dell' aereo F 14 Tomcat , per un valore totale di mezzo milione di dollari.

Negli ultimi tre anni, comunque, gli affari per l' Iran sono filati piu' lisci . Ormai il centro di Londra, quando deve ordinare ricambi americani, utilizza addirittura gli stessi numeri di codice computerizzati dell' aeronautica statunitense. Molti dei mediatori privati, poi, sono in realta' agenti dei governi occidentali, o dei loro servizi segreti . L'israeliano Yaacov Nimrodi, per esempio, uno dei tre faccendieri internazionali (gli altri due sono Adnan Kashoggi e Manucher Gorbanifar) implicati nell' Irangate : il suo appartamento di Londra e' vicinissimo all' ambasciata dell' Iran , e secondo gli antikhomeinisti ha fornito armi a Teheran, con il pieno appoggio del governo di Israele, fin dal 1980.
Mauro Suttora

Saturday, February 07, 1987

Paul Simon in concerto a Milano

E ADESSO AI RAZZISTI GLIELE SUONO IO

Europeo, 7 febbraio 1987

Musica rock: passa dal Sud Africa l' ultimo successo di Paul Simon

Ha registrato nel ghetto di Soweto . Invece di Garfunkel ha voluto al suo fianco venti musicisti neri . Eppure e' gia' in cima alle classifiche dell' America reaganiana . E ora sbarca in Italia in tournee.

di Mauro Suttora

A 45 anni e' riuscito a piazzare una poderosa zampata , a farsi largo fra i sette milioni di copie vendute da Whitney Houston e i tre milioni dell' ultimo disco di Madonna : Paul Simon , raffinatissimo cantautore ebreo newyorkese , e' ritornato da quattro mesi ai primi posti delle classifiche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna . Il suo ellepi' 'Graceland' sta veleggiando verso i due milioni di copie vendute in tutto il mondo ; in Italia per ora sono 25mila , ma dopo l' apparizione al festival di Sanremo il 6 febbraio e il concerto di Milano il 7 e' prevedibile un boom anche da noi .

Osannato dall' unanimita' dei critici d' America e d' Europa ( " E una finestra sul cuore , richiede da parte dell' ascoltatore un alto livello di sofisticazione " , ha decretato Time) , si pensava che Graceland facesse la fine degli altri rari dischi (due negli ultimi dieci anni) distillati da Simon dopo la separazione , nel 1970 , da Art Garfunkel , suo compagno sia di vita che d' arte : musica intellettuale per pochi intenditori .

E invece no : il cocktail fra la dolce malinconia dell' ex " Mister alienation " degli anni Sessanta e il virulento rock dei venti musicisti sudafricani che accompagnano Simon nel disco , nonche' nell' attuale tournee , si e ' rivelato esplosivo , e ha affascinato anche le schiere di teenager nelle cui mani riposa il destino commerciale di ogni prodotto discografico . Graceland e' stato acclamato dalla critica di due continenti ( " Un prodigio di suoni e di sensazioni " ; " Il piu' bel trip musicale degli anni Ottanta " : tanto per stare ai titoli dei maggiori quotidiani inglesi e americani) . E quel che piu' conta , gia' da mesi staziona nelle parti alte delle classifiche di vendita di mezzo mondo .

Gran tempista , Paul Simon . Il suo disco e' arrivato al momento giusto , nel pieno della moda per la musica africana e sudafricana in particolare . " Stewart Copeland , il batterista dei Police , aveva realizzato un disco in Africa gia' due anni fa , ma passo' completamente inosservato " , ricorda Alessandro Robecchi , critico musicale dell' Unita . Invece adesso la campagna per le sanzioni al Sud Africa e' assai popolare fra i giovani inglesi e americani , e si e' avvalsa di Sun City , disco collettivo di protesta contro il razzismo , organizzato da Little Steven , ex chitarrista di Bruce Springsteen . In ottobre , poi , e' arrivato Tutu , l' ultimo lavoro di Miles Davis dedicato al vescovo sudafricano .

Graceland non contiene nulla di politico tranne il video Homeless , un coro senza strumenti dove Simon e un gruppo vocale nero cantano , evocando l' apartheid : " Siamo senza casa ci sono molti morti stanotte potrebbe toccare a te " . Il messaggio antirazzista pero' e' implicito , e sta nel modo stesso in cui il disco e' nato . Simon si e' recato a registrare per un mese in Sud Africa con un complesso del ghetto nero di Soweto , poi ha procurato i passaporti al bassista , al chitarrista e al batterista per completare le incisioni a New York . " Cosi' loro hanno subito lo stesso shock culturale che io avevo sperimentato a Johannesburg : per esempio , si meravigliavano di poter circolare liberamente senza dover passare ogni sera per un controllo dalla polizia di Manhattan " , racconta Simon .

Paul Simon e' sempre stato un eclettico . In Bridge over troubled water (1970) , oltre a una bossa nova (So long , Frank Lloyd Wright , omaggio al grande architetto morto da poco) , era contenuta la famosa El condor pasa , con accompagnamento dei peruviani Los Incas . " Avevo ascoltato la melodia a Parigi durante un loro concerto . Ho aggiunto le parole e loro ci hanno permesso di utilizzare la base musicale " , ricorda Simon . Un anno dopo , nel suo primo album solo , il cantautore se ne va in Giamaica a registrare Mother and child reunion con un gruppo reggae , anticipando il successo di Bob Marley in America ed Europa .

Con lui collabora spesso il percussionista argentino Airto Moreira , e in Hearts and bones (1983) fa un' apparizione anche il chitarrista jazz Al Di Meola . In quello stesso disco e' contenuto un pezzo scritto e arrangiato da Philip Glass , musicista dell' avanguardia sperimentale .
In Graceland c' e' una canzone (That was your mother) registrata non in Sud Africa ma in Louisiana (dove Simon era gia' andato nel 1973 per l' ellepi' There goes rhymin' Simon) , assieme al complesso Good Rockin' Dopsie and the Twisters : e' incredibile come il suono della fisarmonica suonata dal signor Dopsie risulti uguale a quello di uno strumento simile utilizzato in un altro pezzo (The boy in the bubble) dal sudafricano Forere Motloheloa .

" Questo non mi sorprende affatto " , spiega l' etnomusicologo Michele Straniero , " perche' regioni apparentemente lontanissime ma i negri della Louisiana provengono comunque dall' Africa presentano spesso sorprendenti analogie nell' ispirazione musicale e anche negli strumenti . Basti pensare , nella famiglia degli aerofoni , alla somiglianza fra le cornamuse scozzesi e le zampogne ciociare " .

A Simon non dispiace spiegare fino all' estremo dettaglio come nasce la propria musica . A New York ha perfino tenuto alcune lezioni universitarie di " songwriting " . Le parole ? " In genere , quando compongo una melodia , mi fermo sulle prime che mi vengono in mente . Musicalmente mi piacciono molto le vocali ' ' u' ' e ' ' a' ' , le consonanti ' ' t' ' e ' ' k' ' , le parole che iniziano con ' ' g' ' e ' ' l' ' . Da questo flusso di coscienza nasce una frase , e attorno ad essa costruisco la canzone . L' ideale e' quando parole e musica vengono fuori simultaneamente : questo e' stato il caso dell' inizio di The boxer ( " I am just a poor boy . . . " ) o della frase " Like a bridge over troubled water I will lay me down " .

Non tutto e' pero' cosi' casuale o manierista nella poetica di Simon (che era la mente del duo con Garfunkel , il quale si limitava all' arrangiamento e al canto , con quella sua incredibile voce simile a un organo musicale) . La qualifica di " cantante piu' intelligente del rock americano " Simon se l' e' meritata ampiamente grazie a canzoni come Sound of silence , dove descrive l' alienazione : " Gente che parla senza dire gente che ascolta senza sentire . . . " ) , I am a rock , in cui affronta la solitudine ( " . . . Ho i miei libri e le mie poesie che mi proteggono/ Corazzato nella mia armatura, nascosto nella mia stanza, sicuro dentro di me, non tocco nessuno e nessuno mi tocca/ sono una pietra sono un' isola . . . " ) , o come Kathy' s song , canzone per l' amore lontano ( " La mia mente e' distratta/ i miei pensieri sono a molte miglia da qui/ giacciono con te mentre dormi/ ti baciano quando inizia il giorno " ) .

Chi ha visto il film 'Il laureato' non si scordera' facilmente la prima scena di Dustin Hoffman sulla scala mobile dell' aeroporto , accompagnato dalle note di Sound of silence , o la fuga finale sull' Alfa Romeo rossa con l' amata rubata in extremis al promesso sposo , e con la musica entusiasmante di Mrs . Robinson .

Nei concerti assieme a Simon non ci sara' Garfunkel : dopo la " reunion " del 1981 , che ha prodotto un vendutissimo disco " live " , le loro strade si sono separate di nuovo . Ma ormai Simon & Garfunkel sono entrati nel ristretto novero dei classici : la loro musica cesellata piace a tutti , nonni e bambini . Niente muscoli , niente sudore alla Bruce Springsteen : nei concerti di Paul Simon a farla da padrone sara' il lucido ritmo , calcolato al millimetro , di un cervello piu' europeo che americano .

Mauro Suttora

Saturday, December 27, 1986

Arci Singles

Solitudini organizzate: un club davvero singolare

È una Lega con regole severissime. Per farne parte bisogna sapersi stirare le camicie e riciclare gli avanzi di pollo. I primi iscritti sono 40. Ma potrebbero diventare 6 milioni

di Mauro Suttora

Europeo, 27 dicembre 1986

L'articolo piu' oscuro dello statuto e' il numero nove: "Il vero singolo e' nato da un riccio". Ma soccorre subito un commento preparato dagli stessi singles, i non sposati e non conviventi che hanno fondato ad Asti la loro Lega: "Ci ricolleghiamo in parte alla tradizione gnostica e alchemica dell'Occidente, in parte ai fumetti underground americani: abbiamo scelto come simbolo il riccio perche' e' un animale solitario, spinoso, difficile da avvicinare e misterioso".

Dopo Arci gay, Arci caccia, Arci kids e Arci gola, ecco l'ultima trovata buontempona di alcuni iscritti all'organizzazione ricreativa della sinistra: l'Arci singles.

"Ma non siamo ne' un club per cuori solitari", mette le mani avanti il segretario Gabriele Biglino, falegname astigiano di 38 anni, "e nemmeno ci ispiriamo ai vari manuali per single boys e single girls: non siamo gente ricca o famosa, vogliamo risolvere i nostri piccoli problemi pratici di ogni giorno".

Problemi piccoli ma noiosi: stirare, per esempio. Poiche' agli iscritti della Lega (40 finora, con 24 donne) e' proibito farsi lavare gli abiti sporchi dalla mamma, per identificare un single bastera' alzargli il golf: se la camicia non e' stirata , vuol dire che il consiglio dei soci piu' esperti (stirare solo il colletto, almeno d'inverno) e' stato seguito a dovere. "

E poi c'e' il riciclaggio dei cibi avanzati", incalza Biglino, seduto a un tavolo di Spaghetti Jazz, il locale preferito dei singles di Asti. "Purtroppo la nostra non e' una societa' a misura di single, quindi mancano le confezioni monodose: tutto e' previsto per le famiglie. Cosi' il single produce molti avanzi, e deve saperli riutilizzare. Il pollo, per esempio: lo si fa arrosto, ma poi lo si puo' trasformare in insalata, sugo, polpette".

Per i single piu' pigri la Lega chiede mense a buon mercato. A quelli piu' intraprendenti propone lavatrici con lavaggi da due chili invece che cinque. "Oppure le mani e i mastelli", consiglia Biglino. "Su questo punto siamo molto severi: i nostri iscritti devono essere veramente autosufficienti. Una volta siamo piombati a casa di una ragazza che aveva fatto domanda di iscrizione, ma che si ostinava a ricorrere alla mamma per il bucato. Abbiamo misurato il bagno, e stabilito che li' una lavatrice c'entrava benissimo: la sua domanda e' stata respinta".

Per ora non ci sono progetti di trasformare l'Arci singles in una organizzazione nazionale: chi vuole aderire deve fare una capatina ad Asti e subire un piccolo esame da parte di Biglino, unico depositario del timbro col riccio da applicare alla tessera.

"Ma se nessun partito ci prendera' sul serio", dichiara bonariamente bellicoso Michele Nieddu, 50 anni, sarto e presidente della Lega, "formeremo un partito e ci presenteremo alle elezioni: siamo 5-6 milioni in tutta Italia, prima o poi arriveremo al potere..."

Come mai la Lega dei singles ha una maggioranza di donne? Risponde Annelise Ubertone, 31 anni, consigliere provinciale Pci: "Per noi e' piu' facile stare da sole, dopo il femminismo degli anni Settanta. Questo non vuol dire che non si abbiano rapporti fissi con una persona. Ma ognuno vive per conto suo". E ad Asti le single girls non vengono scambiate per zitellone ? "Assolutamente no, questo termine e' completamente superato".

"Sotto l'aspetto dei sentimenti il singolo e' un romantico", ha assicurato Biglino nella sua relazione al congresso di fondazione, davanti a una tavola generosamente imbandita: "Romantico per noi significa, ad esempio, camminare sotto la pioggia, tra le foglie portate dal vento, lasciare impronte fresche sulla neve, distendersi tra le zolle concimate...".

Non manca l'impegno politico: l'articolo sei dello statuto proclama che "i singoli operano individualmente per il superamento del capitalismo in curva e senza mettere la freccia".

Quanto alla carta dei diritti , inviata al presidente della Repubblica e a quelli di Camera e Senato, i singles chiedono, fra le altre cose, "divorzio senza avvocati e tasse, alloggi a misura di singles con finestre sul mondo e uscite di sicurezza per mogli e mariti di amici e amiche, un equo canone single (coefficiente 1,50), baby sitteraggio di quartiere e caseggiato per ragazze madri e ragazzi padri, basta con i formati famiglia nei supermercati, servizi collettivi (ma non troppo) a domanda individuale".

Dulcis in fundo, l'Arci singles chiede detrazioni sul modello 740. Come, proprio ora che i cattolici propongono invece incentivi per chi ha piu' figli? "Macche', Roberto Formigoni ha fatto voto di castità", risponde Biglino, "quindi c'e' poco da discutere: e' un single anche lui".
Mauro Suttora

Saturday, November 22, 1986

Armi Italia-Iran

ROTTA DI COLLUSIONE

Traffici proibiti. Irangate: la vera storia della vendita di armi USA all' Iran

Un mercantile danese che parte da Israele e arriva a Bandar Abbas . Un armatore che utilizza per i viaggi che scottano il porto italiano di Talamone (Grosseto) . Un sindacalista di Copenaghen racconta tutto

dal nostro inviato a Copenhagen Mauro Suttora

Europeo, 22 novembre 1986

Cala la notte sul golfo di Aqaba. La nave danese Morsoe si avvicina al porto israeliano di Eilat a luci spente. E scortata da una motovedetta militare con la stella di Davide . A sinistra , il Sinai egiziano ; a destra , le basse coste della Penisola Saudita . Arrivata nel porto , la nave viene ispezionata attentamente dai soldati israeliani saliti a bordo . Alcuni uomini rana si tuffano per controllare la chiglia . Poi , in silenzio , cominciano le operazioni di carico .

Sono 26 i container che vengono stivati sulla Morsoe : pesano in tutto 460 tonnellate . I marinai danesi non possono metter piede a terra : c' e' solo un rapido rifornimento di viveri . Dopo poche ore , prima dell' alba , Eilat e' gia' lontana , e la Morsoe naviga nel mar Rosso . Direzione : sud . Destinazione : Bandar Abbas , principale porto dell' Iran .

La Morsoe non arrivera' mai a Bandar Abbas . La nave che attracca il 21 ottobre nel porto dell' ayatollah Ruhollah Khomeini ha cambiato nome : adesso si chiama Solar . Sui 26 container e' stata cancellata ogni indicazione . E anche l' equipaggio ha dovuto nascondere tutte le tracce del passaggio in Israele : via i piccoli adesivi " Jaffa " dalle arance , perfino il latte e' stato travasato dai cartoni con le scritte ebraiche in anonime bottiglie di plastica .

Cosi' la Morsoe/Solar puo' portare a termine la sua missione . Ed e' una missione incredibile : la nave danese infatti ha trasportato armi da Israele all' Iran . Cioe' fra due paesi che ufficialmente sono nemici mortali : non passa giorno senza che qualche imam di Teheran invochi l' annientamento dello Stato d' Israele , mentre Gerusalemme accusa l' Iran di finanziare , assieme alla Libia e alla Siria , i terroristi mediorientali (vedere l' intervista al nuovo premier israeliano Yitzhak Shamir a pag . 50) .

" Ci sono stati almeno altri nove viaggi di questo tipo su navi danesi da un anno a questa parte , a partire dal settembre 1985 " , rivela Jesper Ravn , giornalista dell' agenzia di stampa nazionale della Danimarca , che ha indagato sulla vicenda . La verita' sui reali traffici della Morsoe/Solar l' ha spifferata un membro dell' equipaggio il 6 novembre scorso . Il proprietario , Finn Poulsen , non ha potuto negare l' evidenza . E perche' avrebbe dovuto , comunque ? Non e' illegale vendere armi all' Iran , tranne che per gli Stati Uniti che hanno decretato un embargo . Non siamo nel 1979 , quando la Morsoe Solar , che allora si chiamava Hanne Trigon , violo' l' embargo decretato dall' Onu contro l' esportazione d' armi in Sud Africa (vedere il riquadro a pag . 11) .

Dal 1980 , da quando e' iniziata la guerra Iran Irak , il flusso di armi e' incessante , da tutta Europa : non passa settimana senza che porti specializzati in export bellico , come l' italiano Talamone , lo spagnolo Santander , il francese Cherbourg o il belga Zeebrugge , non vedano partire qualche cargo per il golfo Persico . Solo dal porto italiano , secondo i radicali , sarebbero partiti in sei anni 60 carichi di armi . Adesso pero' la piccola e pacifica Danimarca e' diventata il terminale di uno scandalo internazionale . E allora andiamo a Copenaghen per capirne di piu' sulla " iranian connection " che sta scuotendo l' America .

" Cosa portano mai i nostri uomini da Israele all' Iran , quando fino a un anno fa dallo Stato ebraico non usciva neanche una patata in quella direzione ? " , si e' chiesto Henrik Berlau , vicepresidente del potente sindacato dei marittimi danesi (5500 iscritti) . La risposta gli e' arrivata in questi giorni : Israele ha girato all' Iran grossi quantitativi di armamenti made in Usa . E il prezzo pagato dagli Stati Uniti per tentare di ottenere la liberazione degli ostaggi americani in mano agli hezbollah , gli integralisti islamici benedetti da Teheran .

Ma questa svolta sotterranea nella politica del presidente Ronald Reagan non e' affatto piaciuta ai combattivi marinai danesi . I quali il pomeriggio del 30 ottobre sono passati all' azione . Altra nave danese , la Marie Th . , lunga 67 metri , otto membri di equipaggio , di proprieta' della compagnia Svendborg Enterprise . Era a Belfast il 30 settembre , a Lancaster il 9 ottobre , a Gibilterra pochi giorni dopo . A meta' ottobre arriva a Talamone , e li' imbarca quattro container zeppi di munizioni . Ma i marinai vengono a sapere che la meta finale del viaggio e' l' Iran , e si rifiutano di proseguirlo . Sono rimpiazzati da altri uomini fatti arrivare in fretta e furia da Rotterdam , fra cui quattro africani di Capo Verde disposti a tutto pur di guadagnare un po' .

Al sindacato risulta che anche il comandante della nave , Joergen Thusen , si sia ribellato , ma la compagnia , interpellata dall' Europeo , nega e lo da' tuttora a bordo . La Marie Th . lascia l' Italia per il Pireo , porto di Atene , da dove parte in direzione est il 25 ottobre . Ma , cinque giorni dopo , colpo di scena : il ministero dell' Industria e della Marina di Copenaghen ordina alla nave di non proseguire il viaggio verso Bandar Abbas . Perche' ?

" Siamo stati noi ad avvertire il ministro " , spiega il sindacalista Berlau , " del fatto che i marinai correvano un grande pericolo : ci e' giunta infatti notizia che gli iracheni controllavano gli spostamenti della nave , sapevano che cosa trasportava , e che probabilmene l' avrebbero ' ' neutralizzata' ' una volta fuori dal Mediterraneo , nel mar Rosso o nell' oceano Indiano " .

Ma come fanno gli iracheni (o gli iraniani ) a controllare i rifornimenti per il nemico fin dai porti europei ?
" Non e' difficile " , risponde Berlau . " Basta che tengano d' occhio quei 4 5 porti strategici per il traffico d' armi , come Talamone o Cherbourg , e che poi aspettino le navi a Suez o negli stretti di Bab el Mandeb e Hormuz . Non dimentichiamo che durante la guerra Iran-Irak e' stata colpita finora la stessa quantita' di tonnellaggio mercantile di tutta la Seconda guerra mondiale " .

Cosi' la Marie Th . ha dovuto scaricare i quattro container imbarcati a Talamone nel porto israeliano di Ashdod , sulla costa mediterranea . " Era la loro destinazione in ogni caso " , precisano gli armatori . Invece secondo il sindacato il carico bellico proveniente dall' Italia sarebbe stato parcheggiato temporaneamente in Grecia . In ogni caso , dopo una breve sosta nel porto greco di Laurium , venerdi' 7 novembre la Marie Th . e' ripartita da Milos per la Francia .

Il clamore suscitato in Danimarca da questa vicenda ha gia' provocato dei risultati concreti : questa settimana il Parlamento danese si riunisce e , con ogni probabilita' , approvera ' una legge che vieta alle navi di Copenaghen di trasportare materiale bellico a paesi in guerra . " Quello che ci ha profondamente irritato " , spiega Henrik Berlau , " e' che gli Stati Uniti si siano serviti dei nostri marinai , cioe' di cittadini di un paese alleato , come inconsapevoli soldati per i loro sporchi traffici " .

Ma , a parte le preoccupazioni per l' incolumita' dei marinai danesi , quali prove avete che le armi caricate in Israele facciano parte del " pacchetto " americano ? Berlau tira fuori dal cassetto alcuni ritagli stampa , e ci mostra una notizia dello scorso luglio apparsa su tutti i giornali tedeschi : " A Monaco di Baviera la polizia della Germania occidentale ha arrestato un certo Henry Kamaniecky , cittadino tedesco israeliano , che aveva in tasca un contratto di forniture militari firmato da Israele e dall' ambasciata iraniana a Bonn per un valore di 700 milioni di corone danesi (circa 140 miliardi di lire italiane) . Il trasporto doveva avvenire attraverso la Jugoslavia " .

A questo pezzo del puzzle se ne aggancia subito un altro : il particolare , citato da diversi marinai danesi , che la Morsoe Solar e altre navi , implicate nel traffico fra Eilat e Bandar Abbas , una volta raggiunta Eilat aspettavano al largo , nel golfo di Aqaba , anche per due o tre settimane . " Cioe " , spiega ancora Berlau , " l' equivalente del tempo che sarebbe stato necessario per attraversare il canale di Suez , entrare nel Mediterraneo , raggiungere un porto jugoslavo e tornare indietro . Perche' , ufficialmente , il trasporto non toccava Israele : partiva dalla Jugoslavia e arrivava direttamente in Iran " .

E quest' ultima spedizione interrotta della Marie Th . ? Che probabilita' ci sono che dentro a quei quattro container imbarcati a meta' ottobre a Talamone ci fossero non armi fabbricate in Italia , ma sofisticati pezzi di ricambio made in Usa ? " Molte " , risponde Berlau . " I nostri marinai , bene o male , sanno quello che trasportano . E poi , una nave come la Marie Th . , in grado di caricare 1200 tonnellate di merce , non puo' permettersi , normalmente , di viaggiare vuota dall' Inghilterra fino all' Italia , come ha fatto . Quelle navi non stanno vuote neanche un giorno . Si vede che il trasporto del carico imbarcato a Talamone e' stato pagato profumatamente , tanto profutamente da coprire ogni mancato guadagno . Quando le missioni sono ' ' speciali' ' , come verso il Sud Africa , i prezzi salgono anche quattro cinque volte oltre i livelli normali " .

Alla compagnia Svendborg affermano di avere noleggiato per sei mesi la Marie Th . a un' altra societa' danese , la Orsleff di Copenaghen , e di non conoscere quindi esattamente la natura delle merci trasportate : " Comunque " , dicono , " se i container sono stati imbarcati a Talamone sicuramente si trattava di materiale bellico . E non possiamo escludere che fosse americano . Chi sa tutto e' l' agente che ha in mano gran parte delle spedizioni da Talamone . Perche' non vi rivolgete a lui , al signor Egisto Fanciulli ? " .

Il signor Fanciulli smentisce in anticipo tutto : " Voi giornalisti pubblicate solo frottole " . Va bene , allora ci aiuti lei a trovare la verita' . Cosa c' era in quei quattro container imbarcati sulla Marie Th . ? " Non erano container , erano quattro cassette piccole " . Ma dentro cosa c' era ? Armi italiane o americane ? " Macche' armi , da Talamone non partono armi " . Suvvia , signor Fanciulli , abbiamo parlato con gli armatori . " Non c' erano armi , c' era materiale bellico . Ma non sono tenuto a dirvelo " . Pezzi di ricambio ? " No , munizioni . . . Io comunque non vi dico nulla , rivolgetevi all' autorita' competente " .

L' autorita' competente a Talamone e' tantissima : ci sono i doganieri , la guardia di finanza , i carabinieri , i funzionari del ministero della Difesa e quelli del ministero per il Commercio estero . Ognuno con i suoi bolli e i suoi timbri . " E noi siamo in regola " , assicura Fanciulli , che pero' custodisce il suo segreto : " Non sono tenuto a dirvi niente . Buonasera " .

Ricapitolando : diverse navi danesi che negli ultimi mesi hanno trasportato di nascosto armi da Israele all' Iran . I marittimi danesi che mettono i bastoni fra le ruote . " Niente di piu' facile allora " , ragiona Berlau , " che per sviare i sospetti dopo le nostre denunce delle scorse settimane gli americani non utilizzino piu' , come porto d' imbarco , solo Israele , ma anche paesi terzi " . Inoltre , e' provato che un' altra nave della stessa compagnia della Marie Th . , la Else Th . , fra maggio e agosto di quest' anno ha trasportato 3500 tonnellate di armi in quattro viaggi da Eilat a Bandar Abbas .

Quindi , anche se fosse vero che i quattro container di materiale bellico caricati in Italia sulla Marie Th . dovevano andare nel porto israeliano di Ashdod e non in Iran , come afferma la Svendborg (Bandar Abbas sarebbe stata , secondo loro , la destinazione di un ulteriore carico imbarcato in Grecia dalla stessa nave) , questo non garantisce che dopo un breve tragitto via terra Ashdod Eilat anche il prezioso carico di Talamone non sia finito nelle mani degli uomini di Khomeini . " E non e' finita qui " , promette combattivo Berlau . " Conosciamo altre navi danesi implicate nel traffico con l' Iran di cui non possiamo svelare nome e itinerario perche' sono ancora in zona pericolosa , oltre Suez . E poi non ci sono solo le navi e i marinai danesi , a questo mondo . Cosa fanno le navi da trasporto di altre nazionalita' ? "

Mauro Suttora