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Wednesday, February 09, 2011

Assange come Vanunu?

La tremenda condanna che ha colpito il pacifista Mordechai Vanunu: 18 anni in carcere (11 in isolamento totale) per spionaggio. Aveva rivelato un segreto di Pulcinella: che Israele ha la bomba atomica

di Mauro Suttora

Oggi, 9 febbraio 2011

Altro che buona condotta e sconti di pena: non gli hanno abbuonato neanche un giorno di prigione. E lo hanno tenuto per ben 11 anni in isolamento. È questa la sorte capitata a Mordechai Vanunu, il pacifista oggi 56enne antesignano di Assange che 25 anni fa osò rivelare un segreto di Pulcinella: il possesso della bomba atomica da parte di Israele. Tutti lo sapevano, ma lui poté portare le prove perché di professione faceva il tecnico nucleare e lavorava nella centrale di Dimona.

Vanunu fu sequestrato nel 1986 da un commando del Mossad, i servizi segreti israeliani, con un'operazione segreta mentre si trovava a Roma, dove aveva seguito una bellissima ragazza che si rivelò un'agente segreto. Processato e condannato per alto tradimento, Vanunu ha scontato tutti i suoi 18 anni. È stato liberato nel 2004, ma ancora adesso non può lasciare Israele, non può parlare con cittadini stranieri, non può possedere né usare computer e telefoni cellulari, e se osa avvicinarsi a qualche ambasciata estera viene arrestato di nuovo. Amnesty International lo considera un perseguitato politico.

Gli Stati Uniti vorrebbero applicare ad Assange lo stesso trattamento riservato da Israele a Vanunu: processarlo per alto tradimento e rivelazione di segreti di Stato. Ma questo sembra giuridicamente impossibile, per due motivi: il capo di Wikileaks è cittadino australiano, quindi non ha obblighi particolari di lealtà verso gli Stati Uniti; e la costituzione americana tutela la libertà di parola e di stampa più della riservatezza statale. Quindi pare infondato il timore di Assange di venire estradato prima in Svezia (per una strana accusa di molestie sessuali da parte di due sue ex amanti consenzienti), poi negli Stati Uniti, dove rischierebbe molto di più.

Assange aspetta il verdetto

Julian agli arresti domiciliari in inghilterra attende la sentenza sull'estradizione

Ha fatto tremare il mondo con le sue rivelazioni on line. Il dittatore della Tunisia è caduto anche grazie a lui. Ma ora il capo di Wikileaks teme un processo in Svezia. E intanto...

di Mauro Suttora

Oggi, 5 febbraio 2011

Il 7 febbraio il tribunale di Londra decide se estradare Julian Assange in Svezia. Il capo del sito Internet che rivela i segreti di Stato è accusato di molestie sessuali da due sue ex ammiratrici di Stoccolma, che lo hanno denunciato nonostante fossero andate volontariamente a letto con lui.

Dopo aver assaggiato il carcere di sua maestà, mister Wikileaks si trova da due mesi agli arresti domiciliari nella campagna inglese. Lo ospita nella propria tenuta di campagna un suo ricco fan, che lo aveva nascosto quando Assange era ricercato dalle polizie di mezzo mondo. Ora il turbolento Julian, come si vede da queste foto, ha molto tempo a disposizione. Che impiega anche dando da mangiare alle galline nel pollaio, e rispondendo alle cartoline di auguri che gli arrivano dagli ammiratori. Niente di più lontano dall' immagine dell'hacker, del pirata supertecnologico circondato da fili e computer, che si era costruito finora.

Intanto, la guerra continua. Wikileaks, infatti, è stata colpita dalle società che raccoglievano le donazioni per finanziarla: su richiesta del governo statunitense, Visa, MasterCard, Paypal e Amazon hanno bloccato i flussi di denaro. Subito è scattata la vendetta degli hacker. Cinque di loro, giovanissimi (dai 15 ai 26 anni), sono stati arrestati in Gran Bretagna pochi giorni fa per una serie di attacchi informatici contro i siti «traditori». Sono accusati di appartenere al cyber-commando Anonymous, che ha compiuto assalti on line da diversi computer contemporaneamente, diffondendo un virus. Hanno bloccato anche il sito del governo svedese, colpevole di volere l'estradizione di Assange. Ora rischiano una condanna fino a 10 anni di carcere e 6 mila euro di multa. E il mese scorso anche in Olanda sono stati arrestati due adolescenti con accuse analoghe.

Intanto, le rivelazioni di Wikileaks hanno prodotto i primi effetti concreti. La rivolta popolare che ha cacciato il dittatore tunisino Ben Ali è stata provocata anche dalla diffusione delle frasi crude che l'ambasciatore americano a Tunisi aveva usato nel telex segreto di un suo rapporto a Washington: «Qui la famiglia del presidente è come una mafia, ruba e si appropria di tutto».

Sono tanti i governi, compreso quello italiano, messi in imbarazzo dalla pubblicazione di tutta la corrispondenza diplomatica riservata degli Usa. Perfino le «feste selvagge» di Silvio Berlusconi non sono sfuggite ai diplomatici americani, i quali ne avevano scrupolosamente riferito al Dipartimento di Stato (il loro ministero degli Esteri).

Denudata la diplomazia confidenziale del mondo intero grazie all'aiuto del soldatino ventenne americano Bradley Manning (che gli ha passato i documenti e ora rischia decine di anni di carcere per alto tradimento), Assange ha compiuto la sua mossa più intelligente. Ha offerto tutto lo scottante materiale ai giornali più prestigiosi del mondo( New York Times, Guardian, Spiegel, Le Monde, El Pais), rendendoli di fatto suoi complici.

Adesso il direttore del New York Times, Bill Keller, ha svelato i retroscena del suo rapporto con Assange. Mesi di lavoro segreto, i dubbi su cosa pubblicare e cosa no, le proteste dei lettori, alcuni dei quali contrariati dalle rivelazioni di documenti top secret. «Dall'odore, sembrava che non si fosse lavato da giorni», ha raccontato il direttore del New York Times. Poi la sua trasformazione in una celebrity che si comporta da grande seduttore e si descrive come il «grande burattinaio» della stampa. Keller rivela che Richard Holbrooke, il compianto plenipotenziario Usa in Iraq e Afghanistan morto da poco, a una festa gli aveva sussurrato che le indiscrezioni che il giornale stava per pubblicare avrebbero reso quasi impossibile il suo lavoro. Ma gli fece anche capire di comprendere le ragioni della stampa libera.

E ora le banche svizzere

Per Keller, Assange è «un Peter Pan imbevuto di teorie cospirative, arrogante, diffidente fino alla paranoia, ideologicamente motivato dal desiderio di colpire gli Usa. Somiglia a un personaggio dei thriller di Stieg Larsson». Adesso Assange minaccia di rivelare i segreti delle banche svizzere, con i nomi di tutti i miliardari evasori fiscali del mondo. Dice di possedere documenti segreti contro Rupert Murdoch, il magnate delle tv Sky e Fox. Presto Hollywood farà un film su di lui. Sarà la sua consacrazione definitiva.

Mauro Suttora

Wednesday, December 22, 2010

La guerra mondiale di Wikileaks

Ecco perché i corsari informatici sono forti e imprendibili

di Mauro Suttora

Oggi, 15 dicembre

È scoppiata la terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorti? Da quando, il 28 novembre, Wikileaks ha cominciato a svelare i 251 mila cablogrammi segreti inviati negli ultimi anni dai diplomatici degli Stati Uniti in tutto il mondo, ogni giorno scoppia un putiferio. Perché, molto furbamente, i seguaci di Julian Assange hanno deciso di centellinare le rivelazioni. L’ultima, che ha provocato grande costernazione in Vaticano, riguarda il segretario di Stato Tarcisio Bertone, numero due del Papa, definito «inadeguato» dai diplomatici americani. Ma molti altri imbarazzanti segreti verranno alla luce nelle prossime settimane: basti dire che finora sono stati pubblicati appena 1.340 documenti sul quarto di milione in possesso dei pirati informatici.

“Pericolosi come Osama”

Ma come funziona Wikileaks? E chi c’è dietro a questi «guerrieri della trasparenza» che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito «pericolosi quanto Osama Bin Laden»? Diciamo subito che, proprio come Al Qaeda, la struttura di Wikileaks è decentrata. Si illudono, quindi, coloro che pensano di bloccarla incarcerando il capo, Assange, o chiudendo fisicamente i computer. I due server ospitati a Stoccolma nel bunker antiatomico della società Prq, infatti, sono solo una goccia nel mare di internet.

Qualche nostro tg li ha mostrati, spacciandoli per il «cervello» di Wikileaks. Ma è solo sensazionalismo. Quella stessa società, infatti, ospita altri 8mila server. E Wikileaks può contare su centinaia di «siti-specchio» che entrano automaticamente in funzione appena ne viene disattivato uno. Lo stesso Assange ha avvertito: «Altre centinaia di militanti, oltre a me, posseggono l’intero file di 251 mila documenti, e lo rilasceranno se dovesse capitarmi qualcosa».

“Contenuto esplosivo“

Ma qual è il vero valore di questi documenti segreti? È vero che riscrivono la storia contemporanea, o sono soltanto una rimasticazione di articoli di giornale copiati da pigri incaricati di affari nelle ambasciate? In alcuni casi il contenuto è esplosivo, e quindi e' giusto il paragone con una guerra mondiale. Non però la terza: quella è già stata vinta dall’Occidente contro il comunismo nel 1989. E neanche la quarta, cominciata nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle da parte dei fanatici islamici, e ancora in corso. È la quinta o sesta, assieme all’altro grande conflitto dei nostri giorni: quello fra mondo libero e Cina.

Però i ragazzi di Wikileaks sono occidentali, quindi la definirei una guerra civile, anche se nonviolenta. È un conflitto interno alle democrazie, fra chi pensa che anche i nostri stati debbano conservare segreti, e chi invece vuole esporre tutto.

Non dimentichiamo però che fra i fondatori di Wikileaks, nell’ottobre 2006, ci sono anche importanti dissidenti cinesi: Wang Dan, leader degli studenti di Pechino massacrati in piazza Tian an men nell’89, e Xiao Qiang. Inizialmente, quindi, l’intento di Assange e soci era quello di smascherare i segreti di tutti i governi. Ed è ovvio che le dittature ne hanno molti di più, e più sanguinosi, dei regimi democratici.

Perché, allora, quasi tutte le rivelazioni finora riguardano gli Stati Uniti? Prima ci fu il filmato in cui si vedono le truppe Nato uccidere un giornalista in Afghanistan. Poi, l’estate scorsa, i documenti del Pentagono con l’ammissione ufficiale di avere ammazzato 60 mila civili innocenti nella guerra d’Iraq. E se dietro Wikileaks ci fosse la Cina o la Russia, o qualche altro avversario degli Usa?

Non credo che gli hackers di Wikileaks siano manipolati. Politicamente sono anarchici che si battono contro il potere a 360 gradi. Hanno già preannunciato rivelazioni sulle grandi banche. E se avessero documenti segreti cinesi sulla repressione in Tibet o contro Falun Gong, non esiterebbero a divulgarli. Il problema è che finora non c’è stato nessun funzionario pentito di Pechino che gliel’ha passati.

Sì, perché in realtà Wikileaks non ha mai rubato alcun documento. Si limita, come da statuto, a pubblicare, dopo averli verificati, quelli in arrivo (gratis) da persone che per un qualsiasi motivo decidono di tradire il vincolo di segretezza che li lega all’organizzazione per cui lavorano. Quindi, il vero colpevole dell’attuale terremoto è il soldato americano 22enne che ha passato i files ad Assange, e che è in carcere per spionaggio.

Giuridicamente, Wikileaks è colpevole di un unico reato: ricettazione. Magari di ricettazione attiva, o di istigazione al furto e allo spionaggio, perché invita pubblicamente i dipendenti pentiti a rivelare le magagne della propria azienda, o ministero. E si può immaginare quanti siano coloro disposti a farlo, magari per vendicarsi di essere stati licenziati, o frustrati per una mancata promozione o aumento di stipendio... E sapere che c’è lì Wikileaks pronta a fare giustizia rappresenta un incentivo formidabile.

Coinvolgere i principali giornali mondiali è stata la mossa più intelligente di Assange. Li ha coinvolti - ed è preoccupante che ce ne sia uno spagnolo, El Pais, ma nessuno italiano - ottenendo così una patente di veridicità che non avrebbe avuto da solo. Li ha anche messi uno contro l’altro, suddividendo equamente il materiale. Cosicché, per la legge della concorrenza, nessuno si è sognato di censurare parzialmente o di non pubblicare: lo avrebbe fatto qualcun altro.

Il direttore del New York Times Bill Keller ha fatto vedere i documenti al governo Usa prima di pubblicarli, e ha cancellato alcuni nomi. Il NY Times è il più esposto, perché è l’unico giornale americano. Ma, a proposito di mandanti, non mi meraviglierei se dietro alla fuga di notizie più imponente della storia ci fosse qualche repubblicano che vuole danneggiare il presidente Obama e Hillary Clinton.

Mauro Suttora

Wednesday, December 08, 2010

Berlusconi troppo amico di Putin

IL MEGLIO E IL PEGGIO DI WIKILEAKS

Rivelazioni: un sito pubblica 250 mila documenti segreti dei diplomatici Usa

Gli Stati Uniti criticano il nostro premier per i rapporti con Russia e Gheddafi, le feste sfrenate e la vanità: «Che dorma di più»

di Mauro Suttora

Oggi, 8 dicembre 2010

«Silvio Berlusconi è fisicamente e politicamente d debole. Inetto, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Perché? «Le sue frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party selvaggi significano che non riposa a sufficienza». Insomma, secondo l'incaricata d'affari americana a Roma Elisabeth Dibble il nostro nostro premier dovrebbe dormire di più. È questa la rivelazione più imbarazzante per l'Italia contenuta nei 250 mila rapporti segreti dei diplomatici statunitensi resi pubblici dal sito Wikileaks.

La Dibble ha retto l'ambasciata Usa in Italia per quasi due anni, nel lungo interregno fra l'ambasciatore di George Bush e l'attuale, David Thorne, nominato dal presidente Barack Obama nel giugno 2009. Diplomatica di carriera, è stata richiamata a Washington pochi mesi fa. E questo salva dal disagio lei e il governo americano per quei suoi giudizi su Berlusconi. oscuro intermediario Washington è preoccupata anche per il rapporto «straordinariamente stretto» fra il nostro premier e quello russo Vladimir Putin, con «regali generosi» e contratti energetici redditizi: Berlusconi «sembra essere il portavoce di Putin» in Europa. E c'è un «oscuro intermediario italiano che parla russo»: probabilmente il per nulla oscuro Valentino Valentini, 48 anni, l'ex interprete simultaneo dell'Europarlamento che ha organizzato tutti i contatti fra Berlusconi e la Russia, e che è diventato deputato nel 2008.

Gli Stati Uniti sanno bene che la politica russa è nelle mani di Putin (soprannominato nei rapporti «maschio alfa, lupo capobranco, Batman ») e non in quelle del presidente Dimitri Medvedev («Robin»). Putin è giudicato un politico autoritario, il cui stile maschilista gli consente di intendersi con Berlusconi. Gli Usa sono preoccupati per l'intesa Eni-Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue in alternativa al Nabucco che taglia fuori Mosca.

Berlusconi si può però consolare leggendo i giudizi sferzanti dei diplomatici americani su altri presidenti. L'argentina Cristina Kirchner, per esempio, desta tali sospetti a Washington che la Segreteria di stato (guidata da Hillary Clinton) arriva a «chiedere informazioni sul suo stato di salute mentale». La tedesca Angela Merkel «evita i rischi ed è raramente creativa».

Frattini contro Turchia

Tra le rivelazioni c' è un telegramma inviato da Roma lo scorso 8 febbraio, dopo un incontro del nostro ministro degli Esteri Franco Frattini con il segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates. Frattini «ha espresso particolare frustrazione per il doppio gioco di espansione verso l' Europa e l' Iran da parte della Turchia». La «sfida, secondo Frattini, è portare la Cina al tavolo» dei colloqui sulla questione iraniana. Cina e India secondo Frattini sono «Paesi critici per adottare misure» contro «il governo iraniano senza ferire la popolazione ».

Il problema dell'Italia, come rivela un altro telex dell' ambasciata del 22 gennaio 2010, è che l'Eni ha molti interessi in Iran, ai quali non intende rinunciare: ha investito nel Paese degli ayatollah tre miliardi di dollari, e finora ne ha recuperati solo la metà sotto forma di petrolio e gas. Il resto lo incasserà entro il 2013, ma fino ad allora l'Italia non vuole/non può aderire all'embargo completo contro l'Iran.

La rivelazione più imbarazzante per gli Stati Uniti è quella sull'ordine ai propri diplomatici di spiare i colleghi all'Onu. L'operazione nei confronti delle Nazioni Unite avrebbe riguardato non solo il segretario generale coreano Ban Ki Moon, ma anche i membri permanenti cinese, russo, francese e inglese del Consiglio di sicurezza. Nel 2009, sotto il nome di Hillary Clinton, sarebbe stata inviata ai diplomatici americani una direttiva - a metà tra diplomazia e spionaggio - in cui si chiedevano dati tecnici e password sui sistemi di comunicazione usati dai funzionari Onu, dettagliate informazioni biometriche su uomini chiave come sottosegretari o capi di agenzie speciali, oltre a numeri di carte di credito, indirizzi email e numeri di telefono.

Mandela: "Bush razzista"

I file contengono anche critiche mosse dai diplomatici statunitensi a Nelson Mandela e Hamid Karzai. Il presidente sudafricano sarebbe finito nel mirino dei diplomatici per il suo scontro con George Bush quando questi decise di invadere l'Iraq. Mandela lo accusò di essere razzista, dichiarando che il presidente Usa aveva ignorato le richieste delle Nazioni Unite perché il suo segretario generale all'epoca, Kofi Annan, era nero. Mandela all'epoca aveva anche attaccato l'allora premier britannico Tony Blair, definendolo «il ministro degli Esteri degli Usa».

Per quanto riguarda la Corea, gli Stati Uniti hanno discusso con i funzionari di Seul la possibilità di una Corea unificata, nel caso la Corea del Nord dovesse «implodere» per i suoi problemi economici e per problemi di transizione del leader. Le discussioni segrete si sarebbero estese a come convincere la Cina ad accettare la situazione di una Corea unificata.

Vicepresidente corrotto

Con Ahmed Wali Karzai, il fratellastro del presidente afgano, «dobbiamo avere a che fare in quanto numero uno del Provincial Council. Ma è sottointeso che è uno corrotto e un trafficante di stupefacenti». Questa la descrizione di Ahmed Wali Karzai fornita dai diplomatici americani secondo Wikileaks. «Sembra non capire il livello di conoscenza che abbiamo delle sue attività. Dobbiamo monitorarlo attentamente, inviandogli un messaggio chiaro».

Quando lo scorso anno il vice presidente dell' Afghanistan Ahmed Zia Massoud visitò gli Emirati Arabi Uni ti le autorità locali, in collaborazione con la Dea (Drug enforcement administration) americana, avevano scoperto che trasportava con sé 52 milioni di dollari in contanti. L'ambasciata americana di Kabul inviò a Washington un documento con il quale specificò che si trattava di una «somma significativa », e che Massoud «aveva il diritto di averla con sé e di non rivelare l'origine e la destinazione del denaro». Massoud ha negato di aver portato denaro fuori dall'Afghanistan.

Guantanamo

Un file racconta le conversazioni dei diplomatici sui tentativi degli Usa di convincere i governi di alcuni Paesi ad ospitare detenuti islamici di Guantanamo. Alla Slovenia è stato chiesto di accettare un prigioniero in cambio di un incontro diretto del loro presidente con Barack Obama (capirai che onore). Alle isole Kiribati nell'Oceano Pacifico sono stati offerti milioni di dollari per accettare un gruppo di detenuti. Al Belgio si suggerisce che accettare prigionieri garantirebbe «visibilità» in Europa.

L'infermiera ucraina

Con Muammar Gheddafi, come sempre, si scivola nel grottesco. Di rado si muove senza la sua «infermiera ucraina», una «voluttuosa bionda». Così i diplomatici americani descrivono il dittatore libico, che sarebbe stato infastidito da come venne ricevuto a New York per l'assemblea generale dell'Onu lo scorso anno. L'ambasciatore americano a Tripoli racconta che «Gheddafi usa il botox ed è un vero ipocondriaco: fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli dopo con i suoi dottori».

Mauro Suttora