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Saturday, December 16, 2023

La vera storia della rapina del 1974 che Toni Negri pagò con una condanna a 12 anni








Ma davvero un intellettuale stimato in tutto il mondo fu il mandante di un omicidio? No, la sentenza dei giudici di Roma nel 1987 parla di "concorso morale"

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 16 dicembre 2023

"L'azione di autofinanziamento è andata male. Siamo stati così sfortunati che è rimasto per terra in vita un testimone, perché la pistola si è inceppata». Sono queste le parole costate a Toni Negri la condanna a dodici anni per la tentata rapina di Argelato (Bologna) del 5 dicembre 1974, in cui venne ucciso il carabiniere Andrea Lombardini, e ferito un suo collega. Il filosofo scomparso 90enne a Parigi fu inchiodato dalla testimonianza del pentito Carlo Fioroni, compagno di Toni Negri in Potere Operaio e poi in Autonomia Operaia. In seguito Fioroni fu condannato per il sequestro e l'assassinio di Carlo Saronio, però le sue parole furono ritenute veritiere dagli inquirenti.

Ma davvero un intellettuale stimato in tutto il mondo fu il mandante di un omicidio? No, la sentenza dei giudici di Roma nel 1987 parla di "concorso morale". E il 'teorema' del pm padovano Pietro Calogero, che lo aveva accusato di essere addirittura il 'grande vecchio' capo delle Brigate Rosse, si sgonfiò nelle aule dei tribunali. Tuttavia, la pesante pena ha segnato la vita di Negri. Quattro anni di carcere preventivo dal 7 aprile 1979 al 1983, quando i radicali lo liberarono facendolo eleggere deputato. Poi la perdita dell'immunità parlamentare, la fuga in Francia sulla barca a vela di Emma Bonino, la rottura con Marco Pannella. 

Il ritorno in Italia nel 1997 per scontare il resto della condanna, i domiciliari tre anni dopo, e solo nel 2003 la liberazione, a 70 anni. Quando era diventato il mâitre-à-penser di un'ulteriore generazione di giovani antagonisti, i noglobal di Seattle e Genova (e in seguito gli Occupy Wall Street).

"L'idea della rapina come metodo di finanziamento [nel 1974] era diventata non solo accettabile, ma qualcosa da rivendicare. Fino ad allora gli espropri proletari erano sconosciuti ai gruppi della sinistra extraparlamentare". A parlare è un altro pentito, Mario Ferrandi: "Dopo Argelato l'organizzazione si fece carico di gestire in qualche maniera questo processo, perché buona parte dei ragazzi arrestati erano passati alle Br, sentendosi scaricati da noi. [...] Conobbi Negri, che si sapeva essere al vertice dell'organizzazione, con compiti di grossa responsabilità: un ruolo di direzione teorica". 

"Negri comparve a fare un giro di tutte le strutture dell'organizzazione", continua Ferrandi, "perché c'era da prendere una decisione importante, tale da richiedere che fossero sentiti tutti. I compagni svizzeri avevano raccolto una trentina di milioni che dovevano essere impiegati in una cosa sconcertante per un'organizzazione come la nostra: bisognava, rimborsare la parte civile del carabiniere ucciso". "Arrivò Negri, personalmente, perché la cosa era importante e la decisione delicata, e spiegò che questo poteva servire a far evitare l'ergastolo ai ragazzi, e a a ricucire i rapporti con loro. Tutti si dichiararono d'accordo sulla proposta".

Altro testimone di quegli anni sanguinosanente velleitari, Rocco Ricciardi: "Due compagni ci dissero che la rapina di Argelato fu decisa a Milano dal Negri, in particolare, che allora era il dirigente politico massimo [dell'Autonomia] che c'era in città, e fu fatta in collaborazione tra milanesi, varesini e bolognesi. Ci descrissero come andò, dall'arrivo della pattuglia dei carabinieri al conflitto a fuoco, all'uccisione del sottufficiale, al ferimento dell'altro carabiniere Gennaro Sciarretta col calcio dell'arma, all'inceppamento della pistola, all'arresto del varesino Bruno Valli e al suo suicidio in carcere pochi giorni dopo. Altri compagni del commando furono portati in Svizzera attraverso un valico in montagna clandestinamente, ma furono arrestati dalla polizia svizzera".

I più critici contro gli "avventuristi spontanei" dell'Autonomia operaia di Toni Negri erano proprio i brigatisti rossi. Ecco il drastico giudizio di Alfredo Bonavita, fondatore delle Br: "C'erano questi vecchi leader che mandavano ragazzini a fare le rapine, facendo creder loro che operavano in collegamento con le Brigate Rosse. Quelli che sono stati arrestati dopo Argelato sono davvero divenuti brigatisti: Vicinelli, Bonora, Gavina, Rinaldi, Franciosi e Bartolini. Quando sono arrivati nel carcere di Palmi abbiamo dovuto togliergli Negri dalle mani per evitare che si facessero giustizia dell'inganno subìto. Gli imputavano la responsabilità politica e morale di averli mandati allo sbaraglio. L'iniziativa era stata elaborata come una collaborazione nel reperire soldi per le Brigate Rosse, perché il problema era impiantare la lotta armata e creare una serie di rapporti privilegiati per entrare nelle Br. Ma questi giovani furono bellamente mandati a fare soltanto rapine. C'è stato il morto e sono stati praticamente sconfessati, cioè nessuno li ha coperti. Quindi loro si sono sentiti traditi".

Anche la moglie dello scrittore Vincenzo Consolo, Caterina Pilenga, venne coinvolta nel tentativo di far espatriare i reduci della rapina. Racconta l'autonomo Mauro Borromeo: "Ci dissero che c'erano dei ragazzi nei guai, e che era necessario portarli in Svizzera. In piazza San Marco a Milano incontrammo un ragazzo in piedi fuori da una macchina, la Renault rossa delia Pilenga, che era al posto di guida. Era il ragazzo che dovevo portare a Luino. Non dovevo fargli domande. Si partì verso il lago Maggiore, il ragazzo mi disse che era molto stanco. Arrivati a Luino, di fronte a un bar del lungolago trovai le due donne che erano già arrivate con la loro macchina. Il ragazzo che era con me scese e si unì a loro. Appresi poi dai giornali che in Svizzera, al momento del valico, erano stati arrestati dei giovani coinvolti con i fatti di Argelato». 

Pilenga, dipendente Rai, confessò che la sera del 6 dicembre 1974 ricevette in ufficio una telefonata di Borromeo: "Ci siamo incontrati subito in un bar di piazzale Cadorna, alla stazione Nord di Milano. Mi ha detto che, per ordine del capo, e per capo noi si intendeva Negri, c'erano due ragazzi da aiutare a scappare da Milano e andare in un paese vicino al confine. Dopo un giorno o due mi ha telefonato e mi ha detto che Negri mi aspettava. Sono andata a incontrare Negri in casa di Borromeo, ma  Borromeo non c'era. Mi ha aperto la  porta sua suocera. Sono entrata e Negri mi ha detto che c'era da aiutare questi ragazzi, che dovevo prenderli in via San Marco e portarli a Maccagno".

In seguito anche Fioroni, inquisito a Torino, ebbe bisogno di soldi per espatriare in Svizzera. Ma, fissato un appuntamento con Toni Negri vicino a Santa Maria delle Grazie, nella zona di via Boccaccio dove il filosofo abitava, Fioroni si sentì dire che "per il momento si doveva arrangiare da solo, perché l’azione di autofinanziamento era andata male".

Nel 1975 Franco Franciosi, in attesa dell'estradizione nel carcere di Lugano, confermò a Fioroni che «alla riunione in cui era stata decisa la rapina avevano partecipato, tra gli altri, lui, Negri, Roberto Serafini e il varesino che si era impiccato in carcere; che effettivamente un testimone e precisamente un carabiniere fu stordito con il calcio del mitra perché il caricatore si era esaurito; che si tentò allora di ucciderlo senza però riuscirci, dato che la pistola si era inceppata; che dopo il crimine alcuni dei ragazzi arrestati in Svizzera passarono da Milano, rifugiandosi a casa della Pilenga".

In un incontro dell'Autonomia a Padova nel febbraio 1975, sempre secondo Fioroni, si accennò a errori tecnici gravi commessi "in occasione della rapina, essendo stati mandati allo sbaraglio elementi molto giovani e avendo gestito malamente il modo con cui erano stati fatti espatriare. Le critiche sulla gestione di Argelato investivano principalmente Toni Negri".
Insomma, meglio per tutti che i filosofi non passino mai dalla teoria all'azione. 

Tuesday, July 07, 2020

"Grazianeddu è in Corsica"

"Grazianeddu è in Corsica”

Nei bar della Gallura non si parla d’altro. Nove su dieci stanno per Graziano Mesina, fuggito giovedì dopo la condanna a 30 anni confermata dalla Cassazione

di Mauro Suttora

5 luglio 2020
Huffington Post

“Grazianeddu è in Corsica”. Nei bar della Gallura non si parla d’altro. Nove su dieci stanno per Graziano Mesina, fuggito giovedì dopo la condanna a 30 anni confermata dalla Cassazione.

“Proprio giovedì è successo un fatto stranissimo nel parco marino francese delle isole Cavallo e Lavezzi, fra la Corsica e la Sardegna. Ben tre pescatori di frodo sardi sono entrati contemporaneamente nelle zone vietate, attirando su di sé l’attenzione di tutte le imbarcazioni della Gendarmerie. Uno si è fatto inseguire fino al porto di Santa Teresa, dove le guardie hanno chiesto ai carabinieri di arrestare il pescatore approdato. Ma ormai era troppo tardi, e quello se n’è andato facendosi beffe di tutti”.

In quello stesso pomeriggio la primula rossa di Orgosolo spariva, non presentandosi alla firma giornaliera delle 19 alla stazione dei carabinieri del suo paese, dove per un anno era stato puntualissimo.
La Cassazione ha sentenziato alle 20, due ore dopo i carabinieri non lo hanno più trovato a casa della sorella. La sua avvocata dice di averlo visto l’ultima volta alle 16.
 L’ipotesi è che Mesina in due ore sia arrivato in auto sulla costa nord della Sardegna, fra Santa Teresa, Porto Pozzo e Palau, e abbia preso un gommone per la Corsica.

Quei tre pescatori avrebbero funzionato da esca vivente per distrarre le guardie di frontiera francesi. Mesina non ha documenti, ma i boschi corsi sono fitti e inaccessibili quanto quelli del Supramonte.
“Ha 78 anni, ne ha passati 45 in carcere, lasciatelo stare”, dicono molti suoi corregionali.

Anche Toni Negri fuggì in Corsica dalla Toscana nel 1983, sulla barca a vela di Emma Bonino.

Mauro Suttora

Wednesday, August 17, 2016

Biografia definitiva di Pannella

IL PRIMO AMORE. I RADICALI CHE SCOPAVANO NEI GABINETTI. I LANCIATORI DI MERDA. LA FUGA DI TONI NEGRI. IL LIBERISMO. LE BATTAGLIE ALL'ONU

di Mauro Suttora

Libero, 5 agosto 2016


alcuni estratti dal libro:

Anni ‘30
Sulla spiaggia di Pescara nel 1938 il piccolo Marco Pannella, 8 anni, scopre il razzismo: «Avevo una compagna di giochi, si chiamava Adria. Era il mio primo amore, avevo preso una cotta gigantesca per lei. Ci vedevamo tutti i pomeriggi a giocare. Ma un giorno, d'improvviso, non si vide più. Scomparsa. Era figlia di ebrei, la sua famiglia era scappata a Tangeri. Allora ho capito cosa vuol dire perseguitare le minoranze. Fatterelli, ma dimostrano che vita privata e vita pubblica sono un tutt'uno. È sempre l'esperienza personale che si trasforma in politica».

Anni ‘40
«Un giorno, nel ‘45, ho visto in edicola il quotidiano Risorgimento liberale, organo del Pli. L'ho comprato, mi ha interessato. C’era dentro quel che più amo, la libera discussione intelligente. Da quel giorno ne ho sempre comprato due copie: una per me e una per i miei compagni di scuola, perché la leggessero e ne discutessero, mi portassero le loro obiezioni ed esponessero le loro idee...» È divertente immaginare il Pannella quindicenne impegnato già allora in una missione di proselitismo permanente.

Anni ‘50
Nel 1950 Pannella diventa capo nazionale degli universitari liberali. Augusto Premoli, senatore pli: «Spiccava per gusto della polemica, qualità degli argomenti e, come avrebbe detto Einaudi, per il felice paludamento verbale con cui difendeva le proprie tesi. A queste doti aggiungeva fantasia, fiuto nello stanare e inventare temi che avrebbero fatto presa sull'opinione pubblica, e uno spiccatissimo senso del teatro. Eravamo spettatori non del tutto convinti, ma certo attratti dal livello della recita».

Anni ‘60
Nel 1965-'66 i radicali attraggono gli hippies che seguono la rivoluzione musicale di Dylan, Beatles e Rolling Stones. «Eravamo 70-80 in tutta Italia», racconta Pannella, «quelli delle marce antimilitariste, dei capelloni e delle canzoni pop, delle sedi dove si scopava nei gabinetti, in cui si ciclostilavano i volantini e si preparavano i cartelli-sandwich, in cui già apparivano attivi gli omosessuali, in cui si riunivano anarchici e situazionisti, iraniani e sudvietnamiti, disertori e latitanti, divorzisti e cristiani anticlericali...»

Anni ‘70
Nel 1979 il segretario radicale Jean Fabre e Angiolo Bandinelli, consigliere comunale a Roma, si fanno arrestare per aver fumato uno spinello: chiedono la legalizzazione delle droghe leggere. Poi Fabre viene incarcerato nella sua Francia. «Andiamo tutti a Parigi in corriera per protesta», propone Pannella. Ma la sua idea viene bocciata dai radicali a congresso: è la prima volta che capita. Sdegnato, il leader definisce «lanciatori di merda» gli oppositori. I quali impediscono l'elezione a segretario di Giovanni Negri, un 22enne beniamino di Pannella.


Anni ‘80
Nel 1983 il parlamento dice sì all'arresto del deputato radicale Toni Negri. Il professore scappa in Corsica da Punta Ala sulla barca di Emma Bonino, con l'impegno socratico di tornare per farsi arrestare in grande stile e suscitare così un «caso». Ma a Parigi Negri cambia idea. Pannella lo va a trovare. Litigano. Racconta Negri: «Due giorni di discussione con il Guru. Faticosissimi. Lui, con cinismo avvoltolato in bistecche di sorrisi, mi fa capire che debbo accettare il suo piano: consegnarmi alla polizia». Missione fallita.

Anni ‘90
Nel 1993 sondaggi danno i radicali al quarto posto dopo Dc, Pds e Lega. A Mixer un‘intervista di Giovanni Minoli a Pannella fa il record: otto milioni di spettatori. Tangentopoli procede, con indagini su centinaia di parlamentari. Pannella organizza un convegno apposito contro Eugenio Scalfari: «È un libertino mascherato da tartufo, che con una mano indica il Dio della Democrazia e con l'altra tocca le cosce dell'autoritarismo e della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava».

Anni 0
«Porteremo le gigantografie di Roosevelt e di Milton Friedman». Marco Pannella promette una presenza «non banale» dei radicali alla manifestazione pro-Usa del 10 novembre 2001 a Roma, dopo la strage delle Torri gemelle. «Oppure srotoliamo dal Pincio uno striscione con le bandiere di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e la nostra, quella col viso di Gandhi».
Roosevelt e il capo degli economisti di Chicago non hanno nulla in comune, tranne la nazionalità americana e l’antiproibizionismo: il presidente del New Deal legalizzò gli alcolici, il Nobel liberista voleva liberalizzare anche lo spinello.
Ma i radicali sono i precursori dell’Usa Pride: da 15 anni propugnano istituzioni americane (collegi uninominali), giustizia americana (pubblica accusa distinta dai giudici), economia americana (mercato libero).

Anni 10
La notte del 21 aprile 2014 Pannella, 84 anni, viene ricoverato al policlinico Gemelli di Roma per un aneurisma all’aorta e messo in terapia intensiva. Poi ricomincia uno sciopero della sete contro il sovraffollamento delle carceri e per l’amnistia, che interrompe dopo una telefonata di papa Francesco. Pannella afferma di essere divenuto amico del pontefice argentino, e di ammirarlo.
In estate riprende la protesta nonostante un tumore ai polmoni con metastasi epatica, per cui subisce operazioni e radioterapia. Il 28 luglio si fa fotografare in un ristorante sotto casa mentre mangia un piatto di pasta al pomodoro dopo la prima seduta di chemioterapia. E continua le sue visite nelle prigioni di tutta Italia, anche a Ferragosto, Natale e Capodanno. In autunno viaggia in Niger.
Nascono le sue ultime campagne: per «il passaggio dalla ragion di stato allo stato di diritto», e per il «riconoscimento da parte dell’Onu di un nuovo diritto umano: quello alla conoscenza». 
Mauro Suttora

Wednesday, June 23, 2010

Pensioni d'oro ai parlamentari

DONNE AL LAVORO FINO A 65 ANNI, MA GLI ONOREVOLI INCASSANO LA PENSIONE A 50

A LORO BASTANO 30 MESI DI CONTRIBUTI, INVECE DI 35 ANNI

Alcuni prendono 3 mila euro al mese dopo un giorno solo di presenza. Altri hanno avuto l'assegno a 42 anni. Per senatori e deputati è sempre festa. Camera e Senato ci costano 2,5 miliardi l'anno, di cui 219 milioni per le pensioni degli ex onorevoli

di Mauro Suttora

Oggi, 16 giugno 2010

Non ce la fanno. I nostri governanti ci stanno infliggendo tagli per 25 miliardi di euro. Avevano promesso di sacrificarsi un po' anche loro: diminuire il numero dei parlamentari, abolire le province, abbassarsi il superstipendio da 15 mila netti al mese. Niente. Le province rimangono tutte in piedi. I parlamentari restano 950, per un costo di due miliardi e mezzo annui. E sugli stipendi, mentre gli altri dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro subiscono un prelievo del cinque per cento, e quelli oltre i 150 mila del dieci per cento, loro non hanno ancora deciso nulla.
Il governo non interviene per rispettare la divisione dei poteri: l'esecutivo non può interferire con il legislativo (Parlamento). Dovrebbero essere quindi le Camere stesse ad autoridursi gli stipendi. Buonanotte.

C'è però un aspetto un po' vergognoso in questa manovra: le pensioni. Improvvisamente, le donne del settore pubblico devono lavorare cinque anni in più: smetteranno a 65 anni, e non a 60. Ma in questo campo il confronto con i parlamentari è imbarazzante. Gli ex deputati e senatori, infatti, incassano pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a quasi 10 mila euro lordi al mese. E godono di enormi privilegi: possono riscuoterle con appena due anni e mezzo di «lavoro» (contro i 35 di noi comuni mortali) e a 50 anni di età, se deputati eletti prima del '96, o senatori da prima del 2001. Per gli altri l'età sale a 60 (con almeno due legislature) e a 65 (con una sola legislatura).

203 MILIONI DI BUCO ANNUO

Sono oltre 2.200 gli ex parlamentari a cui lo Stato versa la pensione, più oltre mille assegni di reversibilità ai coniugi dei defunti. Ogni anno costano 219 milioni di euro, a fronte di entrate previdenziali per appena 15,6 milioni. Lo «sbilancio» è notevole: la trattenuta che gli onorevoli in carica devono versare è infatti di appena mille euro al mese. Con questi conti, qualsiasi ente previdenziale sarebbe già fallito. Ma il buco dei parlamentari è ripianato dallo Stato.

Il caso forse più eclatante è quello di Toni Negri, ex capo di Potere operaio condannato a 17 anni per reati di terrorismo. Nel 1983 i radicali lo fecero eleggere deputato per protesta contro i suoi quattro anni di carcere preventivo. Dopo nove sedute, temendo di finire di nuovo in cella, Negri fuggì in Francia. Dal '93, quando ha compiuto 60 anni, riscuote la pensione «minima», che oggi è di 3.108 euro.

Ma almeno Negri ha dovuto aspettare fino a 60 anni. Giuseppe Gambale , invece, è il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e vent'anni di contributi versati, Gambale (ex Rete, oggi Pd) ha lasciato Montecitorio nel 2006 a soli 42 anni, riscuotendo un vitalizio di 8.455 euro al mese. Ai quali ha aggiunto 4 mila euro come assessore comunale a Napoli fino al 2008.

Prima del 1997, bastava essere in carica anche un giorno solo per maturare la pensione, versando cinque anni di contributi volontari. Questo record spetta ai radicali Angelo Pezzana, Piero Craveri, Luca Boneschi e René Andreani, andati in Parlamento soltanto per annunciare la rinuncia all'incarico, ma ai quali vanno egualmente i 3 mila euro mensili. Un'altra radicale, Cicciolina , maturerà la pensione l'anno prossimo, quando compirà 60 anni. Irene Pivetti deve invece aspettare il 2013: a 50 anni, i suoi nove a Montecitorio le frutteranno 6.203 euro mensili. Dal 2000 incassa il vitalizio (ridotto per reversibilità) la vedova di un uomo che non mise mai piede al Senato: Arturo Guatelli infatti subentrò a camere sciolte al senatore Morlino (morto per infarto).

VOLCIC E PAOLO PRODI

Fra i nomi celebri con vitalizio di 3.108 euro ci sono il regista Pasquale Squitieri (senatore An dal '94 al '96), il giornalista tv Demetrio Volcic (senatore Pds dal '97 al 2001) e Paolo Prodi, fratello di Romano, senatore della Rete nel '94 per soli cinque mesi, subentrato al magistrato Carlo Palermo.
A quota 6.200 euro mensili stanno Mauro Fabris (Udeur) e Franco Giordano (ex segretario di Rifondazione comunista) entrambi 50enni nel 2008 quando non furono rieletti; Oliviero Diliberto (segretario Comunisti italiani) e Stefano Boco (Verdi), 52, Gloria Buffo (Sd) 54, Marco Fumagalli (Sd), Maurizio Ronconi (Udc) e Dario Rivolta (FI), 55 anni, nonché i 57enni Salvatore Buglio (Rosa nel pugno), Tana de Zulueta (Verdi), Mauro del Bue (Psi) e Franco Monaco (Pd).

BOSELLI, SGARBI, FOLENA

Antonio Martusciello (Pdl) dal 2008 (aveva 46 anni) intasca 7.959 euro, come Rino Piscitello (Pd), 47, ed Enrico Boselli (ex capo dei socialisti), 51. Vittorio Sgarbi prende 8.455 euro da quando aveva 54 anni, come Marco Taradash (Pdl), 57, e Alfonso Gianni (Rifondazione), 58. Alfonso Pecoraro Scanio, ex capo dei Verdi, è andato in pensione a 49 anni con 8.836 euro, così come Pietro Folena (Pd), 50. Fra i baby-pensionati sotto i 60 anni o a 60 anni appena compiuti, troviamo l'ex magistrato di Mani Pulite Tiziana Parenti, Maura Cossutta (figlia del fondatore dei Comunisti italiani Armando), Anna Donati (Verdi) e Nando dalla Chiesa, (Pd). Poi gli ex senatori Edo Ronchi (Pd), 58 anni, e Willer Bordon, 59. Entrambi avranno, con i riscatti, il massimo del vitalizio senatoriale: 9.604 euro.

C'è infine il privilegio del cumulo pensionistico, che negli ultimi 36 anni è costato agli italiani oltre 5 miliardi di euro. La seconda pensione, cumulabile al 100% con quella di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti i parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperto una posizione previdenziale. Così qualsiasi lavoratore dipendente, una volta eletto, non solo conserva il posto in aspettativa, ma ha diritto anche ai contributi figurativi per la seconda pensione. Basta che paghi il 9% della quota. Il resto, dal 22 al 31%, è versata dagli enti previdenziali.

I NOMI PIÙ PRESTIGIOSI

Tra i beneficiari, i nomi più prestigiosi della politica italiana. Gli ex magistrati Oscar Luigi Scalfaro o Luciano Violante. L' ex governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, l'ex direttore generale Lamberto Dini. E fra gli ex giornalisti Gianfranco Fini, Massimo D'Alema, Maurizio Gasparri, Paolo Bonaiuti, Adolfo Urso, Marco Follini, Clemente Mastella, Walter Veltroni. Quest' ultimo riceve già una terza pensione, quella di eurodeputato: 5.200 euro netti al mese, che devolve in beneficenza.

In nome dei «diritti acquisiti», tutti questi privilegi sono intoccabili? «Neanche per sogno», sostiene Antonio Borghesi, deputato dell' Italia dei valori, «la Corte costituzionale ha stabilito che quelli dei parlamentari sono vitalizi e non pensioni. Quindi, si possono modificare in qualsiasi momento».

Mauro Suttora

Monday, February 25, 2008

I radicali e il Pd

ACCORDO: NOVE PARLAMENTARI E TRE MILIONI DI EURO

di Mauro Suttora

Libero, 22 febbraio 2008

Tre milioni di euro. È l’incredibile cifra che i radicali sono riusciti a strappare a Walter Veltroni in cambio di nulla. Perché se i Democratici non avessero offerto loro nove posti da parlamentare, più questa sontuosa fetta di finanziamento pubblico, i pannelliani sarebbero scomparsi dal parlamento. Impossibile infatti che raggiungano il quattro per cento, quota-ghigliottina per i non apparentati, da soli o magari riesumando la Rosa nel pugno con i socialisti, che due anni fa si fermò mesta al due virgola qualcosa. Oggi i sondaggi unanimi assegnano loro l’uno-due per cento. E nessun altro forno - Berlusconi, Bertinotti - li vuole. Nessuna alternativa, quindi.

Eppure, trattando e lamentandosi, Marco Pannella ed Emma Bonino hanno spuntato condizioni di lusso. Il governo italiano - qualunque governo - dovrebbe nominarli immediatamente plenipotenziari per tutti i negoziati internazionali che aspettano il nostro Paese. Si sono dimostrati più abili di qualsiasi pokerista incallito, trader di Wall Street o vucumprà da spiaggia. Eccezionali.

Pannella, d’altronde, è sempre stato eccezionale. Da quando a quindici anni, nel 1945, comprò la prima copia del giornale di Benedetto Croce, ‘Risorgimento liberale’, e s’innamorò del partito omonimo. Pochi anni dopo lui ed Eugenio Scalfari erano i due galletti più promettenti nel vivaio del Pli. Ma stavano troppo a sinistra per i filo-confindustriali, e allora nel ’55 fondarono il partito radicale. Dopodiché, sono sempre andati a scrocco. Alle politiche si allearono con il Pri, ma presero l’1,4. Nel ’60 si appiccicarono al Psi e andò un po’ meglio: 51 consiglieri comunali radicali eletti in Italia (fra i quali Arnoldo Foà in Campidoglio e Scalfari a Milano, col quadruplo dei voti di un giovane Bettino Craxi).

Poi ci fu un’alleanza a Roma addirittura con i filosovietici dello Psiup: Pannella arrivò terzo ma non fu eletto. La strategia del cuculo funzionò invece nell’89, quando i radicali stabilirono un record mondiale. Riuscirono a candidarsi eurodeputati in ben quattro liste diverse: Pannella con Pri-Pli, Adelaide Aglietta con i verdi, Marco Taradash con gli antiproibizionisti sulla droga. E Giovanni Negri finì nel Psdi, unico non eletto.

Nel ’63 fu il Pci a fare la corte a Pannella, proprio come oggi: Giancarlo Pajetta in persona offrì tre posti da indipendenti di sinistra ai radicali. Ma loro rifiutarono sdegnosamente. Allora se lo potevano permettere, perché nessuno faceva il politico di mestiere: Pannella e Gianfranco Spadaccia erano giornalisti, Angiolo Bandinelli professore, Sergio Stanzani dirigente Iri, Mauro Mellini avvocato.

Oggi, invece, la «baracca» radicale è una piccola multinazionale dei diritti umani con uffici a Bruxelles e New York, una bella sede nel centro di Roma proprio sopra al night Supper club, e un’ottima radio che copre tutta Italia e offre la migliore rassegna stampa ai patiti di politica: quella del direttore Massimo Bordin.

Loro, che si considerano sempre il sale della terra, preferiscono autodefinirsi umilmente “galassia”, e vantano un sacco di associazioni collaterali: da ‘Nessuno tocchi Caino’ che ha appena strappato la moratoria sulle esecuzioni capitali all’Onu alla ‘Luca Coscioni’ che si batte per la libertà della ricerca scientifica e il testamento biologico (caso Welby), dagli ecologisti di ‘Rientro dolce’ agli umanitaristi internazionali di ‘Non c’è pace senza giustizia’.

Il che, molto prosaicamente, vuol dire decine di stipendi che Pannella si trova sul groppone. Ora, grazie a Walter, verranno erogati per altri cinque anni. Quanto a Radio radicale, da decenni riesce nel miracolo di incassare contributi statali sia come organo di partito, sia come emittente super partes delle sedute parlamentari.

Intendiamoci, però: i pannelliani non sono imbroglioni clientelari. La loro radio, per esempio, trasmette con spirito voltairiano convegni e congressi di tutti i partiti. Tanto che, all’ultima assemblea di An, un oratore ha chiesto in extremis la parola a Gianfranco Fini giustificandosi così: «Devo dimostrare a mia moglie in ascolto dalla Sicilia che sono veramente qui».

Nel 1996 fu Berlusconi a trovarsi nei panni di Veltroni. Allora Pannella trattò con lui l’entrata dei radicali nel Polo, chiedendo lo stesso numero di collegi sicuri offerti ai cattolici di Ccd-Cdu. Ma aveva sottovalutato l’abilità di Casini, Mastella e Buttiglione, che alla fine spuntarono cento posti contro i 43 offerti ai radicali. «Non entrerò più nel suk di via dell’Anima!», tuonò Marco, che si vendicò presentando candidati autonomi. Un disastro: nessun deputato, e solo un senatore eletto in Sicilia (Piero Milio) grazie a una desistenza concordata in extremis.

Ammaestrato da quella esperienza, che tenne i radicali fuori da Montecitorio per un decennio, questa volta Pannellik ha bluffato solo fino all’ultimo secondo. Poi i suoi fidatissimi Rita Bernardini e Marco Cappato hanno acchiappato al volo quel che offriva Goffredo Bettini, il generoso (o sprovveduto?) luogotenente di Veltroni, probabilmente anche lui succube del fascino di SuperMarco fin dal ’93, quando assieme architettarono la prima sindacatura romana vincente di Francesco Rutelli.

Chi saranno adesso i nove radicali nel partito democratico? Pro forma è stato convocato un comitato nazionale radicale per il weekend. Però come sempre deciderà Pannella, gran libertario fuori ma leninista all’interno del suo partitino. I due giovani radicali più brillanti, quelli della svolta liberista degli anni Novanta che fruttò l’exploit dell’otto per cento alla lista Bonino nel ’99 (con punte del 15% in alcune città del nord), se ne sono andati con Berlusconi. Benedetto Della Vedova è riuscito a mantenere rapporti cordiali con Marco, mentre con Daniele Capezzone si è passati direttamente dall’amore all’odio. Eppure Pannella è spesso generoso con i suoi. A volte quasi scialacquatore. Due anni fa, per esempio, regalò due seggi che spettavano ai radicali (nell’alleanza con i socialisti) agli ex comunisti Lanfranco Turci e Salvatore Buglio - quest’ultimo unico ex operaio eletto alla Camera.

Molti sono gli ex portaborse radicali che devono essere sistemati. (La definizione non suoni insulto: chi ha portato la borsa a Pannella è destinato a carriere mirabolanti, come Elio Vito in Forza Italia e lo stesso Rutelli). Non ci saranno quindi esterni di lusso, come Leonardo Sciascia, Enzo Tortora o Domenico Modugno. E neanche scandali viventi come Toni Negri o Cicciolina.

Bandinelli, possibile senatore, ha 80 anni come Ciriaco De Mita, ma Veltroni ha un debole per lui: sedettero assieme nel consiglio comunale a Roma di Luigi Petroselli negli anni ’70 (prima carica di Walter). Oggi Bandinelli è un po’ imbarazzato, perché dopo avere scritto sul mitico ‘Mondo’ di Mario Pannunzio negli anni ’50 e ’60 è approdato al ‘Foglio’. Ma la svolta clericale di Giuliano Ferrara lo ha spiazzato, anche se conserva la sua column settimanale in nome della “dissenting opinion”.

Quanto a Pannella, a 78 anni non è un mistero che ambisca a un posto da senatore. A vita, però. Prima o poi, c’è da scommetterlo, riuscirà ad ammaliare anche qualche presidente della Repubblica, che sarà costretto a nominarlo dopo uno sciopero della fame o della sete. Per evitare un’altra bevuta di pipì, come quella che l’incorreggibile inflisse al povero Carlo Azeglio Ciampi nel 2002.

Mauro Suttora