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Wednesday, December 14, 2022

Nel magico mondo europeo, dove riuscire a farsi eleggere deputato è un affarone



Quanto è generoso il carrozzone dell'Ue. Per cinque anni, garantiti, senza rischio di interruzione

di Mauro Suttora

HuffPost.it, 14 dicembre 2022


Nel magico mondo dell'Ue, riuscire a farsi eleggere eurodeputato rappresenta un affare da due milioni e mezzo. In cinque anni, garantiti, senza rischio di interruzione per elezioni anticipate. Ogni europarlamentare, infatti, percepisce 6.300 euro al mese di stipendio netto (8.000 lordi, aliquota agevolata), più 4.300 di spese generali, più un’indennità di 300 euro per ogni giorno di presenza. Basta firmare, anche alle 8 del mattino (e poi andarsene) o alle 10 di sera (appena arrivati), per far scattare la giornata. Come un qualsiasi furbetto del cartellino. Quindi molti arrivano il lunedì sera a Bruxelles o Strasburgo, e ripartono per casa al venerdì mattina. Tre giorni pieni posson bastare, se sembrano cinque. E si lavora solo tre settimane al mese. Perciò, totale diaria (300 euro per 15 giorni): 1500 euro.

Poi ci sono i cosiddetti fondi 400, che vengono dati ai gruppi parlamentari: 2.630 euro mensili. I viaggi da e per casa in classe business sono rimborsati integralmente. Oltre a questi, vengono erogati 350 euro al mese di rimborso per viaggi al di fuori dello Stato di elezione, per motivi diversi dalle riunioni ufficiali. Così si arriva a un totale netto mensile di 18mila euro. 

Ma gli eurodeputati hanno diritto anche a 21.200 euro per pagare portaborse. Al massimo tre a Bruxelles, e quanti vogliono nel proprio collegio. Un grillino, Ignazio Corrao (ora passato ai verdi), nel 2014 aveva battuto ogni record: ne aveva assunti undici, creandosi benemerenze nel suo territorio. 

Quanto siano importanti gli assistenti dei deputati lo sta dimostrando in questi giorni lo scandalo Qatargate. Sono spesso più competenti degli eletti (soprattutto di quelli digiuni in inglese o francese) nel districarsi fra burocrazia e regolamenti Ue. Passano da un europarlamentare all'altro finché riescono a "stabilizzarsi" facendosi assumere dai gruppi o dal Parlamento. 

 Dopo gli scandali dei parenti assunti come portaborse (ricordate il Trota figlio di Umberto Bossi?), il malcostume è stato vietato. Risultato: il fidanzato della figlia di un'eurodeputata italiana di destra ha dovuto aspettare anni prima di sposarla. Ha assistito la futura suocera fino a fine mandato.

 Poi ci sono le pubbliche relazioni. Ogni deputato può invitare a Bruxelles 110 visitatori all’anno, in gruppi di almeno dieci. Agli ospiti vengono rimborsati viaggi (nove cent a km, quindi dall’Italia da 180 a 360 euro), pasti (40 euro) e hotel (60 euro). In media, 540 euro a testa. Totale mensile per i nostri rappresentanti in Europa: 44.280 euro. Mezzo milione all’anno, da moltiplicare per i cinque anni della legislatura. Più i fringe benefit: limousine da e per l’aeroporto di Strasburgo, palestra di 2.150 mq con piscina, sauna, solarium, corsi di yoga, body sculpt, kick boxing, zumba.

 Poi ci sono i costi generali. L’Europarlamento ha un costo annuo di 1,75 miliardi. Diviso 751 deputati, fanno 2,3 milioni a testa. Le pensioni sono generose: a partire dai 63 anni garantiscono 1.400 euro per ogni mandato, fino ai 5.650 dai vent’anni in poi. Infine, ecco le indennità per i trombati: un mese di stipendio per ogni anno di servizio a chi non viene rieletto. Un’eurodeputata di An nel 2014 ottenne 190mila euro dopo 25 anni. Per "reinserirsi".

 Anche il personale del Parlamento europeo è superpagato: uscieri e segretarie 4-6mila euro netti, traduttori 6-9mila, dirigenti fino a 16mila mensili. Al di là delle contrapposizioni, tutti i partiti accettano i privilegi dell’Europarlamento. Anche i grillini, dopo essersi fatti eleggere per combattere i privilegi della casta, rinunciano a soli mille euro mensili. 

Wednesday, May 07, 2014

Eurodeputati: bilancio 2009-2014

Strasburgo (Francia), 15 aprile 2014

dall'inviato Mauro Suttora

Ultima seduta dell’Europarlamento nato nel 2009. È la settimana santa,  e i 766 deputati si affannano nelle   votazioni in extremis. Possono parlare al massimo un minuto ciascuno. È una catena di montaggio.

Tempo di bilanci. Lo facciamo anche noi, con i cinque parlamentari che avevamo «adottato» cinque anni fa. Chiedevamo loro innanzitutto una presenza costante a Bruxelles. I risultati sono nella pagina seguente.

Ottimo il leghista Lorenzo Fontana (95%), buoni gli altri. Ultima Francesca Balzani (Pd), al 71%, perché nell’ultimo anno è stata anche assessore comunale al Bilancio a Milano (in pratica la numero due del sindaco Giuliano Pisapia). Non si ripresenta alle elezioni del 25 maggio.

La produttività dei deputati, però, si misura anche con il numero di interrogazioni, mozioni, rapporti e interventi. Non solo in aula, ma anche nelle commissioni. E nelle riunioni dei partiti di appartenenza.
 
«È lì che si svolge il vero lavoro, spesso oscuro», spiega Licia Ronzulli (Forza Italia). 
«Senza un’assidua presenza in commissione, non avrei potuto raggiungere buoni risultati», conferma Niccolò Rinaldi. Che, eletto con l’Idv di Antonio Di Pietro, è stato anche vicepresidente dell’Alde (Alleanza liberal-democratici per l’Europa), terzo partito dopo i popolari/conservatori e i socialisti.

Fontana, per il sito mep ranking, è primo nel totale delle attività. Seconda Ronzulli, terzo Rinaldi. In coda Balzani e Magdi Allam. Quest’ultimo, eletto con l’Udc, ha poi fondato un suo partito personale (Amo l’Italia), e ora si presenta con Fratelli d’Italia nella circoscrizione Nordest.
 
Gli eurodeputati devono mantenere il contatto con i propri elettori. «Ogni anno ho visitato almeno due volte ognuna delle 22 province dell’Italia centrale», dice Rinaldi, «e ho organizzato 28 corsi gratuiti di formazione per l’accesso ai fondi europei. Ogni mese pubblico una newsletter con tutti i bandi in scadenza per i fondi europei diretti, da richiedere alla Ue, o indiretti, attraverso le quattro regioni del mio collegio: Umbria Lazio, Toscana e Marche. A Bruxelles ho organizzato sei corsi di formazione per amministratori e rappresentanti della società civile (disabili, insegnanti, volontari) per scambi di buone pratiche europee».

«Anch’io ho fatto conferenze per spiegare l’Europa e le sue grandi opportunità ai cittadini, avvicinandoli a una realtà troppo spesso vista come lontana ed astratta», aggiunge la Ronzulli.

Quanto a Fontana, proprio nel giorno in cui siamo a Strasburgo riceve un gruppo di elettori leghisti. Ogni deputato infatti ha diritto a invitare 110 persone l’anno, con viaggio rimborsato (260 euro un Roma-Bruxelles).
    
Passiamo a un argomento delicato: le lingue. È risaputo che gli eurodeputati italiani non brillano per conoscenza dell’inglese, lingua ormai indispensabile all’Europarlamento. Ha superato il francese dopo l’entrata nella Ue dei Paesi dell’Est, tutti anglofoni tranne la Romania.

Tutto da tradurre in 23 lingue

Rinaldi vola alto: «Parlo correntemente inglese, francese, spagnolo, portoghese. E sto imparando l’arabo». Ronzulli: «Sapevo già il francese, e in questi cinque anni ho frequentato corsi per migliorare l’inglese».

È vero che ogni documento dev’essere tradotto nelle ben 23 lingue dell’Europa-Babele, e che ogni intervento pronunciato in aula viene interpretato simultaneamente. Ma i veri contatti sono personali, e diversi deputati italiani hanno addirittura gettato la spugna dimettendosi, perché si sentivano tagliati fuori.

Una fonte di scandalo sono i portaborse. Ogni eletto ha diritto a ben 25mila euro lordi mensili per assumere quanti assistenti vuole. Tre al massimo a Bruxelles, gli altri nel proprio collegio. È vietato imbarcare parenti, ma i furbi lo fanno fare ai colleghi delle stesso gruppo.

«Pubblico tre volte l’anno bandi pubblici per tirocini nel mio ufficio, e poi l’esito della selezione», dice Rinaldi. «Idem per gli assistenti: ho fatto sessanta interviste».
Ronzulli: «Ho scelto collaboratori non per amicizia, ma perché competenti sul  funzionamento delle istituzioni europee».

E la doppia sede dell’Europarlamento? Mantenere i palazzi di Bruxelles (sede principale) e Strasburgo (una settimana al mese) costa 1,7 miliardi l’anno. Si risparmierebbero 200 milioni unificando.

«La decisione purtroppo dipende dai governi e non dal Parlamento, che anzi deve subirla», spiega Rinaldi. Aggiunge Ronzulli: «Quante risoluzioni abbiamo approvato per ottenere un’unica sede! È uno spreco intollerabile». Ma finché la Francia resisterà, Strasburgo rimarrà.

Si prevede una ventata antieuropeista al voto del 25 maggio. Il leghista Fontana è contro l’euro. Allam vuole un’Europa che difenda l’identità cristiana nei confronti degli immigrati, soprattutto quelli islamici. «Stati Uniti d’Europa», propongono invece Rinaldi e Ronzulli, «con un’unica politica estera e di difesa».
Mauro Suttora

Wednesday, April 29, 2009

L'Eurocasta lavora 33 giorni all'anno

dal nostro inviato a Strasburgo (Europa)

Mauro Suttora

Oggi, 29 aprile 2009

In Francia il presidente Nicolas Sarkozy ha abolito la settimana lavorativa di 35 ore. Il Parlamento europeo, invece, quest’anno ha introdotto una novità mondiale: l’anno lavorativo di 33 giorni. Ai 785 eurodeputati, pagati 30mila euro mensili, basta volare a Bruxelles o a Strasburgo una volta al mese, starci due-tre giorni, ed è fatta.

Certo, ci sono anche le mezze giornate, come si vede nella tabella. Lunedì 4 maggio, per esempio, la seduta comincia alle 17 e va avanti fino a mezzanotte. Ma in realtà è una giornata libera: basta che l’eurodeputato prenda un aereo dal suo Paese verso le nove di sera, atterri a Strasburgo alle undici e vada subito a firmare il registro presenze. Così non perde la diaria di 300 euro al giorno. Idem per le mezze giornate al mattino: non è tanto importante l’orario di chiusura, le 13, quanto quello di inizio seduta: le nove. Anche lì, una capatina in sala, firmetta, e poi via verso l’aeroporto.

Il 2009 è un anno particolare, è vero: il 7 giugno si vota, quindi salta la sessione di quel mese. Risultato: ferie extralunghe, dall’8 maggio al 14 settembre. Ai nuovi eletti basterà andare tre giorni a Bruxelles a metà luglio per acclimatarsi.

L’eurodeputato radicale Marco Cappato ha chiesto che il Parlamento renda noti i dati di presenza dei suoi membri, in vista delle elezioni: unica occasione in cui possiamo giudicare i nostri rappresentanti. Niente da fare, il presidente ha opposto questioni di privacy. Allora i radicali hanno fatto da soli, e hanno compilato la classifica dei più assidui e degli assenteisti (pubblichiamo i dieci italiani migliori e peggiori nella pagina seguente). Attenzione, però: hanno calcolato non solo le riunioni plenarie, dove come abbiamo visto il giochetto è facile, ma anche altri indici di «produttività»: la partecipazione alle commissioni, il numero di rapporti scritti, di interrogazioni, di interventi in aula. I risultati sono imbarazzanti.

«Il problema degli eletti italiani è che non sanno le lingue», ci dice una dirigente dell’Europarlamento, ai piani alti della Torre di Strasburgo. Anonima, altrimenti addio carriera. La maggioranza assoluta dei nostri eurodeputati non parla bene l’inglese, o almeno il francese. «E questo è grave non tanto per le riunioni d’aula, dove è assicurata la traduzione simultanea, quanto per tutti i contatti di corridoio con i colleghi delle altre nazioni, che rappresentano il vero lavoro utile da svolgere a Bruxelles».

Infatti, da un punto di vista concreto l’Europarlamento serve a poco. E’ un organo consultivo, non decide quasi niente da solo. Non nomina governi, non toglie la fiducia, tutte le leggi (direttive) devono essere «codecise» assieme ai burocrati della Commissione. Alla fine chi comanda veramente non sono né il Parlamento né la Commissione, ma il Consiglio, composto dai ministri dei 27 stati membri. «E neanche loro hanno l’ultima parola, perché poi ciascuno stato è libero di mettere il veto, o di non applicare una norma».

Insomma, quello che voteremo fra un mese è un enorme, simpatico e costosissimo ente inutile che serve soprattutto per far socializzare centinaia di giovani portaborse multietnici (dalla Lettonia a Malta, dall’Irlanda a Cipro): sono loro a effettuare il vero lavoro, per l’eurodeputato di cui sono «assistenti». Il quale è libero di decidere quanto pagarli. Dispone di 17.500 euro al mese: può darli tutti a uno solo (magari parente o amante), oppure assumerne 17 a mille euro ciascuno. Può tenerli al Parlamento oppure nel proprio collegio elettorale.

Nella Babele di Strasburgo si parlano 22 lingue. Quindi, in teoria, il numero di interpreti è di 22 al quadrato, perché ciascuna lingua dovrebbe essere tradotta in ogni altra. Impresa impossibile. assorbirebbe tutto il bilancio dell’Unione. «Ci sono quindi le lingue-ponte», spiega la dirigente, «per esempio un interprete dall’estone all’inglese, e subito dopo un altro dall’inglese all’italiano».
Il risultato è comico. Se qualcuno fa una battuta, un terzo della sala ride subito, un terzo dopo dieci secondi, e gli altri dopo venti. Sempre che capiscano qualcosa, perché si calcola che ad ogni traduzione si perda in media il 30 per cento del significato.

«Gli irlandesi hanno preteso che il gaelico diventasse lingua ufficiale, anche se neppure loro lo parlano. E così i maltesi». Ora si aspettano il croato, il serbo, l’albanese, il norvegese, l’islandese, l’ucraino e il turco. Si spera invano che i moldavi accettino il rumeno.

L’altro grande spreco dell’Europarlamento sono le tre sedi: Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo Grandi traslochi di migliaia di persone e casse ogni mese. Costano 120 milioni di euro all’anno in più, calcolano i radicali. Di più, secondo i verdi. 200 milioni Dieci anni fa sia il Belgio sia la Francia, per paura di perderlo, hanno costruito un nuovo palazzo. Tutto è doppio.

Fino al ’99 Strasburgo usava le sale del Consiglio d’Europa: un altro ente diventato inutile dieci anni prima, col crollo del Muro di Berlino e l’entrata dei Paesi dell’Est nell’Unione. Ora i due palazzi troneggiano uno accanto all’altro, desolatamente vuoti per quaranta settimane all’anno.

Questa è la vita dell’eurodeputato. Pagatissima, undici mesi di ferie annui. Ma frustrante.

Mauro Suttora

Friday, October 10, 2008

Consiglio d'Europa: giustizia lenta

Processi: siamo i peggiori d'Europa

In Italia cinque milioni di giudizi aperti, cinquecento giorni per una sentenza e il record di avvocati per abitante

Libero, 10 ottobre 2008

di Mauro Suttora

Per fortuna il Consiglio d’Europa pubblica il suo Rapporto sull’efficienza della giustizia soltanto ogni quattro anni, perché ogni volta per l’Italia sono dolori. Il disastro sta tutto in tre numeri. Il primo, tre milioni e 688 mila, è la quantità delle cause civili pendenti. Il secondo è l’arretrato dei processi penali: un milione e 200 mila. Il terzo è il tempo che occorre in media per ottenere giustizia: 507 giorni prima di una sentenza civile di primo grado. I dati risalgono al primo gennaio 2007. Da allora sono peggiorati.

Il dramma è che siamo di gran lunga soli al comando in tutte queste classifiche. Sui 47 Stati che compongono il Consiglio d’Europa (compresi Azerbaigian e Georgia), nessuno riesce a far peggio. Anzi, per la verità sì: in Bosnia il processo civile dura 701 giorni, e in Croazia un mese più che in Italia. Ma il confronto con l’Europa anche balcanica è impietoso.
Lasciamo perdere gli inarrivabili scandinavi, con arretrati di appena settemila processi in Norvegia e 17 mila in Svezia. La Francia, seconda in classifica e con gli stessi nostri abitanti, ha un milione di cause pendenti: un terzo dell’Italia. La Germania mezzo milione, e 287 mila sono i suoi processi penali (meno di un quarto). Ma tutti, proprio tutti, ci surclassano: dalla Spagna alla Turchia, dalla Polonia alla Russia (25 giorni per una sentenza a Mosca).

Di chi è la colpa? L’unico innocente è forse l’attuale massimo responsabile del carrozzone Giustizia, il ministro Angelino Alfano, da troppo poco in carica: cinque mesi. La sua riforma è passata alla Camera, ora è al Senato. Semplificherà e velocizzerà, ferie estive ridotte da 45 a trenta giorni, una trentina di riti aboliti, aumentate le cause smaltite dai giudici di pace.

Intanto, però, prendiamocela anche con noi stessi. Siamo i più litigiosamente incontinenti del continente: quasi tre milioni di nuove cause all’anno, e quindi un arretrato che aumenta di 200 mila ogni dodici mesi. Vantiamo il record degli avvocati, 290 ogni centomila abitanti. Ci superano solo i greci che però ne contano dodici per ogni giudice, mentre noi ne abbiamo più del doppio. I Paesi normali come la Francia hanno sette avvocati per giudice, sei Germania e Svizzera, tre Svezia e Inghilterra. A Londra gli azzeccagarbugli sono quattordici volte meno dei nostri, a Parigi un quarto, a Berlino la metà: «Causa che pende, causa che rende».

Dobbiamo fare di necessità virtù, cosicché svettiamo nella graduatoria del minor numero di divorzi contenziosii: appena 34 ogni centomila abitanti, contro 90 dei secondi classificati Portogallo e Austria, 127 in Spagna, 170 in Francia, 285 in Svezia e addirittura 368 in Lettonia.

I nostri divorziandi si vogliono ancora bene, ed evitano quindi di litigare? Macchè. Il problema è che la durata media di una nostra causa di divorzio è di ben 634 giorni, quasi due anni. E quindi tutti cercano la consensuale: ci si mette d’accordo prima, i giudici servono solo per il timbro. Nella libertina Olanda invece basta aspettare 25 giorni. Ma non è questione di religione, perché la cattolicissima Lituania scioglie i matrimoni in 39 giorni. Tre mesi ci mettono i danesi, cinque i turchi.

Siamo indietro con i computer, spendiamo solo l’1,7 del bilancio giustizia, contro l’otto dell’Irlanda, il sei dell’Austria e il 2,2 della Germania. In compenso, il 69% va in stipendi di magistrati e cancellieri, contro il 57% in Germania, il 47 in Francia, il 45 in Irlanda.

Sulle retribuzioni dei nostri magistrati nel rapporto di Strasburgo c’è un piccolo trucco. Vengono indicate solo quelle degli appena assunti (37 mila euro annui) e i massimi, da giudici di cassazione (seimila netti al mese). Dimenticando che appena tre anni dopo il concorso i magistrati incassano 3.200 mensili, che dopo tredici anni tutti, bravi e asini, scattano automaticamente a 4.500, che per il massimo di seimila bastano vent’anni d’anzianità. Che i giudici amministrativi ci arrivano già dopo otto anni. E che le indennità per le «sedi disagiate» al Sud, in discussione proprio in questi giorni, ammontano a ulteriori 45 mila euro annui, più undicimila per il trasloco.
Intanto, però, in certi uffici mancano perfino i soldi per i toner delle stampanti.

Chiunque di noi, d’altronde, entrando in un qualsiasi tribunale, ha la sensazione di tornare non al secolo scorso, ma a due secoli fa. Come nell’Ottocento, infatti, i fascicoli vengono accatastati nelle cancellerie, l’informatizzazione è un sogno, e gli avvocati civilisti sono costretti a scrivere da soli i verbali, con la penna. A volte la biro sostituisce la stilografica. Ma non sempre…

Mauro Suttora