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Saturday, October 21, 2006

Tutti i culi di Manhattan

per gentile concessione dell’autore, ecco un capitolo del libro No Sex in the City di Mauro Suttora (Cairo editore, 2006)

16/ CATALOGO DEI CULI DI MANHATTAN

Il filosofo italiano Massimo Fini, nel suo impareggiabile ‘Di(zion)ario Erotico’ (edizioni Marsilio, 2000), ha compilato l’elenco di una quindicina di tipi differenti di sedere. Secondo lui, possiamo capire la personalità di una persona semplicemente osservando il suo gluteo. Questo libro prezioso è stato pubblicato due anni prima del manifesto dell’era Bush (‘Paradiso e Potere’), la bibbia neocon in cui Robert Kagan afferma che gli europei proverrebbero da Venere, pianeta dell’amore, mentre gli americani da Marte, sfortunato pianeta freddo e da sempre simbolo del militarismo.

Fini nota un’altra differenza fra i due continenti: “Gli uomini, com’è noto, si dividono in due categorie: quelli che preferiscono il seno (bosomen) e quelli che preferiscono il culo (bottomen). I primi appartengono, in genere, a culture rozze, poco smaliziate, infantilmente pragmatiste, primitive, matriarcali, fortemente legate all’immagine della donna-madre e comunque troppo giovani per avere avuto il tempo di sviluppare adeguate attitudini speculative. Bosomen sono, per esempio, gli americani. L’Europa, culla della civiltà, è invece bottomen. Venere Callipigia (da kalos, bello + pyge, sedere) nacque in Grecia, nella prima metà del V secolo avanti Cristo, insieme alla grande filosofìa e alle matematiche. E ‘pour cause’. Perché il culo è innanzitutto una categoria metafisica”.

Con l’aiuto del libro di Fini, ho cercato di tracciare una mappa dei vari tipi di posteriore, prevalenti in ciascun quartiere di Manhattan. Abbiamo innanzitutto il sedere dell’Upper East Side, che conosco benissimo perchè è quello di Marsha: diffidente e avaro, con chiappe strette come hanno, in genere, i toscani. Quello dell’East Village (artisti poveri), al contrario, è fiducioso e pieno di speranza: tondo, grasso e a natiche leggermente dischiuse.
Il culo di Midtown, zona di business, è aggressivo: sodo e massiccio come una catena montuosa. Attorno all’Onu, fra Beekman Place e Tudor City, si rinviene un culo volitivo (piccolo e muscoloso): appartiene ai funzionari delle Nazioni Unite, ma anche ai diplomatici accreditati e alle loro spose.

Quello della Upper West Side, fra Central Park e il fiume Hudson, è un fondoschiena intellettuale, quindi colloquiale: elastico e malleabile. Dall’altra parte del parco, quello di Carnegie Hill (dov’è la residenza del sindaco Michael Bloomberg) è invece nobile: alto, lungo e appena rilevato. 
I culi popolari, bassi e larghi, sono purtroppo rari a Manhattan (affollano invece Brooklyn e Bronx), ma se ne rinvengono ancora nella Lower East Side.

Attorno al municipio (City Hall) predomina inevitabilmente il gluteo burocratico, grasso e informe, mentre quello proletario, largo ma alto, è tipico di Washington Heights. Il culo di tipo militare, stretto e muscoloso, si può trovare attorno a Park Avenue, dove sopravvivono sia una caserma di artiglieria che qualche raro esemplare di bushiano pro-guerra.

Wall Street offre sederi meschini e timorosi (magri ma non ossuti), mentre nella zona senza identità di Hell’s Kitchen e Columbus Circle dominano quelli indifferenti, piccoli e raccolti. Le chiappe del Greenwich Village sono ridanciane (larghe e piatte), però andando verso il West Village diventano più impertinenti: tonde, a scalino e sussultorie.

Infine, c’è quello che Massimo Fini descrive come “culo remissivo”, al quale non ho trovato una particolare associazione geografica: è sparso un po’ dovunque. “Ha due tenere pieghe fra la natica e l’attaccatura della gamba, ed è tondo senza essere eccessivo”, spiega Fini. “Questo è il vero culo. Il culo dei culi. Perché possiede, al massimo grado, le due caratteristiche che, pur variamente mascherate, sono proprie di ogni culo: l’essere indifeso e ridicolo («L’ilare impotenza del deretano» la chiama Sartre che se ne intende). Il culo infatti è impotente. Perché, come Polifemo, è cieco nonostante possegga un occhio. E in condizione di palese inferiorità: non può guardare ma solo essere guardato.”

New York è la capitale mondiale di molte cose, e anche dell’S&M. All’inizio non capivo, pensavo egocentrico che si trattasse solo delle mie iniziali invertite. Poi ho scoperto che questa città pullula di sado&maso, con tanto di fruste e “dominatrix” (le signore che eccitano i maschi sculacciandoli e camminando sopra di loro con tacchi a punta).

Massimo Fini ci rivela perchè è proprio il sedere la parte del corpo che attira la maggiore attenzione da parte dei sadici: “È la perfezione ad accendere il desiderio della profanazione. Solo ciò che è perfetto merita di essere sconciato, sciupato, oltraggiato, vilipeso e quindi, alla fine, reso imperfetto. (…) Il seno si accarezza, si vezzeggia, si mordicchia affettuosamente. Per consolarlo della sua pochezza, di essere solo un seno. Nella perfezione del culo c’è invece un orgoglio luciferino che va abbattuto e degradato”.

E’ lo stesso motivo, a pensarci bene, per cui gli Stati Uniti stanno attirando su di sè tanta antipatia nel mondo. Troppo ricchi, con l’economia che continua a crescere del quattro per cento, sempre attraenti per milioni di immigrati speranzosi da tutto il pianeta, mentre la vecchia Europa è in affanno.

Troppo orgogliosi, con tutte le loro bandiere a stelle e a strisce che sventolano dappertutto. Troppo perfetti, e posseduti per di più dalla nuova mania neocon, letteralmente “evangelica”, di esportare la “buona novella” della democrazia nel resto del pianeta. Questo parallelo fra culo e neocon sembra ardito e balzano? La psicologia popolare ha le sue verità…

In ogni caso, la parola ‘culo’ sta diventando sempre più importante negli Stati Uniti. E non solo perchè l’insulto classico è e rimane ‘Asshole’ (buco di culo). Ormai il deretano viene ampiamente usato come sinonimo onnicomprensivo di “piacere”: può significare in senso lato sesso, avventure, eccitazione, ragazze, ragazzi, sveltine, flirt.

“Let’s grab some ass tonight!”, “Prendiamoci un po’ di culo stasera!” è la singola frase più utilizzata attualmente nelle università statunitensi. Lo conferma il libro Sono Charlotte Simpson di Tom Wolfe, affresco della vita nei college undergraduate Usa (primi quattro anni): dove oggi si fa di tutto – sport, drogarsi, ubriacarsi, scopare – tranne che studiare.
Mauro Suttora

Saturday, April 24, 2004

Il neocon Kagan fa marcia indietro

Foglio, sabato 24 aprile 2004 - prima pagina

SAPER FARE LE ALLEANZE

Il Foglio, 24 aprile 2004

di Mauro Suttora

Ora il neocon Kagan dice che Rumsfeld se ne deve andare, e che Bush sa affrontare i nemici ma non gli amici

New York. Robert Kagan, 46 anni, autore del manifesto neocon "Paradiso e potere", ribadisce la sua richiesta: "Donald Rumsfeld se ne deve andare". Ma accanto al segretario della Difesa mette pure il segretario di Stato: "Dopo l'uscita del libro di Bob Woodward anche la posizione di Colin Powell è diventata insostenibile".

Gran folla l'altra sera alla Japan Society per un dibattito fra le due K più prestigiose nella politica estera americana: Kagan e il clintoniano Charles Kupchan, autore nel 2002 di "The End o f the American Era".

"È vero", ammette subito Kagan, "Bush non sta facendo un buon lavoro in Iraq. È stato bravo nell'affermare il diritto alla difesa preventiva, nel sollecitare la riforma del mondo arabo e nell'affrontare con realismo la questione palestinese. Ma non riesce a gestire bene il nuovo mondo unipolare, una situazione confusa e senza precedenti dai tempi dell'impero romano. Occorre coltivare le alleanze, anche con accordi e compromessi, perchè la questione della legittimità conta molto in politica estera: è importante ciò che il mondo pensa di noi, non possiamo ignorarlo.  Dobbiamo riconciliare il nostro potere con l'ordine internazionale, per riassicurare coloro che normalmente starebbero dalla nostra parte".

Parole di moderazione sorprendenti in bocca a un neocon, ma anche Kagan deve fare i conti con gli scricchiolii della Coalizione dei volenterosi: dopo la Spagna, anche la Polonia si è messa a borbottare. "Gli europei comunque non si illudano", avverte, "anche con un eventuale presidente Kerry non sarà automatico trovare un accordo. Ormai fra Europa e America c'è una grande divisione. E prima o poi ci ritroveremo davanti i problemi di Iran e Corea del Nord: rimandarli non significa risolverli. Chi oggi tanto invoca Onu e Consiglio di sicurezza sa bene che questi organismi non hanno mai funzionato. Insomma, si accusa l'amministrazione Bush di aver distrutto una trama di relazioni internazionali che in realtà non era stata mai tessuta, a cominciare dall'intervento in Kosovo non autorizzato dall'Onu".

"Il più grosso equivoco nel quale si cullano gli europei", dice Kagan, "è che la politica estera americana sia improvvisamente caduta in mano a un gruppetto di estremisti. In realtà il desiderio di cacciare Saddam è enormemente condiviso, è sempre esistito un consenso bipartisan su questo. E non c'è voluto l'11 settembre per convincerci. Andate a rileggervi i discorsi di Clinton dal '97 al '99: avrebbe potuto pronunciarli chiunque, nell'attuale amministrazione. E' inutile domandarsi chi scatena le guerre, perchè la risposta non è mai univoca. Chi provocò la guerra contro la Spagna del 1898, per esempio? Teddy Roosevelt, William Randolph Hearst? No, tutti gli Stati Uniti la volevano, non era solo l'isteria di qualcuno, e il presidente William McKinley era popolarissimo. Stesso discorso su Pearl Harbor o il Vietnam, che non fu certo un'avventura solitaria di Robert McNamara".

"Quella del Kosovo fu una guerra illegale ma legittima, questa in Iraq è legale ma illegittima", ribatte Kupchan, "e mi spiego: avrei voluto che l'asticella del livello di pericolo necessario per attaccare preventivamente l'Iraq fosse messa più in alto. La minaccia non era così imminente. Insomma, il concetto di guerra preventiva è giusto, ma è stato sbagliato inaugurarlo con l'Iraq, discreditandolo. Ci siamo bruciati le dita, e ora sarebbe molto più difficile attaccare, che so, la Corea del Nord. Gli Stati Uniti non sono più visti come la soluzione ma come il problema, perchè l'unipolarismo funziona solo se il polo unico è considerato legittimo. La nostra arma principale non sono le  portaerei o gli aerei F16, ma il prestigio. Non è vero che è meglio essere temuti che amati".

Anche Kupchan converge al centro e ammette: "Bush ha fatto cose buone, per esempio l'antiterrorismo non militare: è notevole che da due anni e mezzo non ci siano attentati negli Stati Uniti, anche se prima o poi mi sembra inevitabile che qualcosa accada. Un altro punto su cui Bush ha ragione è che l'Onu limita il nostro potere. È vero, ma è esattamente questo il motivo per cui al resto del mondo l'Onu piace. Cosa ci costava, per esempio, avvertire preventivamente Xavier Solana del nostro sì all'ultimo piano di pace di Ariel Sharon? Dimostriamo una straordinaria assenza di tatto... Ma dò ragione a Kagan: con Kerry non cambierà molto. L'internazionalismo liberal del nordest è ormai tramontato, negli Stati Uniti. E dall'Iraq non possiamo andarcene".
Mauro Suttora

Monday, November 10, 2003

Difesa europea

IL FANTASMA DELLA DIFESA EUROPEA

di Mauro Suttora

Diritto e Libertà

10 novembre 2003

Sarà una donna a partorire l'esercito europeo? Michèle Alliot-Marie, ministro della Difesa francese, si ostina ad assicurare che l'embrione di forza armata continentale concepito nell'aprile 2003 da Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo non sarà concorrenziale con gli Stati Uniti, ma in integrazione. Intanto però la sede del suo comando è già stata scelta: si installerà a Tervuren, nella periferia di Bruxelles, ben separata da quella della Nato. Quindi non si tratterà certamente di quel «pilastro europeo della Nato» che gli statunitensi auspicano da anni, sollecitando insistentemente gli alleati a metter mano al portafogli. Anche perchè la data dell'annuncio del concepimento è sospetta: proprio all'apice della polemica franco-belga-tedesca contro l'attacco americano a Saddam Hussein.

La compagine dei promotori coincide poi con l'«Axis of weasels» (Asse delle puzzole), insulto che i media statunitensi più patriottici (New York Post e Fox tv di di Rupert Murdoch) hanno scagliato contro gli oppositori della guerra contro l'Iraq, riecheggiando l'«Axis of evil» (Asse del male) di bushiana invettiva. Un'altra invettiva, d'altronde, si è già guadagnato il Comando militare Ue autonomo di Tervuren: un furibondo portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, lo ha definito «riunione di produttori di cioccolata», riferendosi alla prestigiosa tradizione gastronomica belga che si situa agli antipodi di ogni valore marziale.

Il 2003 è anche il decimo anniversario della nascita di Eurocorps, la brigata franco-tedesca che il 14 luglio di quest'anno ha addirittura aperto la parata della Festa nazionale francese sugli Champs-Elysées. Ma tutte queste sono iniziative estemporanee di Francia e Germania, spesso utilizzate dal «nocciolo renano» dell'Unione Europea in funzione polemica contro i Paesi filo-Usa (la Gran Bretagna sotto qualsiasi premier, la Spagna di Aznar e l'Italia di Berlusconi, con gli imminenti rinforzi dei nuovi membri dell'Est).

La verità tuttavia è che gli unici due stati europei che possono contare su Forze armate di una qualche efficienza, supportate da un'industria bellica di peso, sono Francia e Gran Bretagna. Sono anche le uniche due potenze atomiche, e gli unici due Paesi europei con seggio permanente e diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Finchè Parigi e Londra staranno su sponde opposte nei rapporti con Washington, quindi, l'Europa rimarrà «un gigante economico, un nano politico e un verme militare». E gli Stati Uniti saranno ben felici di questo «divide ed impera» che neutralizza ogni velleità da parte di alleati sempre più riottosi.

E' da undici anni che l'Unione Europea si gingilla con l'idea di una "Forza di reazione rapida" di 60mila uomini, pronti a partire per qualunque posto al mondo nel giro di 60 giorni e a restarci fino a un anno. Le missioni (perlopiù umanitarie) di questa forza vennero definite in un albergo tedesco nel '92. Di qui il nome: accordi di Petersberg. Poi nel '99 è arrivata la sanzione ufficiale, con la nascita della Pesc (Politica estera e di sicurezza comune) e la nomina di Mister Pesc nella persona dello spagnolo Javier Solana. Ma finora di concreto è stato fatto quasi nulla.

L'unica missione tangibile europea è quella dispiegata in Macedonia dal primo aprile del 2003, e mai pesce d'aprile fu più evidente. Il contingente europeo, infatti, è semplicemente la continuazione di una ex missione Nato, e sta in piedi solo grazie ai mezzi e alle capacità dell'Alleanza atlantica.

Nell'operazione sono impegnati 350 militari, ma la maggioranza dei loro stati di provenienza è tuttora extra Ue: si tratta dei 14 Paesi Nato non Ue (tutti tranne gli Usa), ai quali si aggiungono 13 Paesi Ue (tutti tranne Danimarca e Irlanda).

Stessa situazione per l'altra missione Ue in corso, quella ereditata il primo gennaio 2003 dall'Onu in Bosnia. Non si tratta di militari: 500 funzionari di polizia provenienti da 33 Paesi (anche qui perciò con quelli Ue in minoranza) che dovrebbero addestrare poliziotti locali per ripristinare la legalità nell'ex repubblica jugoslava dopo la strage dei settemila bosniaci a Srebrenica del luglio '95, l'attacco aereo Nato contro la Serbia e gli accordi di Dayton. Ma rappresentano solo un piccolo contorno di quello che è il contingente vero: 12mila soldati, di cui 1.700 statunitensi che Bush junior sarebbe lieto di ritirare.

Se i militari se ne andassero domani la Bosnia ripiomberebbe nel caos, perchè in otto anni nessun progresso politico è stato fatto e la Bosnia continua a essere una fantomatica unione di tre stati diversi (serbo, croato e bosniaco) con tre presidenti e tre apparati statali incollati artificialmente a spese della comunità internazionale (che scialacqua ogni anno 1.400 dollari per ogni bosniaco, 38 milioni di euro solo per i poliziotti). Il risultato è
desolante: «In Bosnia oggi non c'è stato di diritto», ha ammesso Paddy Ashdown, il capomissione britannico, «ogni fibra e cellula di questo Paese è infettata dalla criminalità, fino al midollo» (New York Times, 8 ottobre 2003).

La terza missione in teoria Ue è stata quella dell'estate 2003 in Congo, a Bunia, dove l'Onu è arrivata per l'ennesima volta a stragi fatte. La Francia ha mandato un migliaio di soldati, però ha voluto una copertura (anche finanziaria) europea che è stata simbolica ma importante. Per la prima volta, infatti, un contingente Ue di 1.500 militari è stato mandato fuori dall'Europa, senza che alla Nato venisse chiesto di farlo, dato il disinteresse Usa. L'operazione si è conclusa alla fine di agosto. Coordinatore Onu per la regione dei Grandi Laghi è una vecchia conoscenza radicale: Aldo Ajello, ex deputato della Rosa nel pugno dal '79 all'83.

Se questi sono i risultati a mezzo secolo esatto dal primo fallimento, quello della Ced (la Comunità Europea di Difesa abortita nel 1953), è meglio non illudersi che una Forza armata continentale, rapida o non rapida, possa nascere a breve termine. Anche perchè i militari per lavorare assieme devono contare su sistemi d'arma compatibili e parlare la stessa lingua. Ma nonostante decenni di apparente integrazione nella Nato, queste condizioni minime ed elementari non sono state mai raggiunte.

«Noi ci abbiamo messo 70 giorni per schierare 45mila soldati in Iraq, la Ue è ancora ben lontana dal suo obiettivo», ha sentenziato il ministro della Difesa britannico, Geoff Hoon. I francesi a loro volta disprezzano la missione inglese a Bassora: «Sono soltanto truppe di complemento degli Stati Uniti».

I polacchi in Iraq sono letteralmente pagati dagli Usa (una resurrezione moderna del mercenariato di stato?) Quanto ai tedeschi, per mancanza di mezzi di trasporto il trasferimento dei loro 1.500 soldati in Afghanistan è durato quasi due mesi. Eppure, tredici Paesi Ue sono oggi rappresentati nel contingente Nato di 5.500 uomini a Kabul, che comprende 33 nazioni. Mancano solo Portogallo e Austria. In Afghanistan oggi operano più truppe di terra europee che americane. In totale, i Paesi Ue hanno attualmente ben 50mila militari stanziati in Africa, nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan come peace-keepers.

«E' probabile che l'Ue possa organizzare altre missioni militari in futuro», spiega Daniel Keohane, giovanissimo (27 anni) analista del Cer (Center for European Reform) di Londra, «perchè le priorità Usa sono Iraq, Iran e Corea del Nord, e Washington non vuole essere coinvolta in conflitti nella fascia d'instabilità che percorre i fianchi Est e Sud dell'Europa, e si allunga fino all'Africa subsahariana. L'Ue sta valutando, per esempio, se sostituire i peacekeepers russi nella regione Transnestria della Moldavia».

Pochi sanno che l'Unione europea ha in realtà più soldati degli Stati Uniti. I 15 Paesi della Ue possono contare su un milione e 600mila militari, gli Usa su un milione e 414mila (dati 2001). Con l'allargamento a 25 della Ue entreranno altri 310 mila soldati, metà dei quali polacchi (163 mila).

Naturalmente il fatto di avere quasi due milioni di uomini sotto le armi non significa nulla dal punto di vista dell'efficienza. Basti dire che l'Italia, con i suoi 217mila soldati, supera numericamente la Gran Bretagna (210mila).
Ma nessuno si sogna di paragonare le due forze armate, anche perchè gli inglesi sono tutti professionisti. Il record va alla Germania, 296mila militari, ma è soltanto una pesante eredità dell'unificazione. Segue la Francia con 260mila uomini. La Grecia ha lo stesso numero di soldati della Spagna, 178mila, ma solo perchè si sente in dovere di fronteggiare i ben 515mila militari turchi.

Insomma, i numeri ci sarebbero. Non è vero inoltre, come sostengono i commentatori di cose militari (quasi tutti ex ufficiali o consulenti di industrie belliche), che l'Europa spende così poco per le proprie Forze armate. Certo, spreca meno degli Stati Uniti: il due per cento del Pil, in media, contro il tre e mezzo degli Usa.

Data l'immensità dell'economia Usa, questo significa che in cifre assolute gli americani stanziano per la difesa più del doppio di tutti i 15 Paesi Ue. Ma d'altra parte sarebbe sciocco inseguire gli Stati Uniti nel riarmo voluto da Bush junior dopo l'11 settembre 2001: da 300 miliardi di dollari annui a quasi 500 nel giro di 24 mesi, un aumento di spese militari di oltre il 60 per cento, senza precedenti in tempo di pace.

I furbi europei sanno che fronteggiare i terroristi islamici con carri armati e sottomarini, come pretendono di fare gli americani, equivale a voler combattere le mosche con i bazooka. E utilizzare truppe scelte (e costosissime) per l'ordine pubblico, per di più con problemi insormontabili di lingua, come stanno facendo oggi gli Usa in Iraq, è sbagliato oltre che controproducente. Il peacekeeping (mantenimento della pace) è un mestiere diverso rispetto al combattimento, e il peace enforcing (imposizione della pace) è un'altra cosa ancora. Ognuno necessita di competenze e addestramenti specifici.

Certo è che gli europei spendono male. L'integrazione dei sistemi d'arma e l'eliminazione dei doppioni consentirebbe risparmi enormi. Spesso (è il caso dell'Italia) per ragioni elettorali i politici preferiscono un esercito clientelare, statico e sovrabbondante rispetto a reparti snelli di operatività immediata. Quanto alle gerarchie militari, sono ossessionate dalla voglia di «mostrare la bandiera», proponendosi per missioni dall'altra parte del pianeta senza alcun criterio di prossimità geografica. Così come australiani e neozelandesi non sono venuti in Kosovo, è stato completamente inutile per gli italiani spingersi agli antipodi, fino a Timor Est. Anche la gendarmeria internazionale dev'essere razionale ed efficiente, senza trucchi per battere cassa con la scusa dell'usura mezzi.

Nel febbraio 2003 Jacques Chirac e Tony Blair hanno deciso che la Ue dev'essere in grado di schierare forze di aria, mare e terra nel giro di 5-10 giorni. Si tratta di un traguardo assai ambizioso ripetto agli attuali piani per la «forza di reazione» Ue, che come abbiamo visto prevedono tempi di 60 giorni. Ma tutti questi sono tutto sommato problemi tecnici. La questione dell'integrazione militare europea, invece, è soprattutto politica.

Individuazione della minaccia, innanzitutto. Solo terroristi islamici, per esempio, o in prospettiva anche la Cina? Solo regimi aggressivi nemici (Corea del Nord, Iran, Siria) o tutte le dittature, anche amiche (Arabia Saudita, Pakistan)? Interventi preventivi, come vuole la nuova dottrina Bush dal settembre 2002, o a cose (danni, stragi) fatte?
Diritto d'intromissione umanitaria o non ingerenza negli affari interni degli stati? Rimanere in una Nato a inevitabile egemonia americana, o accelerare la costruzione di un polo autonomo? Fuori o dentro la Nato? Con il rischio di perdere per sempre la Gran Bretagna? Accettare un coordinamento Onu, o agire unilateralmente in base all'orgoglio nazionale (non è un problema solo americano, di galletti abbonda anche il nostro continente)? Esportare con scarsa saggezza sistemi d'arma nel Terzo mondo per recuperare le spese di ricerca e sviluppo della propria industria bellica, come fanno troppo spesso gli Usa, o spingere per trattati internazionali restrittivi?

Il documento preparato da Solana nel giugno 2003 sulla strategia di sicurezza europea comincia a rispondere ad alcune di queste domande, con l'indicazione delle nuove minacce: terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, stati allo sbando. «E' un documento scritto con un linguaggio sorprendentemente duro», commenta Keohane, «ma la Ue non può affrontare questi nuovi compiti senza cominciare almeno migliorando la cooperazione fra i propri servizi segreti. I governi europei si sono divisi sull'Iraq anche perchè non disponevano delle stesse valutazioni di intelligence. Ora che l'Eu gestisce operazioni militari, deve mettere in comune i servizi di spionaggio, incrementando in quantità e qualità l'attività di Europol, la polizia europea».

A proposito di intelligence, è stata proprio una nave europea (spagnola) a compiere pochi mesi fa una delle operazioni più preziose per la prevenzione del terrorismo. Aveva bloccato nell'oceano Indiano una nave pirata che trasportava missili nordcoreani nello Yemen. Poi però gli americani hanno permesso che il carico arrivasse a destinazione, perchè formalmente non violava alcun trattato. Rispetto della legalità o masochismo? Libero commercio internazionale o protezione del (proprio) export bellico? Forse l'Europa, proprio perchè più venusiana e meno marziana (secondo la famosa definizione di Robert Kagan), e quindi meno condizionata degli Usa nei confronti del proprio complesso militare-industriale, saprebbe compiere scelte più lungimiranti.

Diamo quindi uno sguardo all'industria bellica europea. Che, nonostante le concentrazioni degli ultimi anni, conserva ancora una forte impronta nazionale ed è percorsa dalle medesime divisioni politiche: da una parte Francia e Germania, dall'altra Gran Bretagna e Italia. I gruppi francesi Aérospatiale e Matra, la tedesca Dasa (Daimler Messerschmitt) e la spagnola Casa hanno dato vita nel 2000 a Eads (European Aeronautic Defence and Space), il primo gruppo aereo-missilistico continentale (e secondo mondiale) che produce gli aerei civili Airbus, il militare Eurofighter e quello da trasporto A400M, gli elicotteri Eurocopter, i missili Meteor, i satelliti Galileo e i razzi Ariane. I padroni sono francesi e tedeschi, gli spagnoli hanno solo il cinque per cento delle azioni. Parigi e Monaco di Baviera passano la maggior parte del loro tempo a litigare fra loro, con due sedi, due presidenti e due amministratori delegati. Dei trenta miliardi di euro fatturati da questo gigante nel 2002, però, solo il venti per cento appartengono al mercato militare.

Nella classifica mondiale delle industrie belliche Eads è appena ottava, superata dai cinque colossi Usa foraggiati dal Pentagono (Lockheed, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics), dalla britannica Bae Systems (erede di British Aerospace e Gec Marconi) e anche dalla francese Thales (ex Thompson). All'undicesimo posto c'e' la nostra Finmeccanica, con 2,7 miliardi di fatturato militare (un sesto rispetto agli oltre 15 miliardi di Bae Systems). Finmeccanica, attraverso la controllata Alenia, partecipa con il 19,5% al programma Eurofighter (l'aereo caccia europeo), in cui l'Eads franco-tedesco-spagnola ha il 43% e la britannica Bae il 37,5.

L'Alenia nel 2001 ha dato vita a una joint venture con la Bae: Ams (Alenia Marconi Systems), specializzata nell'elettronica e nel controllo del traffico aereo. Fattura 1,2 miliardi di euro annui, vende in cento Paesi ed è la terza produttrice mondiale di radar. E' fallita, invece, la joint venture fra Eads e Bae nel campo dei satelliti militari e civili: quest'anno la società Astrium è tornata sotto il controllo totale di Parigi e Berlino, dopo che Londra si era rifiutata di partecipare all'aumento di capitale e ha quindi ceduto la propria quota del 25%.

«Il mercato unico europeo della difesa è ancora una chimera», scrive Alfonso Desiderio su "Limes", «si è molto lontani da risultati apprezzabili sia sul lato della razionalizzazione della domanda con l'accordo Occar (Organisme Conjoint de Coopération en matière d'Armement) fra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania per uniformare la politica degli approvvigionamenti, sia sul lato dell'offerta con l'accordo Loi (Letter of Intent) fra i quattro Paesi Occar più Spagna e Svezia». Incredibilmente, infatti, il settore industriale della difesa rimane ancora fuori dalle regole comunitarie. I trasferimenti di tecnologia avanzata subiscono ancora controlli da parte dei singoli governi: perfino gli ingegneri di una stessa azienda ma di nazionalità diverse devono chiedere permessi, in base a un sorpassato principio di protezione della sicurezza "nazionale".

Non parliamo poi delle commesse ottenute dai singoli Paesi grazie ad accordi politici, come quella favolosa ottenuta dalla Gran Bretagna con l'Arabia Saudita, che garantisce alla Bae fatturato per tre miliardi di euro all'anno: qui non solo ognuno fa per sè, ma tutti lottano contro tutti. Così spesso, di fronte a concorrenti europei divisi, vincono le offerte dei giganti americani. A volte, poi, sono gli stessi europei a fare lo sgambetto a se stessi in favore di Washington.
È il caso dell'Italia, che nel 2001 ha preferito l'aereo Usa Jsf all'europeo A400M, o della Polonia che ha acquistato 48 caccia F16 dell'americana Lockheed invece dei Jas-39 Gripen anglosvedesi o dei Mirage Dassault francesi.

Mauro Suttora

Saturday, October 18, 2003

Ann Coulter

USA: ANN COULTER, NUOVA DESTRA IN TACCHI A SPILLO 
di Mauro Suttora
Il Foglio, 18 ottobre 2003
New York. Bella, bionda, brillante, intelligente. Ann Coulter, 41 anni, è la nuova star della destra americana. Da tre mesi il suo ultimo libro, "Treason" ("Tradimento"), è nella top ten dei bestseller statunitensi. Lei vive praticamente accampata negli studi televisivi, tutti la vogliono perchè garantisce ascolto. 
E' una specie di Vittorio Sgarbi o Giuliano Ferrara al femminile, adora scandalizzare e ha la battuta pronta. "Da quando è uscito il libro ho dovuto dare duecento interviste", fa finta di lamentarsi all'uscita degli studi Fox (la tv di Rupert Murdoch) sulla Sesta Avenue di Manhattan, dove le chiedono un parere su tutto un giorno sì e uno no.
Ormai con le royalties è diventata miliardaria, beniamina dei conservatori anche perchè intellettualmente non così sofisticata come certi "neocon" (Paul Wolfowitz, Robert Kagan, Amin Taheri). Ma lei si fa un vanto proprio di questo suo volare terra terra "Mi trovo in perfetta sintonia non con l'Upper East Side, il quartiere di New York dove vivo, ma con i veri americani che stanno a Queens e che non temono di esporre la bandiera sulla porta di casa".
Patriottismo, religione, valori tradizionali. "Dio, patria, famiglia: una fascistona", la liquidano a sinistra. Non per nulla Al Franken, primo nella classifica della saggistica con il suo "Lies and the Lying Liars Who Tell Them A Fair and Balanced Look at the Right" ("Bugie e i bugiardi matricolati che le dicono uno sguardo equo e obiettivo sulla destra"), le dedica due interi capitoli uno intitolato "Ann Coulter, un caso da manicomio", e quello successivo che non lascia spazio a dubbi: "Sapete chi proprio non mi piace? Ann Coulter". La sua definizione più gentile è: "Per coloro che sono così fortunati da non averla ancora conosciuta, si tratta della diva della destra isterica", che "scrive pornografia politica".
Nelle liti lei ci sguazza, si diverte come una pazza quando la attaccano anche selvaggiamente "Franken, Joe Conason e tutti quelli che scrivono libri di successo contro i conservatori dovrebbero ringraziarmi riescono a vendere soltanto grazie a me, dove sarebbero se non mi avessero scelta come bersaglio? Darò loro da mangiare per i prossimi trent'anni".
 In effetti, una polarizzazione netta caratterizza ormai la saggistica politica degli Stati Uniti i bestseller sono quelli dei personaggi più estremi. A sinistra trionfano Michael Moore (autore di "Stupid White Men" e del film premio Oscar "Bowling for Columbine") e Gore Vidal.
 A destra rispondono senza far prigionieri, con la Coulter ma anche con Bill O'Reilly (autore di "Spinning Zone" e presentatore ogni sera di un talk show sulla tv Fox) e il terribile John Savage (di nome e di fatto, anch'egli personaggio tv licenziato dalla Nbc dopo aver auspicato in diretta che i gay si pigliassero l'Aids).
La Coulter è un'Oriana Fallaci con maggiore sarcasmo. I suoi nemici, più che i fondamentalisti musulmani dell'11 settembre, sono i "liberals" (cioè la sinistra Usa): "Neppure i terroristi islamici odiano l'America quanto i nostri liberali. Non hanno abbastanza forza. Se avessero la loro energia, in tutto questo tempo sarebbero almeno riusciti a costruirsi le toilette in casa", dice.
 Di ritorno da una presentazione del libro nell'Ohio, ha subìto una perquisizione in aeroporto. E' furibonda: "Quegli imbecilli di agenti, invece di infilarmi le mani sotto il reggipetto, farebbero meglio a prendere di mira certi maschi mediorientali con il fumo che gli esce dai pantaloni..."
Elegante, la Coulter ha uno stile eccentrico fatto di minigonne e cuoio nero che eccita i fans. Nel suo sito Internet (www.anncoulter.org) ha piazzato un'intera "gallery" di proprie immagini in pose provocanti. In una appare con l'ex presidente Ronald Reagan, in un'altra imbraccia virilmente un fucile. Le manca solo il frustino, e poi il suo lettore medio (maschio militarista del Midwest) sarebbe soddisfatto. 
Il fatto che Ann risulti single e si dichiari disponibile al "dating", agli appuntamenti con uomini ("Ma devono essere alti, divertenti, buoni sciatori e soprattutto di destra"), aggiunge fascino al personaggio. Il tocco finale al gioco della seduzione è dato dal club per cuori solitari "conservatori" ospitato dal sito.
In realtà, l'apparentemente populista Ann nuota come un pesce, perfettamente a proprio agio, negli ambienti liberal-chic di Manhattan. Frequenta i ristoranti alla moda dell'Upper East e West Side, dal Baraonda al Bella Blu al Cafè Luxemburg, col suo orologio Cartier e i braccialetti di diamanti.
 Altro che "America profonda", altro che camiciazze spiegazzate a quadrettoni, stile camionista del New Jersey. D'estate migra con tutti i ricchi agli Hamptons, e d'inverno se ne va a sciare sulle montagne Catskill o in Colorado. Il suo posto preferito tuttavia è Miami, Florida "Perchè è pieno di esuli cubani anticomunisti", scherza ma non troppo.
Potrebbe ormai permettersi anche di più dell'appartamento in affitto newyorkese, grazie ai pingui diritti d'autore. Il suo primo successo è stato, nel 1998, "High Crimes and Misdemeanors The Case Against Bill Clinton". L'anno scorso ha sfondato con "Slander, Liberal Lies About the American Right" ("Calunnia, bugie liberali sulla destra americana"), cosicchè l'editore le ha subito chiesto un altro libro. "E io ho lavorato come una pazza da ottobre, anche i venerdì e i sabato sera".
 Il suo ultimo volume è una difesa del senatore Joe McCarthy, quello che negli anni Cinquanta scatenò la caccia alle streghe contro i marxisti negli Stati Uniti. Un'impresa impossibile, apparentemente riabilitare il personaggio che ha dato il proprio nome al "maccartismo", il persecutore che tolse il lavoro a tanti attori e scrittori di Hollywood, il simbolo di uno dei periodi più bui e bigotti della storia d'America?
Ann Coulter non chiedeva di meglio più la sfida è grossa, più lei si lancia a testa bassa per demolire quelli che ritiene stereotipi e luoghi comuni spacciati dagli odiati "liberals". E in questa battaglia delle idee in cui lei si sente perennemente in prima linea è riuscita a dimostrare che tutto sommato alcune delle vittime di McCarthy erano veramente spie dei sovietici, e che comunque in periodo di guerra (seppur solo fredda) quasi tutti i mezzi sono leciti. Così come oggi difende a spada tratta l'intervento in Iraq: "I liberali vorrebbero che i nostri soldati fossero sconfitti, perchè è l'unica possibilità che hanno di poter cacciare Bush dalla Casa Bianca l'anno prossimo".
 Un'altra frase detta dopo l'11 settembre 2001 le è costata il posto alla Msnbc (tv in joint venture fra Microsoft e Nbc): "Invadiamo i Paesi amici dei terroristi, uccidiamo i loro capi e convertiamo tutti al cristianesimo!".
Ghiotta di salmone e ravioli d'aragosta, questa sirena della destra è nata in uno dei luoghi più ricchi del mondo New Canaan (Connecticut), rifugio nel verde dei miliardari newyorkesi. Università di Cornell, specializzazione in legge nel Michigan, primo lavoro nel Center for Individual Rights a Washington, think tank conservatore, poi portaborse del senatore Spencer Abraham, oggi ministro dell'Energia un curriculum di rispetto. 
Ma appena ha sfondato in tv coi denti da pescecane che sfodera assieme al sorriso, Ann ha capito che esagerando si può costruire una lucrosa carriera.
Detesta gli attori pacifisti come Tim Robbins, Susan Sarandon e Ed Norton, mentre adora Bruce Willis e Andy Garcia. "Con quelle sue borsette rosa e i tacchi a spillo sembra un personaggio uscito da 'Sex and the City'", commenta Matt Drudge, il Dagospia statunitense, principe del gossip politico on line, "e invece è la voce principale della nuova generazione conservatrice americana lo dimostrano le tirature dei suoi libri". Per settimane quello della Coulter ha lottato contro le Memorie di Hillary Clinton "Ma lei come peso mi batte tre a uno... Anche come peso del libro, voglio dire".
 "Ha la stessa affabilità di Eva Braun", l'ha stroncata Katie Couric, massima presentatrice tv d'America. O la amano o la odiano, insomma. Ma Ann Coulter gode in ogni caso.
Mauro Suttora