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Wednesday, December 28, 2011

Una brutta fazenda

DON VERZE' IN BRASILE

Cos'è successo al San Raffaele

di Mauro Suttora

Oggi, 21 dicembre 2011

Costa venti milioni di euro il jet intercontinentale di lusso Challenger con cui don Luigi Verzè e il suo vice Mario Cal volavano in Brasile. A Salvador di Bahia il padrone del San Raffaele aveva costruito un ospedale, con 17 miliardi di lire della Cooperazione italiana. Ma aveva anche due «fazendas», fattorie con piantagioni di cocco, mango, banane e uva senza semi. E nella più bella, con piscina in riva all'oceano, invitava spesso amici dall'Italia. Come l'attore Renato Pozzetto, suo socio nella compagnia aerea che gestiva gli elicotteri del pronto soccorso dell'ospedale milanese.

Nel 2007 don Verzè, in preda a una delle sue imbarazzanti megalomanie, si regalò quel costoso giocattolino per evitare i fastidiosi check-in degli aeroporti. Poi però i debiti della Fondazione San Raffaele peggiorarono, le banche non rinnovavano più i fidi, e il prudente Pozzetto l'anno scorso si è ritirato dalla società, l'Airviaggi. In perdita: la sua quota del 30 per cento svalutata ad appena 3 mila euro, praticamente zero.

Solo una briciola, in confronto al gigantesco «buco» provocato dal sacerdote veronese. Sembrava fosse di un miliardo nove mesi fa, quando è stato svelato. Ora è salito a un miliardo e mezzo. Il Vaticano ha estromesso don Verzè. Cal si è suicidato. Centinaia di fornitori premono furibondi per essere pagati. Il faccendiere Piero Daccò è in carcere per bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere. La scorsa settimana è finito al fresco anche l'ex direttore finanziario.

L'accusa: tangenti del 3-5 per cento sugli appalti. Il sospetto: che le buste alte centimetri piene di biglietti da 500, rivelate dalla segretaria di Cal, finissero a politici e dirigenti della regione Lombardia. La quale copre quasi tutto il bilancio dell'ospedale: più di mezzo miliardo l'anno. Ancora lo scorso agosto, 41 milioni per «premi di eccellenza». In totale, 3,3 miliardi di soldi pubblici finiti al San Raffaele negli ultimi cinque anni. Ma la pioggia di finanziamenti non ha evitato il crac.

Com'è potuto accadere? Nessuno si era accorto di nulla? Il San Raffaele è una fondazione, quindi non deve esibire i bilanci. Daccò nega di avere pagato pubblici ufficiali. Però conosceva tutti. Ospitava perfino il governatore lombardo Roberto Formigoni sul suo yacht Ad Maiora a Porto Cervo. Ma il vero «amico di tutti» era l'incredibile don Verzè, ammirato da tutti i premier: Giulio Andreotti (che andò in Brasile a inaugurare l'ospedale), Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. Il San Raffaele è nato 40 anni fa, accanto alla Milano Due della Fininvest. Assieme riuscirono a far deviare le rotte degli aerei su Linate.

Ultimo estimatore del vulcanico prete bipartisn: il governatore pugliese Nichi Vendola, sponsor del nuovo San Raffaele a Taranto. Anche un altro ex comunista è stato sedotto da don Verzè: Massimo Cacciari, primo rettore della facoltà di Filosofia dell'università privata San Raffaele nel 2002. Lì si è laureata Barbara, figlia di Berlusconi.

«Io vado avanti, la provvidenza seguirà», rispondeva don Verzè a chi gli chiedeva se non facesse passi più lunghi della gamba. Anche quando ha speso 200 milioni di euro per l’enorme cupola accanto alla tangenziale Est di Milano. Sotto la quale in luglio si è suicidato il suo braccio destro Cal. Che disperazione, appena due anni dopo queste foto di «dolce vita» in piscina. E che tristezza, sentire il socio veneto della fazenda brasiliana confessare in tv a Report di rapporti sessuali con ragazze 14enni: «Pedofila, prostituzione? Ma no, qui ci vanno tutti. Sennò loro, poverine, cosa fanno?».

«Don Verzè si presentava come un miliardario con jet privato, circondato da donne e ragazzi», ha raccontato Pedro Lino, consigliere della corte dei conti dello stato di Bahia. Per anni console onorario italiano a Salvador, città di quattro milioni di abitanti, è stata Liliana Ronzoni, direttrice dell’ospedale brasiliano. Riservato a chi ha un’assicurazione, cioè non i poveri. Per loro il San Raffaele brasileiro ha aperto ambulatori esterni. Così non paga le tasse, perché è considerato «umanitario».

Don Verzè e i suoi amici spesso arrivavano alla fazenda in elicottero, per evitare le cinque ore in suv nero cilindrata 3.000 con aria condizionata da Salvador a Conde. Lì trovavano tre piscine, campi da tennis, ponies, gabbie con scimmie. Una fissa , quella del «don» per le gabbie. All’ultimo piano sotto la cupola di Milano, che aveva preteso tutto per lui e addobbato con arredamenti per quattro milioni, teneva una voliera per i pappagalli.

Gli ospiti in Brasile stavano in bungalows. Alle 8 della domenica mattina don Verzè celebrava messa. Superata, quindi, la sospensione a divinis subìta nel 1973 dall’arcivescovo di Milano. Prima di mangiare, a tavola, segno della croce per tutti.

Don Verzè ha fondato una propria congregazione, i «Sigilli». Quasi tutti i dirigenti (soprattutto donne) del San Raffaele ne fanno parte. Pronunciano voto di castità, devozione, purezza. Non di povertà. Una decina di loro, compreso il don, vivono in una lussuosa ex cascina ristrutturata vicino al San Raffaele. Con tre cuochi e tre chef, pagati dalla fondazione col buco miliardario.
Mauro Suttora

Monday, September 24, 2007

Dalila Di Lazzaro e Ornella Muti

GUARDATECI, NUDE A 50 ANNI: PREFERITE ANCORA LE VELINE?

Milano, 23 settembre 2007

Volete vedere Ornella Muti e Dalila Di Lazzaro nude? Passate in corso Vittorio Emanuele a Milano dal 19 settembre al 14 ottobre. Le due attrici (52 anni la prima, 54 la seconda) esibiscono le proprie mature ma sempre affascinanti grazie in una mostra, con tanto di gigantografie senza veli. Assieme ad altre otto donne (l’attrice Anna Orso, una preside, un’agente immobiliare, una direttrice del personale e altre cinquantenni, professioniste in carriera o mamme) hanno accettato di spogliarsi per il fotografo Gianmarco Chieregato.

Vogliono lanciare un messaggio non solo alle coetanee, ma anche alle donne più giovani: la bellezza del corpo femminile nasce dall’orgoglio di mostrarsi come si è. Intense, profonde, uniche. Oltre alle signore italiane, sono esibiti i ritratti della fotografa più famosa del mondo: l’americana Annie Leibovitz, che riesce a valorizzare cinquantenni normalissime: una pasticcera, una fisioterapista.

La mostra, organizzata dal Fondo Dove per l’autostima, s’intitola «Pro-age, perché la bellezza non ha età», e contesta l’idea che l’avanzare dell’età sia considerato come un «difetto» da correggere, in nome di un’illusoria eterna giovinezza propagandata dai media e dalla pubblicità, a beneficio di chirurghi plastici e venditori di botulino e silicone.

«Ovviamente la bellezza ha avuto un posto predominante nella mia vita», ci dice la Di Lazzaro, «perché sono stata un’attrice, un volto noto del cinema. Quand’ero più giovane essere e sentirmi bella era una componente essenziale di me stessa. Poi sono accadute tante cose: ho sofferto e accettato di dover lottare ogni giorno anche per compiere le azioni più semplici».

Due gravi incidenti che l’hanno costretta immobile per anni a letto, la perdita dell’unico figlio: di fronte a queste prove la bellezza è passata in secondo piano? «No», risponde decisa l’indimenticabile Serafina del film di Lattuada con Renato Pozzetto del ’76, «perché oggi, come vent’anni fa, mi piace sentirmi bella e prendermi cura di me. Amo il mio corpo esattamente come allora, e vivo i suoi cambiamenti come un mutare della mia bellezza, non come un appassire. Sono certa che finché il mio corpo rifletterà la mia forza interiore e le mie conquiste, non smetterà mai di essere bello».

Ora Dalila, abbandonato il set, fa la scrittrice: dopo l’autobiografia Il mio cielo dell’anno scorso, nel 2008 uscirà il suo nuovo libro, Piccoli miracoli intorno a me. E il miracolo che la mantiene così bella, qual è? «Mai ritoccata, mai andata in palestra, mai diete, mangio quel che voglio, sono una forchettona. Faccio solo passeggiate in città e nuotate d’estate al mare. E massaggi tre volte la settimana per i problemi a collo e schiena. Linfodrenaggi per la circolazione, la riflessologia plantare ai piedi mi rilassa molto... Ammetto di avere avuto un regalo dal cielo, e mi basta mantenermi. Ho posato nuda solo un’altra volta in vita mia, per Playmen quando avevo 26 anni. E per la vecchiaia i miei modelli sono Brigitte Bardot, Jane Birkin, Charlotte Rampling e Katharine Hepburn, che non hanno ceduto alla tentazione del bisturi».

«La bellezza nasce da come si è», spiega Ornella Muti. «perché non è solo l’estetica a essere importante: a renderci belli è l’armonia tra corpo, anima e mente. Un’armonia che si trasmette all’esterno come un’energia contagiosa, che nulla a che vedere con l’età. Un esempio di bellezza, come la intendo io, è Anna Orso, che emana un’incredibile energia. La vedi e subito ti colpisce il suo sguardo profondo, limpido, chiaro. A quel punto non ti chiedi nulla di lei, perché pensi che lei è semplicemente se stessa: bellissima e trasparente. Il suo è un vero dono, e il fatto che non nasca solo da caratteristiche estetiche, ma dalla sua energia, è la dimostrazione del fatto che la bellezza non ha età».

La giornalista Barbara Palombelli non si spoglia, però partecipa a un tavola rotonda in Galleria il 19 settembre alle 18: «Noi over 50 apparteniamo a una generazione unica. Siamo state le prime a vivere l’emancipazione femminile e a conquistare un ruolo sociale attivo e riconosciuto. Dobbiamo esserne fiere, e trasmettere la nostra fierezza alle generazioni che verranno. Per riuscirci abbiamo alleati preziosi: una pienezza di vita e di interessi, e anche una bellezza intesa nel senso più ampio del termine, che le nostre madri non avevano».

L’orgoglio delle pantere grigie (molto pantere e pochissimo grigie) si accende sentendo i risultati di un sondaggio di Renato Mannheimer commissionato da Dove: anche i maschi vogliono vedere rappresentate donne reali, e non amano le finzioni della pubblicità che impone modelli irraggiungibili. Per i mille intervistati una donna è bella innanzitutto se «ha una sua personalità, un suo stile unico», se «è simpatica», e soprattutto se è «consapevole del proprio fascino». Solo dopo arrivano qualità come l’«aspetto fisico attraente» e la gioventù.

Tutti, poi, condividono queste affermazioni:
1) la bellezza non ha una data di scadenza, una donna può essere bella a qualsiasi età.
2) a 50 anni una donna può essere più interessante che a 30.
3) oggi una donna a 50 anni può essere molto più attraente che in passato.
4) una ruga rende la donna più interessante.

Grande consenso anche per queste critiche alla pubblicità:
1) le donne belle non sono solo veline o miss, bisogna contrastare questa immagine distorta.
2) i pubblicitari non hanno capito che le donne sono cambiate, e anche dopo i 50 anni sono apprezzate dalla società.
3) la maggioranza delle donne dopo i 50 anni è orgogliosa di quello che è, non rincorre i modelli della pubblicità.
4) le donne over 50 che dimostrano la loro età non si vedono mai negli spot.

«Insomma, pubblicità e media una volta tanto non sembrano essere più avanti rispetto alla società», commenta Mannheimer, «perché restano ancorati a stereotipi ormai obsoleti, forse per paura di osare il nuovo». E Lucia Rappazzo, direttrice del mensile Psycologies, alza il tiro: «Si può essere belle senza nascondere la propria età anche a 60 anni, e a 70». Le splendide settuagenarie Anna Orso, Virna Lisi, Jane Fonda o Sophia Loren sono lì a dimostrarlo.

Mauro Suttora