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Saturday, September 24, 2022

Elogio dell'astensione. So già chi vince: io

Storia di un radicale che nella vita ha votato di tutto e stavolta non vuole votare niente, senza sensi di colpa e finalmente in maggioranza. E che propone di tagliare seggi in proporzione al numero di astensionisti 

di Mauro Suttora

Huffpost, 24 settembre 2022 

Per la prima volta dopo quasi mezzo secolo vincerò le elezioni. Il mio partito risulterà primo, supererà Meloni e Letta, si installerà ben oltre il 25%. Poi noi astenuti faremo approvare una legge per completare l'opera: il numero degli eletti si ridurrà in proporzione ai votanti. Astensione di un quarto degli elettori? Trecento deputati invece di quattrocento, 150 senatori al posto di 200. L'unico modo per contare qualcosa, per fare veramente male.

Byebye Bonino: ti ho sempre votata dal 1979, appena maggiorenne, e i radicali mi piacevano già da prima. Ora non più, inutili cespugli del pd abbonati al 2%. Beautiful losers, direbbe Leonard Cohen. Nelle amministrative, dove Pannella non si presentava, ho votato via via tutti i partiti di protesta: verdi e Dp negli anni '80, Lega e Di Pietro nei '90, anche Grillo alle comunali di Roma 2008 (preferenza Paola Taverna). Una volta ho scelto perfino An: Riccardo De Corato, il miglior vicesindaco di Milano, piantumò un sacco di alberi con la Moratti. Insomma, non ho pregiudizi. 

Inaffidabile? No, laico e pragmatico. Antipolitico? Macché, semmai anarchico, la politica mi appassiona. Qualunquista? No, come tutti ho ideali e idiosincrasie ben precise. Sceglierei Calenda, per esempio, se non fosse filonucleare e per l'aumento delle spese militari. Meloni se non fosse fascista (chissà se le tireranno lo scherzo di far nascere il suo governo il 28 ottobre, nel centenario della Marcia su Roma). Fratoianni e Rizzo se non fossero comunisti. Paragone se non avesse fatto carriera da giornalista leghista solo grazie alla politica, e da politico grillino solo grazie al giornalismo: ora è al terzo riciclo.

Novax e putiniani li escludo automaticamente, quindi niente Salvini e M5s (Conte con l'aggravante del reddito di divananza). Di Forza Italia mi dà noia soprattutto il familismo: perché candidare la Fascina, quasi moglie di Berlusconi, o la pur splendida Patrizia Marrocco, ex di suo fratello Paolo? Vado troppo sul personale? Sì, preferisco le singole persone ai partiti: voterei l'ex magistrato Nordio o l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi (l'unico severo con Cina e Iran) seppur proposti dai Fratelli d'Italia. 

Resta il Pd. Nel mio collegio milanese c'è Misiani, brava persona. Come Letta. Poi però vedo i pd in tv, e mi urtano i nervi: Casini catafratto di legislature, la moglie di Martelli, quella di Franceschini probabilmente responsabile della sua orrenda frangetta giovanilista. In più l'ottimo ministro della Cultura, emigrato a Napoli per farsi eleggere (nella sua Ferrara non ce la fa), era in prima fila alla liquefazione del sangue di San Gennaro, assieme ad altri miracolati come Di Maio. Una scena da terzo mondo.

Ho parlato poco di contenuti? Datemi un partito liberale e la mia crocetta sarà sua. Un La Malfa, un Ciampi, un Padoa Schioppa, un Draghi. Rigore di bilancio, legalità, garantismo, prestigio, serietà fino alla mestizia. 

Nella repubblica degli Escartons (1343-1713), a cavallo tra Francia e Piemonte, il console quando veniva eletto doveva depositare una cauzione personale di 200 scudi. Se dopo un anno il bilancio andava in rosso, li perdeva. Altrimenti li recuperava con gli interessi. Con una regola così, correrei subito in cabina elettorale. Se no, resto fra gli apoti: quelli che non se la bevono, come Prezzolini scrisse nel settembre 1922 sulla Rivoluzione liberale di Gobetti. 

Saturday, July 16, 2022

CAOS M5S/ “Grillini divisi tra appoggio a Draghi e governo Casellati o Franco”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 16 luglio 2022 

“La crisi di governo? Gli M5s sono capaci di tutto, anche di una inversione a U. E Conte ha dimostrato di saper tenere testa a Draghi” 

La crisi di governo si complica e il comunicato congiunto di FI e Lega che chiudono ad una continuazione dell’esperienza di governo con M5s, accusato di irresponsabilità, rende obiettivamente più difficile una soluzione. “Draghi non è disponibile a formare un nuovo governo ed è determinato a dimettersi” ha riferito in esclusiva Bloomberg nella notte.

I Cinquestelle, che hanno rinviato a oggi il loro consiglio nazionale, sono nel frattempo alle prese con il dilemma se ritirare la delegazione al governo o rimanere nell’esecutivo. Due opzioni che dividono intransigenti e governativi.

“Conte vuole solo mostrare ai suoi elettori che non piega la testa di fronte a Draghi”, spiega Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost. “In questo senso ha già ottenuto il suo scopo, ha drammatizzato al massimo”. Proprio per questo la crisi potrebbe ancora risolversi con la permanenza di Draghi al governo, secondo Suttora, “magari con un’ulteriore fuoriuscita di loro parlamentari verso Di Maio, o verso il gruppo misto su posizioni estremiste dibattistiane”. 

Questa crisi rientra o no?

Nessuno può saperlo. Secondo me non lo sanno neanche i tre protagonisti principali: Draghi, Mattarella, Conte.

Da che cosa dipende di più la possibilità che un Draghi bis si realizzi?

Prima del bis, perché escludere che Draghi vada avanti con questo governo? I grillini ci hanno abituato a tante inversioni a U. Una più, una meno. Magari con un’ulteriore fuoriuscita di loro parlamentari verso Di Maio, o verso il gruppo misto su posizioni estremiste dibattistiane.

Ma qual era il piano di Conte? Non certo quello di andare al voto; piuttosto una scommessa sulla prosecuzione del governo senza M5s, in modo da affiancarsi alla Meloni e risalire nei sondaggi stando all’opposizione? 

Conte vuole solo mostrare ai suoi elettori che non piega la testa di fronte a Draghi. In questo senso ha già ottenuto il suo scopo, ha drammatizzato al massimo. Ora potrebbe anche smettere di fare ammuina, e chetarsi per “spirito di responsabilità”.

Adesso c’è il dilemma dei ministri. Che cosa faranno Patuanelli, d’Incà e Dadone?

Ci sono anche i sottosegretari e i presidenti di commissione. Nessuno vuole rinunciare alla poltrona. Per questo qualsiasi grillino ricopra una qualsiasi carica è governista, e vuole continuare col governo Draghi.

Si parla di un voto online, di far decidere agli iscritti se votare la fiducia a Draghi oppure no. È la strada giusta? Non mi pare ci sia il tempo, prima di mercoledì mattina. I Casaleggio lo avrebbero già fatto.

Attualmente chi è per la linea dura?

La vicepresidente del Senato Paola Taverna è scatenata, anche perché non le costa nulla: la sua è una carica istituzionale, non la perderebbe. Come Fico. Anche Toninelli vuole lasciare il governo Draghi, dopo aver perso la poltrona di ministro. E Virginia Raggi, che però non conta nulla.

Se M5s ritira i ministri, la porta per un Draghi bis sarà praticamente chiusa. A quel punto?

Un governo istituzionale guidato dalla presidente del Senato Casellati o di emergenza tecnica con premier Daniele Franco, ministro dell’Economia. Ma si dovrebbe votare a ottobre. E Mattarella invece la vuole tirare per le lunghe. 

M5s ha difeso alcuni suoi provvedimenti. La loro scelta non è anche una risposta all’offensiva e al logoramento governativo, vedi partito di Di Maio?

Certo. Se sono contro i termovalorizzatori e le armi all’Ucraina, e invece difendono le truffe del superbonus e del reddito di cittadinanza, sono coerenti e fanno bene a rompere.

Prevedi altre uscite in direzione centro?

È uscito un sondaggio con il M5s di Conte al 12% e Di Maio al 2%. Per questo i grillini si sono ringalluzziti: extra ecclesia nulla salus. Chi lascia il Movimento è morto, com’è già capitato a Pizzarotti, Paragone e a tutti gli espulsi.

Federico Ferraù

Saturday, December 18, 2021

Dietro il Colle/ La doppia incognita Draghi-Berlusconi tra M5s e “poteri forti”

intervista a Mauro Suttora di Federico Ferraù

www.ilsussidiario.net, 18 dicembre 2021

Salvini e Meloni potrebbero usare le prime tre votazioni per fare un sondaggio “esplorativo” su Berlusconi. Per eleggere lui o puntare su Draghi 

Berlusconi farà da cavia: se il suo pacchetto di voti avrà un discreto margine, “Salvini e Meloni potrebbero essere tentati di cercare il colpaccio del 51% dopo la terza votazione”, dice Mauro Suttora, giornalista, opinionista sull’HuffPost e scrittore. Ieri, a Palermo per il processo Open Arms, Salvini ha dato ragione all’Economist: Draghi resti a palazzo Chigi. Pretattica?

Suttora scommette su Draghi al Colle (“puntata secca”), ma a patto che qualcuno lo candidi e che l’ex capo della Bce abbia garanzie sul premier (europeista) per comandare ancora.

Per poter influenzare l’elezione del capo dello Stato occorre governare i gruppi di Camera e Senato. Nel M5s chi ha l’ambizione di farlo? 

Conte, in teoria capo dei grillini. I quali però hanno già perso un terzo degli oltre 300 parlamentari eletti tre anni fa. Finiti soprattutto nel gruppo misto. Ma finora i vari dissidenti come Morra o Lezzi non sono riusciti a organizzarsi come polo alternativo ai 5 Stelle. Non hanno neppure gruppi parlamentari autonomi. Una ulteriore secessione dal partito di Conte si verificherà proprio in occasione del voto per il Quirinale, fra un mese.

Quanto anime ci sono tra gli eletti M5s?

Le correnti principali sono tre. Quella di Conte e Taverna, quella di Di Maio, e infine i movimentisti che guardano ancora a Di Battista.

È ipotizzabile un’iniziativa di Grillo, tra fine anno e gennaio, per tirare le fila del Movimento?

Grillo è il massimo dell’imprevedibilità. Neanche quelli più vicini a lui sanno cosa farà il giorno dopo. È rimasto un uomo di spettacolo, gli piace spiazzare, creare colpi di scena. Ora però è abbacchiato dalle disavventure giudiziarie del figlio, e anche sue.

Vale a dire?

Ha appena perso una causa a Napoli contro il dissidente Angelo Ferrillo, eliminato ingiustamente dalle elezioni regionali campane nonostante avesse vinto le primarie online. E Ferrillo ora gli chiederà i danni.

Conte ha ipotizzato una consultazione sul web. Fedeltà al Dna grillino o idea bislacca fuori tempo massimo?

Può darsi che la facciano. Nel 2013 le cosiddette Quirinarie furono vinte dalla giornalista Gabanelli di Report. Ma lei non accettò la candidatura, cosicché i grillini ripiegarono su Rodotà. Questa volta non hanno un candidato, quindi probabilmente si accoderanno su Draghi.

Esiste il rischio che il voto sul Colle diventi un regolamento di conti interno al Movimento?

Non è un rischio, è una certezza. Di Maio ha definito il suo rapporto con Conte come “franco”. In politichese, “franco” significa che se ne dicono di ogni.

Fabrizio D’Esposito ci diceva la settimana scorsa che i 5 Stelle non voteranno mai Berlusconi, nonostante le sue manifestazioni di stima per Conte e il Movimento. Che ne pensi?

Ha ragione. Nonostante la voglia matta di Conte, Berlusconi non è digeribile dai grillini: “Mi dà proprio un fastidio fisico”, urlava la Taverna.

Pare però che Berlusconi stia facendo una campagna acquisti nel senso vero del termine. E il primo ambito in cui pescare, oltre al centro, è proprio il calderone di M5s. Chi potrebbero essere i più sensibili?

Attenzione: Berlusconi sta pescando fra il centinaio di ex grillini che ora stanno nel gruppo misto. Può promettere loro un futuro politico oppure uno sbocco lavorativo fuori dalla politica. In ogni caso, uno stipendio. Come alle olgettine.

Basterà a Conte il patto con Letta per salvarsi politicamente?

No. Una buona metà dei parlamentari grillini non vuole andare al traino del Pd di Enrico Letta.

Strana l’intervista di Di Maio al Corriere di ieri. Secondo te quali segnali contiene?

Mi sembra avviato anche lui a votare Draghi presidente della Repubblica. In cambio di un’unica garanzia: che come premier gli succeda per un anno un governo qualsiasi, capace di evitare le elezioni anticipate e quindi il massacro dei grillini.

Su una cosa forse Di Maio ha ragione: quando dice che Berlusconi “potrebbe essere affossato dallo stesso centrodestra”.

Il centrodestra voterà Berlusconi come candidato di bandiera nei primi turni. Non verrà eletto, perché il quorum è alto. Però i voti che raccoglierà verranno attentamente contati, e se veramente la campagna acquisti si rivelasse fruttuosa, rivelando un pacchetto di almeno una ventina di voti oltre il perimetro del centrodestra, Salvini e Meloni potrebbero essere tentati di cercare il colpaccio con i quorum successivi del 51%.

Prima l’FT, poi l’Economist: ci sono pressioni molto forti perché Draghi resti al governo per eseguire il Pnrr e dare “stabilità”. Poi però lo stesso pezzo dell’Economist dice che Draghi vorrebbe andare al Colle. A tuo avviso cosa ha in mente?

Ovvio che Draghi miri al Quirinale, anche perché tutti gli altri sono a distanza siderale da lui. Ma certo non si autocandiderà. Dopodiché, sarà sempre lui a comandare. O attraverso un premier di transizione come Franco o Cartabia, oppure, in caso di elezioni, incaricando un premier europeista di sua fiducia: Giorgetti se vince il centrodestra, o Letta, Gentiloni, Sassoli se prevalesse il centrosinistra.

Qual è il tuo scenario?

Draghi, puntata secca. E anche se a Berlusconi dovesse riuscire lo scherzetto di raccattare tanti profughi ex grillini, alla fine il centrodestra ripiegherà su un nome accettabile da tutti. Per esempio Casellati, già oggi numero due della Repubblica come presidente del Senato. E, soprattutto, donna.

Federico Ferraù 

Saturday, October 23, 2021

Caos M5S/ “Asse grillini-Berlusconi per il Colle: il Cav o la Casellati”

A sorpresa, Giuseppe Conte ha nominato come sua vice Paola Taverna, pentastellata della primissima ora, e “snobbato” Di Maio. Ecco cosa potrebbe succedere nel M5s 

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 23 ottobre 2021

E’ nato il “nuovo” Movimento 5 Stelle, quello di Giuseppe Conte. Nelle scorse ore, infatti, l’ex premier ha scelto la sua squadra, nominando i suoi vice: Paola Taverna, la sola con il ruolo di vicaria, Mario Turco, Alessandra Todde, Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa. 
Diversi i delusi rimasti fuori, e secondo Mauro Suttora, giornalista e scrittore, blogger sull’Huffpost, già all’Europeo, Oggi, Newsweek e New York Observer, aumenta nel Movimento, soprattutto tra i più fedeli alle origini, il fastidio per Conte: “L’ex premier ha privilegiato i fedelissimi e annientato la corrente di Di Maio. Sono prevedibili nel prossimo futuro scontri e terremoti anche vistosi”. 
Quello tra Conte e M5s, ci ha detto ancora, “è solo un matrimonio di interesse, vista l’alta percentuale di popolarità di cui gode ancora Conte, ma il potere reale è ormai solo appannaggio di Grillo, dello stesso Conte e adesso anche di Paola Taverna”.
 
Conte ha scelto la sua squadra nominando i suoi vice: Paola Taverna, la sola con il ruolo di vicaria, Mario Turco, Alessandra Todde, Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa. Sono tutte personalità vicine all’ex premier, è così?

"La grande novità è l’ascesa solitaria di Paola Taverna a numero due del Movimento. È l’unica della vecchia guardia sopravvissuta al rinnovamento totale imposto da Conte. Taverna è grillina da 14 anni, ancor prima che nascesse il Movimento 5 Stelle nel 2009. Si candidò con gli Amici di Grillo alle comunali di Roma 2008, dove col 3% non ottennero eletti. Senatrice da otto anni, vicepresidente del Senato dal 2018, rappresenta l’anima movimentista del M5s. Molto popolare fra la base, ancor più di Di Maio, Fico e Di Battista, è stata la più votata alle ultime primarie online. Fedelissima di Grillo, ha subito legato con Conte, rinunciando alla propria leggendaria aggressività".

Molti parlamentari si dicono delusi. Cosa comporterà questa scelta nei rapporti già tesi con i vecchi Cinquestelle? Nuove scissioni? Un Movimento sempre più diviso?

Il matrimonio fra Conte e i grillini non è d’amore, ma d’interesse. Finché l’ex premier rimarrà al 40% nei sondaggi sulla popolarità individuale dei politici, i 5 Stelle si affideranno a lui. Gli altri quattro membri della presidenza sono sconosciuti, gli appetiti erano tanti, Conte ha privilegiato i fedelissimi e annientato la corrente di Di Maio. Quindi sono prevedibili grossi movimenti tellurici.

E’ stato fatto fuori Alfonso Bonafede. C’è un motivo particolare?
 
No, semplicemente c’erano solo due posti per i maschi, e Conte ha voluto valorizzare il suo Mario Turco. Bonafede non avrà problemi a essere rieletto, grazie alla fama conquistata da ministro.

Fuori anche Chiara Appendino, sembra per scelta personale. Ha chiuso con il M5s o è il M5s che ha chiuso con lei?
La Appendino ha avuto l’intelligenza di farsi da parte, invece di affrontare ciecamente il massacro come la Raggi a Roma. Non ha accettato il posto in presidenza solo perché è appena diventata mamma per la seconda volta, e quindi non può affrontare trasferte a Roma. La sua Torino è l’unica città del Nord dove i grillini hanno resistito al 9%, senza crollare all’umiliante 3% di Milano, Bologna e Trieste. 

Fuori anche Vito Crimi, che è sempre stato un super sostenitore di Conte, come mai?
Beh, la statura politica di Crimi non è paragonabile a quella di Taverna. Un fidato uomo di apparato, niente di più.

Chi comanda davvero lì dentro?
Conte, Grillo e, a questo punto, Taverna.

La Raggi che fine fa? Che ambizioni ha?
Arrivare quarta e ultima a Roma l’ha distrutta. Le sue ambizioni sono direttamente proporzionali all’incompetenza dimostrata nei cinque anni da sindaca di Roma.

Di Maio e Di Battista?
Di Maio è in realtà un democristiano moderato, come Conte. Ma questa vicinanza politica li rende ingombranti l’uno all’altro. Il fedelissimo di Di Maio, Spadafora, ha sparato a zero contro Conte all’ultima riunione con i parlamentari. Di Battista potrebbe essere recuperato da Conte in funzione anti-dimaiana. Ma il suo estremismo complottista lo avvicina più al fuoriuscito Paragone che al nuovo corso moderato di Conte.

Chi controlla chi in aula, alla Camera e al Senato?
Nessuno. È un caos totale. Dei 300 eletti nel 2018 sono rimasti solo in 200. Ma sanno che, col taglio dei parlamentari e il crollo nei sondaggi, pochi riusciranno a essere rieletti. Quindi siamo alla lotta di tutti contro tutti.

Elettoralmente i Cinquestelle sono in crisi nera, ma rappresentano ancora il 33% del Parlamento, tolti i transfughi. Quelli che restano sono più di destra o di sinistra?
Non sono né di destra né di sinistra. È l’unica promessa elettorale che hanno mantenuto, oltre al taglio dei parlamentari e al funesto reddito di cittadinanza. La loro linea politica è mantenere poltrona e stipendio il più a lungo possibile.

C’è ancora il rischio scissione? Che ne sarà della possibile alleanza con il Pd?
I fedeli a Conte non se ne andranno e accetteranno la posizione subalterna al Pd. Gli altri cercheranno ovunque un approdo che prometta loro una speranza di rielezione o di carriera nel sottobosco politico.

Come si comporteranno adesso con Draghi?

Saranno fedeli al governo e contrari all’elezione di Draghi al Quirinale, perché il cambio di premier scuoterebbe troppo il quadro politico, portando probabilmente al voto anticipato nel 2022. Non escludo che molti grillini possano essere reclutati, alias ‘comprati’, da Berlusconi per far eleggere presidente della Repubblica lui stesso o la Casellati, presidente del Senato. Sarebbe la prima donna al Quirinale, e sia il centrodestra che i grillini potrebbero gloriarsene.
Paolo Vites

Wednesday, October 13, 2021

“M5s tra Pd e caos, ne farà le spese il Quirinale”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 13 ottobre 2021

Grillo e Conte sono per l’alleanza con il Pd, la Raggi non avrà spazio. A meno di sorprese nei ballottaggi di Roma e Torino. Ma la bicicletta di M5s ha smesso di pedalare

Ha un bel dire Raggi che non voterà Gualtieri: la strada dei 5 Stelle appare segnata, anche se questo li condanna ad essere un piccolo partito al traino del Pd, dice al Sussidiario Mauro Suttora, giornalista e scrittore, blogger sull’Huffpost, già all’Europeo, Oggi, Newsweek e New York Observer. 

“Se il Pd vincerà i ballottaggi di Roma e Torino, l’alleanza con il M5s andrà avanti. Altrimenti si creerà spazio per gli orfani dell’alleanza con la Lega: la Raggi, Di Battista e Di Maio”.

In ogni caso la bicicletta del Movimento ha messo di pedalare, e per questo è destinata a cadere. E nel febbraio prossimo, quando si tratterà di eleggere il nuovo Capo dello Stato, i pentastellati arriveranno all’appuntamento in ordine sparso, alimentando il caos.

Non si può negare: è Virginia Raggi (con il suo 19%) l’ammiraglia di M5s nelle urne.

"Sì, la sua a Roma è stata la percentuale più alta d’Italia, rispetto ai disastrosi 3% di Milano, Bologna, Trieste e agli ugualmente deprimenti 9% di Torino e Napoli. Quest’ultima, in particolare, crolla dall’incredibile 52% di appena tre anni fa alle politiche". 

Eppure Conte e Di Maio sono corsi a festeggiare proprio a Napoli. 

"Non si sa perché. A Napoli e Bologna i grillini, che non hanno proposto candidati sindaci limitandosi a presentare liste in appoggio a quelli Pd, sono risultati irrilevanti: i nuovi sindaci Pd sarebbero stati eletti al primo turno con la maggioranza assoluta anche senza i loro voti. Quindi se i grillini insisteranno nell’alleanza coi democratici, come vorrebbe Conte, diventeranno un piccolo partito al traino del Pd".

Si dice che l’ex sindaca di Roma pensi alla leadership di M5s.

"Mi sembra un’ipotesi fantascientifica. L’incantevole Virginia ha avuto la sua occasione di governare e l’ha fallita. È crollata anche lei dal 35% del primo turno a Roma cinque anni fa all’attuale 19%. Quarta e ultima, superata perfino da Calenda. Fra gli iscritti grillini tanti sono più popolari di lei. Anche nel suo Lazio, due donne la superano: Roberta Lombardi, assessore in Regione, e Paola Taverna, vicepresidente del Senato".

Quindi Lombardi-Taverna vs. Raggi. Chi ha più spazio, più futuro?

Troppe primedonne per un solo pollaio, quello grillino di Roma. Non c’è posto per tutte e tre. Alle ultime primarie Taverna prese più voti di Di Maio, era la più popolare d’Italia, superata solo da Di Battista. Ora pensa di essere Nilde Jotti, è buffo vederla trasformata da pasionaria in personaggio istituzionale. 

E Lombardi?

Non so quanto Lombardi sia amata fuori dal suo Lazio. Mentre per la Raggi, rimasta legata alla destra dello studio Previti in cui lavorava, vedo un futuro in quell’area. Magari con l’ex leghista ed ex grillino Paragone, che a Milano è stato trombato, ma ha raccolto un non disprezzabile 2,9%.

Raggi a Roma vedrebbe volentieri perdere Gualtieri. Non sappiamo come andrà, ma è comunque una spina nel fianco per Conte, che voterà Pd. Sono due progetti politici alternativi. Quale dei due ha più chances?

Dipende da Grillo. E lui da due anni benedice l’alleanza col Pd. Se fra una settimana i ballottaggi a Roma e Torino saranno vinti dal Pd, l’alleanza con il M5s andrà avanti. Altrimenti si creerà spazio per gli orfani dell’alleanza con la Lega: la Raggi, ma anche Di Battista e Di Maio. I quali però non confesseranno mai la loro predilezione per la destra: si limiteranno a dire di essere contro il bipolarismo, come ha fatto Di Battista due sere fa su Rete4: “Non siamo né di destra, né di sinistra”.

Il Pd ha bisogno di M5s, ma di un M5s forte, vincente. Letta, per il suo “campo largo”, guarderà verso Conte o verso Renzi-Calenda?

Letta guarderà i sondaggi. E secondo l’ultimo disponibile, quello dell’altra sera su La7, i grillini sono sempre sul 16-17%. Cioè il triplo di Renzi più Calenda. Il Pd dovrà imbarcare tutti, impresa difficile. Ma non impossibile, perché senza un’alleanza i grillini, ma anche Calenda e Renzi, saranno ridotti ai minimi termini.

Qual è la tua lettura dell’astensione, in generale e riguardo a M5s?

Fenomeno gravissimo e sottovalutato. Letta a Siena è stato votato dal 60% del 37% che è andato alle urne. Quindi dal 22%. In altri termini, quasi otto elettori su dieci non lo hanno votato. Perciò anche lui, come Conte, ha poco di cui rallegrarsi. I grillini sono i principali colpevoli dell’astensionismo. 

Perché?

Erano l’ultima spiaggia per molti disillusi dalla politica. Ma hanno deluso anche loro, e quindi il disgusto verso i politici è aumentato.

A Roma chi vince?

Se fossi costretto a scommettere, punterei su Michetti del centrodestra. Il Pd ha passato cinque anni a insultare la Raggi, come può sperare adesso nel voto ex grillino?

Quindi cosa faranno gli elettori di Raggi? L’ex sindaca ha detto che non darà indicazioni.

Vediamo se Grillo si esprimerà nei prossimi sei giorni. Una cosa giusta Raggi l’ha detta: “I nostri elettori non sono pacchi che spostiamo di qua o di là”. Quindi non ascolteranno né lei, né Conte.

Qualcuno ha scritto che l’Elevato ha gli occhi su Raggi e la preferirebbe a Conte. Possibile?

Non lo so, ma non lo sa nessun grillino. Grillo è imprevedibile e inaffidabile. Ha insultato a sangue Conte, poi gli ha stretto la mano. Solo Conte lo supera quanto a trasformismo: è passato da premier di destra a premier di sinistra in pochi giorni. Record mondiale.

A proposito di Grillo, come giudichi la sua proposta di “pacificazione” sul green pass? Se chiedi tamponi gratis, sei con Salvini e Meloni.

Giusto. Ma alla fine uno si domanda: a che titolo parla Grillo? Ha fondato e guidato un movimento che però da tre anni e mezzo è fisso al governo. Senza scomodare la teoria dello stato nascente di Alberoni, lo dice la parola stessa: i movimenti per sopravvivere devono muoversi. Se stanno fermi muoiono, come la bici che cade se non è in moto. Il M5s è bloccato, e neanche Grillo riuscirà a scuoterlo.

Torino era un caposaldo. Dal 30% del primo turno di Appendino 2016 al 9% di Sganga 2021. Cosa non ha funzionato?

Tutto. E Appendino, che è intelligente e ben consigliata, non si è neanche ripresentata. La sua condanna per i tre morti di piazza San Carlo mi sembra ingiusta, non ha colpe. Ma Torino è una città moderna e concreta, e Appendino ha pagato per l’incompetenza generale dei grillini. Il reddito di cittadinanza, monumento al parassitismo, li ha fatti precipitare al 3% in tutto il Nord. A Torino è andata perfino bene rispetto a Milano, Bologna e Trieste.

Torniamo a Conte. I suoi guai si chiamano Di Donna. Una tua previsione?

Brutta storia. I 400mila euro incassati dall’Acqua Marcia di Caltagirone possono essere accettati in un altro partito, ma non in quello degli “onesti”. 

Conte non è indagato.

Non ha commesso reati, e infatti non è indagato, ma fa parte di un sottobosco romano parastatale di grosse consulenze per grossi avvocati d’affari. Ed è un mondo agli antipodi di quello grillino. Se n’è accorto anche Grillo, che ha usato la parola “antipodi” contro Conte prima di fare marcia indietro. In Austria il cancelliere Kurz si è dimesso per un nonnulla. I grillini volevano introdurre anche in Italia uno standard di moralità simile. Ma hanno fallito. 

Siamo al de profundis?

I grillini sono morti che camminano. Degli oltre 300 eletti nel 2018 ne sono rimasti 200, e tanto basta per essere ancora il primo partito. Ma rappresentano un moncherino, perché tutti i sondaggi da due anni li danno dimezzati dal 32 al 16%. E i loro riscontri elettorali sono anche peggio.

Quindi?

Il Parlamento non è più rappresentativo, ci vorrebbe un voto anticipato. Però i parlamentari ne usciranno decimati, quindi resisteranno il più possibile. Intanto, lunedì sono uscite le motivazioni della sentenza di Palermo con cui l’avvocato Borrè ha fatto annullare l’espulsione dell’ex capogruppo grillino Riccardo Nuti.

Cosa cambia?

Forse non dovrebbe essere l’unico. Tutte le epurazioni dal 2015 al 2018 dovrebbero essere annullate perché invalide. E pensare che il M5s diceva di voler ripristinare la legalità nelle istituzioni.

Il caso Di Donna sta anche aumentando lo scontento per Conte nelle file degli eletti. Difficile che sia l’ex premier a controllare i voti M5s durante la prossima elezione del capo dello Stato. Chi ha le carte per farlo?

Nessuno. Sarà un caos totale. Anche nel Pd peraltro, i cui parlamentari sono ancora in buona parte di nomina renziana.

Come vedi Di Maio eletto presidente del comitato di garanzia?

Irrilevante. Il suo peso specifico si misura con la poltrona di ministro del Esteri, che è importante. Ma soprattutto con le poltrone che riesce a distribuire agli amici, salvandoli dalla disoccupazione. E lì ormai deve subire la concorrenza di Conte, perché ora è il segretario a nominare i grillini nei consigli d’amministrazione degli enti pubblici.

Federico Ferraù

Monday, October 04, 2021

M5s: San Francesco ce li ha dati, San Francesco ce li ha tolti


di Mauro Suttora

HuffPost, 4 ottobre 2021

San Francesco ce li ha dati e San Francesco ce li ha tolti. I grillini nacquero il 4 ottobre 2009 al teatro Smeraldo di Milano, e nello stesso giorno dodici anni dopo crollano. Non solo nel capoluogo lombardo, dove negli exit poll racimolano un imbarazzante 3%, ma anche a Roma, dove la Raggi non arriva al ballottaggio, a Torino (10%), Trieste (3%) e perfino nella Napoli di Fico e Di Maio, dove il voto di lista grillino crolla rispetto all’incredibile 50% di appena tre anni fa.

Un po’ mi spiace. Se non avessero s/governato, se fossero rimasti al 3-5%, avrebbero svolto un’utile funzione di pungolo, come Pannella. Proprio il capo radicale, ricordo, era in piazza San Paolo nel 2008 a Roma a firmare i primi referendum grillini, non ancora Cinque stelle. Lì avvertì: “Attenti a non sbagliare le date della raccolta firme”. I Casaleggio non lo ascoltarono. Risultato: mezzo milione di firme al macero.

Mi ero iscritto al blog di Grillo nel settembre 2007, il giorno dopo il primo Vaffaday e un giorno prima di Paola Taverna. Scrissi per il mio settimanale Oggi articoli incuriositi e benevoli, frequentando le loro riunioni da embedded per conoscerli bene. Sembravano la naturale conseguenza del milione di copie vendute quell’anno dal libro di Rizzo e Stella, che denunciava gli eccessi della Casta politica.

Conobbi i pionieri dei meetup romano: la futura ‘faraona’ laziale Roberta Lombardi (che perse le primarie a candidata sindaca di Roma nel 2008), il dentista Dario Tamburrano poi eurodeputato. La più simpatica era l’esuberante Taverna, così diversa dai figli di papà Di Maio e Di Battista: al lavoro a 19 anni per mantenere sé e la famiglia (da senatrice ha recuperato e si è laureata).

Alle regionali 2010 risultati scarsissimi: Vito Crimi trombato in Lombardia, Fico 1,3% in Campania. Andai a Bologna a intervistare uno dei rari eletti, Giovanni Favia, brillante pupillo di Grillo. Poi, con i primi successi, prevalse la paranoia dei Casaleggio. Chi non seguiva la linea veniva subito espulso, in un tragicomico susseguirsi di purghe: da Grillo a Stalin. Favia fu la prima vittima, anche la Lombardi rischiò. 

Tutti avevano il terrore di parlare. Io, come giornalista ‘interno’, fui messo al bando: “Spia, infiltrato!”. La Gabanelli prima fu proposta come presidente della Repubblica, poi insultata perché osò chiedere i conti della società Casaleggio. Il candidato grillino a presidente del Senato, Orellana, fu cacciato solo per aver osato proporre di trattare col Pd (con cinque anni di anticipo).

Le macchine del fango non sono state inventate da Morisi con la sua Bestia leghista. Furono i Casaleggio nel 2012, e poi gli addetti stampa Messora (Byoblu) e Casalino a inaugurare le ‘shitstorm’ con cui si seppellivano dissidenti interni e avversari esterni. Ho visto decine di parlamentari ed ex fedelissimi militanti cadere in depressione dopo questi crudeli trattamenti. L’esatto contrario della ‘Rete liberatoria’ predicata da Grillo.

I trionfi elettorali del 2013 e 2018 hanno fatto ingoiare ai grillini questi metodi fascistoidi. Gli stipendi e i posti di sotto-governo tengono tuttora legati i parlamentari.

Ma ormai il giocattolo è rotto, il gioco scoperto. Spariti gli attivisti, rimangono gli arrivisti. Evaporata l’onestà, il fu Movimento 5 stelle ora è avvolto nel fumo della logorrea di Giuseppe Conte. Sopravviverà al massimo come cespuglio del Pd.

“Casaleggio? Mai fidarsi di chi si chiama come un formaggio”, mi prendeva in giro dieci anni fa il compianto filosofo Giulio Giorello. “Cinque stelle? Nome buono per gli hotel, indegno di un partito”, li liquidò Sgarbi. Avevano ragione loro.

In pochi anni sono passato da grillofilo a neutrale grillologo a grillofobo. Ora è il turno dei disillusi ex elettori grillini. Che hanno votato coi piedi: alle urne non ci vanno più. Il boom dell’astensione è l’unica eredità dell’era Grillo.

Mauro Suttora

Monday, September 20, 2021

Caos M5s/ “Raggi (16,5%) ostacola i piani di Conte per rifare il premier col Pd”

Mentre Virginia Raggi batte tutti alle elezioni per il Comitato dei Garanti del M5s, la sorte di Giuseppe Conte è sempre più incerta

intervista a Mauro Suttora

di Paolo Vites

www.ilsussidiario.net, 20 settembre 2021

Nonostante la sua sia stata una amministrazione tra le peggiori che la storia italiana ricordi (assessori che hanno rinunciato al mandato, litigi interni alla giunta, problema dei rifiuti mai risolto, mezzi pubblici da paese del terzo mondo, per dirne alcuni), tra i candidati alla carica di sindaco alle prossime elezioni del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi è quella che ottiene al momento nei sondaggi il risultato migliore. 

A Milano Layla Pavone è data al 5,6%; a Bologna i 5 Stelle sono alleati del Pd e la loro lista è all’8,1%; a Torino Valentina Sganga è all’8,6%. Mentre a Roma la lista civica per Virginia Raggi raggiunge il 16,5%. Non solo: la Raggi è uscita trionfatrice anche alle elezioni per il Comitato dei garanti del Movimento, dove ha doppiato sia Fico sia Di Maio nelle preferenze dei militanti: lei 22.289 e loro 11.949 e 11.748 voti. 

Secondo Mauro Suttora, giornalista, opinionista sull’Huffington Post, “i rapporti tra la Raggi e il presidente del M5s sono molto freddi, Conte non avrebbe neanche voluto si ricandidasse. Il futuro dell’ex premier che guarda sempre di più al Pd e del Movimento sono legati ai risultati delle amministrative”.

Nel voto per il Comitato dei garanti M5S Virginia Raggi ha battuto tutti, sia Fico che Di Maio nelle preferenze dei militanti. Come si spiega? È perché Grillo è sempre stato suo sostenitore convinto?

Semplice: le due preferenze dovevano essere per un uomo e una donna. Quindi chi ha votato Fico ha aggiunto la Raggi, e così per Di Maio. Le altre due candidate donne, la deputata Ruocco e l’eurodeputata Beghin, non sono conosciute quanto la Raggi. 

Nei sondaggi sulle elezioni a sindaco, anche se la Raggi a Roma non vincerà, rispetto a città come Milano o Bologna ha un discreto risultato nonostante i problemi non risolti. Che ruolo avrà dopo la sua uscita dal Campidoglio?

Quel 16% significherebbe arrivare ultima dopo Michetti (destra), Gualtieri (sinistra) e Calenda (centro). Probabilmente la candideranno al Parlamento, anche se sarebbe il suo quarto mandato, mentre i grillini hanno sempre promesso di limitarsi a due mandati per evitare il professionismo politico.

Come sono i suoi rapporti con Conte?

Secondo HuffPost i rapporti Raggi-Conte sono freddi: lui non avrebbe voluto candidarla, per evitare la sconfitta e fare confluire i voti grillini su Gualtieri già al primo turno, come a Bologna e Napoli.

Grillo dopo il patto forzato con Conte sembra che stia mettendo all’ex premier i bastoni fra le ruote. È così?

Grillo è stato convinto da Fico e Di Maio a tenersi Conte perché è una gallina dalle uova d’oro: mentre i grillini nei sondaggi sono al 15%, lui è ancora al 50%. Quindi la scelta era obbligata, come aveva già capito la ex pasionaria ma intelligente Paola Taverna, la prima a inchinarsi a Conte nonostante la distanza politica.

A Piazza Pulita Conte ha dichiarato: “La mia formazione è il cattolicesimo democratico, il mio cuore batte a sinistra”. È già stanco dei 5 Stelle? E loro, se ne vogliono sbarazzare?

Dipende molto dalle comunali fra due settimane. Se a livello nazionale i grillini crolleranno sotto il 10%, sarà dura per Conte tenerli assieme. Lui vuole farsi candidare premier per l’alleanza M5s-Pd, ma ha bisogno del piedistallo di un suo partito, per non fare la fine di Prodi nel 1998 e nel 2008. E anche i dem lo accettano, finché i sondaggi gli sono favorevoli. Molti grillini però considerano Conte un democristiano, estraneo a loro, come ha detto anche Grillo. Quindi mal lo sopportano.

Gli ex come Di Battista che dicono?

Paragone si candida con una sua lista. Di Battista è più furbo: magari accetterà le offerte di Conte per tornare in Parlamento, in modo da coprirlo dal lato dei movimentisti. A Conte conviene valorizzare Di Battista anche in funzione anti-Di Maio. Ma i 400mila euro incassati da Conte dalla società Acqua Marcia di Caltagirone lo allontanano dagli “onesti” del Movimento.

Quelli che alla Camera e al Senato sono usciti da M5s che direzione stanno prendendo?

Ormai sono un centinaio e si sono sparpagliati in tutti i partiti. Hanno come unico obiettivo conservare lo stipendio, e quindi rinviare le elezioni al 2023. Invece Conte vorrebbe il voto politico già nel 2022 perché teme che la sua popolarità evapori nel tempo.

Rapporti col Pd: come si evolvono, e come li evolveranno le elezioni?

Anche qui, tutto dipende dal risultato del 3 ottobre. Se i grillini si ridurranno a un’appendice del Pd col 5-10% forse cercheranno altre strade, fuori dall’abbraccio mortale di questa alleanza. Solo a Napoli possono sperare in un voto di lista del 20%, che comunque è la metà di tre anni fa.

Paolo Vites

Thursday, June 03, 2021

Caos M5S/ Iscritti, nome, simbolo: duello Casaleggio-Conte

intervista a Mauro Suttora

ilsussidiario.net, 3 giugno 2021 

Conte si aggiudica il primo round nello scontro con Casaleggio per avere gli elenchi degli iscritti. Ma quante saranno le riprese non è dato sapere, dunque la partita rimane aperta. Senza accordo si andrà alla battaglia legale, osserva Mauro Suttora, giornalista e scrittore, osservatore dei 5 Stelle dai tempi del Vaffa. I dati dei 180mila registrati a Rousseau sono un pretesto, perché in palio ci sono il nome e il simbolo del Movimento, senza i quali la leadership di Conte è solo virtuale.

La crisi di M5s rimane profonda ed è difficile prevederne le sorti. Alcuni punti fermi – per ora – secondo Suttora: Di Maio più contiano, crollo di consensi alle comunali, niente Draghi al Colle “perché sarebbe difficile cambiare premier senza nuove elezioni. Nelle quali loro sparirebbero tutti”.

Il Garante della privacy nel suo provvedimento ha stabilito che l’Associazione Rousseau deve consegnare al Movimento i dati personali degli iscritti. Sei sorpreso?

No. Se la Casaleggio fosse una semplice società di servizi che gestisce l’elenco degli iscritti grillini, sarebbe ovvio che dovrebbe consegnare l’indirizzario al legittimo proprietario, il Movimento 5 Stelle (M5s). Ma formalmente ha ragione Davide Casaleggio quando chiede al Garante di indicargli a chi consegnare i dati.

Dunque: l’Associazione Rousseau, dice il Garante, è responsabile del trattamento e M5s è il titolare. Casaleggio non è d’accordo e ha risposto che non saprebbe a chi darli, perché non si sa chi sia il rappresentante legale di M5s. Che ne pensi?

Hanno ragione entrambi. Vito Crimi è scaduto, tanto che il tribunale di Cagliari ha nominato un rappresentante pro tempore in un’altra causa. Ma sostanzialmente ormai c’è una frattura, e quindi prima o poi il figlio di Casaleggio dovrà cedere il malloppo. Vedremo in cambio di quanti soldi: ci sono centinaia di migliaia di euro in ballo.

Tutto questo vuol dire una cosa: battaglia legale.

Certo. È risibile l’ultimatum di cinque giorni imposto dal Garante. Qualsiasi Tar lo annullerebbe. Se il M5s avesse versato a Casaleggio i 400mila euro richiesti, la questione sarebbe già risolta. Grillo spinge per un accordo. Ma Conte ha voluto attendere la pronuncia del Garante. Nominato da lui, come insinua Casaleggio.

Come andrà a finire non lo sappiamo. Tu cosa dici?

È una disputa ridicola, anche perché iscriversi al M5s non costa nulla, quindi non vale nulla. Conte potrebbe quindi lasciare i 180mila registrati a Casaleggio e ricostituirsi da zero una nuova base di iscritti in pochi giorni, tramite un appello sui social degli eletti: i grillini più popolari, come lui, Di Maio, Taverna o Fico, hanno centinaia di migliaia di seguaci che aderirebbero subito.

E perché non lo fa?

Ma perché così perderebbe simbolo e nome, che verrebbero sfruttati da Casaleggio junior con i movimentisti Di Battista, Lezzi, Morra e Paragone.

Dunque Conte, nel frattempo, si ritrova leader dimezzato. Brutta faccenda.

E Casaleggio nota giustamente che Conte non è neppure iscritto al M5s, quindi ineleggibile alla sua guida.

Veniamo al fattore Di Maio. La sua svolta garantista non è stata presa benissimo all’interno di M5s. L’ha fatta solo perché è al governo oppure ha altre ambizioni? E quali?

Di Maio, per rendersi presentabile, ora rinnega gli innumerevoli Vaffa contro gli altri politici lanciati dai grillini negli ultimi 14 anni. Ma i Vaffa sono l’unica ragione sociale del M5s, che ancor oggi si definisce MoVimento con quella V maiuscola che sta per Vaffa e Vendetta. Sarebbe come chiedere al Milan di rinunciare ai colori rosso e nero, o all’Italia di abolire il tricolore.

Con chi sta Di Maio tra Conte e Casaleggio?

Con il più forte, che in questo momento è Conte.

Conte è un raffinato professionista. È stato capo del governo. Però non ha la cazzimma e l’astuzia di Di Maio. Chi sarà il leader?

Sono entrambi democristiani, tecnicamente perfetti nella loquela scioltissima e nella gestione del potere. Ma Conte nei sondaggi ha ancora un gradimento del 50%, doppio rispetto al guaglione che tre anni fa lo scelse prima come ministro, e poi come premier. L’unico errore di Di Maio.

Grillo ha chiuso?

Direi di sì, dopo il video isterico sul figlio.

Insomma qual è la posta in gioco? Sopravvivere alle comunali? Controllare i gruppi parlamentari per condizionare la partita del Colle? Fare un nuovo partito? O cos’altro?

Distinguiamo. Per Conte l’obiettivo è sfruttare al massimo, e in qualsiasi modo, la notorietà ottenuta con due anni e mezzo di guida del governo. Per i parlamentari grillini invece è sopravvivere, conservare il più a lungo possibile i 12mila euro di stipendio mensile agguantati per miracolo. Alle comunali di ottobre sarà già tanto se almeno a Napoli o a Roma supereranno il 10%. Nelle altre città sarà un disastro.

E alle presidenziali di gennaio?

Non voteranno Draghi, perché sarebbe difficile cambiare premier senza nuove elezioni. Nelle quali loro sparirebbero tutti, tranne una trentina di big che si ricicleranno in qualche modo.

È vero che c’è una pattuglia di pentastellati che preme su Conte perché ritiri l’appoggio al governo Draghi?

C’è di tutto lì dentro, governisti, antigovernativi, dibattistiani, dimaiani, contiani…

Federico Ferraù

Monday, April 05, 2021

I grillini e la roba: quanto vale il loro database?

Dagli stipendi ai debiti con Rousseau, i soldi determinano molte decisioni politiche M5S: in gioco c'è il cuore del Movimento

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 aprile 2021

“La Chiesa e la roba”, si intitolava un articolo pubblicato dal settimanale Il Mondo il 17 maggio 1960. L’autore, il radicale Ernesto Rossi, sosteneva che fosse la Roba, cioè i soldi, a orientare non poche scelte del Vaticano.

Oggi scopriamo che la Roba determina anche molte decisioni politiche dei grillini. È il cospicuo monte stipendi dei loro 240 parlamentari, infatti, a renderli assai riottosi rispetto alla promessa di lasciare il seggio dopo due mandati, per evitare il professionismo politico. 

E sono 450mila euro quelli in ballo con la società Casaleggio ereditata da Davide, il figlio del fondatore. Lui pretende il saldo di questa cifra non versata dai parlamentari (300 euro mensili ciascuno) per continuare a fornire i servizi di democrazia diretta, marchio di fabbrica del Movimento 5 stelle: primarie online, referendum, ratifiche di espulsioni, gestione del blog.

Loro non vogliono più dipendere dalla sua piattaforma Rousseau, la quale però contiene lo strumento più prezioso del M5S: l’elenco degli iscritti, la mailing list, il database. Che, in un partito senza sedi né dirigenti locali, organizzato solo su web, rappresenta il cuore del sistema. 
La società Casaleggio non ha mai aperto a nessuno questo scrigno. Incredibilmente, neanche i massimi dirigenti nazionali grillini, da Di Maio a Taverna, da Fico allo stesso Grillo, hanno accesso all’indirizzario dei circa 190mila aderenti.
 
Se un deputato vuole organizzare un evento nel suo collegio, non può invitare gli iscritti della sua città. Il povero Crimi, quando nel 2016 il candidato sindaco di Milano fu scelto con primarie vere, fisiche, dovette verificare una a una l’iscrizione di ogni votante su un computer al seggio del voto. La srl Casaleggio negò l’elenco perfino a lui, fidato proconsole lombardo.

Quanto può valere commercialmente, allora, questo mitico database M5s? 
“I database hanno un valore estremamente variabile, che dipende dal numero di soggetti contenuti, dalla quantità di dati e dalle condizioni che rendano possibile e lecita la cessione”, spiega uno dei massimi esperti italiani di diritto informatico e privacy, l’avvocato bresciano Federico Vincenzi. “Sono come una casa di valore enorme: se si scopre che è abusiva, il prezzo crolla. Egualmente, puoi avere migliaia di dati, ma senza un consenso valido per la loro cessione non si possono trasferire a nessuno”. 
E quindi? “Non so quali consensi ci siano nel database M5s. Dubito però che siano sufficienti a giustificare la cessione, o addirittura una vendita”.
Perchè? “Il Tribunale di Roma ha definito il rapporto tra utente e Facebook ‘contratto a rilevanza sociale’. Perciò alcune piattaforme, e Rousseau per definizione, non possono essere considerate semplici portali privati: incidono sul dibattito politico, sul futuro del Paese. Credo quindi che i dati delle persone, che si sono iscritte perché vorrebbero - ahimè, il condizionale è d’obbligo - partecipare direttamente al processo democratico, non possano essere oggetto di trattative o cessioni come se si trattasse di semplici dati da cedere per fini pubblicitari”.

Vede una via d’uscita? 
“Quella più naturale sarebbe chiedere un consenso specifico e consegnare solo i dati di chi dice sì. La situazione è inedita, non poteva esser prevista quando la piattaforma è stata creata. Vedo difficile riciclare vecchi consensi. Ne serve uno nuovo. Una seconda ipotesi potrebbe venire ‘dal basso’: gli utenti/elettori che desiderano essere trasferiti alla nuova dirigenza chiedono - come loro diritto - la portabilità: la Casaleggio non potrebbe opporsi”. 
E se non si raggiungesse un accordo? 
“I dati non sono delle parti, ma degli interessati. Non si può giocare con la democrazia. Debiti e crediti vanno regolati a parte. La soluzione non è fare il prezzo dei dati degli elettori”. 

Insomma, la società milanese non può tirare troppo sui soldi. Ora i grillini offrono 150mila per coprire i debiti, più un contratto di servizio per il futuro. Degradando però il rampollo Casaleggio al rango di un qualsiasi fornitore tecnico di assistenza telematica. Addio Rousseau e utopie palingenetiche.

“In ogni caso”, spiega Lorenzo Borrè, legale di molti grillini espulsi, “non ci si può sottrarre al passaggio del voto su Rousseau per approvare le modifiche statutarie che Conte proporrà, perché la piattaforma è attualmente l’unico strumento per votare un nuovo comitato direttivo, come previsto dagli Stati generali di novembre”. 
In realtà Conte è già stato acclamato Capo unico, e agisce come tale. 
“Ma legalmente, senza la ratifica di un voto online Conte non conta nulla”, avverte Borrè.

Insomma, bisogna rispettare lo statuto M5s: per fare inversione a U e tornare al Capo unico, i grillini devono passare per forza da Casaleggio. Senza accordo, il nuovo partito di Conte dovrebbe ricominciare da zero: costruirsi una nuova mailing list di iscritti e forse perfino rinunciare al simbolo. 
Quanto a Casaleggio, potrebbe continuare a usare il suo database solo accusando il nuovo movimento di aver violato lo statuto, per poi eleggere propri dirigenti scismatici.
Scenario fantascientifico. Ai grillini, tramontati gli ideali, non resta che spartirsi la Roba: “Dimmi quanti soldi vuoi”, cantava Zucchero.
Mauro Suttora

Sunday, February 07, 2021

Caos M5s: scissione inevitabile

LA FINTA SVOLTA VERDE DI GRILLO E' SOLO UN GIOCO DI POTERE

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 7 febbraio 2021

Grillo presenta a Draghi un programma a trazione ambientalista in 10 punti, ma M5s è spaccato e la scissione appare inevitabile

L’adesione al nuovo governo richiede argomenti convincenti, e pare che le grida istrioniche di Grillo si sentissero fino in strada. Ieri, prima dell’incontro con Draghi, l’Elevato ha incontrato i parlamentari M5s alla Camera regalando loro (e a Conte) un show-monologo di tre quarti d’ora. Obiettivo, ringalluzzire i suoi e tenere insieme i pezzi del Movimento. 

Grillo ha deciso di portare in dote al presidente del Consiglio incaricato un decalogo di 10 punti programmatici a trazione nettamente ambientalista. Come dire: eravamo green anche prima del Recovery. In ogni caso M5s resta in difficoltà, spiazzato dal sì della Lega e da una fetta importante di parlamentari che restano contrari.

“Se non fosse intervenuto Grillo avrebbero prevalso i movimentisti di Di Battista” dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, osservatore attento del fenomeno-M5s fin dagli esordi. La scissione è nelle cose, e l’iniziativa di Grillo ha un solo obiettivo".

È una svolta verde?

A me sembra solo una svolta poltronista. I grillini andrebbero al governo anche col diavolo, pur di restare al potere. L’ambientalismo grillino è una barzelletta. Si oppongono ai termovalorizzatori anche se producono riscaldamento gratis: preferiscono che la spazzatura vada in discarica? Dicono no alla Tav, ma i treni ad alta velocità inquinano meno di aerei, tir e auto.

E il tavolino di Conte in piazza Colonna? Dopo due giorni di silenzio nei quali ha incontrato Draghi e la linea del M5s era incerta, il presidente del Consiglio si è intestato una “Alleanza per lo sviluppo sostenibile”. Che cosa significa?

Che la parola “sostenibile” suona bene. La usano sempre anche i peggiori inquinatori, nelle loro pubblicità. Conte non ha mai fatto battaglie ecologiste. Però tutto il Recovery Plan europeo spinge verso l’ecologia, l’Italia dovrà adeguarsi. Ci sono anche tante isterie. Per esempio, senza i contributi pubblici – cioè le nostre tasse – le auto elettriche sarebbero fuori mercato.

Che cosa è successo davvero in M5s dopo l’incarico a Draghi? Nell’arco di un giorno sono passati dal no al sì.

Sono impazziti di rabbia, non se l’aspettavano. Crimi e Taverna hanno detto subito no a Draghi, poi hanno dovuto fare dietrofront. Del resto il soprannome di Crimi fra i grillini è sempre stato “Vito lo smentito”. Come sempre, ha deciso tutto Grillo. A Draghi è bastata una telefonata per incantarlo. Di Maio, Conte e anche il rampollo Casaleggio non contano nulla di fronte a lui.

C’è uno scontro tra Conte e Di Maio per il controllo del partito?

No, entrambi hanno capito che il M5s è morto, alle prossime elezioni non arriverà al 10%. Perché scannarsi per un cadavere? Si riposizioneranno dove conviene meglio.

Potresti essere più preciso?

Ora il Pd fa credere a Conte che sarà ancora il prossimo candidato premier di un’alleanza Pd-Leu-M5s. Più concretamente, Di Maio mira a conservare un posto da ministro anche nel governo Draghi.

Cosa ci dice il fatto che Grillo sia tornato in campo in questo momento?

Che i grillini si stavano spaccando in due: i soliti movimentisti di Di Battista contro i governisti di Di Maio. Se non fosse intervenuto Grillo, avrebbero prevalso i primi.

Secondo un retroscena di Minzolini, Conte sperava che il tentativo di Draghi fallisse per tornare in gioco. Conte lo spera ancora?

Conte e il suo Casalino, come tutti i parvenu, sono obnubilati da delirio di onnipotenza. Tre anni di potere danno alla testa.

Forse Conte non ha più bisogno del partito di cui si è parlato per mesi. Sarà lui a prendersi la leadership dei 5 Stelle?

La leadership dei 5 Stelle non è più interessante. E fra un anno, quando si dovrà trovare un altro premier perché Draghi passerà al Quirinale, anche i sondaggi che ora gonfiano Conte si saranno afflosciati, come capita a tutti i fenomeni quando perdono il potere: Monti, Renzi, perfino Prodi e Berlusconi.

Intanto in M5s c’è sempre chi di Draghi non vuole sentir parlare. Il numero dei contrari viene variamente quantificato: che cosa puoi dirci?

Senza l’intervento di Grillo, la sua base votando su Rousseau avrebbe stracciato Draghi.

I dissenzienti sono guidati da Morra e Di Battista? O le cose stanno diversamente?

Di fronte agli ordini di Grillo sono tornati tutti a cuccia, anche i movimentisti Lezzi e Morra. Dibba è isolato.

Sarà scissione?

Sì, ma con i loro elettori che non li voteranno più.

Che prospettive ha l’alleanza Pd-M5s? Si ha l’impressione che sia più indispensabile al Pd che a M5s anche se il federatore è Conte.

Entrambi i partiti non hanno più linea politica. Sono finiti nell’ammucchiata. Dopo Renzi anche Salvini, aprendo a sorpresa a Draghi, li ha gettati nel panico. Forse per fare politica in Italia oggi bisogna chiamarsi Matteo.

Secondo te come intendono condizionare la partita del Colle?

Al Colle andrà Draghi. La partita fra un anno sarà per il posto da premier. Ma a quel punto voteremo tutti, finalmente.

Federico Ferraù

Wednesday, January 20, 2021

L’Italia è una Repubblica fondata sul Var

di Mauro Suttora


HuffPost, 20 gennaio 2021

Dalle ore 22 e 14 del 19 gennaio 2021 l’Italia è una repubblica fondata sul Var. Dimenticate il primo articolo della Costituzione, che citava il lavoro: ormai ce n’è poco, è stato sostituito dal reddito di cittadinanza, è più un diritto che un dovere.

No, la nuova frontiera della democrazia è il Video Assistant Referee: arbitro assistente video, quindi maschile, sbagliato dire “la Var”. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ieri sera ha chiesto ai suoi questori di rivedere le riprese della seduta dopo aver chiuso la votazione sulla fiducia al governo Conte. E quelli hanno stabilito che i senatori Lello Ciampolillo (ex grillino) e Riccardo Nencini (socialista) potevano votare, perché lo avevano chiesto alzando la mano pochi secondi prima del termine.

Urla di protesta, naturalmente, proprio come negli stadi. Questa volta i tifosi imbufaliti erano quelli di centrodestra, visto che i due senatori hanno votato per Conte, portando il suo esiguo bottino a quota 156.

La coppia di ‘costruttori’ (o voltagabbana, per i loro avversari) ha aspettato ben due ‘chiame’ (gli appelli in ordine alfabetico) prima di esprimere la propria scelta. “La riunione di segreteria del Psi è finita tardi”, si è giustificato Nencini. Eppure avevano avuto tutto il tempo per decidere, quindi il ritardo è sospetto. Hanno fatto i preziosi? Esibizionismo? Imbarazzo per il loro passaggio dall’opposizione alla maggioranza, denominato volgarmente ‘salto della quaglia’?

Le cronache da Bisanzio registrano che, in ogni caso, l’innovazione procedurale introdotta dalla Casellati non è stata pro domo sua, visto che lei è di centrodestra. Ma aspettiamoci d’ora in poi bisticci infiniti: i parlamentari pigri e sbadati chiederanno il Var ogni volta che si attarderanno al bar.

Non è la prima volta che la moviola entra in aula. Il povero senatore Barani (pure lui socialista) ha avuto la carriera stroncata nel 2015 quando la terribile grillina Taverna gli si scagliò contro, accusandolo di avere mimato con mano e bocca un rapporto orale a commento di un intervento della collega Lezzi.

Processo, replay, sporcaccione sospeso e non ricandidato.

Soltanto che nella foga l’incantevole Taverna commise un errore: ripeté il gestaccio per convincere l’allora presidente Grasso, più divertito che allibito, ad aprire il procedimento. Cosicché oggi, in quell’immenso Var che è la rete, si reperisce più facilmente il video della denunciante che quello del reprobo.

In realtà la moviola è la peggior nemica dei politici, perché li inchioda al loro passato. Prossimo o remoto: Veltroni che annuncia di trasferirsi in Africa, Renzi che promette di lasciare la politica se perde il referendum, il grillino che giura di ridursi lo stipendio a 2500 euro, il Salvini comunista padano, la Meloni fascista hobbit.

Prima delle videocamere c’erano fotografi che si guadagnavano da vivere appostandosi per ore e ore in tribuna stampa al solo scopo di cogliere attimi imbarazzanti: i ‘pianisti’ che votavano di nascosto per il vicino assente, il parlamentare dormiente, la Jotti col dito nel naso. Agguati poi amplificati da Striscia la Notizia, con Tapiro d’oro al malcapitato.

In realtà, nella nostra nuova repubblica fondata sul Var, non possiamo che ringraziare le videocamere. Che, è vero, ci angustiano con gli autovelox. Ma, installate a milioni su ogni strada, hanno permesso un incommensurabile balzo in avanti alle statistiche su casi risolti, criminali catturati, pirati della strada individuati. Fino agli stupratori esibizionisti come Genovese, che regalano essi stessi prove agli inquirenti con i filmatini da distribuire agli amici.

E quando useremo il Var anche fra marito e moglie, nessun Ciampolillo la farà franca: annienteremo il coniuge colpevole con un semplice rewind, facendogli risentire o rivedere la scemenza detta un’ora, un giorno, un mese prima.

Mauro Suttora

Wednesday, December 09, 2020

Del Turco: addio certezza del diritto, e anche dell’umanità

L’ex senatore socialista avrebbe incassato una tangente nel 2007; ma solo nel 2015 il Senato ha deciso di cancellare i vitalizi per i senatori colpiti da sentenza definitiva. Del Turco oggi è in fin di vita con tumore, Parkinson e Alzheimer

di Mauro Suttora


HuffPost, 9 dicembre 2020

I 17 membri del Consiglio di presidenza del Senato (la presidente Casellati, i vice Calderoli, La Russa, Taverna, Rossomando, tutti i questori e segretari) per togliere il vitalizio a Ottaviano Del Turco hanno dovuto giocare con la Costituzione. Il cui articolo 25 dice: non si può essere puniti da una legge successiva al reato commesso. È la base dello stato di diritto, oltre che del buon senso.

L’ex senatore socialista avrebbe incassato una tangente nel 2007; ma solo nel 2015 il Senato, in trance grillina, ha deciso di cancellare i vitalizi per i senatori colpiti da sentenza definitiva.

Addio certezza del diritto. E anche dell’umanità: Del Turco oggi è in fin di vita con tumore, Parkinson e Alzheimer. Non riconosce più i propri cari, in quella stessa sua casa di Collelongo (L’Aquila) dove tredici anni fa l’accusatore Vincenzo Angelini, ras delle cliniche private abruzzesi, si fece fotografare dall’autista mentre entrava - disse - con mazzette di banconote in un sacchetto di plastica della spesa, e usciva con lo stesso sacchetto pieno di frutta.

È alla frutta la giustizia italiana: ci ha messo undici anni per ammettere nel 2018 che l’ex presidente dell’Abruzzo, processato per corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere, è innocente per tutte quelle accuse. Hanno dovuto inventare un nuovo reato allo scopo di condannarlo comunque: ‘induzione indebita a dare o promettere utilità‘. Introdotto dalla legge Severino nel 2012 per punire la concussione (il pubblico ufficiale che chiede la tangente) anche quando non c’è minaccia o violenza. Basta un’occhiata, un cenno d’intesa, un silenzio. Un sacchetto di mele. E chi deve capire capisce.

L’unico accusatore di Del Turco aveva capito bene. Che nel 2005, con la nuova giunta di sinistra abruzzese guidata dall’ex capo Cgil tornato a servire la propria regione rinunciando al comodo seggio da eurodeputato (20mila netti mensili), la baldoria era finita. Ben 43 milioni tagliati alle cliniche di Angelini. Il quale allora accusa Del Turco e i suoi di avere incassato quindici milioni.

In primo grado l’ex ministro delle Finanze è condannato a nove anni e sei mesi di prigione. In secondo grado cadono 21 episodi di dazione su 26, pena più che dimezzata: quattro anni. La Cassazione, infine, riduce a tre anni e undici mesi il carcere, l’interdizione dai pubblici uffici da perpetua a 5 anni, cancella l’associazione per delinquere.

La tangente ora si è ridotta a 800mila euro, ma senza prove tranne la parola dell’accusatore pentito e prescritto. I 600mila euro sventolati dal pm, con cui Del Turco acquistò due appartamenti, provenivano da polizze. Perciò l’avvocato difensore Gian Domenico Caiazza ha chiesto la revisione del processo.

Nel frattempo, però, è arrivata la giustizia politica del Senato: i 5mila lordi di vitalizio spariscono. Peccato che l’ex segretario Psi sia l’unico a pagare: altri quattro senatori (il dc Di Benedetto, i forzisti Grillo e Marano, il leghista Stiffoni), anch’essi condannati definitivamente, sono stati graziati perché hanno patteggiato.

Come ai tempi dell’inquisizione: sei innocente? Ammetti egualmente la tua colpa, e ti perdoneremo.

Per l’agonizzante Del Turco è problematica anche la soluzione della grazia presidenziale, che difficilmente può interferire con gli ‘interna corporis acta’ del Senato. Insomma, come cantava Bennato: “Arrivano i buoni!” Giustizia è sfatta.

Mauro Suttora

Friday, November 27, 2020

I soldi (Usa) alla Casaleggio spingono i grillini nel partito di Conte

Un’altra tegola si abbatte su M5s, rendendo ormai impresentabile l’ex partito degli onesti. Il resto lo stanno facendo la Calabria, Berlusconi e il Pd

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

ilsussidiario.net, 27 novembre 2020 

Un’altra tegola si abbatte su M5s. “Casaleggio a libro paga della Philip Morris”: il Riformista svela che la società che controlla il Movimento 5 Stelle “ha incassato da Philip Morris Italia la maxi somma di 1.950.166 euro e 74 centesimi, al netto dell’Iva”. Il giornale diretto da Piero Sansonetti ha visionato bonifici e fatture, dimostrando che la multinazionale Usa ha ricevuto da M5s in cambio una cospicua riduzione delle accise sul tabacco che le ha garantito introiti enormi. Si tratti o no di illecito, il partito dell’onestà riceve un altro duro colpo, che potrebbe accelerare la crisi del governo Conte 2 e la formazione del partito contiano.

“È notevole che a 24 ore di distanza lo scoop sui due milioni di euro della multinazionale Usa delle sigarette alla ditta Casaleggio, che controlla il primo partito italiano, non sia stato ripreso da nessuno, tranne che dal Sussidiario e dall’AdnKronos” commenta Mauro Suttora, giornalista, collaboratore di Huffington Post, già corrispondente dagli Usa per varie testate.

Perché notevole?

Quando capita qualcosa a Renzi, dopo dieci minuti tutti i siti d’informazione sono pieni di notizie, reazioni, commenti. Sui grillini, invece, silenzio. Non c’è neanche la scusa di non fare pubblicità alla concorrenza, perché il Riformista è un piccolo quotidiano neanche distribuito in tutte le edicole, che non rappresenta certo una minaccia per i grandi giornali.

È per il rapporto con Philip Morris che Casaleggio si è sfilato per tempo dalla conduzione di M5s?

Non penso che Casaleggio junior si sia sfilato per questo conflitto d’interessi, anche perché lui non lo considera tale. Ha infatti definito “fantasiosa” la notizia: non perché ne contesti la verità, ma perché prosegue nella commedia di non ritenere la sua Casaleggio Associati il cuore pulsante dei grillini. E naturalmente, come tutti i potenti colti in castagna, ha annunciato querela. Intimidire non fa mai male.

Il Riformista ha analizzato il periodo di fatturazione. O c’è un’inchiesta aperta, e le fatture escono dal fascicolo del pm; o c’è una talpa in Casaleggio; o – più intrigante – per Philip Morris M5s è diventato scomodo. È una multinazionale americana, e negli Usa è cambiato il presidente.

Per la verità la notizia che la Casaleggio fosse a libro paga del colosso del tabacco è uscita in parte già un anno fa sul Fatto Quotidiano prima che Travaglio si appiattisse a sogliola su Conte e i grillini. Ma si parlava solo di qualche consulenza mensile da 50mila euro. Ora invece si scopre che questi versamenti proseguono da due anni, fino a raggiungere la cifra – enorme per una piccola società come la Casaleggio – di 2,3 milioni.

E sulla fonte?

Sulla fonte non so nulla. Potrebbe essere una talpa grillina, della corrente governista di Di Maio ormai in rotta con i movimentisti del rampollo Casaleggio e di Di Battista.

In un modo o nell’altro, l’onestà era già perduta. Restano gli oscuri legami esteri, prima con il Venezuela, poi con una multinazionale Usa. Cosa dobbiamo pensare?

Diceva Montanelli: “Ho incontrato tanti mascalzoni che non sono moralisti, ma nessun moralista che non sia anche un mascalzone”. I grillini fanno la morale a tutti gli altri partiti da ben 13 anni, il primo Vaffa-day è del 2007. Ma ci hanno messo poco ad adeguarsi agli “incassi” dei politici.

A chi pensi?

L’eurodeputato 5 Stelle Giarrusso, ex Iena tv, è stato beccato a incassare dalla stessa Philip Morris 14mila euro per le sue spese elettorali. Fino a poco tempo fa un grillino che avesse osato farsi propaganda personale sarebbe stato espulso sui due piedi. Ricordo che l’ex eurodeputato Tamburrano e la Taverna declinarono mie offerte di intervista perché, dicevano, “poi i nostri colleghi ci massacrano accusandoci di esibizionismo”.

Forse i soldi a Giarrusso e a Casaleggio fanno parte di un unico “pacchetto” della lobby del tabacco.

Può darsi. Ottimo investimento, peraltro: il governo grillino ha abbassato le tasse alla Philip Morris per decine di milioni. Povero Di Battista, che per anni ha tuonato contro lobbies e multinazionali del tabacco. Da notare che la Casaleggio prende soldi anche da Lottomatica, in barba alle crociate grilline contro i giochi d’azzardo e la ludopatia, e da un oligopolista come Onorato, che controlla sia Moby che Tirrenia. Avete provato a prendere un traghetto per la Sardegna in agosto? Prezzi modici?

Il Sussidiario ha dedicato diversi articoli alla crisi della sanità in Calabria, una casamatta dei 5 Stelle. È un fronte pericoloso solo per M5s o anche per Conte e il governo?

Il Sud è stato il granaio dei grillini, e sarà la loro tomba. Alle regionali due mesi fa in Campania e Puglia sono crollati dal 40 al 12 per cento. Ma già alle precedenti elezioni in Calabria, vinte dalla povera Jole Santelli insultata dal ras grillino calabro Morra, il M5s si era liquefatto. Il governo Conte si regge su 300 parlamentari grillini che perderebbero quasi tutti il seggio, se si votasse. 

Forse per questo Conte sta tessendo la trama di un suo partito, di cui si parla da tempo. Ha un futuro?

Certo. Il partito neodemocristiano di Conte è accreditato del 10% dai sondaggi. Il commissario Arcuri, attraverso la sua Invitalia, sta innaffiando con 280 milioni di finanziamenti pubblici il collegio elettorale pugliese del premier. E non è un caso che un ministro grillino come Spadafora sia un ex Udeur. Non per nulla l’insulto più sanguinoso rivolto da Di Battista ai governisti è: “State diventando come l’Udeur”.

Confermi quello che ci avevi detto, pronosticando l’avvicinamento a Conte dei parlamentari grillini più capaci?

Sì. Anche Crimi, che da dieci anni era il proconsole della Casaleggio in Lombardia, l’ha mollata per mettersi con Di Maio. E pensare che Casaleggio padre lo aveva salvato, nonostante fosse stato trombato alle regionali del 2010.

Il partito contiano sarebbe un contenitore centrista. Ha o avrebbe ancora, come si diceva qualche tempo fa, il placet di Oltretevere?

Certamente. Non dobbiamo mai dimenticare che Conte è uno dei prodotti meglio riusciti del convitto romano Villa Nazareth del potentissimo cardinale di sinistra Silvestrini, guidato dall’attuale segretario di Stato vaticano Parolin.

Il Corriere scrive che a qualcuno nel Pd non dispiacerebbe votare a maggio. Lo credi possibile?

Finché il Pd nei sondaggi resta inchiodato al 20% e Renzi al 3%, difficile che lo auspichino.

L’altra ipotesi sarebbe l’agognato rimpasto di governo. È uno scenario più realistico? Attenzione però: in un rimpasto si sa come si entra, ma non come si esce.

Infatti. In teoria, se si cambiasse solo qualche ministro, Conte verrebbe rafforzato: inutile far cadere un governo appena rinnovato. Ma ormai molti nel Pd dicono “rimpasto” per dire “via Conte”, considerato troppo logoro e anche invadente: pare faccia di tutto per accumulare potere nei gangli del sottopotere e parastato, piazzando fedelissimi e avocando competenze alla presidenza del Consiglio.

Federico Ferraù

Monday, November 16, 2020

Grillini: la base sta con Di Battista

Conte farà un partito con Di Maio


intervista a Mauro Suttora


ilsussidiario.net, 16 novembre 2020


Si sono conclusi gli Stati generali di M5s. La crisi resta e si acuisce: nel partito prevalgono i furbi alla Di Maio, la base sta con Di Battista


Come sono lontani i tempi di Casaleggio. Non quelli di Davide, ma del padre Gianroberto. Una visione avveniristica, la sua; seducente, furba, per molti versi pericolosa. È a lui che pensano probabilmente i pochi militanti rimasti, quando contemplano l’esito degli “Stati generali”, assemblea – virtuale, è d’obbligo – di un Movimento 5 Stelle che cerca di non ridursi a gioco di poltrone.


La due giorni del Movimento si è conclusa fissando tre risultati: guida collegiale, alleanze programmatiche ma non strutturali con gli altri partiti, vincolo del doppio mandato. Ma gli Stati generali restituiscono un partito in crisi profonda, tutto meno che trasparente, spaccato tra movimentisti e governisti, “arrivisti e banderuole”, dice Mauro Suttora, giornalista, osservatore clinico dei 5 Stelle fin dagli esordi. “Sopravvivono solo grazie al virus, come il governo Conte. Ma la base sta con Di Battista”.


Il risultato di questo congresso politico anomalo rafforza o indebolisce Conte, presidente del Consiglio indicato dai 5 Stelle?


Questa parodia di congresso lo indebolisce, perché i grillini sono spaccati. Ma ormai Conte è riuscito a separare il suo destino dal loro. Anzi, se nel M5s prevarranno Di Battista e Casaleggio jr, lui potrà diventare, con una sua lista, il rifugio di molti grillini “democristiani” come Di Maio o Spadafora.


Le tue osservazioni sui meccanismi di designazione dei 30 “delegati” nazionali?


Sono riusciti a inventare le elezioni con risultato segreto. Su un migliaio di candidati, hanno pubblicato solo i nomi dei primi 30, senza specificare quanti voti hanno avuto ciascuno di loro, e quanti i non eletti. Mi sembra un delirio, e fanno bene Casaleggio e Di Battista a pretendere di conoscere i risultati. Soprattutto in un partito che era nato in nome della trasparenza.


Sarà “guida collegiale”. O dobbiamo aspettarci che questa formula serva ad avallare la leadership di qualcuno?


Ormai nei grillini ci sono due poli: i governisti filo-Pd per convinzione (Fico) o convenienza (Di Maio) e i movimentisti: anche qui per convinzione (Di Battista) o convenienza (Casaleggio). Altri big come Paola Taverna cercano di barcamenarsi, ma il solco è quello. La maggioranza del nuovo direttivo con sette posti verrà decisa dal metodo elettorale che sceglieranno. Ma la base sta con Di Battista.


Di Maio esce rafforzato dagli Stati generali?


Direi di no. Nelle votazioni delle assemblee regionali e dei 30 “oratori” nazionali ha prevalso Di Battista. Soprattutto sul divieto di secondo mandato.


È arrivato da più voci un no ad alleanze strutturali. È realmente possibile per M5s oggi stare da soli?


È un finto problema. Grillini e Pd possono correre separati e coalizzarsi dopo il voto, come succederà alle comunali in primavera.


Come valuti la parabola recente di Davide Casaleggio, da dominus dietro le quinte fino alla sua non partecipazione?


In un movimento è difficile che la leadership si trasmetta ereditariamente, i grillini non sono la Corea del Nord. Bisogna vedere se il rampollo Casaleggio andrà d’accordo con Grillo, più che con Di Maio.


Tu hai detto più volte che la scissione è nelle cose. Cosa farà di Battista?


Di Battista cercherà di non farsi fregare da Di Maio e Spadafora che sono dei politici vecchio stile, tecnicamente perfetti, furbissimi. Probabilmente non ci riuscirà, perché è troppo egocentrico ed esibizionista per far carriera in politica. Lo vedo volteggiare a “Ballando con le stelle” in tv.


Che cos’è oggi M5s? Un fu movimento, un partito mancato, qualcosa di nuovo?


Il M5s non esiste più dalle europee del 2019, quando dimezzò i suoi voti al 17%. Alle regionali di due mesi fa è ulteriormente crollato al 7%, e al 3% in Veneto. Sopravvive solo grazie al virus, come il governo Conte. La pandemia ha mummificato entrambi, prolungandone l’agonia. Ormai è accanimento terapeutico.


Chi deciderà davvero? Di Maio? Grillo, apparentemente assente? O Conte?


Quando Grillo uscirà dalla sua depressione, vedremo cosa dirà. Ma lo capisco: vedere la sua creatura ridotta così, in mano ad arrivisti e banderuole che passano indifferentemente dalla destra di Salvini alla sinistra, è sconfortante. Lo hanno detto molti attivisti alle assemblee locali: “Rischiamo di cambiar nome in Movimento 5 Poltrone”. Ma sono stati gentili con i loro capi: non è un rischio, è una certezza.

Federico Ferraù