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Tuesday, June 09, 2020

Nessun governo determinerà il nostro futuro

ELOGIO DELLA SPONTANEITÀ

di Mauro Suttora

Huffington Post, 9 giugno 2020

articolo originale

Nessun politico ha mai pianificato il progresso con stati generali o caporali. Il “nuovo modello di sviluppo” resuscitato da Walter Veltroni arriva sempre per caso: negli ultimi 40 anni grazie alle invenzioni di Bill Gates (Microsoft), Steve Jobs (Apple), Mark Zuckerberg (Facebook) o Jeff Bezos (Amazon).

Ricordate Altavista, Yahoo, Blackberry, Nokia? Erano il massimo dell’avanguardia, poi spontaneamente sono stati sepolti da Google e Samsung. Senza interferenze di governi.

Nessun ministro della musica ha mai deciso di passare dai 78 giri ai 33 e ai 45, dai registratori geloso alle cassette, dai mangiadischi ai cd, dai walkman agli ipod, dalle chiavette a spotify.

Nessun sottosegretario di cinema e tv ha mai programmato betamax e vhs, dvd e blu-ray, schermi piatti e curvi, satelliti e pay, streaming e ondemand.

Nessun gerarca minore grillino potrà mai immaginare come i nostri figli filmeranno i nostri nipoti fra cinque anni, dopo che abbiamo dovuto riversare in vhs i superotto dei nostri padri perché i proiettori erano finiti in soffitta, e poi digitalizzarli su dvd; e ora anche i dvd sono sorpassati.

Nessuna task force di Colao potrà mai ordinare a tir, aerei e navi di abbandonare gli inquinanti diesel e kerosene per elettricità, sole e vento. Al massimo, se desideriamo “sostenibilità”, toglieremo i miliardi che regaliamo ai camion come rimborso accise per la follia di trasportare acqua minerale da 10 cent al litro dalle Marche alla Sardegna e dalla Valtellina a Siracusa. Così magari il chilometro zero diventerà più conveniente del km mille.

Nessuna neostatalista Mariana Mazzucato potrà mai obbligarci a usare bici invece delle auto, e monopattini invece delle bici.

Nessun aeroporto di Malpensa accuratamente progettato da governi e costato miliardi potrà mai competere con Orio al Serio, diventato terzo scalo italiano gratis, senza che nessun burocrate lo inserisse in un piano quinquennale.

I primi a rendersi obsoleti sono i governanti che convocano grandiosi e ultimativi convegni per “disegnare il futuro”. Perché il nostro futuro non è di loro proprietà. Quindi sceglieremo noi se sarà green o grey, se l’impronta ecologica si alleggerirà, se la decrescita sarà felice, se il rientro nelle emissioni di vent’anni fa sarà dolce. E quando bus e treni torneranno a essere meno rischiosi per il virus e più per l’ambiente, li riempiremo di nuovo.

Faremo ogni giorno qualcosa che non è calcolabile da chi vuole dirci quel che vogliamo. Perché non ci fidiamo del governo, di nessun governo. E non c’è bisogno di essere libertari né anarchici per accogliere l’invito del filosofo verde Wendell Berry: “Quando vedi che i politicanti riescono a prevedere i movimenti del tuo pensiero, abbandonalo”.
Mauro Suttora

Tuesday, April 12, 2016

Elogio del liberismo selvaggio

Dalla prima Design week al Salone del mobile, il liberismo fa bella Milano

Manifestazioni nate e cresciute spontaneamente, senza contributi statali né pianificazione, e cresciute di anno in anno al di fuori di ogni programmazione. Niente politici che beneficiano clienti, niente assessori che “valorizzano” amici e amanti con soldi pubblici

Link all'articolo sul Foglio

di Mauro Suttora

12 aprile 2016

Milano. Il liberismo selvaggio celebra i suoi trionfi a Milano in questi giorni. Prima i tre giorni di MiArt, la fiera dell’arte moderna e contemporanea che in soli vent’anni è arrivata in cima alle rassegne italiane, misurandosi con Artissima di Torino e occhieggiando Art Basel.
Poi il Salone del mobile e il Fuorisalone, iniziati martedì, che ogni primavera trasformano per dieci giorni la città nella capitale mondiale di design, arredamento, architettura d'interni e arte. Quest’anno, inoltre, c’è la rinata Triennale. 
Per centinaia di migliaia di creativi di tutto il mondo, soprattutto giovani, arrivare a Milano in aprile è diventato un appuntamento fisso. E glamour. Alberghi pieni fino a Como e Brescia, bed & breakfast introvabili, case di studenti che scoppiano di amici. Strade invase ogni sera, eventi e performance ad ogni angolo, vernici, cocktail, feste in tutti gli angoli della città. 
Manifestazioni nate e cresciute spontaneamente, senza contributi statali né pianificazione, e cresciute di anno in anno al di fuori di ogni programmazione. Niente politici che beneficiano clienti, niente assessori che “valorizzano” amici e amanti con soldi pubblici. 
Così, mentre anche in queste settimane i candidati sindaci della metropoli lombarda promettono come sempre “decentramento” e “rivitalizzazione delle periferie”, il libero mercato ha già realizzato da solo il nuovo miracolo a Milano: quartieri una volta orrendi come Lambrate e Porta Genova, Bicocca e Bovisa, sono diventati di tendenza proprio grazie alle industrie dismesse e ai magazzini che li deturpavano.
La nuova vita ha iniziato a portarla dal Duemila la Design Week, con le scelte bizzarre degli artisti d’avanguardia che si sono installati in loft a buon mercato, ristrutturandoli. Dopo le “temporary galleries”, sono restati tutto l’anno.
Come a New York con Soho (South of Houston street) o Nolita (North of Little Italy), ora Milano esibisce ironicamente Nolo (North of Loreto), e pittori che esibiscono da Londra a Pechino frequentano i ristoranti di Crescenzago. 
Dall’altra parte della città, oltre piazzale Lodi, il gioiello della Fondazione Prada. Un po’ troppo autoreferenziale e autocelebrativo, invece, il Silos Armani di via Bergognone. Dopo zona Tortona, Fabbrica del Vapore accanto al Cimitero monumentale, il Porta Romana Design District, Porta Venezia e le immarcescibili Brera e Corso Como, ecco spuntare risorgimenti di aree centrali ma abbandonate dopo le sei di sera come le Cinque Vie dietro via Torino, con il palazzo della Siam (Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, nome di fragranza deamicisiana) in via Santa Marta che, nata nel 1838, rifiorisce grazie a computer artists e installazioni concept. Ti volti nella calca dei visitatori, e senti ventenni parlare coreano, ebraico, russo, arabo, cinese.
La maggior parte di loro arrivano a Milano atterrando con i low cost all’aeroporto di Bergamo Orio al Serio: altro esempio di spontaneità lombarda, sviluppatosi al di fuori di ogni piano e autofinanziato, contrariamente a Malpensa grande divoratrice di soldi statali con risultati scarsi. 
Così, mentre i burocrati spendono miliardi per Expo e ne sciupano altrettanti per vuote autostrade verso Brescia, la vera vita e gli affari fluiscono a Milano fra hangar e gasometri, con i contributi di sponsor privati e dei milioni guadagnati e reinvestiti dalle industrie brianzole dell'arredamento.
Gli stessi cumenda ex artigiani che nel 1961 fondarono il Salone del Mobile, mai immaginando che mezzo secolo dopo, stracciata la fiera concorrente di Colonia, sarebbero diventati l’epicentro dello stile planetario.
“Siamo una miniera, l’Italia in questo momento è sotto i riflettori. La situazione è ottima, la sinergia fra MiArt, Salone del Mobile e Triennale è fondamentale, l’arte vale oro”, commenta soddisfatta la gallerista Lia Rumma. Lei è una pioniera delle periferie: galleria a Napoli dal 1974, nel 1999 sbarcò in via Solferino. Ma sei anni fa con i suoi big (Abramovic, Beecroft, Pistoletto) si è trasferita in via Stilicone, vicino a un’ex fonderia della Ghisolfa. Ha portato le torri di Anselm Kiefer alla Bicocca. Scommessa vinta.
Anche per Vincenzo De Bellis: dopo quattro anni da direttore MiArt, vola in America al Walker Art Center di Minneapolis, Minnesota. Le meraviglie del libero mercato. Wild West.
Mauro Suttora