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Monday, January 01, 2018

Sette confini per Sette

LE FRONTIERE PIU' STRANE DEL MONDO

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera)
21 dicembre 2017

Ci sono quelli sanguinanti (Turchia-Siria) e quelli pacifici (Usa-Canada). Molti sono invisibili (Ue, spazio Schengen), alcuni protetti da muri (Israele-Palestina). E poi quelli appena risorti (Regno Unito-Europa), i dimenticati (Italia-Svizzera), i cancellati (Germania Ovest-Est).
Tutti i confini, però, condividono una caratteristica: sono carichi di storia.
Quelli naturali coincidono con mari, fiumi, monti. Gli altri invece, arbitrari, risultano da secoli di lotte, battaglie, innumerevoli morti.

Perché, per esempio, l'Italia finisce a Chiasso, e non dieci chilometri più a sud o a nord? (Risposta: battaglia persa dai 'pacifici' svizzeri a Marignano/Melegnano nel 1515, la più cruenta dell'epoca).
E qualcuno sa che la frontiera di Ventimiglia fu decisa da Napoleone nel 1808, quando assegnò il paese di Garavano a Mentone?
Molti sono ancor oggi disposti a morire, per un confine. Soprattutto se lo considerano sacro (Gerusalemme).
Qui vi raccontiamo 7 storie (come 7) meno drammatiche, ma speriamo interessanti e curiose.



1) PIPÌ NEL MAR NERO
Ci sono tre posti, in Italia, dove la nostra pipì finisce nel mar Nero. Tarvisio (Udine), San Candido e Sesto in val Pusteria (Bolzano) e Livigno (Sondrio) si trovano infatti al di là dello spartiacque alpino. Quindi il loro bacino idrografico, per dirla con gli scienziati, non è quello del Po. I torrenti che bagnano questi quattro comuni (con annesse fogne e depuratori) affluiscono nei fiumi Inn e Drava, e da lì nel Danubio fino alla Romania.

Non sono l'unica eccezione al crinale delle Alpi come frontiera. Ben più grande è il canton Ticino: italiano per geografia e lingua, ma svizzero da mezzo millennio.
Tarvisio e San Candido invece sono italiani da un secolo. Facemmo un po' i gradassi dopo la vittoria del 1918: ai generali piace controllare le valli dall'alto, così li strappammo all'Austria. Anche se a Tarvisio gli abitanti italiani erano solo 10, contro 6400 austriaci e 1680 sloveni. Uguale destino per il Sud Tirolo, ma almeno lì la geografia sta con noi.
Fummo puniti nel 1947: la Francia pigliò la parte italiana dei passi Monginevro e Moncenisio.

2) SE SAN COLOMBANO ODIA LODI
Un mese fa Sappada (Belluno) è passata dal Veneto al Friuli, con annessi finanziamenti di regione a statuto speciale. Direte: ma sono confini interni, quisquilie.
Invece no. Le diatribe fra regioni, province e anche comuni confinanti possono raggiungere accanimenti a livelli jugoslavi (guerra esclusa). Infatti c'è voluto un voto del Parlamento per spostare Sappada.
Un caso sconosciuto ma clamoroso è quello di San Colombano al Lambro. Quando nel 1992 nacque la provincia di Lodi, i suoi 7.400 abitanti votarono all'80% per rimanere con quella di Milano. Che però dista 40 km, quindi San Colombano è ora una enclave fra le province di Lodi e Pavia.
I fieri 'banini' (fra i quali il cantautore Gianluca Grignani) non potevano accettare di stare sotto i lodigiani.

Uguale destino per l'Alta Valmarecchia: sette comuni (fra cui San Leo di Cagliostro, Pennabilli di Tonino Guerra e Novafeltria) con 18mila abitanti passarono dalle Marche (Pesaro-Urbino) alla Romagna (Rimini) nel 2009. Ma sopravvive dentro di essa l'enclave toscana di Ca' Raffaello (280 abitanti) appartenente al comune di Badia Tedalda (Arezzo): un lascito medievale.

3) TURCHIA-SIRIA: FERROVIA DEL KAISER
Non è vero che tutti gli attuali confini mediorientali furono inventati da Francia e Regno Unito con l'accordo segreto Sykes-Picot del 1916, come accusano gli islamisti.
La frontiera Turchia-Siria, che i curdi hanno recentemente liberato dall'Isis, fu in realtà decisa dal Kaiser tedesco. La Germania infatti all'inizio del 900 costruì la ferrovia Berlino-Baghdad, che da Istanbul correva in territorio ottomano. E prima di scendere nell'attuale Iraq, collegava Aleppo a Mosul.

Ebbene, proprio quel tracciato fu scelto dagli anglofrancesi per separare l'attuale Turchia dalla Siria: il confine corre tuttora per 350 km in parallelo subito a sud dei binari, rimasti sotto controllo turco da Çobanbey a Nusaybin.
Nel 2010 la ferrovia è stata riaperta dopo decenni di abbandono: i treni unirono di nuovo Gaziantep (Turchia) a Mosul (Iraq). Ma dopo due anni il sogno si è infranto con lo scoppio della rivolta contro Assad di Siria. E poi con l'arrivo dell'Isis.

4) DOPPIA ENCLAVE IN OMAN
In mezzo al deserto degli Emirati Arabi Uniti, dietro a Dubai e Abu Dhabi, c'è un polveroso paesone di 3mila abitanti: Madha. È un'enclave dell'Oman sulla strada costiera che porta al Musandam, regione anch'essa controllata dal sultanato di Mascate a nord degli Emirati, proprio sulla punta della penisola araba di fronte all'Iran, sullo stretto di Hormuz.
Di enclaves nel mondo ce ne sono tante. L'Italia ha Campione (Como), circondata dalla Svizzera sul lago di Lugano.
La particolarità di Madha è che dentro di sé contiene una doppia enclave: un quartiere di 40 case, Nahwa, che appartiene agli Emirati.

Altre doppie enclaves si trovano in Olanda (la belga Baarle-Hertog, con dentro le sette mini exclaves olandesi di Baarle-Nassau).
Il record mondiale fino a due anni fa era un'enclave di terzo livello a Cooch Behar, in India: gli indiani avevano un appezzamento dentro una zona bengalese, circondata a sua volta da un'enclave indiana all'interno del Bangla Desh. Ora il puzzle è stato risolto con traslochi pacifici.

5) USA-CANADA: GUERRA DEL MAIALE
La guerra più assurda della storia scoppiò nel 1859 fra Stati Uniti e Canada, allora colonia inglese. Un contadino americano dell'isola di San Juan (fra Vancouver e Seattle, sul Pacifico), contesa dai due Paesi, uccise il maiale di un britannico che gli mangiava i tuberi.
Gli inglesi spedirono ben 2mila soldati su cinque navi da guerra per vendicare l'affronto. Gli americani risposero con 400 militari. Alla fine la disputa fu demandata al Kaiser tedesco, che assegnò l'isola agli Usa.
Insomma, fu solo una scaramuccia senza spargimento di sangue, anche se è pomposamente passata alla storia come Pig War.

In realtà il confine fra Usa e Canada è il più calmo, incustodito, lungo e dritto del mondo. Misura 8.891 km, di cui 2.475 con l'Alaska. Gli altri coincidono col 49esimo parallelo, tranne la parte orientale fra i Grandi laghi e il New England, decisa dalle guerre coloniali anglofrancesi prima dell'indipendenza americana nel 1776.
Quest'anno il premier canadese Justin Trudeau ha invitato i profughi rifiutati da Donald Trump a rifugiarsi in Canada, e allora gli Usa hanno intensificato i controlli alla frontiera, già rafforzati dopo l'11 settembre 2001.

6) LIBIA INGRANDITA DAGLI ITALIANI
Il confine sud della Libia, che oggi è quello che interessa di più l'Italia per il controllo dei migranti, non esisteva nel 1912, quando strappammo la colonia all'impero ottomano. Occupammo solo le coste di Tripolitania e Cirenaica, disinteressandoci dello "scatolone di sabbia" all'interno.

Fu solo nel 1919, alle trattative per la pace di Versailles, che la Francia (allora padrona di tutto il Sahara occidentale) ci cedette la pista che collegava le oasi di Gadames, Ghat e Tummo. Così nacquero gli attuali delicatissimi confini libici con Algeria e Niger.
Nel 1935 il premier francese Pierre Laval, per rabbonire Mussolini, concesse all'Italia anche la striscia di Aozou al confine con l'attuale Ciad. Per la quale negli anni 80, scoperti i giacimenti di uranio, Gheddafi scatenò una lunga guerra al Ciad che se l'era ripresa, fino alla ritirata libica nel 1994.
Altri ampliamenti i fascisti li ottennero da Egitto e Sudan inglese a Giarabub (roccaforte della confraternita cirenaica dei senussiti dove nacque Idris, re prima di Gheddafi) e nel sudest.

7) PAPA BORGIA INVENTÒ IL BRASILE
Appena sette mesi dopo la scoperta dell'America il papa Alessandro VI Borgia, spagnolo, si preoccupò di spartire le nuove terre fra i regni cattolici di Spagna e Portogallo: nel maggio 1493 stabilì che tutte le scoperte al di là di cento leghe da Capo Verde (36esimo meridiano) spettavano alla sua Spagna, e al di qua al Portogallo.
Un anno dopo l'incredibile trattato di Tordesillas spostò più a ovest l'immaginario confine, assegnando ai portoghesi le terre fino al 46esimo meridiano (1.770 km dall'Africa). Nacque così il Brasile, cinque anni prima che venisse scoperto da Amerigo Vespucci, che arrivò solo nel 1499 alla foce del Rio delle Amazzoni. E tutto il resto del Sud America andò alla Spagna.

In seguito i portoghesi si spinsero ben oltre il confine papale, perché l'Amazzonia era facilmente raggiungibile risalendo il fiume. Gli spagnoli in Perù invece erano troppo occupati a razziare gli ori degli Incas per occuparsi di inutili foreste.
Così un nuovo trattato del 1750 definì l'attuale confine occidentale del Brasile con Perù e Bolivia, quand'erano ancora colonie.
Mauro Suttora














Thursday, November 26, 2015

reportage dall'Oman

QUI L'ISLAM È MODERATO E OSPITALE

dal nostro inviato Mauro Suttora

Oggi, 18 novembre 2015





Quando si atterra all’aeroporto di Mascate (Muscat nella lingua locale) la sorpresa
è grande. La città, infatti, si snoda per più di cinquanta chilometri sulla costa dell’oceano Indiano, ai piedi di una catena di montagne rosse attraversate da spettacolari canyon.

Sembra di stare a Los Angeles, con distanze immense e taxi che scivolano per interminabili spostamenti su autostrade a dieci corsie. Estrema pulizia, multe a chi non lava la propria auto. Diversamente a Dubai e Abu Dhabi, non c’è un grattacielo. E l’anima araba è rispettata con architetture bianche e palmeti.
Ad aggiungere un tocco di squisitezza, i resti dei forti portoghesi, ex potenza coloniale prima degli inglesi.

UN SULTANO ILLUMINATO GOVERNA DA 45 ANNI
Il sultano dell’Oman, Qabus, ha computo 75 anni il 18 novembre (festa nazionale). È uno dei governanti più longevi del mondo. Prese il potere nel 1970, quando l’Oman era ancora un protettorato britannico e c’era la schiavitù. In questi 45 anni è stato il Paese con lo sviluppo più rapido del mondo: dal medioevo a una modernità autoritaria ma tollerante. L’Oman non è una democrazia, però il sovrano è illuminato e amato.

TEATRO DELL’OPERA CON MUSICA OCCIDENTALE
Qabus è appassionato di musica classica, e ha fatto costruire il teatro dell’opera più grandioso del Medio Oriente. Soltanto al Cairo ce n’è un altro, in tutti i Paesi arabi e musulmani.
In teoria la musica occidentale non è ammessa dai religiosi con la mentalità più stretta. Ma il sultano ha fatto in fretta a convincere il Gran Mufti di Mascate, suo quasi coetaneo, a chiudere un occhio. Gli ha infatti finanziato un’altra meraviglia con marmi bianchi
da centinaia di milioni di euro: la Gran Moschea aperta nel 2001.

A guidare il Teatro dell’Opera c’è un italiano: Umberto Fanni, 53 anni, ex direttore dell’Arena di Verona e dei teatri di Trieste, Cagliari e Brescia. Nell’ultima stagione ha fatto venire in Oman Riccardo Muti con la sua orchestra giovanile Cherubini di Ravenna e Piacenza.

All’università, un’altra sorpresa: la professoressa milanese quarantenne Rosanna Dambrosio insegna musica ai giovani omaniti. Entriamo nella sua classe: i quattro maschi sono rigorosamente separati dalle femmine ventenni, tutte con il velo nero.

Il padiglione dell’Oman all’Expo di Milano è stato uno di quelli col maggiore successo. E i legami con l’Italia si sono rafforzati con la visita a Mascate la scorsa settimana del presidente Sergio Mattarella. Il quale ha visitato la nostra nave antipirati che in pochi anni ha ripulito - assieme a quelle di altri Paesi – le coste dell’oceano Indiano dai pericolosi abbordaggi. Il sacrificio dei due nostri marò non è stato inutile.
Gli scambi Oman-Italia sono in gran fermento. Importiamo gas e petrolio, esportiamo musica ma anche ben più lucrosi contratti per le nostre aziende.

AMBASCIATRICE DONNA IN UN PAESE ISLAMICO
Il Made in Italy è ben rappresentato dalla giovane ambasciatrice italiana a Mascate, Paola Amadei. L’appalto più appetito è quello per la ferrovia che collegherà la capitale con Dubai al nord e con la seconda città dell’Oman, Salalah, al sud, verso lo Yemen. 

A completare l’eccellenza degli italiani che lavorano a Mascate c’è l’economista Fabio Scacciavillani (che scrive sul quotidiano Il Fatto).
L’Oman è un’oasi di tranquillità e civiltà in una regione devastata daI fanatismi. Soltanto il Marocco è uno stato arabo tanto tranquillo e sicuro. Ma è all’estremo opposto del mondo musulmano, verso Ovest.
Mauro Suttora




Tuesday, November 24, 2015

Viaggiare sicuri

METE TRANQUILLE PER LE VACANZE INVERNALI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 novembre 2015

Dicembre, andiamo, è tempo di viaggiare. Ora i turisti lascian l’Italia e vanno verso il mare. Ma dove prenotare per le vacanze di Natale e Capodanno? Con l’aiuto del sito www.viaggiaresicuri.it del ministero degli Esteri e del Global Peace Index, ecco una guida ragionata alle zone «calde» del mondo. Per evitare quelle ad alta temperatura politica, e godere invece del sole tropicale o equatoriale.
Tenendo presente che la situazione può evolvere di giorno in giorno, e che anche nei Paesi più pacifici ci sono alcune zone off-limits.

Egitto giù, Tunisia su

Purtroppo, dopo l’attacco dell’Isis al jet russo sul Sinai, Sharm-el-Sheikh ma anche le crociere sul Nilo e le piramidi del Cairo non sono consigliabili. Diciamo purtroppo, perché l’Egitto invece ha bisogno degli introiti turistici proprio per evitare che i giovani, impoveriti, siano attratti dal fondamentalismo islamista.

Stesso discorso per la Tunisia: il governo è riuscito a ripristinare un clima di fiducia dopo gli attacchi della scorsa estate, e i turisti occidentali stanno tornando.
Ma gli unici Paesi arabi dove il rischio politico è inesistente sono Oman ed Emirati (Dubai, Abu Dhabi) ad est, e Marocco all’estremo opposto, sull’oceano Atlantico.

Ovviamente da escludere le zone di guerra: Iraq, Siria, Libia, Yemen. Per Israele e Giordania (Petra) c’è il solito discorso: da un giorno all’altro potrebbero rinfocolarsi guerriglie decennali, con attacchi improvvisi per strada. C’è comunque da dire che mai turisti sono stati coinvolti nelle varie intifade o rivolte palestinesi.

In Turchia si sperava che dopo le recenti elezioni il presidente Recep Erdogan riportasse un po’ di stabilità. Invece il governo continua a usare il pugno duro contro i curdi, i quali a loro volta rispondono con attentati anche a Istanbul e Ankara.

Tutto sommato, l’Iran offre una situazione più rassicurante. La recente apertura politica è accompagnata da un boom turistico: a Teheran, Isfahan e Persepoli gli hotel registrano da un anno il tutto esaurito, con centinaia di bus colmi di turisti occidentali.

Certo, gli ayatollah continuano a imporre la censura (nessun collegamento internet è possibile con i siti dei giornali esteri), e i guardiani della rivoluzione sono fastidiosi nell’imporre il velo alle turiste donna col capo scoperto. Ma la maggioranza della popolazione è amichevole, lontana da certi fanatismi.

Pace in tutte le isole

Nessun problema per le classiche (e costose, ora che l’euro è debole) mete di mare invernali: Mauritius, Seychelles, Zanzibar, Maldive. Queste ultime hanno impensierito nelle ultime settimane per alcuni disordini politici nella capitale Male, che però è lontana dall’unico aeroporto internazionale e dagli itinerari turistici.

Anche l’arcipelago di Capo Verde, sull’Atlantico, è una meta sicura (e più economica), così come i Caraibi e tutta l’America Latina. Uniche eccezioni: il Messico per la criminalità comune, il Venezuela per possibili dimostrazioni politiche, e il Brasile in alcuni quartieri di alcune grandi città in alcune ore.

In Asia da escludere il Pakistan per il persistente rischio islamista, mentre la recente uccisione di un italiano nel Bangla Desh sembra sia stato un episodio isolato.

Asia ok tranne Pakistan

Negli anni scorsi non sono mancati attentati terroristici in India (Bombay) e Indonesia (Bali), ma statisticamente adesso il rischio è quasi zero.

Non abbiamo colorato di verde la Birmania soltanto perché, dopo la stupenda vittoria della premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi, non sappiamo ancora se e come reagiranno i generali dell’esercito. Ma si spera che la situazione rimanga tranquilla, come nella vicina Thailandia dopo l’attacco all’albergo di Bangkok. Le località turistiche (Phuket), comunque, sono sorvegliatissime.

Dalla nostra mappa mondiale abbiamo ovviamente tralasciato Paesi bellissimi ma non mete abituali di vacanze invernali: dal Canada all’Australia, dalla Russia alla Cina, dal Giappone al Sudafrica.

Mauro Suttora

Wednesday, May 13, 2015

Prime impressioni dall'Expo

Prime impressioni dall'Expo
CHE MERAVIGLIA, QUESTI PADIGLIONI SONO OPERE D'ARTE

Ma per visitarli tutti non basta un giorno. Perciò l’ingresso a 39 euro è eccessivo. Guida alle curiosità, dalla foresta austriaca al gelato con vodka bielorusso

di Mauro Suttora e Alice Corti
Oggi, 6 maggio 2015

Munitevi di scarpe comode, perché a fine giornata avrete i piedi come zampogne. All’Expo si cammina molto, i 150 padiglioni sono sparsi su due chilometri. E preferite il passante ad auto e metro: meno di venti minuti da Milano centro.

Complimenti per la volata finale, nessuno si accorge che i lavori erano in ritardo. Ma si penta chi ha deciso biglietti d’entrata così alti: 39 euro, cento per una famiglia con due bambini. Che si aggiungono al cibo. I ristoranti regionali di Eataly sono splendidi, ma dieci euro per un mini-primo su un piattino di plastica e tre per un bicchiere di acqua è troppo. Finisce che si scappa da Coca Cola e McDonalds, un euro e mezzo a cheeseburger.

I padiglioni più belli sono Italia, Cina e Vietnam. Quelli di maggior successo: Brasile (grazie alla maxirete dove si cammina), Austria (per la foresta) e Nepal (per solidarietà). Quasi ogni Paese ha un suo ristorante tipico, ma non abbondano gli assaggi gratuiti.

Fila al ristorante Basmati nel cluster riso. I “cluster” sono padiglioni tematici con più Paesi. Ci sono pure cacao, caffè, frutta, spezie, tuberi. In quello delle isole, oltre a Caraibi, Maldive, Comore e Madagascar, chissà perché c’è uno stanzone per la Corea del Nord.

La povera Regione Sicilia è finita nel cluster Bio-Mediterraneo con Albania, Montenegro, Algeria, Egitto e altri. La pioggia passava dal tetto, hanno dovuto chiuderlo. Auguri.

Propaganda efficiente da Israele («Abbiamo inventato noi i pomodori-ciliegia»), mentre lo stand dell’Iran sta senza problemi davanti agli Usa.

Spingetevi in fondo, fino a Indonesia e Oman

Dall’ingresso principale vale la pena arrivare fino alla fine del Decumano per visitare Oman e Indonesia, mentre la Francia costringe a un fastidioso zigzag per entrare. Code anche per la Germania, perché il controllo è meticoloso, senza entrata libera. Gelato con vodka dalla Bielorussia.

Il dispiacere più grande è lasciare l’Expo avendo potuto visitare, per ragioni di tempo, soltanto la metà degli splendidi padiglioni: quasi tutti sono meraviglie architettoniche.
Mauro Suttora

Friday, August 16, 2013

Oman


UN DESERTO 'SVIZZERO' DALLA DOPPIA ANIMA

Ci sono gli aflaj che portano acqua ai villaggi senza sprecarla, e le piattaforme petrolifere. Le auto pulite per legge, e gli aerei che decollano in ritardo per motivi religiosi. E poi dune sfumate di terra dorata o rossa, spiagge di un bianco accecante e un lusso non sfacciato. In Oman, oasi felice del mondo arabo, che sta vivendo un boom turistico

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), venerdì 9 agosto 2013



Immaginate Dubai senza i grattacieli, Abu Dhabi senza la Formula Uno, il Qatar senza Al Jazeera. Dune di sabbia fine come in Arabia Saudita, canyon rocciosi come nello Yemen, spiagge immense come alle Maldive (che stanno lì di fronte, nell'oceano Indiano). Ma l'Oman assomiglia soprattutto alla Svizzera: ti multano se non lavi l'auto, il pavimento del suk di Mascate è lucidato con la cera, le autostrade a quattro corsie hanno l'asfalto perfetto. E non succede mai niente.

"No news, good news": l'Oman non fa notizia. Niente rivoluzioni, guerre, estremisti. La 'primavera araba'? Sì, alcuni studenti due anni fa hanno manifestato e qualche testa calda è finita in commissariato. Poi il sultano ha ordinato alle imprese di assumere migliaia di giovani regalando loro buoni stipendi. E tutto si è chetato.
Un Paese noioso? "No, tranquillo. Quindi felice", sorride Aisha, giornalista con velo che incontro nella hall del resort Crowne Plaza a Salalah. Avevo letto un suo articolo nel sito online di uno dei maggiori quotidiani in lingua inglese. E quando mi sono imbarcato sull'aereo dalla capitale Mascate a Salalah, seconda città del Paese, ho scoperto che aveva ragione. 
Aisha raccontava infatti delle difficoltà che affrontano le hostess a ogni partenza. Le donne musulmane non possono sedersi vicino a uomini non parenti. Ma le prenotazioni attribuiscono i posti alla cieca, per cui il mischione è matematico. Tutti i voli vengono ritardati perché almeno una decina di donne vagano nella carlinga, pretendendo dalle assistenti di volo una sistemazione alternativa. Inconvenienti pratici dell'Islam.

"Perché non mettono le donne da una parte e gli uomini dall'altra, come nelle nostre chiese fino a 50 anni fa?", chiedo ad Aisha. "Impossibile", spiega lei, che ha approfondito il problema, "viaggiano molte famiglie intere con i maschi che vogliono sedere accanto a mogli, sorelle, madri o figlie. L'unica soluzione, insomma, è non assegnare i posti".

L'unica soluzione per evitare le turbolenze del mondo arabo, invece, sembra essere l'assolutismo illuminato. Come quello del sultano Qabus, saldo sul trono dal 1970. Ci arrivò con un piccolo golpe; ma la vittima fu suo padre, e quasi nessuno si accorse della successione forzosa. Qualche sciabola sguainata nel segreto del palazzo reale, niente morti. Il papà detronizzato finì esiliato fra i lussi dell'hotel Dorchester a Londra.

Così oggi Qabus, sovrano piuttosto liberale, è il secondo governante più longevo del mondo: superato di soli tre anni dal sultano del Brunei (la regina Elisabetta e il re di Thailandia non contano, regnano ma non governano). 
Si dirà: facile essere tolleranti quando l'unica preoccupazione è come distribuire i proventi del petrolio. Vero. Ma decine di satrapi, da Saddam a Gheddafi, hanno dimostrato che la manna nera non garantisce buon governo e pace. Invece la dinastia di Qabus detiene un altro record mondiale: quello della stabilità nei secoli. Di padre in figlio, solo quattordici sultani dal 1749. Ognuno riesce a durare in media una ventina d’anni. Immaginate l'Italia ai tempi di Maria Teresa, e fate un paragone con la volatilità dei nostri governanti a scadenza annuale.


Il 72enne Qabus ha portato in 43 anni il suo Paese dal feudalesimo medievale (l'Oman è stato il penultimo stato del mondo ad abolire la schiavitù, prima della Mauritania) a un'assai confortevole modernità. Nessuno dei due milioni di omaniti fa lavori pesanti. Per quelli ci sono un milione di immigrati indiani, pakistani o filippini.
All'aeroporto di Mascate uno dei voli internazionali diretti più frequenti è per Thiruvananthapuram. Città che ho scoperto essere la Trivandrum dei nostri due marò, nel sud dell'India. Immigrati sì, e anche poco pagati (oltre alla piaga delle colf preda di padroni omaniti lussuriosi). Ma si spostano con l'aria condizionata: non più barconi da Iran e Pakistan o tratta di neri da Zanzibar, colonia dell’Oman fino al 1861.
Inutile dire che viaggiare per l'Oman è affascinante e sicuro (contrariamente all'attiguo Yemen). Quindi raccomandabile. I turisti internazionali impauriti dai disordini egiziani e tunisini (ora pure turchi) e dalle stragi siriane, arrivano qui. Ma Mascate, patria della noce moscata, non è un ripiego. Il boom turistico si spiega perché l'Oman è il Paese arabo più a Est, seimila chilometri dal Marocco. E bisogna andare proprio in questi due estremi per trovare l'anima più incontaminata e raffinata del modo arabo.
Le deprimenti baraccopoli delle altre capitali islamiche appaiono lontanissime mentre si percorrono i 50 chilometri in cui si dipana Mascate, stretta fra le montagne e il lungomare della Corniche. Certo, è tutto nuovo, magari mancano le antiche tradizioni e il savoir-faire in fatto di ospitalità che offrono Tangeri, Marrakesh o la Beirut rinata dopo la guerra civile. Ma è un 'nuovo' di buon gusto, lontano da certe tragiche pacchianerie simil-occidentali degli Emirati. Nessun edificio supera i pochi piani di altezza, quasi tutti rinnovano i classici stilemi architettonici arabi. E il sultano, appassionato di musica classica, nel 2011 ha inaugurato il teatro dell'Opera: il più grande del mondo arabo dopo quello cairota. Il muftì ha storto il naso: la musica, in particolare occidentale, non è ben vista dai fondamentalisti. Ma Qabus lo ha regalmente ignorato (dopo averlo innaffiato di soldi, finanziando la costruzione di altre moschee).


Da un quarto di secolo ormai l'albergo Al Bustan di Mascate è installato nella top 20 degli hotel mondiali. E da dieci anni si è aggiunto il Chedi, dell’omonima catena supercool obbligatoria fra le celebrità. 
Fuori dalla capitale, invece, c'è ancora cammino da fare: l’exclave Musandam a nord, davanti alla Persia, e Salalah a sud, con le sue palme e spiagge vergini, offrono albergoni Hilton o Marriott dignitosi, in teoria a 4 stelle, ma in realtà a tre. Buoni per i grupponi che arrivano con 6-7 ore di charter da Scandinavia, Inghilterra e Germania, o per i tecnici delle piattaforme petrolifere in libera uscita, ma che non giustificano i 200 euro a notte. Chissà che fra le decine di joint ventures economiche che stanno fiorendo con l'Italia non ci sia un po' di export del nostro prezioso know-how turistico.

Buona parte dei turisti che arrivano qui, però, non sono attratti dalla costa. Perché il tesoro nascosto dei 300 mila quadri dell'Oman (esattamente quanto quelli italiani) è il deserto. Nelle sue due fantastiche versioni: quella d'oro di sabbia, quella rossa delle montagne. E in mezzo al nulla, ecco improvvisamente decine di oasi rigogliose di verde e acqua dove approdano i trekking in fuoristrada. 

Da ammirare i 3.000 'aflaj', prodigioso sistema d'irrigazione unico al mondo che da mille anni plasma la vita dei villaggi. Neanche una goccia d'acqua va sprecata: prima arriva al fortino della guarnigione, poi alle case, ai lavatoi, agli abbeveratoi per gli animali; infine l'irrigazione dei campi. Molti 'aflaj' sono conservati bene, funzionano ancora alla perfezione e sono protetti dall'Unesco.

L’unica incognita di questo paradiso terrestre è l’età del sultano: l’ultrasettuagenario Qabus, celibe, non ha designato alcun erede. Gode di ottima salute, è attivissimo, ogni estate fugge con le sue due navi private (altro che yacht) dal caldo opprimente di Mascate e dai monsoni di Salalah per farsi un giretto in Europa. In Italia le sue mete sono sempre abbastanza eccentriche. Cinque anni fa era approdato a Bari, e i pugliesi ne approfittarono per farsi dare un po’ di soldi: tre milioni al conservatorio, due al policlinico. L’anno scorso è rimasto ormeggiato una settimana a Cagliari, snobbando chissà perché la Costa Smeralda.
Alle latitudini dell’Oman è probabilmente saggio non indicare con troppo anticipo il successore al trono. A Qabus potrebbe capitare lo stesso destino che lui riservò al padre: un esilio dorato per opera di qualche impaziente nipote. C’è però il rischio di lotte di fazioni fra cugini alla sua scomparsa. Mentre sembrano sopite le velleità indipendentiste del Dhofar, la regione meridionale di Salalah dove negli anni ’70 infuriò una guerriglia finanziata dai sauditi.

L’altro problema, come in tutto il mondo arabo, sono gli estremisti salafiti. La versione omanita dell’islam è sempre stata moderata e tollerante. Nei ristoranti frequentati dagli stranieri e negli alberghi si può bere il vino, contrariamente al divieto assoluto di Arabia Saudita, Kuwait, Iran e Gaza. Ma nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Salalah ammetto di avere subìto uno choc culturale: mi sono trovato circondato da donne completamente velate in nero. Uniche eccezioni (stupendemente sexy): occhi curiosi e piedi nudi nei sandali. 

Chiedo ad Aisha: è sempre stato così? “Assolutamente no. Dopo la fine della colonizzazione inglese, nel ’71, le donne occidentalizzate non si velavano. E quelle del popolo usavano colori sgargianti: rosso, blu, verde”. Poi cos’è successo? Qui non ci sono sciiti, cos’è questo nero lugubre alla hezbollah? “È diventato di moda. Ma senza valenze politiche”. Speriamo.
Mauro Suttora