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Saturday, July 10, 2021

Conte vs Draghi/ La commedia dell’ex premier nasconde la sconfitta di M5s

Dopo il Cdm che ha superato il giustizialismo di Bonafede, Conte attacca il governo, ma la sua capacità di nuocere è limitata. Conseguenze sul Pd

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 10 luglio 2021

Non si può dire che il governo sia arrivato sull’orlo della rottura, questo no. Ma Draghi ha dovuto imporsi, ha preteso l’unità e l’appoggio formale dei 5 Stelle alla riforma della giustizia penale, uno dei tasselli più importanti per avere i fondi del Recovery. I ministri grillini, e dietro di loro i gruppi parlamentari spaccati a metà, difendevano la riforma Bonafede, arrivando a ipotizzare l’astensione sulle modifiche proposte dalla ministra Cartabia, ma Draghi ha detto no. Si è così arrivati in modo molto laborioso a una nuova mediazione che ha ottenuto l’assenso di tutti. 

Problema risolto? Nemmeno per idea: a proposito della “improcedibilità” – la soluzione tecnica congegnata per superare la prescrizione – Conte ieri ha detto che “è tornata un’anomalia italiana”. Una premessa non incoraggiante per l’iter del ddl e per gli emendamenti che lo attendono in aula. 

Ma l’opposizione dei contiani, dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, attento osservatore della parabola grillina, “è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella. Conte fa solo ammuina. La vera novità è la rottura completa di Di Battista”. 

La mediazione Cartabia sulla prescrizione è una vittoria o una sconfitta per M5s?

È una sconfitta per i grillini e una vittoria per lo stato di diritto. Ma in realtà il vero problema non è la prescrizione. Alla prescrizione uno stato civile non deve neanche arrivare. Il vero nodo, quel che interessa l’Europa, è la lentezza della nostra giustizia. Proprio ieri c’è stata la prima udienza del processo al figlio di Grillo, per uno stupro di due anni fa. E c’è stato un ulteriore rinvio all’11 novembre, cioè fra quattro mesi. Assurdo. Così come non è accettabile che non sia ancora iniziato il processo per il ponte Morandi di Genova, dopo ben tre anni.

Si è saputo che sono stati i contiani a mettersi di traverso: la prescrizione era la loro linea del Piave. Se prima c’era qualche dubbio, forse ora non più: è Conte l’avversario n.1 di Draghi?

Conte continua a giurare di no, quindi probabilmente è vero. Ma è ininfluente: il governo Draghi durerà almeno fino a gennaio, quando si eleggerà il successore di Mattarella.

Il blocco contiano (parte di M5s, Fatto Quotidiano e toghe) punta davvero a far cadere il governo? Parrebbe fantascienza, ma parlano le azioni politiche.

Le azioni politiche di Conte sono la famosa “ammuina” in napoletano, “posturing” in inglese: dichiarazioni tanto roboanti quanto vuote, pronunciate a uso dei fans e dell’opinione pubblica. Una commedia.

Secondo le indiscrezioni, i parlamentari grillini erano per dire sì alla proposta Cartabia, i contiani per uscire dalla maggioranza. Questo che cosa ci dice della disfida Conte-Grillo?

È buffo che ora occorra distinguere fra grillini-grillini e grillini contiani. E ancor più comico che stiano litigando da mezzo mese su uno statuto che nessuno ha potuto leggere, neanche i parlamentari. Speriamo che non resti segreto almeno per i sette capetti grillini che dovrebbero dirimere la questione.

Dopo il Cdm, Conte è stato il più critico: sulla prescrizione, ha detto, si è “tornati a un’anomalia italiana”. Il suo partito è più vicino? Magari cominciando da una scissione dei gruppi parlamentari?

È irrilevante che i grillini si scindano. Ormai sono un moncherino di gruppo parlamentare che verrà spazzato via dal prossimo voto. Tutti i sondaggi dicono che in totale stanno al 15-17%, e che nessuna delle due fazioni supererà il 10% se si presenteranno divisi.

Secondo nostre informazioni, critiche pesanti ai ministri pentastellati vengono dai 5 Stelle presenti nella commissione Ambiente della Camera. Ad oggi, i parlamentari M5s di quella commissione non intendono votare il dl Semplificazioni bis. Come commenti?

Come sopra: sceneggiate. Al governo Draghi non c’è alternativa.

Durante la guerra fredda il Pci era escluso dal governo, adesso c’è una seconda guerra fredda e i 5 Stelle fanno parte dell’esecutivo. È un problema.

Per la verità dal 1976 al 1979 il Pci governò l’Italia assieme alla Dc, durante la solidarietà nazionale. Anche oggi c’è una solidarietà nazionale per il virus e il Recovery fund. I grillini sono inquietanti per la loro simpatia verso la Cina, Conte non ha preso le distanze dalla visita di Grillo all’ambasciatore cinese a Roma. Ma Di Maio come ministro degli Esteri sembra aver abbandonato le precedenti scivolate su Cina e Trump.

Ti faccio un nome: Di Battista. Ieri si è scagliato per la prima volta contro Di Maio e gli altri ministri grillini, definendoli “incapaci, pavidi, inadeguati”. È la rottura completa. Il travaglio di M5s quanto danneggia il Pd?

In teoria il Pd dovrebbe recuperare un po’ di voti dallo sfacelo grillino. Ma non gli è riuscita l’impresa di Salvini, che nell’anno dell’alleanza gialloverde aveva dimezzato i voti del M5s e raddoppiato i propri. Intanto, Letta nei sondaggi naviga mesto sotto il 20%. E i dirigenti Pd come Bettini e Zingaretti, che avevano incoronato Conte come nuovo leader della sinistra, si rendono conto dell’abbaglio preso.

Sunday, March 28, 2021

Caos M5s: Grillo-Casaleggio-Conte, quadratura impossibile

intervista a Mauro Suttora

Il Sussidiario.net, 28 marzo 2021

Conte vorrebbe i pieni poteri in M5s, ma Grillo non ci pensa neppure. Intanto Letta spera di cuocere i grillini a fuoco lento, per capovolgere a suo favore l’alleanza

“Sono completamente spaesati, come i comunisti quando Stalin si alleò con Hitler nel 1939-41”. I “comunisti” sono i 5 Stelle, che Grillo ha cercato di rianimare nell’ennesimo show in diretta zoom, senza peraltro risparmiare la bordata dello stop al terzo mandato. 

Il paragone è di Mauro Suttora, giornalista, che parlando con il Sussidiario fotografa in modo impietoso lo stato di salute dei 5 Stelle. 

“Penso che Letta speri di cuocere i grillini a fuoco lento, aspettando un loro ennesimo flop alle amministrative”, ma “Pd e M5s sono condannati ad allearsi, se vogliono contare”. Nessuno dei due, per ora, darà problemi a Draghi.

Qual è, in questo momento, per i 5 Stelle, il primo dei problemi?

L’identità. Non sanno più chi sono. Erano nati per pulire la politica, che però ora li ha sporcati: sono diventati i peggiori trasformisti. Non sanno più cosa vogliono. Né con chi vogliono farlo. Un proverbio romanesco dice: “Se po’ campa’ senza sapé pecché, ma nun se po’ campa’ senza sapé pe cchi”. Sono completamente spaesati, come i comunisti quando Stalin si alleò con Hitler nel 1939-41. 

Non si capisce perché Conte, che aveva ricevuto un’investitura per fare il leader, ancora tentenni. Che cosa sta succedendo?

Conte sta cercando di capire se gli conviene resuscitare il moncherino del Movimento 5 Stelle, il M5s dimezzato dai sondaggi, o creare qualcosa di nuovo. Senza piombare, e venire piombato, in un conflitto con la Casaleggio Associati.

Dunque torniamo sempre alla casella di partenza: in un modo o nell’altro, tutto o quasi ruota intorno a Casaleggio. Davide vuole farsi un partito?

No. Però non vuole neanche perderlo. Anche se l’attuale M5s ormai ha poco a che fare con quello inventato da suo padre, morto cinque anni fa.

Ma perché Davide Casaleggio ha preso un’altra strada?

Sono i grillini ad aver abiurato i princìpi fondamentali del loro Movimento: democrazia diretta, trasparenza, abbattimento dei costi e del professionismo politico.

Nel partito c’è fermento perché nessuno sa cosa si siano detti Letta e Conte. Secondo te hanno parlato solo di amministrative? O di altro?

Intanto si può immaginare come si sentano i vecchi militanti grillini, gente che ha dato quindici anni di vita al Movimento, a essere guidati da un signore, Conte, che non è mai stato neanche iscritto e che tre anni fa era stato pescato per caso come possibile tecnico per un ministero secondario. Conte non ha mai fatto alcuna lotta grillina, è un corpo estraneo. E ora dovrebbe decidere a loro insaputa il loro destino, e per di più con Letta, l’odiato premier Pd del 2013 che i grillini insultavano ogni giorno? Almeno Zingaretti non era mai stato un loro bersaglio. Certo, i due avranno parlato del voto amministrativo di ottobre. Il Pd offre una sola candidatura sicura ai grillini: Fico sindaco di Napoli.

Conte e M5s appoggeranno Letta sul maggioritario?

Al M5s conviene di più il proporzionale, ma dall’alto del loro 17% non sono in grado di dettare condizioni al Pd.

Si dice che Conte non sciolga le riserve perché teme un’emorragia elettorale; tanto varrebbe allora dar vita al partito contiano. Secondo alcuni è definitivamente morto la sera dei 156 voti in senato; tu cosa dici?

Manca ancora mezzo anno al voto nei Comuni, quindi Conte non ha fretta. E un suo partito personale rischierebbe di finire nel nulla come quelli di Monti e Renzi.

Quali condizioni starà ponendo a Grillo, sul versante M5s?

Quella di essere incoronato capo unico dei grillini. Cosa impossibile, perché ci sono anche Grillo e Di Maio. I grillini per ora accettano Conte solo perché ha oltre il 50% di popolarità.

La “safety car” istituzionale del governo Draghi ha riallineato Pd e M5s? Oppure Letta teme una subordinazione del Pd come durante il Conte 2?

Pd e M5s sono condannati ad allearsi, perché da soli non hanno i numeri per fronteggiare il 45% del centrodestra. Penso che anche Letta speri di cuocere i grillini a fuoco lento, aspettando un loro ennesimo flop alle amministrative.

Il pensiero verde è l’ultima opzione scelta da Grillo per attestare i 5 Stelle sulla linea del Piave. C’è concorrenza da quelle parti: anche Sala ha mollato il Pd per diventare verde.

Agli italiani importa nulla del green. Vogliono solo ricominciare a vivere e lavorare dopo il virus. Che ora costringe tutti a evitare bus e metro, usando le auto e avvelenando le nostre città. Che Sala a Milano si auto-definisca verde è divertente. Ma neanche Conte sa cos’è l’ecologia.

Ma chi avrebbe più probabilità di aggregare un fronte verde? il Pd di Letta? Conte da solo al centro? M5s?

Tutto sommato, in mancanza di un forte partito verde, Grillo ha le credenziali più forti. Anche se con idee strampalate come il no Tav, i treni ad alta velocità che inquinano meno di auto, tir e aerei.

A Roma chi vince le comunali?

Penso il centrodestra, se trova un candidato decente. La Raggi verrà battuta al primo turno anche dal candidato Pd.

Chi darà più problemi a Draghi? Letta o la galassia M5s?

Nessuno dei due. Staranno tranquilli fino alle presidenziali di gennaio. L’unico a fare un po’ di sceneggiata continuerà a essere Salvini. Ma solo a parole, per non dare troppo spazio alla destra della Meloni.

Federico Ferraù  

Thursday, January 14, 2021

Conte (quasi) out

“L’alternativa Pd è pronta: Franceschini premier con Di Maio vice”

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

Ilsussidiario.net, 14 gennaio 2021

Renzi ritira le ministre di Iv e accusa conte di violare le regole. ma la trattativa rimane aperta. Se ne gioveranno Franceschini e Zingaretti

Sono passate da poco le 18.20 quando Renzi annuncia in conferenza stampa che le ministre di Italia viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, insieme al sottosegretario Ivan Scalfarotto, lasciano il governo. “La crisi politica non è aperta da Italia viva” spiega Renzi, “è aperta da mesi”. 

L’ex premier snocciola una lunga serie di critiche alla conduzione di Conte: “Proprio perché c’è la pandemia occorre rispettare regole democratiche, perché se durante la pandemia non le rispetti allora la democrazia non serve più a niente”. 

A sorpresa, però, Renzi lascia aperte diverse porte. “Noi non abbiamo nessuna pregiudiziale né su nomi né su formule”, tranne quella di un’alleanza con la destra.

Adesso si attende di capire quali saranno i binari della crisi. Mauro Suttora, giornalista, collaboratore dell’Huffington Post dopo Oggi e L’Europeo, vede improbabile un Conte ter, perché “l’obiettivo di Renzi è fare fuori Conte per conto del Pd”. Prematuro fare ipotesi, ma una di queste contempla una sorta di staffetta M5s-Pd a Palazzo Chigi. Tre, secondo Suttora, i nomi possibili.

L’unica pregiudiziale di Renzi è verso un possibile accordo con la “destra sovranista e populista”. Dunque la trattativa continua?

Sì. La politica è trattativa continua. Ma dietro Conte in realtà c’è il Pd, ridotto nei sondaggi al 19%, che non ha guadagnato un voto dell’alleanza coi grillini. In un anno di governo Salvini li dimezzò, vampirizzandoli. Ora la Lega è scesa, ma i voti di destra sottratti ai grillini sono comunque rimasti nel centrodestra, finendo alla Meloni.

Il Pd invece?

Il Pd invece non è riuscito ad attrarre il voto di un solo grillino di sinistra: il M5s era al 17% all’inizio del Conte 2, alle europee 2019, e oggi resiste al 14-16%. Invece di svuotare i grillini, è stato il Pd a grillizzarsi.

Cosa vuole veramente Renzi?

Far fuori Conte per conto del Pd.

Renzi continua a sostenere che non si vota. Come fa a esserne così sicuro?

Perché tutti gli attuali 945 parlamentari rischierebbero il seggio con un nuovo voto, dato il taglio del loro numero, tranne i Fratelli d’Italia. L’unico dato sicuro è che non ci saranno elezioni politiche fino al febbraio 2022, dopo che sarà votato il successore di Mattarella.

Conte potrebbe guidare un governo per la terza volta? O l’operazione di Renzi rende possibile “quasi” tutto ma non questo?

La vedo dura. Sarebbe il suo terzo salto della quaglia. Troppo anche per lui, che pur detiene il record mondiale del trasformismo. Non si conoscono precedenti di un premier che guida prima una coalizione e poi ne guida un’altra di segno opposto. Ricordo solo il liberale tedesco Genscher, che nel 1982 fece fuori il socialista Schmidt per mettersi con il democristiano Kohl, o il sindaco Psi di Milano Pillitteri che nel 1987 passò da un’alleanza con la Dc al Pci. Ma non erano capi nazionali di governo.

Le parole di Bettini (Pd): “ci sono le condizioni per definire un’intesa di fine legislatura” dette poco prima che Renzi ritirasse le ministre hanno ancora un senso?

Quel grande stratega di Bettini ha addirittura incoronato Conte come capo della sinistra, facendone uno statista eccelso, una specie di Moro in sedicesimo.

Stando ai retroscena, l’aut-aut di Conte ieri a Italia viva ha spiazzato tutti, Colle compreso. Tutti dunque a pensare che Conte avesse davvero i numeri. Che cosa è successo?

Più che avere i numeri, Conte li ha dati… E Mattarella lo ha ridotto a più miti consigli. Che non sono quelli di Casalino e Travaglio.

Secondo te il governo ha i voti in Senato? Insomma i responsabili si troveranno?

Mi limito a dire che i cosiddetti “responsabili” fino a pochi mesi fa venivano definiti “Razzi e Scilipoti”, orrendi voltagabbana.

Cosa faranno i 5 Stelle e gli ex 5 Stelle, quelli che sono nel Misto?

I grillini ed ex grillini ingoieranno qualsiasi cosa pur di conservare il posto, visto che sono destinati a dimezzarsi dal 33 al 16%.

“Un patto tra tutti i partiti, costruttori per il bene comune dell’Italia”. Che senso dare all’appello di Grillo?

È un appello degno del comico che è. Dopo aver tuonato per quindici anni che i politici sono tutti ladri, ora li vuole tutti con sé. L’ammucchiata finale. Pittoresco.

E adesso? Che cosa potrebbe succedere nel breve termine?

Non lo so, la politica è bella perché imprevedibile. So solo che Renzi sembra essere l’unico che fa politica oggi in Italia. L’unico che la sa fare, o che la vuole fare. È stato lui a inventare il Conte 2, costringendo il Pd ad allearcisi. E ora è di nuovo lui a distruggere la sua marionetta Conte, dopo averla creata. Sarebbe del tutto normale, a metà legislatura, una staffetta di governo. Finora il premier è stato grillino, ora è il turno di un Pd. Magari con Di Maio vice.

C’è qualcuno ne Pd che può aspirare a questo ruolo?

Franceschini, Zingaretti, Gualtieri. Ma per ora è fantapolitica.

E Renzi?

Con tutti i suoi difetti, per fortuna che Renzi c’è. Poi magari rimarrà al 3%. Ma il Pd dovrebbe fargli un monumento, se non altro come kamikaze.

Federico Ferraù 

Thursday, December 24, 2020

Il “partito del mutuo” pronto a tradire Conte e prendersi il Colle

CAOS RECOVERY

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

ilsussidiario.net 24 dicembre 2020

L’incertezza sul Recovery Plan potrebbe indurre l’Ue a volere un nuovo governo con base più ampia. L’altro problema è che ogni calcolo sul 2022 è quasi impossibile

Il problema di Conte non è solo Renzi: l’incertezza sulla governance del Recovery Plan potrebbe indurre l’Unione Europea a volere “un nuovo governo, con base più ampia”, dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, oggi collaboratore dell’Huffington Post dopo Oggi e numerose corrispondenze estere. 

“Cambierà solo il governo, non il parlamento” perché votare non conviene a nessuno, tranne che alla Meloni, e perché il “partito del mutuo” a 5 Stelle mette la durata della legislatura davanti a tutto, anche allo stesso Conte. Il vero problema si presenterà nel 2022, al momento di eleggere il successore di Mattarella. Quando M5s, un terzo del parlamento, potrebbe essere totalmente furi controllo.

Sarà la “missione Recovery”, con i suoi tempi, a garantire la sopravvivenza di Conte?

Al contrario. Proprio la dimensione astronomica dei finanziamenti europei richiede un nuovo governo, con base più ampia. Ci rendiamo conto che i 209 miliardi del Recovery sono venti volte più del piano Marshall Usa di cui beneficiammo nel 1948-51?

Conte avrebbe trovato una mediazione con i renziani sulla struttura di governance, che secondo Iv “non c’è più”. Ma Boccia ieri ha smentito la Bellanova. Come stanno le cose?

Sono piccoli sussulti di dispute bizantine senza importanza. Con tutto il rispetto per Boccia e Bellanova, non contano nulla.

Renzi non pare intenzionato a mollare. Conte dovrà cedere la delega sui Servizi?

Mi sembra ovvio che un settore delicato come i servizi segreti non possa stare in mano a Conte, espressione di un partito che in pratica non esiste più, i grillini. Proprio il fatto che lui si aggrappi ai servizi con tale insistenza rende la faccenda sospetta. Meglio Minniti, che da sottosegretario dicono abbia già dato buona prova. 

Prodi ha criticato il governo sul Recovery: mancano “le autorità chiamate a decidere” e “le procedure e gli atti necessari per arrivare alle decisioni”.

Prodi ha ragione. È sconcertante che il Pd non se ne renda conto. Zingaretti sembra succube di Conte. Vuole affondare assieme a lui e ai grillini?

È la bocciatura da parte di un possibile presidente della Repubblica?

Prodi avrà 82 anni quando si voterà per il Quirinale. Troppo anziano, più di Pertini nel 1978.

Le urne sono un’ipotesi della realtà? O questo governo e questo parlamento sapranno resistere?

Cambierà solo il governo, non il parlamento. Nessun partito ha interesse al voto anticipato, perché con il taglio dei seggi solo la Meloni può garantire le rielezione a tutti i suoi. Neanche Salvini chiede più le urne, ora che ha perso dieci punti nei sondaggi.

Veniamo ai 5 Stelle. Possono solo appoggiare Conte? Cioè, se qualcosa va storto, esplodono?

I grillini appoggeranno qualsiasi governo, perché sono quelli che hanno più da perdere con le elezioni. Né si limiteranno a un appoggio esterno, perché hanno sviluppato una gran piacere per il potere, e quindi non molleranno le poltrone di ministro e sottosegretario. Hanno mutui da pagare. Magari perderanno una ventina di dibattistiani non disposti a governare con Berlusconi.

Riusciresti a dividere gli ex M5s che sono nel Misto tra centrodestra e centrosinistra, o sono pura materia oscura?

In uno scenario di grandi intese diventa un calcolo inutile: tutti dentro, appassionatamente. I grillini più refrattari andranno con Paragone o la Meloni, ma non conteranno nulla.

Vedi nuovi leader in pectore dentro il palazzo? O c’è solo Di Maio?

Sarà molto interessante il risultato del voto per i nuovi cinque capi del loro direttorio il 15 giugno. Casaleggio si è battuto per evitare inciuci preconfezionati com’è sempre successo finora, con una squadra fissa di cinque da votare in blocco. Questa volta si vota sui singoli, e magari prevalgono i movimentisti rispetto ai governativi.

E fuori? C’è solo Di Battista?

La maggioranza degli iscritti grillini è per lui. E lo voteranno assieme a Lezzi, Morra e l’ex ministra Grillo, se si presenterà.

Si legge in giro che l’assoluzione di Raggi cambia gli schemi tra Pd e M5s. È vero?

No, perché la Raggi non riuscirà comunque ad arrivare al secondo turno, al comune di Roma. Quindi ci sarà un ballottaggio fra Pd e centrodestra. I grillini ormai sono marginalizzati.

Chi deciderà come votano i 5 Stelle nelle elezioni del presidente della Repubblica? Grillo? Di Maio? O saranno fuori controllo?

Bella domanda. Ci sarà una massa di 300 elettori, quasi un terzo del totale, imprevedibile e ingovernabile. Alcuni pretendenti al Colle, come Sassoli, stanno già strizzando loro l’occhio per conquistarli.

Federico Ferraù 

 

Friday, June 12, 2020

Conte cade al massimo a settembre

SCENARIO/ Ecco perché a Mattarella conviene una crisi non più tardi a settembre

intervista a Mauro Suttora

Il Sussidiario, 10 giugno 2020

Il piano Colao è fatto solo di buoni propositi. Conte? Se gli va bene resta in sella fino alle regionali di settembre. Anche a Pd e M5s fa comodo che cada

Il piano Colao per la rinascita dell’Italia rischia di oscurare gli Stati generali dell’economia su cui Conte intende investire con forza per rafforzare la propria figura e il proprio peso politico, anche in chiave elettorale. Il tempismo e il clamore con cui i 100 e passa punti messi nero su bianco dalla task force guidata da Colao sono stati rilanciati dai media italiani hanno fatto sorgere il sospetto che l’ex amministratore delegato di Vodafone – scelto, voluto e “imposto” da Mattarella nel pieno dell’emergenza coronavirus – potrebbe essere il candidato a sostituire l’attuale premier a palazzo Chigi.

“No, non penso – risponde il giornalista Mauro Suttora –, al massimo potrebbe fare il ministro, non credo che possa ambire a fare il presidente del Consiglio”. 
Più che da Colao, secondo Suttora, Conte deve guardarsi da Pd e M5s. E soprattutto deve guardare con preoccupazione a settembre, quando la bomba sociale potrebbe lasciare il paese nel vortice delle proteste e con le casse vuote: “Se gli va bene, Conte sopravviverà fino al 20 settembre, quando si voterà per le Regionali e il M5s affonderà ancora di più, mentre il Pd non riuscirà ad andare oltre il 20%”.

Partiamo dai contenuti della bozza Colao: è la vera road map per uscire dall’emergenza?
No, sono tanti buoni propositi, molto pragmatici, tipici di un manager di una multinazionale privata. Non hanno però nulla a che vedere con le dinamiche della politica. Inutile illudersi che i bocconiani, ottime persone, possano fare politica: abbiamo già avuto il disastro Monti. Vedo che sono 102 punti e che lo stesso Colao si è detto contento se ne dovessero accogliere 40. Già questa frase dimostra che non conosce la politica italiana. Secondo me, al massimo ne verranno realizzati quattro o cinque.

Il piano di Colao rende inutili o condiziona pesantemente gli Stati generali dell’economia?
Mi sembra inconcepibile che si possa organizzare in pochi giorni un appuntamento con cui si vuole addirittura ridisegnare il futuro o “trovare un nuovo modello di sviluppo” come ha scritto Veltroni sul Corriere della Sera. Siamo ai proclami ridondanti: si ciancia di nuovo modello di sviluppo, un tema che ricorre dalla crisi del Kippur del 1973, 47 anni fa. Già allora si parlava di nuovo modello di sviluppo e di stop al petrolio.

Ma poi, servono davvero gli Stati generali? Non è già abbastanza chiaro che cosa serve al paese?
Ma certo. È una barzelletta, che oltretutto sta mettendo nei guai Conte, perché giustamente il Pd si è risentito, visto che il premier ha fatto tutto da solo, a loro insaputa. E poi alla fine, che cosa sono gli Stati generali dell’economia: un convegno? Una passerella? Per preparare una cosa seria ci vogliono settimane.

Intanto Conte si ritrova in mano questo piano di Colao, che tra l’altro è frutto dello stesso metodo: ascolto e confronto con i soggetti economici. Sarà costretto a usarlo?
Lo agiterà come propaganda, ma finché non lo declinerà in leggi, e poi in decreti di attuazione – come si è già visto con i suoi precedenti decreti o Dpcm – campa cavallo. Se gli va bene, gli potrà servire per scavallare l’estate ancora in sella.

Se Conte dovesse farlo proprio e adottarlo come programma di governo, assumendosene la responsabilità politica, potrebbe tornargli utile ai suoi fini elettorali – i sondaggi lo accreditano di un elevato gradimento personale e di un 14% di consensi come capo di un eventuale partito – o rischia, una volta che si dovesse tornare alle urne, di fare la stessa fine di Monti?
Il 14% se gli va bene, ma penso che non supererebbe il 10%. Comunque una sua lista sarebbe doppiamente utile: in primo luogo, per arginare il disastro dei Cinquestelle, coagulando attorno a sé i grillini moderati, mentre gli altri andranno con i più movimentisti capeggiati da Di Battista. In secondo luogo, sarà un satellite del Pd e servirà come gamba per un ulteriore governo a guida dem.

Colao può aspirare a essere il successore di Conte proprio perché è l’unico che ha un piano disponibile, visto che il governo non ne ha uno, e quindi potrà tornare utile quando l’emergenza sanitaria sarà finita e ci sarà da affrontare solo e soprattutto l’emergenza economica?
No, penso che al massimo potrà aspirare a fare il ministro; il premier no, assolutamente.

Anche se Colao è stato chiamato nel pieno dell’emergenza da Mattarella? Anzi, c’è chi dice che il suo piano sia uscito sui media con questo timing e con questo clamore proprio come mossa di Mattarella contro Conte. Che ne pensa?
Leggo tutto e il contrario di tutto e non ho fonti dirette superiori a quelle dei retroscenisti.

Il Pd ha criticato Conte per gli Stati generali dell’economia, ma è vero che in questi tre mesi non ha saputo partorire un’idea di rilancio del paese. Anche il Pd sta deludendo Mattarella?
Dal punto di vista programmatico il Pd è nullo. E il M5s pure. Finora c’è stato da rattoppare una situazione che scoppierà a settembre, quando letteralmente non ci saranno più soldi per pagare gli stipendi degli statali e le pensioni.

Ma questo governo, caratterizzato finora da incertezze e tentennamenti, riuscirà a reggere un autunno caldo? Ha ancora lunga vita la maggioranza giallo-rossa?
Se gli va bene, Conte sopravviverà fino al 20 settembre, quando si voterà per le Regionali, il M5s affonderà ancora di più e il Pd non riuscirà ad andare oltre il 20%. A Zingaretti non è riuscita la stessa operazione condotta da Salvini: dissanguare i Cinquestelle. Salvini li ha dimezzati e Zingaretti sperava di indebolirli ancora di più, ma non è andata così: il M5s continua a galleggiare sul 15-16%.

E in questo avvicinarsi al redde rationem di settembre Renzi come si muoverà?
In maniera inversamente proporzionale ai sondaggi: più Italia Viva ha percentuali basse, più Renzi si dà da fare per cercare spazio e visibilità; se la dote dei consensi accreditati sarà più congrua, non avrà bisogno di agitarsi così tanto. Se fosse già accreditato anche solo del 10%, il governo Conte non ci sarebbe più.

Conte è sempre più debole e isolato, ma ha dichiarato di sentirsi sicuro che non cadrà. Non deve temere nessuno sgambetto?
Un politico che dice “non cadrò” è già un fantasma che cammina. Anche perché immagino che il Pd abbia accettato di tenerlo come premier lo scorso agosto dopo il ribaltone con l’implicito intendimento che sarebbe durato al massimo un anno. E che Conte cada fa comodo anche a Di Maio, che potrebbe diventare il vice di un premier targato Pd.

Pd e M5s stanno già lavorando al dopo Conte?
Certamente. Ma sono tutti giochi che non hanno contatto con la realtà.

Perché?
La realtà è quella di un paese che non produce, non guadagna e quindi non potrà pagare le tasse. Una delle grandi pensate di Colao è quella di spostare le scadenze fiscali da giugno a settembre. E poi a settembre?

Giusto. A settembre che succederà?
Penso che convenga anche a Mattarella una crisi di governo a settembre, prima che cominci la discussione sulla nuova Legge di bilancio. Meglio che a novembre. E prevedo che più che un autunno caldo sarà un autunno vuoto, nel senso che le casse dello Stato saranno vuote.

Ma non arriveranno i soldi del Mes e del Recovery Fund?
Arriveranno quelli del Mes, mentre non è detto che arrivi, soprattutto nei tempi necessari, il sostegno del Recovery Fund.

Se arriverà il Mes, su cui Conte e il M5s hanno più volte ribadito di essere fortemente contrari, potrebbe saltare la maggioranza giallo-rossa, visto che invece Pd e Italia Viva sono favorevoli?
No. I grillini hanno digerito perfino la Tav, e anche questa è solo una commedia. Il più lucido tra i grillini è proprio Grillo, che continua a invitare Di Maio e i suoi a stare attaccati come cozze al Pd, perché alle prossime elezioni il M5s rischia di dividersi o di sparire.

E in questo scenario che cosa farà il centrodestra, che appare meno coeso di qualche settimana fa?
Sono condannati a stare insieme, hanno il vento in poppa. E poi Salvini, Meloni e Berlusconi sono abbastanza intelligenti per non sciupare un’occasione storica come questa.
Marco Biscella 

Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Wednesday, September 19, 2012

Matteo Renzi

RITRATTO SENZA INCENSO DEL SINDACO DI FIRENZE

Sfida il segretario Bersani alle primarie del pd. Però sta più simpatico ai berlusconiani che alla sinistra. Il suo motto è «largo ai giovani», ma litiga anche con i coetanei. Ecco i suoi vizi e virtù

di Mauro Suttora

Oggi, 12 settembre 2012

Ha fatto la tesi sul suo predecessore sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Ma su una pira molti suoi compagni del partito democratico ora vorrebbero metterci lui. Perché Matteo Renzi è il contrario di Massimo D’Alema: così piacione da risultare antipatico. «Litiga con tutti», lo ha staffilato Supermax.

Prima l’attuale sindaco ha fatto fuori il deputato pd (ex democristiano come lui) Lapo Pistelli, di cui era portaborse. Poi ha conquistato fama nazionale dichiarando di voler «rottamare» tutti i dirigenti del suo partito. Per questo ha ottenuto molti applausi. Che però vengono soprattutto dagli avversari, i berlusconiani. I quali nel 2009 sono andati in massa a votarlo facendogli vincere per soli 150 voti le primarie comunali contro il candidato ufficiale Pistelli. E oggi contribuiscono a renderlo il secondo politico più popolare d’Italia, per i sondaggi: 42 per cento, dopo Mario Monti.

Disinvolto come Berlusconi

I berlusconiani sono andati in visibilio quando Matteo è salito a trovare Silvio Berlusconi ad Arcore, con la scusa dei tagli ai Comuni. Si sono scoperti uguali: lingua svelta, sorriso malandrino, disinvoltura e ambizione alle stelle: «Renzi è capace di aspirare anche al soglio pontificio», ha detto Giuseppe Marnili, già capo della Dc toscana. Accentratori: il sindaco l’hanno soprannominato «Ghe Renzi mi», come il «ghe pensi mi» brianzolo dell’ex premier incapace di delegare.

L’Italia è l’unico Paese al mondo in cui alle primarie di un partito possono partecipare anche gli iscritti ai partiti avversi. Come se per eleggere l’amministratore di un condominio votasse qualunque passante. È un’incomprensibile follia, ma verrà replicata entro dicembre dal Pd: questa volta per designare il candidato premier.

Figurarsi se Renzi si lasciava sfuggire l’occasione per rompere di nuovo le scatole. Il segretario pd Pier Luigi Bersani è preoccupato, perché il sindaco potrebbe insidiarlo. Infatti i candidati ufficiali del Pd perdono spesso le primarie contro gli outsider: dopo Renzi a Firenze, Nichi Vendola in Puglia, Giuliano Pisapia a Milano, Marco Doria a Genova.

Ha rotto col rottamatore

Nel frattempo però Renzi ha rotto perfino con il suo unico alleato: Pippo Civati, consigliere regionale lombardo. Era l’altro «giovane rottamatore» della Leopolda, il centro congressi dove si sono riuniti un anno fa. Anche Civati adesso vuole correre alle primarie. E ruberà voti a Matteo.

«Barack Obama dieci anni fa ci portava le valigie», si lamentò Bill Clinton con Ted Kennedy nel 2008, quando l'attuale presidente Usa battè sua moglie Hillary alle primarie. Ci ha messo molto meno, Renzi, a far fuori i proprietari delle borse che portava lui. Il suo trampolino di lancio è stato La Ruota della fortuna. Sul serio: al programma tv berlusconiano vince 48 milioni di lire nel ’94, a 19 anni. Poi diventa segretario provinciale del Ppi: gli ex dc erano rimasti pochi, si faceva carriera in un attimo.

Trombato alle elezioni del ’99, a Renzi tocca lavorare nella ditta del padre, dirigente dc periferico: coordina gli strilloni che vendono per strada il quotidiano di Firenze La Nazione. Nei curriculum scriverà che era «dirigente di una società di marketing». Un ulteriore vanto era definirsi «capo scout». Ma dopo che un altro ex capo scout della Margherita, il tesoriere Luigi Lusi, si è appropriato della cassa con trenta milioni, meglio sorvolare.

Nel 2004 i diessini fiorentini al 40% commettono l’errore di regalare a lui, boss della Margherita al 9%, la presidenza della Provincia. Pensano così di placare il 29enne rampante. Illusi. Lui, con la scusa di turismo, cultura e sport (fra le poche competenze di quell’ente inutile che è la Provincia), è sempre in tv a farsi réclame personale.

«Un bimbo che mangia i comunisti»

Lo accusano addirittura di aver creato con soldi pubblici un’emittente apposita, Florence Tv. Risultato: «Una volta dicevano che i comunisti mangiano i bambini. Ora un bimbo sta mangiando i comunisti», brontolano i diessini confluiti nel Pd.

«Renzi è tanto coraggioso quanto presuntuoso», dice a Oggi Massimo Lensi, consigliere provinciale Pdl, «il tipico fiorentino spaccone». Sposato con l’insegnante precaria Agnese, tre figli, ora si fa consigliare da Giorgio Gori, marito di Cristina Parodi, ex dirigente tv berlusconiano messosi in proprio.

«Renzi è un politico senza pensiero»: parola di Nicola Zingaretti, fratello dell’attore di Montalbano, presidente pd della Provincia di Roma. In effetti il suo programma politico nazionale è riassumibile in un solo punto principale: eliminare i vecchi. Come dicevano gli hippy anni 60, il cui motto però era: «Non fidatevi di nessuno sopra i 30 anni». Renzi è già fuori di sette.
Mauro Suttora