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Monday, January 26, 2009

Mercedes Bresso, Eugenia Roccella

Tutti gli ex radicali delle sponde opposte

di Mauro Suttora

Libero, sabato 24 gennaio 2009

E pensare che si chiama come la Madonna. Mercedes Bresso, 64 anni, la governatrice del Piemonte che sul caso di Eluana Englaro ha dato dell’«ayatollah» all’arcivescovo di Torino, deve il proprio nome alla mamma, devota della chiesa Vergine della Mercede a Sanremo.

Diventata leader dei laici italiani, la Bresso è coerente con le proprie origini anticlericali. Infatti, prima che il Pci la eleggesse nel 1985 consigliere regionale piemontese, era dirigente radicale. Fece parte della segreteria nazionale nel ’75, anno caldo delle lotte sull’aborto, quando Emma Bonino finì in carcere.

Curiosamente, quello stesso posto di dirigente del partito di Marco Pannella lo occupò nell’81 (anno del doppio referendum sull’aborto) pure Eugenia Roccella, oggi sottosegretario al welfare e vicinissima al Vaticano, ma allora accesa femminista. Segretario radicale era in quegli anni un 27enne Francesco Rutelli, anch’egli irriconoscibile rispetto a oggi.

Ex pannelliani, insomma, occupano posti opposti in palcoscenico nella disputa sul diritto alla vita. Ma la diaspora radicale coinvolge molti altri nomi noti della politica italiana, alcuni dei quali sorprendenti.

Giorgio Stracquadanio, per esempio. Il 49enne ghost writer e spin doctor di Silvio nonché consigliere di Maria Stella Gelmini potrebbe passare da deputato a sottosegretario alla presidenza del Consiglio se il portavoce Paolo Bonaiuti fosse promosso viceministro. A Milano Stracquadanio era attivo radicale negli anni ’80, e portaborse dell’allora antiproibizionista Tiziana Maiolo assessore comunale nel ’90.

Anche l’ex presidente del Senato Marcello Pera può essere catalogato come ex radicale (dal ’92 al ’94), così come il ministro Elio Vito (portaborse del consigliere comunale Pannella a Napoli negli anni ’80, poi deputato) e il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello (vicesegretario nell’81 con Rutelli).

Fra i deputati c’è il rutelliano Roberto Giachetti, mentre nel centrodestra spiccano Benedetto Della Vedova e Giuseppe Calderisi (autore del progetto di nuova legge elettorale per le imminenti europee). Fuori dal Parlamento ma vicino al cuore di Silvio sta Daniele Capezzone, segretario radicale fino a due anni fa e ora portavoce di Forza Italia.

Stefano Rodotà lasciò i radicali per il Pci nel ’79 perché Pannella non gli garantì l'elezione. In quegli stessi anni scalpitava fra i radicali salernitani Alfonso Pecoraro Scanio.

Sono stati candidati della Rosa nel pugno Gianni Vattimo, Barbara Alberti, Fernanda Pivano, Luca Boneschi (oggi avvocato dei giornalisti milanesi), Giorgio Albertazzi, Salvatore Samperi, Tinto Brass, Riccardo Chiaberge (direttore del supplemento domenicale del Sole 24 Ore), Massimo Alberizzi (inviato "africano" del Corsera) e il costituzionalista Michele Ainis.

Gli editorialisti Angelo Panebianco (Corsera), Massimo Teodori (Giornale) e Piero Ignazi (Sole ed Espresso) sono ex radicali. Perfino Eugenio Scalfari è stato vicesegretario nazionale del Pr prima di Pannella e consigliere comunale a Milano nel '60 (quando l’attore Arnoldo Foà fu eletto a Roma).

Ma lista dei giornalisti politici ex radicali è sterminata: Lino Jannuzzi (direttore di Radio radicale fino all’81), Paolo Liguori, il notista politico del Tg1 Bruno Luverà, Marco Taradash (inventore delle rassegne stampa radiofoniche), Daniele Bellasio e Christian Rocca del Foglio, Laura Cesaretti (Giornale e Velino), Vittorio Pezzuto (ex segretario nazionale dei club Pannella negli anni ’90, oggi portavoce di Renato Brunetta), Stefano Andreani (cronista parlamentare di Radio radicale, poi potente capo di gabinetto di Andreotti nell'era Caf, ora dirigente Invitalia – la ex agenzia Sviluppo), Roberto Iezzi (ufficio stampa Camera).

Carlo Romeo, oggi capo del "segretariato sociale" Rai, è stato fino al ’95 direttore del mitico tg radicale di Teleroma 56, da cui passarono Mauro Mazza, Michele Plastino, Gianni Cerqueti, Giancarlo Dotto, Fabio Caressa, Paola Rivetta... Infine Iuri Maria Prado, commentatore di Libero: pure lui pannelliano fino al 2006, quando i radicali (ri)svoltarono a sinistra.

Mauro Suttora

Friday, June 06, 2008

Iuri Maria Prado e De Marchi

Cambio di linea

Addio editoriali di Prado e De Marchi.
Radio radicale spegne le voci liberiste

di Mauro Suttora

Libero, 6 giugno 2008

Radio radicale ha eliminato i quattro editoriali bisettimanali del mattino (l’orario di massimo ascolto) di Iuri Maria Prado e di Luigi De Marchi. Andavano in onda da una dozzina d'anni. Si cancella così la fase «liberista» della radio e del partito radicale, iniziata nel 1992, che aveva portato all'exploit della lista Bonino nel ’99 (8,5%).

Prado, 43 anni, avvocato milanese, ha uno studio specializzato in «proprietà industriale» (marchi e brevetti). Appassionato di Gadda e Savinio, nel ’96 era stato contattato da Pannella che apprezzava i suoi editoriali sul Giornale allora diretto da Vittorio Feltri. «Ma da quando nel 2006 scrissi su Libero che non avrei più votato radicale, non mi ha più chiamato. Mi ha solo detto: “Mi spiace per te”».

Nel suo ultimo editoriale, l’altroieri, Prado ha ringraziato Radio radicale per avergli sempre garantito totale libertà, «anche quando esprimevo opinioni diverse dalla linea del partito. Un caso quasi unico, in Italia». Ma dopo la svolta a sinistra di Pannella due anni fa, l’alleanza con i socialisti di Boselli nella riesumata Rosa nel pugno e l’appoggio a Prodi, era evidente che Prado e De Marchi si sono trovati spiazzati.

Stesso destino toccato ai due brillanti giovani allevati da Pannella negli anni ’90: Benedetto Della Vedova e Daniele Capezzone. Il primo si è candidato con Berlusconi già nel 2006, pur mantenendo ottimi rapporti con i radicali. Capezzone invece ha consumato un’acrimoniosa rottura con il partito di cui era stato segretario per cinque anni, e ora è portavoce di Forza Italia. L’unico radicale di destra rimasto a collaborare con Radio radicale è Marco Taradash, che cura la rassegna stampa al sabato.

L’ottuagenario Luigi De Marchi è un monumento del libertarismo italiano. Psicologo e politologo, negli anni ’50 introdusse in Italia il pensiero di Wilhelm Reich e nei ’60 fondò l’Aied (Associazione italiana educazione demografica), con i primi consultori sessuali. Nel ’67 si ritrovò in piazza San Pietro con Pannella sotto lo slogan: «Contro l’aborto, sì alla pillola».

All’inizio degli anni ’90 si avvicinò alla Lega, scrivendo saggi sulla «nuova lotta di classe liberale: produttori contro burocrati». In quel periodo anche i radicali si allearono con i leghisti, promuovendo assieme vari referendum liberisti. Due volte alla settimana De Marchi distillava il suo pensiero «psicopolitico» per Radio radicale, prima della seguitissima rassegna stampa del direttore Massimo Bordin.
Suscitava consensi ma anche forti avversioni: «Ogni volta che iniziava la sua rubrica spegnevo la radio per quei tre inascoltabili minuti», dice Angiolo Bandinelli, storico dirigente radicale e commentatore del Foglio.

I maligni collegano l’allontanamento di Prado e De Marchi ai trenta milioni di finanziamento concessi da Prodi nel novembre scorso alla radio per la trasmissione delle sedute parlamentari fino al 2010. «Sciocchezze», commenta il direttore Bordin, «a De Marchi ho già proposto un’altra collocazione nel palinsesto a partire dall’autunno».

Mauro Suttora

Wednesday, February 20, 2002

Radicali e informazione

Conferenza tenuta il 18 febbraio 2002 a Milano, nella sede del partito radicale (corso di Porta Vigentina)

Mauro Suttora 

I radicali non hanno un rapporto con l’informazione. I radicali SONO informazione, informazione pura, sempre e da sempre. Nascono nel ‘55 non con un congresso, ma con un articolo sul settimanale Il Mondo di Pannunzio che annuncia la nascita di un Comitato provvisorio composto da Pannunzio stesso, Carandini, Piccardi, dall’ex segretario del Pli Villabruna e Leo Valiani.

Scalfari dà una versione differente, nel suo libro «La sera andavamo in via Veneto: «Il Pr lo fondammo io, Pannunzio, Paggi e Libonati nella casa di Arrigo Benedetti a Marina di Pietrasanta nel maggio ‘55». Benedetti fondò l’Europeo nel ‘45, e l’Espresso con Scalfari nel ‘55. Un buon terzo dei dirigenti radicali erano giornalisti, da Ernesto Rossi ed Ennio Flaiano in giù.

Pannella è di professione giornalista, e così molti radicali degli anni 60: Gianfranco Spadaccia, Aloisio Rendi, Giuseppe Loteta, che diventerà editorialista del Messaggero. Il principale strumento della politica radicale è un’agenzia distribuita in ciclostile ai giornali, dal ‘63 al ‘67. Denunciarono le bustarelle dell’Eni alla stampa, anche di sinistra: ben 20 miliardi di allora in pochi anni.

Dal ‘65 al ‘70 è un settimanale molto popolare, quasi pornografico, Abc, a condurre la battaglia per il divorzio. Con grande successo, fra l’altro, perché passò da 100 a 500mila copie. Un altro volano lo avrà la campagna per l’aborto nel ‘75: l’Espresso si impegna nella raccolta di firme per il referendum, Pannella tiene una rubrica fissa, che però interrompe bruscamente quando Scalfari caccia Lino Jannuzzi dal settimanale.

Nel ‘68 e ‘72 i radicali non si presentano alle politiche con l’esplicita motivazione della mancanza di par condicio da parte della Rai nei confronti dei partiti non rappresentati in Parlamento. Nel ‘76 si presentano soltanto dopo uno sciopero della fame di Pannella per ottenere una Tribuna stampa di un’ora in prima serata, come tutti gli altri partiti. Nell’83 si presentano ma invitano a votare scheda bianca.

Il primo sciopero della fame di Pannella contro la Rai è del ‘74 - il più lungo fra i 17 della sua vita, 92 giorni. Il 22 giugno Lietta Tornabuoni rompe un silenzio di 50 giorni con un articolo sulla Stampa. E scrive: «Bernabei (il direttore generale dc, ndr) sa che, la notte del referendum, ben centomila persone sono andate a festeggiare con Pannella in piazza Navona, e teme che il suo successo s'allarghi. Ma i radicali sono una vecchia conoscenza della tv di Stato: nel 1966 Pannella era alla testa delle trenta persone che si ammanettarono davanti alla Rai, portando cartelli al collo con su scritto "Così è ridotta l'informazione". E nel '70 guidava i 19 divorzisti che occuparono per la prima volta la sede tv in via del Babuino».

Il 16 luglio '74 scende in campo Pasolini con un bellissimo articolo sul Corsera. E così il 19 luglio ‘74 Pannella, a 44 anni, debutta in Tv.

In uno studio di via Teulada, si registra il debutto televisivo del leader ancora in digiuno. Modera Gino Pallotta. Pannella è un uragano: «L'Italia non è diventata vittima di lesbiche e omosessuali dopo il referendum sul divorzio, come diceva Fanfani... Siamo contro una legge criminogena che provoca aborti clandestini di massa mentre le signore benestanti abortiscono con 500mila lire in cliniche private, con l'assistenza psicanalitica e magari anche quella religiosa...».

Pallotta è impietrito, inerte, non osa interromperlo. Aborto, lesbiche, omosessuali: è la prima volta che alla tv italiana si sentono queste parole. Alla fine della registrazione nello studio non vola una mosca. I tecnici di sala scoppiano in un applauso spontaneo: «Mejo de Kennedy, dotto'!». Ma Pannella non è contento: «Ho dimenticato di parlare degli otto referendum e del finanziamento ai partiti...»

La mattina dopo alla Rai scoppia un putiferio. Il direttore generale Willy De Luca visiona la registrazione e urla: «Dobbiamo bloccare questo pazzo a ogni costo!». Ma c'è poco tempo: il programma deve andare in onda la sera stessa. Bernabei manda immediatamente, con due motociclisti, la trascrizione completa — parola per parola — dell'intervento di Pannella al segretario dc Fanfani e al presidente del Consiglio Rumor. Ma il segretario psi Francesco De Martino e anche il presidente Leone si oppongono alla censura. Allora i vertici dc della Rai ordinano al capufficio stampa Giampaolo Cresci (che nel ‘98 diventerà direttore del Tempo, con il radicale Giovanni Negri come vicedirettore) di non comunicare l'orario del dibattito ai giornali. La trasmissione viene spostata dal primo al secondo canale, e dalle nove alle dieci di sera. Contemporaneamente a Pannella, sul primo canale viene trasmesso un programma di grande richiamo.

Tutto inutile. Come previsto, quando il capo radicale pronuncia quelle parole dallo schermo, i centralini Rai di tutt'ltalia vengono intasati di telefonate pro e contro. Intanto, sul Corriere della Sera il dibattito su Pannella va avanti. Per controbilanciare l'articolo di Pasolini ne viene pubblicato uno del comunista Maurizio Ferrara (padre di Giuliano),contrario a Pannella

Nel ‘74, nonostante questo exploit, i radicali non riescono a raccogliere le 500mila firme per 8 referendum. Di questi, la metà riguardano l’informazione. Uno è per la libertà d’antenna contro il monopolio Rai, e poi contro i reati d’opinione, l’Ordine dei giornalisti, la legge sulla stampa del ‘48.

Il 20 settembre '74 i radicali sfilano in marcia contro la Rai: chiedono la testa di Bernabei. Francesco De Gregori e un centinaio di altri artisti rifiutano di collaborare con la Rai finché durerà il monopolio Dc. Bernabei si dimette.

Qui, nella sede radicale di Milano, fra le foto appese ce n’è una col giovane Litta Modignani durante un sit-in del '76 davanti alla Rai in corso Sempione.

Nel ‘77 durante una Tribuna flash di un quarto d’ora Pannella non si ferma, continua a parlare e costringe i tecnici Rai a sfumarlo

Il 18 maggio '78, a una tribuna del referendum di Jader Jacobelli in tv, i radicali inscenano uno spettacolo che rimarrà nella storia mondiale della televisione: Pannella, la Bonino, Mellini e Spadaccia si fanno riprendere imbavagliati con cartelli di protesta. È il più lungo silenzio mai messo in onda da una tv: 24 interminabili minuti, dalle 20.53 alle 2l.17. La Rai riceve centinaia di telefonate di spettatori allibiti. «I radicali hanno violato le regole fondamentali della comunicazione, perché hanno mescolato politica e spettacolo», commenta il massmediologo Gianfranco Bettetini. «Non è vero che politica e arte sono mondi separati e incomunicabili: in America non è così», corregge Eco. E Sabino Acquaviva: «Pannella ha sovvertito i rituali della classe politica». «Trovata geniale», ammette Scalfari.

Nell’autunno '81 ci vogliono 53 giorni di digiuno a Pannella per conquistare 40 minuti di Ping pong in Rai, un dibattito con Biagi moderato da Vespa sullo sterminio per fame nel mondo.

All’inizio dell’83 l’Europeo pubblica una bella intervista a pannella di Galli della Loggia e Fiamma Nirenstein:

Perché ti lamenti sempre della censura? «I giornalisti hanno subito una vera e propria mutazione antropologica in questi anni. Non parliamo della Rai, che il Psi ha riempito con una schiera di killer dell'informazione ai suoi ordini… Una volta almeno c'erano editori borghesi come Crespi o Perrone che ogni tanto potevano fare i non conformisti».

Intanto, però, dal 1976 è nata Radio radicale, cui va il finanziamento pubblico che il partito rifiuta di incassare. Piano piano i ripetitori coprono tutta Italia. Valter Vecellio inventa le rassegne stampa mattutine che poi passeranno a Taradash e a Melega, grande giornalista, già direttore dell’Europeo fatto licenziare dalla P2 e caporedattore di Repubblica ed Espresso. Radio radicale inventa anche i fili diretti e le rassegne stampa di mezzanotte, che poi copieranno tutti. Ed è una fucina di eccellenti giornalisti:

Paolo Liguori, direttore di Studio Aperto, Stefano Andreani, finito all’Asca e a fare il segretario di Andreotti nell’era del Caf, Bruno Luverà, oggi inviato politico di punta al Tg1, Guido Votano, capo della redazione italiana di Euronews (la Cnn europea) a Lione, Giancarlo Loquenzi (Indipendente, vicedirettore di Liberal, poi alla radio del Sole 24 Ore e oggi capo delle relazioni esterne di Telepiù), Laura Cesaretti (Foglio e poi Giornale), Roberto Giachetti, oggi deputato della Margherita e braccio destro di Rutelli, Ivan Novelli, Gabriele Paci (Europeo, Indipendente, Voce di Montanelli), Stefano Anderson poi capufficio stampa del Csm, o Carlo Romeo, colonna della tv radicale Teleroma 56 e poi direttore delle sedi Rai di Aosta e Bologna.

Dal 1979 e fino alla metà degli anni ‘90 i radicali hanno avuto due canali tv a Roma, Teleroma 56 e 66, guardate anche da papa Wojtyla che così conosce Pannella. Per un certo periodo Stanzani era diventato anche azionista di rilievo del network nazionale Odeon, ma poi come sempre il sogno di un terzo polo tv si è infranto di fronte al duopolio Rai-Mediaset.

La polemica contro la Rai prosegue incessante.

Il 30 maggio '83 Pannella contesta Pippo Baudo a Montecatini (Pistoia) mentre trasmette Serata d'onore dell'Unicef in diretta tv. «Baudo è un buffone!», grida in sala, perché il presentatore ha propagandato in tv contributi contro la fame nel mondo annunciati per telefono da politici dc. Pochi giorni dopo se lo ritrova di fronte, assieme a Enzo Tortora, in una tribuna elettorale Fininvest registrata al teatro Eliseo di Roma. Il clima è gelido. La mattina seguente, all'alba, Tortora viene arrestato per camorra.

Nell’84 si attua una campagna di disobbedienza civile contro il canone Rai, coordinata da Gaetano Benedetto (oggi dirigente Wwf): aderiscono varie centinaia di persone, ma la proptesta non riesce ad avere uno sbocco politico.

Il 15 settembre '86, un anno dopo la condanna a dieci anni e 1185 giorni dopo l'arresto, per Tortora è il giorno della rivincita: assolto con formula piena in appello. Adesso il presentatore desidera tornare in tv. Silvio Berlusconi gli fa la corte, vuole strapparlo alla Rai. Così Canale 5 si apre ai radicali, che vengono invitati in ogni programma. Perfino Drive in, la trasmissione dedicata ai paninari, ospita un Pannella in doppiopetto stile Chicago anni '30, con al fianco Lory Del Santo. «Era il comico che ci mancava», commenta perfido l'autore Antonio Ricci. Ma Fedele Confalonieri, numero due della Fininvest, nega che gli inviti a Pannella servano per spianare la strada a Tortora: «Il Pr stava chiudendo, aveva bisogno di un megafono, e noi glielo abbiamo dato».

C'è un problema: se Tortora sceglie la Rai, non potrà candidarsi con i radicali. Accusa Luciano Violante, pci: «Il Pr è totalizzante. Per Pannella, Tortora è l'uomo che vale 200mila voti». Aggiunge Martelli: «Marco ha un rapporto nevrotico con i mezzi d'informazione, e sbaglia». Ma perfino la socialista Raidue apre improvvisamente le porte a Pannella, grazie a Tortora: Antonio Ghirelli, direttore del Tg2, gli fa un'intervista di ben sei minuti, e viene subito strigliato dal direttore generale dc Biagio Agnes. I radicali premono con Tortora perché scelga la Fininvest, tanto che la figlia del presentatore Silvia (giornalista di Epoca, sposerà l’attore Philippe Leroy) litiga con Pannella e straccia la tessera del Pr. Ma alla fine Tortora decide di tornare con Portobello su Raidue, e inizia la prima puntata del nuovo ciclo con la frase: «Dov'eravamo rimasti?». Fra Pannella e Tortora, comunque, i rapporti restano ottimi,

Nell’ottobre ‘89 Pannella si dimette da deputato, di nuovo in polemica esplicita contro Rai e giornalisti.

Nell’ ottobre ‘92 il capo radicale guida una marcia contro la Rai, ancora in mano al Psi e alla Dc del direttore generale Gianni Pasquarelli nonostante la bufera di Tangentopoli. «Marcio contro il marcio», proclama, 18 anni dopo il primo corteo anti Rai col quale fece fuori Bernabei.

Il 20 novembre ‘93 inizia la raccolta di firme con la Lega Nord per dieci referendum liberisti, fra i quali due sulla Rai: uno per abolire la pubblicità, l’altro per la privatizzazione. Il primo verrà fatto fuori dalla Corte Costituzionale, il secondo vince il 12 giugno 1995 con il 55% di sì. Ma non verrà mai attuato.

Con la Rai, comunque, è rottura totale. Pannella protesta: «Fanno comparire soltanto Occhetto e D'Alema, e contrapponendo loro solo la Lega. Ma D'Alema e Occhetto hanno il loro microfono, Bossi invece ha il gelato che Bianca Berlinguer gli tende e gli toglie con sofisticatissimo modo, per far fuori tutto quel che fa paura al Pds... Guardate le dichiarazioni riportate dal Tg1: 32 di Occhetto o D'Alema e nessuna mia. Questo significa eliminare gli avversari. È ora di indicare anche le "coperture nobili" del Pds. Il non plus ultra della faccia tosta è quell'abatino Gianni Riotta, minutante di segreteria, che con la sua faccia da prete fa scherzi da prete».

Nel ‘94 l’alleanza con Berlusconi viene spiegata anche con la maggiore apertura delle reti Fininvest rispetto a quelle Rai: i radicali non sono stati sempre a sinistra? «Io so che l’Italia», risponde Pannella, «ha potuto vedere le labbra secche di un digiuno della fame e della sete per i referendum grazie alle tv della Fininvest, e non della Rai». Candida Spadaccia per il cda Rai e Umberto Eco per la direzione generale, senza successo.

Taradash diventa presidente della Commissione di vigilanza, e come primo atto fa portare i bilanci Rai in Tribunale.

Il 26 maggio 95 un altro episodio che passerà alla storia: i fantasmi radicali, coperti da un lenzuolo, in tribuna politica. La direttrice dc Angela Buttiglione abolisce le dirette.

Nel dicembre ‘95 arrivano ai vertici Rai avvisi di garanzia per attentato ai diritti politici dei cittadini, su denuncia radicale. Ma non si arriverà mai ai processi.

Nel 95 e 97 scioperi della fame contro la censura tv.

Nel 98 battaglia contro la Rai che offre 25 miliardi per la Radio, cui si vogliono togliere i dieci miliardi annui di convenzione col Parlamento per la trasmissione delle sedute.

1998: appena risvegliatosi dall’anestesia dopo una serie di delicatissime operazioni al cuore, Pannella detta alle agenzie questa dichiarazione: «Spero possa iniziare e rapidamente avviarsi a conclusione, finalmente, il processo di convalescenza. I direttori dei telegiornali, l'associazione per delinquere Rai - che compiono volgari azioni in un unico disegno criminoso: lasciare al potere in Italia il sistema criminogeno della partitocrazia - non possono dunque stare tranquilli»

Oggi molti editorialisti dei quotidiani italiani sono ex radicali o simpatizzanti: Panebianco e Merlo (Corsera), Teodori (Giornale), Ignazi (Sole 24 Ore), Quagliariello (Messaggero), Prado e Farina (Libero)

Penso che l'unica soluzione per trasformare la Rai da quella fogna clientelare che è in qualcosa di decente sia la privatizzazione. Una, due, tre reti, in blocco, a spizzichi, qualsiasi cosa va bene.

Il «servizio pubblico» non esiste. L'informazione è una merce, come tutte le merci il suo valore è determinato dal mercato, e vale la legge della domanda e dell'offerta. Per esempio, se il comune di Milano o la regione Lombardia devono comunicare che il giorno dopo il traffico è vietato, possono diramare questa informazione di pubblica utilità attraverso tutti gli organi d'informazione privati, che saranno ben lieti di veicolarla perche' si tratta d'informazione utile (quindi con un alto valore di mercato), o perfino con gli sms sui telefonini.

Il «servizio pubblico» è solo un pretesto usato dal potere politico per controllare l'informazione e mantenere carrozzoni costosi e inutili. Negli Usa non esiste tv pubblica, solo un piccolo canale (Pbs) noioso che pochi guardano perche' trasmette trasmissioni cosiddette culturali o di pupazzi (Muppet show). Esistono però canali (C-Span) che trasmettono le sedute parlamentari via etere e internet, come Radio radicale

Friday, March 23, 2001

Rutelli rifiuta i radicali

CAMPAGNA ELETTORALE DEI RADICALI

di Mauro Suttora
Il Foglio, 23 marzo 2001

Centinaia di volontari radicali sono scesi sui marciapiedi di tutta Italia con i loro banchetti: stanno raccogliendo le firme per partecipare elle elezioni. E’ uno sforzo notevole per un partito totalmente d’opinione, privo di funzionari e clienti locali, nonché di consiglieri comunali che autentichino le sottoscrizioni.

A Fiumicino, nel collegio dove si candida Marco Pannella (presente nel proporzionale della Camera anche in tutta la provincia di Roma, in Emilia e in Toscana), i "tavolinari” della lista Bonino hanno sorpreso alcuni dipietristi che facevano firmare senza autenticatore.

Questo delle firme false è uno scandalo sollevato l’anno scorso dai radicali, e che sta dando i primi frutti: elezioni annullate in Molise, inchieste aperte a Napoli, il vicepresidente della Provincia di Milano Dario Vermi (An) rinviato a giudizio per falso in atto pubblico e violazione delle leggi elettorali. Per Pannella, è la conferma dello “stato di illegalità” in cui versa il Paese, da lui denunciato un mese fa nell’appello a Carlo Azeglio Ciampi (“Presidente, ti uccido”).

Le accuse pannelliane riguardano soprattutto l’informazione tv: “Gli accadimenti di questi giorni alla Rai confermano che è questo il problema centrale della politica italiana”, spiega il dirigente radicale Angiolo Bandinelli, il quale sta preparando per il Comune di Roma una lista “civica, laica e antiproibizionista” simile a quelle promosse a Torino (con il verde Silvio Viale candidato sindaco) e ad Ancona.

L’Autorità garante delle comunicazioni ha dato ragione ai radicali, invitando la Rai a dare più spazio alla lista Bonino, vittima di uno “squilibrio editoriale”. “Ma l’azzeramento nei nostri confronti è continuato pure nei primi 70 giorni del 2001“, avverte Daniele Capezzone, “anche se il presidente Rai Roberto Zaccaria tenta di nascondere i dati sui radicali accorpandoci a Di Pietro, D’Antoni e Bertinotti, la cui presenza viene invece fatta esplodere”.

Pannella è convinto che sull’onda di qualche bel dibattito tv i radicali supererebbero agevolmente la barriera del 4 per cento. Altrimenti, l’unica eletta rischia di essere Emma Bonino, candidata al Senato in Lombardia (dove basta il 3 per cento ottenuto dalla sua Lista alle regionali).

Intanto, i radicali raccolgono adesioni prestigiose alla candidatura di Luca Coscioni (capolista in Umbria, Lazio ed Emilia davanti a Pannella), malato di sclerosi e simbolo della lotta per “la libertà della scienza”: per lui hanno firmato dodici premi Nobel e cento personalità del mondo accademico e scientifico internazionale (fra cui Ilya Prigogine, Noam Chomsky, l’ex rettore dell’università di Roma Giorgio Tecce e il matematico Alessandro Figà-Talamanca).

Un altro appello è rivolto al candidato premier dell'Ulivo Francesco Rutelli da Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Michele Salvati e Gianfranco Spadaccia, affinché “apra” ai radicali. Domenica scorsa il vertice dell’Ulivo sembrava avere accolto questo tentativo di dialogo in extremis (concretizzabile in qualche desistenza), ma poi Rutelli ha per l’ennesima volta snobbato i suoi ex compagni.

“I radicali sono alternativi a entrambi i poli, ma l’andata a casa del centrosinistra dovrebbe comunque essere una priorità per loro”, avverte l’intellettuale d’area Iuri Maria Prado, editorialista di Libero. Continua, infatti, la polemica liberista e antisindacale dell’eurodeputato boniniano Benedetto Della Vedova: l’ultima sua denuncia riguarda sei miliardi di fondi per la formazione Ue usati invece per un congresso di 120 dirigenti Cisl in una hotel a 4 stelle a Nizza.

Intanto la Bonino gira come una trottola: prima è andata in Africa per sollecitare adesioni al Tribunale Onu sui crimini di guerra; poi ha organizzato a Roma un convegno contro le infibulazioni delle donne africane; ha presentato a Milano un libro di Sergio Romano; è corsa a Napoli al Global Forum e a Torino per presentare le liste; ha partecipato ad Amman a un summit dell’International Crisis Group; ha condannato gli attacchi albanesi in Macedonia (“con la stessa fermezza con cui ho difeso gli albanesi kosovari dai serbi”); si è complimentata con Mary Robinson, che lascerà l’Alto commissariato Onu sui diritti umani in settembre (la Bonino è candidata a quel posto).

Emma ha incassato infine i complimenti dell’(autorevole) editorialista de “La Stampa” Barbara Spinelli: “Bonino e Rutelli sono personaggi di grande statura, usciti dalla scuola di alta politica, antisettarismo, rigore, laicità, senso di responsabilità individuale e interesse vero per il mondo circostante e per i diritti umani violati, che è la scuola di Pannella”.

Eppure le manca ancora il 'tocco magico' che aveva mostrato alle elezioni europee del 1999. I piu' malevoli commentatori, che affollano le file degli ex radicali, dicono che il successo della Bonino avvenne malgrado Pannella. E ora il vecchio leader è tornato in campo finendo per soffocarla. Ma gli 'amori gelosi di Marco' sono una leggenda che si ripete, si ripete, si ripete...
Mauro Suttora

Friday, May 19, 2000

Libertari: destra o sinistra?

LIBERTARI

di Mauro Suttora 
Il Foglio, maggio 2000

I libertari sono di destra o di sinistra? Si sta sviluppando in Italia, con un quarto di secolo di ritardo rispetto agli Usa, il dibattito sulle libertà individuali. Ma, contrariamente a ciò che pensano Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, i libertari italiani del Duemila si ritrovano più a destra che a sinistra. E così nascono come funghi gruppi di anarco-capitalisti, libertari della Lega, libertari radicali, libertari per il libero mercato...

A Milano, in concorrenza alla libreria Utopia di largo La Foppa, regno degli anarchici storici di «A-rivista anarchica» e della rivista «Libertaria», è nata la libreria Libertaria di Fabio Massimo Nicosia, capofila dei «free market libertarians» che hanno come esponenti italiani i professori Raimondo Cubeddu dell’università di Pisa, Carlo Lottieri e Marco Bassani.

Accanto alla tradizionale casa editrice Eleuthera (anarchici di sinistra) prosperano le edizioni Liberilibri di Macerata (libertari di destra, hanno pubblicato l’opera di David Friedman, figlio del Nobel Milton) e l'editore anarcoleghista Leonardo Facco di Treviglio (Bergamo).
Il Saggiatore ha appena ristampato il classico del 1974 dell’harvardiano Robert Nozick «Anarchia, stato, utopia», ma i libertari/liberisti italiani si rifanno più alla scuola «austriaca» (Carl Menger, Ludwig Von Mises, il Nobel Friedrich Von Hayek e il loro discepolo americano Murray Rothbard, ripubblicati da Liberilibri, Rubbettino e Ideazione di Domenico Mennitti, ex An).

Il «Circolo» milanese di via Marina, che fa capo a Marcello Dell’Utri (Forza Italia) riempie la sua sala con le conferenze organizzate da Massimiliano Finazzer Flory: accanto al filosofo Giulio Giorello discettano sul libertarismo di mercato (privatizzazioni, droga, diritti individuali) esponenti anarchici come Pietro Adamo e radicali come Angiolo Bandinelli e Iuri Maria Prado. Il professor Sergio Ricossa, maitre-à-penser dei liberali italiani, si dichiara apertamente e non provocatoriamente «anarchico». Si moltiplicano interessanti riviste (Enclave a Bergamo, Elite a Napoli) e vivaci siti Internet (radicali.it, libertari.org, i veneti di Libertarissima, i leghisti di Padania libera, liste di discussione italiane sul sito Usa onelist.com), con chat lines affollate da saputi e tignosi ventenni.

Quale sarà lo sbocco politico di tutto questo ribollire in ambito culturale, universitario e di filosofia politica ed economica? Che paradossalmente diventi proprio la tendenza libertaria il mastice giovanile e «militante» di un nuovo Polo allargato a Lega e alla lista Bonino, in contrapposizione al conservatorismo catto-statalista di destra e sinistra?

«Per dire se i libertari sono di destra o di sinistra bisogna prima definire i termini “libertario”, “destra” e “sinistra”», premette il professor Angelo Panebianco. E non dice un’ovvietà, perché attorno al significato stesso di queste tre parole il dibattito è apertissimo. «I libertari sono dei liberali estremisti, come gli anarcoliberali della scuola di Chicago di Friedman non accettano lo Stato nemmeno nella qualità di “male necessario”, e vogliono limitarlo fino a farlo scomparire. Sono fautori di una distruzione della sfera pubblica in quanto tale, e di una privatizzazione integrale. Quanto alla distinzione fra destra e sinistra, mentre oggi in Italia lo statalismo è presente in entrambe, per il liberalismo questo è già più difficile. Ma, così com’è sempre stato impossibile collocare gli anarchici sull’asse destra-sinistra, anche per i libertari c’è questa difficoltà».

Secondo la famosa definizione di Von Hayek i liberali si collocano al terzo lato di un triangolo i cui altri due lati sono occupati da socialisti e conservatori. È uno schema che si può applicare anche all’Italia, con i radicali «terzo polo» fra Centro-sinistra e Centro-destra? «Veramente certi libertari americani considerano perfino Hayek un pericoloso statalista», spiega Panebianco. «Quanto ai nostri radicali, non sono dei “libertarians” in senso proprio, perché non hanno mai considerato la politica come un àmbito che va distrutto, a beneficio del mercato. Anzi, tutta la storia di Marco Pannella testimonia il primato della politica. Le posizioni liberiste in economia della lista Bonino, poi, sono quelle dei liberali classici, e non mi sembrano affatto estremiste: i radicali italiani, per esempio, non parlano di privatizzare le prigioni, come chiedono i libertari».

Quindi l’ondata di libertarismo è confinata al dibattito accademico? «Sicuramente dopo la caduta del Muro di Berlino il pensiero liberale, comprese le sue versioni libertarie più spinte, ha dominato la scena mondiale», dice Panebianco. «Non così in Italia. Però oggi anche da noi un ventenne destinato a una carriera intellettuale è più attratto dai pensatori liberali che non da quelli marxisti che monopolizzavano la scena venti o trent’anni fa».

Quasi quarant’anni fa, nel 1962, Pannella diventò segretario radicale e puntò sui temi libertari per rivitalizzare un partito che fino ad allora era soltanto liberale, anche se propugnatore delle «aperture a sinistra». «Pannella recuperò dalla grande tradizione anarchica l’anticlericalismo e l’antimilitarismo, due parole vietate dalla cultura dello Stato etico, fosse esso fascista, cattolico o comunista», spiega Angiolo Bandinelli, già segretario e parlamentare del Pr. «L’anticlericalismo sfociò nella legge sul divorzio del ‘70 e nella vittoria del referendum quattro anni dopo, l’antimilitarismo nella legalizzazione dell’obiezione di coscienza al servizio militare conquistata nel '72».

In quegli stessi anni nascono anche i «libertarians» americani, sull’onda del rifiuto della coscrizione obbligatoria per il Vietnam. «E all’inizio si collocavano nell’ambito dell’estrema sinistra», dice Nicosia, che sta per pubblicare «Il sovrano occulto» da Franco Angeli, «perché allora la destra negli Stati Uniti era statalista. Fu solo più tardi, con l’avvento di Ronald Reagan e con l’influenza di Milton Friedman, che i repubblicani si convertirono allo slogan “meno Stato”».

I libertari americani hanno come punto di riferimento Henry David Thoreau. Quelli europei, invece, Pierre-Joseph Proudhon, con il suo celebre motto «la proprietà è un furto». Niente di più diverso, e questa differenza si riverbera ancor oggi sui movimenti dei due continenti. 

«Noi anarchici siamo di sinistra, se per sinistra si intende l’obiettivo dell’uguaglianza, della libertà e l’esaltazione della diversità», sostiene Luciano Lanza, direttore della neonata rivista «Libertaria» dopo aver fondato «A-Rivista anarchica» nel ‘71 e avere diretto il trimestrale «Volontà» dal 1980 al ‘96. «Ma non siamo di sinistra se per sinistra si intende quella oggi egemone, cioè statalista. Insomma, è corretto dire che l’anarchismo non è né di destra né di sinistra, perché la sua dimensione si realizza in un al di là della politica come viene comunemente intesa, cioè lotta per la conquista del potere».

«Anche gli anarco-capitalisti rifiutano la politica parlamentare», precisa Nicosia, «perché intendono rimpiazzarla con il libero mercato basato sul diritto di proprietà». «Ma risolvere la politica nell’economia è quanto di peggio possa succedere», obietta Lanza. «La nostra non è certo una posizione conservatrice», ribatte Nicosia, «anzi è rivoluzionaria, perché un vero libero mercato spazzerebbe via tutti gli interessi consolidati monopolistici e oligopolisti del grande capitalismo familiare e mafioso italiano». 

In polemica con il protezionismo della Confindustria perfino un acceso liberista come il radicale Ernesto Rossi 40 anni fa si schierò per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. «Ma era una contraddizione solo apparente», lo giustifica Bandinelli, «perché una delle principali caratteristiche dei radicali italiani è sempre stata il pragmatismo anglosassone, estraneo alla tradizione idealistica e ideologica italica».

Niente totem né tabù, insomma, e così il partito radicale, diventato il principale interprete del libertarismo nostrano, conclude nel 1981 la stagione delle lotte per i diritti civili con il referendum sull’aborto. Ma c’è un filo rosso che collega i diritti di libertà personale degli anni Settanta a quelli economici degli anni Novanta l’antiproibizionismo, ovvero la quintessenza del libertarismo. «E la sinistra non è mai stata antiproibizionista, né allora né oggi», attacca Nicosia, «perché per esempio, nonostante tutte le posizioni per la legalizzazione della droga dei Ds o del ministro della Giustizia Oliviero Diliberto, gli statalisti hanno sempre in mente un “servizio pubblico” che deve proteggere il “povero“ cittadino, come i drogati da assistere tramite i burocrati dei Sert in alternativa all’internamento nelle comunità terapeutiche».

«Ma ormai abbiamo così introiettato il diritto dello Stato a intromettersi nei nostri affari privati, con la scusa di “proteggerci”, che accettiamo il casco obbligatorio per i motociclisti, e i tifosi non possono neanche più urlare quello che vogliono negli stadi», si ribella Aldo Canovari di Liberilibri. Così i libertari rispondono con provocazioni «Privatizziamo il chiaro di luna», è per esempio il titolo di un libro di Lottieri, il quale sostiene l’ardita tesi secondo la quale il liberismo spinto sarebbe la migliore ricetta anche per l’ecologia.

parte finale non pubblicata dal Foglio:

«Ma queste rischiano di essere dispute astratte fra professori universitari», taglia corto Bandinelli. Che sintetizza «Oggi gli unici coerenti sono i radicali, libertari sia sul versante dei diritti individuali economici, sia su quello dei diritti della persona, sulla scia del socialismo umanista pre-marxista che rivendicava il diritto di ciascun individuo a essere uomo libero».

Risultato: la lista Bonino è vista con il fumo negli occhi sia dalla sinistra, che li accusa di «liberismo selvaggio», sia dalla destra cattolica che invoca il «diritto alla vita». Per non parlare delle posizioni stataliste-corporative, presenti in egual misura nella sinistra sindacale e nella destra populista che difende i commercianti, i taxisti e perfino la centrale del latte di Roma. 

«Trent’anni fa abbiamo conquistato la libertà di divorziare per i coniugi che non si amano più», protestano i radicali, «oggi con il referendum contro il reintegro intendiamo ottenere la libertà di divorzio anche nel mondo del lavoro». Ma sinistra e destra rispondono all’unisono «Troppa libertà, cari libertari».
Mauro Suttora