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Wednesday, January 07, 2015

L'incubo del traghetto Grecia-Ancona


FUOCO, FUMO, MARE FORZA OTTO, SOCCORSI IMPOSSIBILI. POI IL BUIO, FREDDO, PAURA. INFINE LA SALVEZZA

Oggi, 29 dicembre 2014

di Mauro Suttora

Alla faccia della cavalleria. «Quando gli elicotteri dei soccorsi sono arrivati, i passeggeri si sono fatti prendere dal panico», racconta Christos Perlis, 32 anni, camionista greco che era sul traghetto Norman Atlantic. «Tutti si pestavano per salire. Io e un altro abbiamo cercato di imporre un po’ d’ordine. Prima i bambini, poi le donne, poi gli uomini. Ma alcuni uomini hanno cominciato a colpirci, volevano entrare per primi. Non hanno dato la precedenza, niente».

L’incubo è durato ben 37 ore. Soltanto 170, sui quasi 500 fra passeggeri ed equipaggio, sono stati salvati il primo giorno. L’incendio è divampato in piena notte, alle 4 e mezzo. Tutti dormivano in cabina. Molti si sono accorti del pericolo soltanto per il fumo che entrava sotto le porte. Ma il mare in tempesta ha impedito alle navi in soccorso di avvicinarsi. E gli elicotteri non riuscivano ad atterrare sul ponte per il fumo e il rollio. Così gli unici a riuscire a scappare sono stati quelli imbarcati nelle scialuppe.

Un giorno e una notte ad aspettare e sperare

Poi è calata la notte. Ed è lì che per molti dei 300 ancora imbarcati è iniziato il vero inferno: freddo, fumo, onde da far venire il vomito, spruzzi. E tanta paura.
«Io e mio marito siamo stati più di quattro ore in acqua. Ho tentato di salvarlo ma non ci sono riuscita, lui mi diceva “moriamo, stiamo morendo”», racconta Teodora Doulis, 56 anni, greca, moglie di Georghios, 67, una delle otto vittime (bilancio purtroppo provvisorio). I due si erano gettati in mare per raggiungere la scialuppa. Il marito potrebbe essere deceduto per ipotermia.

«L’ho visto morire. Eravamo sullo scivolo della nave, lui davanti, io dietro. È rimasto impigliato a un telo di plastica e io non riuscivo a scendere. Ci davano fretta e ci dicevano di scendere, ed eravamo bagnati perché raggiunti dai getti d’acqua utilizzati per spegnere le fiamme. Alla fine siamo scesi in acqua, tenuti a galla dai salvagenti. C’era una nave, ma troppo lontana per soccorrerci. Siamo rimasti così più di quattro ore, nuotavo, per fortuna non avevo gli stivali. A mio marito usciva sangue dal naso, forse perché aveva battuto la testa sulla nave».

«A un certo punto», continua disperata la donna, «è arrivato un soccorritore che ha tentato di tagliare il telo in plastica in cui era rimasto intrappolato mio marito. Ma quando al secondo tentativo c’è riuscito, lui è morto tra le sue braccia. Ho visto anche un’altra persona morta, il cadavere era accanto a mio marito, aveva addosso una ciambella di salvataggio ma si vedeva che era privo di vita».

L’incendio è partito da uno dei cento camion nel garage, e si è propagato alle 150 auto. Soltanto una quarantina di passeggeri erano italiani. Duecento i greci. Tutti gli altri, di ogni nazionalità.
Il traghetto era nuovo. Varato a fine 2009 dai cantieri Visentini di Rovigo, apparteneva alla società Visemar, stesso gruppo. Ma in questi pochi anni ha cambiato vorticosamente mari, nomi e affittuari: prima la rotta Genova-Termini Imerese (Messina) finché qui c’era la fabbrica Fiat, poi Siremar, Grandi navi veloci e Moby per la Sardegna con il nome Scintu, infine i collegamenti con la Grecia con caronte e, attualmente, la compagnia greca Anek.

Il comandante italiano Argilio Giacomazzi, 62 anni, di La Spezia, è stato l’ultimo a lasciare la nave, prima che venisse trainata dai rimorchiatori nel porto di Brindisi. Almeno non c’è stato un altro caso Schettino.
Mauro Suttora