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Tuesday, April 20, 2021

Grillo scagiona il figlio

“E tutte le vittime tritate dal populismo a 5 Stelle?”

intervista a Mauro Suttora di Federico Ferraù

Ilsussidiario.net, 20 aprile 2021

“Grillo dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi”

Arriva e si siede davanti alla webcam. Esplode, subito. “Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale”. Eccolo il motivo. È un crescendo. Grillo gesticola, urla. Se la prende con l’informazione. Ciro Grillo, il figlio del fondatore e garante del Movimento 5 Stelle, è indagato con tre amici dalla procura di Tempio Pausania con l’accusa di violenza sessuale di gruppo.

I fatti risalgono alla notte tra il 15 e il 16 luglio 2019, la vittima è una ragazza italo-svedese. “Gli stupratori vengono presi e interrogati in galera o ai domiciliari”, invece suo figlio e gli amici “sono lasciati liberi per due anni, perché?”, urla Grillo. “Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato lo stupro. Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia… vi è sembrato strano. Sì, è strano” grida come una furia il leader di M5s. E ancora: “C’è il video, si vede che lei è consenziente, che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni”. Lo show disperato di Grillo finisce poco dopo.

Un messaggio violento e sessista: le reazioni sono pressoché concordi nel condannare il nuovo abuso mediatico della vittima. La famiglia della ragazza, attraverso il legale Giulia Bongiorno, parla di “farsa ripugnante”. Qualcuno fa notare che dall’exploit di Grillo traspare un’ignoranza completa delle più elementari nozioni di giustizia penale, insieme ad un’immagine della giustizia come arma brutale, la stessa che il giustizialista Grillo ha sventolato per anni nelle piazze. “Io ci ho messo 6 mesi per denunciare la violenza”, dice Federica Daga, deputata M5s.

“Grillo dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi” dice Mauro Suttora, giornalista, collaboratore dell’Huffington, giornalista e scrittore, da anni attento osservatore del fenomeno grillino. “In un Paese normale” commenta “il 19 aprile 2021 segnerebbe la fine del Grillo politico”.

Ciro Grillo è innocente fino al terzo grado di giudizio. Se ne parliamo è a motivo del padre, che ieri ha diffuso un messaggio immediatamente subissato di critiche. Perché è intervenuto?

Per una plateale crisi isterica, direi. Non so trovare altri motivi. Non si era mai visto un politico, un comico, un padre, o semplicemente un uomo, perdere la testa in modo così evidente e violento. E volersi mostrare in pubblico, filmandosi e offrendosi online. Se non fosse grottesco, sarebbe tragico: una specie di re Lear al pesto genovese.

Abbiamo visto lo sfogo di un Grillo iper-garantista. I conti tornano?

Guardandolo urlare mi è venuta in mente Federica Guidi, figlia di un potente industriale. Oggi probabilmente nessuno la ricorda, ma fu ministra dello Sviluppo economico dal 2014 al 2016, nel governo Renzi. Se passerà alla storia, sarà per essersi lamentata col fidanzato perché lui la trattava come una “sguattera guatemalteca”. Li intercettavano, e per la soddisfazione di Grillo quelle sue parole furono pubblicate, illegalmente perché erano umiliazioni private, senza alcun nesso con l’accusa di “traffico di influenze” per cui era indagato il fidanzato. Lei no, non era neppure indagata. Però i forcaioli grillini chiesero subito le sue dimissioni, e le ottennero. Un anno dopo il caso fu archiviato, ma alla Guidi non ridiedero la poltrona. Solo che lei ci risparmiò una sceneggiata alla Grillo, cui avrebbe avuto diritto.

Allora chi altri dovrebbe difendere, Grillo, oltre al proprio figlio?

Dovrebbe ricordarsi di tutti politici e personaggi tritati dal populismo a 5 Stelle negli ultimi 15 anni, da Bassolino a Bertolaso. Ora è la nemesi.

“Che Beppe Grillo usi il suo potere mediatico e politico per assolvere il figlio è vergognoso” ha detto la Boschi. Che cosa ci dice dal punto di vista mediatico l’iniziativa di Grillo?

Ci dice che in realtà i meno colpevoli per la disavventura del figlio siamo proprio noi giornalisti. Che abbiamo sempre trattato coi guanti i guai privati dei suoi figli. Tutti sapevamo di certe vicende di droga del passato – non di Ciro – ma nessuno le ha mai sfruttate, la privacy familiare è stata rispettata. E così in questi quasi due anni di inchiesta per il presunto stupro di Porto Cervo. Un’eternità. Quasi tutti i tg non avevano neanche dato la notizia dell’imminente incriminazione. Se il padre non avesse sbroccato, la maggioranza degli italiani l’avrebbe ignorata.

Come commenti le poche difese imbarazzate provenienti da M5s?

È questo il risvolto più grave, da un punto di vista politico. Perché i grillini sono ancora il partito più grosso in Parlamento, e accettano di essere guidati da un uomo con evidenti problemi di equilibrio. I più furbi si sono chiusi in un dignitoso silenzio, ma nessuno osa prenderne le distanze.

Lo sfogo mediatico di Grillo non dovrebbe imporre una svolta garantista?

Il garantismo non lo conoscono, i grillini. Sarebbe come pretendere che un felino diventi vegetariano. Per la legge del contrappasso, il povero Ciro è stato più danneggiato che difeso dalla piazzata paterna.

Come inciderà questa vicenda?

In un Paese normale il 19 aprile 2021 segnerebbe la fine del Grillo politico. Ma un Paese che tre anni fa gli ha dato un terzo dei voti non è normale. I grillini più accorti si sono già riciclati. Di Maio si è definito “liberale e moderato”. Di Battista almeno evita certi trasformismi alla Conte.

A proposito di Conte e non solo lui; in M5s è il caos.

Dopodomani scade l’ultimatum del rampollo Casaleggio, che pretende 450mila euro dai parlamentari grillini. Se non glieli danno, lui si terrà il prezioso indirizzario dei 190mila registrati al Movimento. Ne vedremo di tutti i colori.

Federico Ferraù

Sunday, April 11, 2021

Salvini e la lezione Gregoretti: separare morale e giustizia

Siamo diventati tanti piccoli gup, perennemente sentenziosi e buffi. E invece niente, calmatevi. Se il leghista è un eroe o un mascalzone non lo decide un giudice

di Mauro Suttora

HuffPost, 11 aprile 2021

Ce la possiamo fare. Se nel 1648 abbiamo cominciato a separare la politica dalla religione, con la pace di Vestfalia, prima o poi riusciremo anche a distinguere fra morale e legge.

La procura di Catania ha chiesto l’assoluzione di Matteo Salvini per la nave Gregoretti: il capo della Lega non commise i reati di sequestro di persona e abuso d’atti d’ufficio quando vietò per sei giorni lo sbarco a 131 migranti.


Applaude la curva nord dei tifosi di centrodestra, ammutoliti quelli di sinistra. Peccato che le aule di tribunale non siano stadi: paghiamo i giudici non per decidere se un politico abbia fatto la cosa ‘giusta’, o migliore, o più umana, ma solo per sapere se ha violato precisi articoli del codice penale.

Inutili quindi sia le feste che il lutto, di fronte a richieste di archiviazione o incriminazione. Certo, l’equivoco è facile: la parola ‘giustizia’ contiene in sé l’aggettivo ‘giusto’. Quindi viene spontaneo caricare ogni sentenza di valore moralistico. Soprattutto per noi educati alla bontà dal catechismo, e ora immersi in quell’Era della Suscettibilità (© Guia Soncini) che ci fa stazionare col ditino alzato sul divano: siamo diventati tanti piccoli gup, perennemente sentenziosi e buffi.

E invece, niente. Calmatevi. Salvini non è né un eroe che ci difende dall’invasione dei clandestini, né un mascalzone che tortura donne e bimbi africani. O meglio, ciascuno di noi potrà continuare a pensarlo, e a votare di conseguenza. Ma non lo decide certo il giudice di Catania Nunzio Sarpietro (lui meno di tutti, fan dichiarato dell’ex premier Conte), né quello di Palermo che sta per giudicare Salvini su un caso uguale, il blocco della nave Open Arms.

Le loro sentenze non stabiliranno la ‘bontà’ (della politica) del capo leghista, ma solo se un suo determinato atto in un determinato giorno e luogo ha “integrato una fattispecie di reato”. Come ci hanno insegnato alla facoltà di giurisprudenza. Dove, lo confesso, ero un fan di Kelsen: quel giurista tedesco che per aver osato affermare la neutralità della legge si beccò del paranazista dai comunisti. Ma erano tempi complicati.

Ora invece sono i tempi dei grillini, che assolsero (politicamente) Salvini per il blocco della nave Diciotti quand’era loro alleato, ma lo hanno crocifisso per le navi successive: peccato che il codice penale non abbia fatto anch’esso un salto della quaglia assieme a loro, da destra a sinistra.

In ogni caso, il capo leghista è fortunato: meno di due anni sotto processo. Ai magistrati di Bertolaso ce ne sono voluti dieci per assolverlo. Stessa agonia per il sindaco di Parma Vignali, che dovette dimettersi nel 2011: diede il via all’epopea grillina con la vittoria dell’ottimo Pizzarotti. Assolto pure lui un anno fa, con annesse scuse della pm. E il povero Bassolino? Ci conviene fare proprio come i bagni per maschi e femmine: tenere separata la morale (e la politica) dalla giustizia.

Mauro Suttora



Wednesday, January 18, 2012

Chi è Attilio Befera

L'UOMO CHE CI FARA' PAGARE LE TASSE

di Mauro Suttora

Oggi, 11 gennaio 2012

Sarà lui il Superman che sconfiggerà gli evasori fiscali? Il physique du role, onestamente, non c'è. Guido Bertolaso ci appariva scattante nei suoi golfini attillati della Protezione Civile. Attilio Befera, invece, assomiglia già per nome e cognome a quello che è: un tranquillo dirigente ministeriale 65enne. Eppure il direttore dell'Agenzia delle Entrate lo sta imparando a conoscere l'Italia intera. Finora erano i ministri delle Finanze a esporsi in prima persona contro l'evasione. Da Bruno Visentini con i suoi registratori di cassa negli anni '80 a Vincenzo Visco, sono stati tanti gli spauracchi dei contribuenti neghittosi.

Ma Befera non è né ministro né politico. E, in tempi di «tecnici» neutrali, forse è proprio questa la sua forza. Così, ha cominciato a esternare. Beppe Grillo dice che bisogna «capire le ragioni» di chi manda pacchi bomba a Equitalia, di cui Befera è presidente? «Questa volta non sei divertente», gli replica subito. Ottanta ispettori dell'Agenzia invadono Cortina a Capodanno, controllando i conti di alberghi e negozi? Befera si fa intervistare da Piazzapulita su La Sette e difende la clamorosa operazione. Insomma, ci mette la faccia.

Il cambio di passo rispetto al recente passato è evidente. Spot tv dipingono gli evasori come loschi parassiti. Milioni di notifiche Equitalia ci intimano di pagare tutto e subito: dai 30 euro delle multe stradali, ai milioni di qualche tremenda imposta societaria. Il premier Mario Monti, diretto superiore di Befera in quanto ministro di Economia e Finanze, appone il sigillo finale: «Sono gli evasori a mettere le mani nelle tasche degli onesti». E non lo Stato, come sostenuto da leghisti e berlusconiani.

Befera, nel palazzo romano della sua Agenzia delle Entrate in via Cristoforo Colombo, quasi all'Eur, è il simbolo di questa nuova consapevolezza. L'Italia sull'orlo della bancarotta non può più sopportare i 120 miliardi annui sottratti al fisco: «Con quelli, i nostri bilanci sarebbero a posto», ripete.

Nato a Roma, madre abruzzese (Luco dei Marsi, dove la domenica va a passeggiare nei boschi), a 19 anni appena diplomato comincia a lavorare in banca. Studente-lavoratore, laurea in Economia e commercio 110 e lode. In 30 anni a Efibanca scala tutte le posizioni fino alla direzione centrale. Fa anche il sindacalista, Cgil bancari. Nel 1995 il ministro delle Finanze del governo Dini, Augusto Fantozzi, lo chiama nel Secit (Servizio centrale ispettori tributari). Sedici mesi dopo è già direttore centrale delle Entrate.

Dal 2001 lo Stato cerca di rimediare alla sua cronica inefficienza creando prima l'autonoma Agenzia delle Entrate (che oggi ha 33 mila dipendenti), e nel 2006 togliendo a 40 banche private la riscossione: nasce Equitalia, braccio «armato» del fisco, guidato da Befera. Al quale riesce il miracolo: si fa apprezzare sia da Visco, ministro del centrosinistra dal '96 al 2000 e poi nel 2006-8, sia da Giulio Tremonti, che arriva nel 2001 con il centrodestra di Berlusconi e torna nel 2008.

Poche ore nel maggio 2008 segnano il destino di Befera: quelle durante le quali il suo predecessore all'Agenzia delle Entrate rende pubbliche in rete tutte le dichiarazioni Irpef degli italiani, dopo che Berlusconi ha vinto le elezioni. Proteste, dimissioni, e arriva Attilio. Che però conserva la presidenza del fortino Equitalia, un chilometro più in là verso l'Ardeatina.

Al mastino bipartisan resta sempre meno tempo per ascoltare Mozart, leggere Camilleri e andare alle partite della Lazio. L'unico rito al quale rimane fedele da 40 anni è l'incontro al sabato mattina nel caffè sotto casa nel suo elegante quartiere romano con i tre amici di una vita: il cardiologo Renato, l'assicuratore Luciano, e Mario, ormai pensionato. Con i suoi 456 mila euro di stipendio (38 mila al mese, altro che tetto) e 45 anni di contributi potrebbe ritirarsi anche lui. Ma non ci pensa. Anzi, proprio ora arriva una nuova giovinezza. Intanto è arrivata una nuova compagna, dopo una separazione difficile dalla moglie che gli ha dato due figli, un maschio e una femmina. Ormai grandi, e allora lui passeggia con i suoi due cani, un alano e un bassotto.

Dopo la pioggia di buste con proiettili e attentati a Equitalia nelle ultime settimane, a Befera e ai suoi collaboratori è stata imposta la scorta. Beffardo destino per quest’uomo mite, che quando si arrabbia al massimo dice, alzando un po’ la voce sarcastico: «Amore mio…»

Metà Italia lo ama, metà lo odia. Chi gli sta vicino rivela che quattro cose gli rendono la vita più serena: la stima di Monti, quella di Giorgio Napolitano, la sua ammirazione per Cavour. E l’alleanza di ferro che ha stretto con Antonio Mastrapasqua, il presidente dell’Inps che gestisce paritariamente con l’Agenzia delle Entrate gli ottomila riscossori di Equitalia.

Meno coordinati sono i rapporti con la Guardia di Finanza, i militari della lotta anti-evasori. A volte c’è un po’ di concorrenza con l’Agenzia, proprio come capita fra Carabinieri e Polizia. Il blitz di Cortina, per esempio, è stato condotto dall’Agenzia; e un comandante locale dei finanzieri ha detto che non ne sapeva nulla, per di più dichiarandosi perplesso sull’opportunità della data scelta, al picco dell’alta stagione. Ma sono inezie, e pochi giorni dopo ecco le Fiamme gialle liguri scatenate in negozi e locali di Portofino, Santa Margherita e Genova.

Solo operazioni d’immagine? Lo si vedrà con i bilanci che Befera sarà capace di esibire a fine 2012. Ma questo è anche il primo anno in cui le somme recuperate dal fisco non sono state messe preventivamente a bilancio dal governo. Perché per ora si tratta solo di speranze. Se diventeranno certezze, e supereranno i nove miliardi del 2011, dipende da Attilio.
Mauro Suttora

Wednesday, March 03, 2010

Scandalo Protezione civile

TROPPI EVENTI PER GUIDO BERTOLASO

Il vice del sottosegretario e altri tre in carcere, 23 indagati. L’accusa: gonfiavano le cifre dei lavori, favorivano gli amici, incassavano favori di ogni tipo (anche a luci rosse).
Così quello quello che era considerato un modello di efficienza è finito nel fango. Perché si è accollato compiti non suoi, con appalti controllati da «birbantelli»

di Mauro Suttora

Oggi, 19 febbraio 2010

Maledetta Pratica di Mare. Questo deve avere pensato Guido Bertolaso, sottosegretario alla Protezione civile, di fronte alle 20.267 pagine dell’inchiesta che sta scuotendo la politica italiana. E che ha danneggiato anche la sua finora ottima immagine, a causa dell’avviso di garanzia ricevuto.

Fu infatti dopo avere perfettamente organizzato il vertice Nato di Pratica di Mare nel 2002 che Bertolaso conquistò la completa fiducia di Silvio Berlusconi. Il quale, da allora, ha affidato alla Protezione civile una quantità enorme di compiti: costruzione di alberghi per riunioni G8, edificazione di piscine e stadi per campionati di nuoto e ciclismo, smaltimento spazzatura, gestione aree archeologiche, distribuzione di indennizzi, restauro monumenti, anniversari storici...

Tutto senza gare d’appalto, a trattativa privata. Per velocizzare la burocrazia risultava comodo, e probabilente giustificato, invocare l’«emergenza» e saltare molti vincoli. Ma i cosiddetti «Grandi eventi», con appalti miliardari e scarsi controlli (anzi, sul G8 della Maddalena era stato apposto addirittura il «segreto militare»), hanno attirato gli appetiti di qualche «birbantello», come ora li chiama il premier Berlusconi.

Indagini dei carabinieri

In carcere sono finiti in quattro: il vice di Bertolaso per i Grandi eventi Angelo Balducci, il dirigente della Protezione civile Mauro Della Giovampaola, il costruttore romano Diego Anemone e il provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Le indagini dei carabinieri, durate due anni con pedinamenti, foto e intercettazioni, sono partite da Firenze. E toscano è il politico indagato (per concorso in corruzione) più importante: Denis Verdini, coordinatore nazionale del Popolo delle libertà.

L’inchiesta è passata prima a Roma per competenza territoriale, e ora a Perugia per il coinvolgimento di un magistrato romano: Achille Toro, procuratore aggiunto, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, con il figlio commercialista Camillo, riguardo agli appalti dei Mondiali di nuoto 2009 a Roma. Toro si è dimesso dalla magistratura.

«Asservimento totale»

Secondo il gip Rosario Lupo, che ha convalidato gli arresti chiesti dalla procura di Firenze, il sistema funzionava così: «Balducci e De Santis, pubblici ufficiali incaricati della gestione dei “grandi eventi“ insieme a Mauro Della Giovampaola, hanno asservito la loro funzione (alquanto delicata, dati gli enormi poteri e i rilevantissimi importi di denaro) in modo totale e incondizionato agli interessi dell’imprenditore Diego Anemone (e non solo: fra gli altri, i costruttori Francesco De Vito Piscicelli e Riccardo Fusi). Tale asservimento veniva retribuito con vari benefit, anche di grande rilevanza patrimoniale: utilità indirizzate ai tre pubblici ufficiali, e a loro parenti e amici. In particolare, Anemone si metteva a disposizione per risolvere ogni esigenza, anche la più banale».

In cambio la società di Anemone, pur dichiarando solo 27 dipendenti, si è aggiudicata per trattativa privata la fetta più grossa dei lavori da 300 milioni per il G8 nell’isola della Maddalena (Olbia-Tempio), magicamente lievitati a 370 milioni nel giro di pochi mesi.

Naturalmente ci vogliono prove per dimostrare che esiste un sistema di corruzione, ma alcune intercettazioni sono inquietanti. Scrivono gli inquirenti: «Le disponibilità di Anemone a soddisfare qualsivoglia esigenza di De Santis e di Della Giovampaola si è spinta fino al punto di procurare ai medesimi, per il tramite del fedele collaboratore Simone Rossetti (gestore del Salaria Sport Village di Roma), più prostitute con le quali i pubblici ufficiali si sono intrattenuti, a spese del gruppo medesimo».

«Robetta da tangenziale»

Il 18 ottobre 2008 Anemone chiede a Della Giovampaola in quale albergo di Venezia mandare le escort. Lui risponde Gritti Palace, ma precisa che vuole ragazze selezionate: «Siccome è roba a sei, quasi sette stelle, dev’essere tutto equivalente... Perchè non è che arrivino due stelline del cazzo, anche perchè se no non le fanno entrare... lì ci sono tutti i marmi... i dipinti...». Il «premio» alla fine costerà ad Anemone 4000 euro, ma i beneficiari si lamenteranno perchè le ragazze non erano all’altezza: «‘Na robetta da tangenziale...»

Il sistema è definito «gelatinoso» non dagli investigatori ma dagli stessi protagonisti, in una delle tante loro telefonate: «Il mio ragionamento è questo... Loro stanno immersi in un liquido gelatinoso che è al limite dello scandalo». Altre definizioni senza mezzi termini degli intercettati: «Cricca di banditi», «Task force unita e compatta», «Squadra collaudatissima», «Combriccola». E i suoi componenti: «Bulldozer», «Veri banditi», «Gente che ruba tutto il rubabile», «Persone da carcerare».

Secondo il gip, sono almeno cinque gli appalti pilotati da Balducci e «combriccola» della Protezione civile: «Stadio del tennis del Foro Italico e museo dello sport di Tor Vergata (Mondiali di nuoto); aeroporto di Perugia (Celebrazioni 150 anni Unità d’Italia); Palazzo della conferenza e area delegati e residenza Arsenale (G8 all’isola della Maddalena)».

Il prezzo della corruzione sarebbero ristrutturazioni di case, auto di lusso, assunzioni di domestici e figli, favori sessuali a domicilio.
Scrive il gip: «Angelo Balducci: utilizzo di due utenze cellulari; personale di servizio nella proprietà di Montepulciano; uso di autovettura Bmw serie 5; messa a disposizione di Rosanna Thau (moglie di Balducci) di una Fiat 500; fornitura di mobili (un divano e due poltrone) per Montepulciano...»

«Bmw da 71mila euro»

Continua l’elenco: «Esecuzione di lavori di manutenzione e riparazione nelle case di Roma e Montepulciano; assunzione di Filippo Balducci (figlio di Angelo); messa a disposizione di Filippo Balducci di auto Bmw da 71mila euro; lavori di ristrutturazione per l’appartamento di Filippo Balducci a Roma con fornitura di arredo in legno e tessuti; viaggi in aerei privati; numerosi soggiorni su sua richiesta all’hotel Pellicano di Porto Santo Stefano...»
E così via, per altre 20mila pagine che descrivono una certa Roma contemporanea. Così simile a quella di duemila anni fa: basso impero.

Mauro Suttora

Wednesday, October 07, 2009

Parla Francesca Lana

A CENA DA SILVIO

«Quelle serate con Manu...»

Era l'amica del cuore di Manuela Arcuri. Con lei andò due volte dal premier. In questa intervista esclusiva spiega che cosa accadde. E perché se n'è pentita

Oggi, 30 settembre 2009

di Mauro Suttora

Drogata. Lesbica. Implicata in un giro di prostituzione. Come sembra lontana, per Francesca Lana, quella magica sera del 29 maggio, quando festeggiò il suo ventiquattresimo compleanno nella discoteca estiva più prestigiosa di Roma: il Jet Set. Sono passati solo quattro mesi. Allora, c’era la coda per essere fra i suoi invitati. «Ora invece ora mi sembra di essere precipitata in un incubo», ci confessa la soubrette, ex valletta de I migliori anni (Raiuno).

«Stanno riempiendo di coca mezza Sardegna. Quelli di Bari danno droga a tutti, se lo sa Briatore...»: questa è la sua frase che ha inguaiato Gianpaolo Tarantini, il fornitore di donne di Silvio Berlusconi, facendolo finire in carcere. Francesca la pronunciò nel luglio 2008 mentre era ospite nella villa di Porto Cervo affittata dal faccendiere pugliese. Parlava a persone intercettate dalla Guardia di finanza. Poi Tarantini e soci si sono contraddetti: «Avevamo 70 grammi di cocaina», avevano ammesso. « No, mezzo chilo», li ha smentiti il loro spacciatore. Risultato: Francesca, che non è indagata perché non ha commesso reati, è stata ascoltata due volte dagli inquirenti come «persona informata sui fatti».

Poi c’è la questione saffica. Anche questa risale a un anno fa. Foto di lei che bacia sul ventre nudo l’inseparabile amica Manuela Arcuri. «Lesbo soft», titolarono i giornali. «Nulla di vero», rivela oggi Francesca, «ma Manuela non volle che facessi un’intervista per smentire. Così oggi su internet passo per una lesbicona. Non ho nulla contro l’omosessualità, ma non è piacevole».

Il giro delle ragazze di Tarantini, infine. «Sì, sono stata tre volte da Berlusconi. L’estate 2008 in Sardegna, ma eravamo in trecento e con il presidente non ho neppure parlato. E poi due cene sedute e tranquillissime nella sua casa romana lo scorso dicembre, con Manuela. Altro che “pupe di papi” e squillo: siamo tornate a casa prima di mezzanotte, non abbiamo notato nulla di equivoco».

In realtà la disgrazia di Francesca, oltre a quella di essere stata inserita da Tarantini nell’elenco indiscriminato di “donne portate da Berlusconi”, senza distinguere troppo fra escort pagate e semplici invitate, è una foto del 31 dicembre 2008 a Cortina. L’unica con Tarantini e la Arcuri assieme, all’uscita di un ristorante. Quindi quella che ha fatto più notizia, pubblicata e ripubblicata, data la notorietà della Arcuri. E lei, Francesca Lana, appare fra loro. In mezzo.

«Insomma, sembro al centro di tutto, e invece non c’entro nulla. Ma tanto è bastato per farmi perdere il lavoro televisivo - ottenuto dopo regolare provino - che avrei dovuto iniziare quest’autunno».
La colpa è della sua famosa frase sulla droga.
«Spiego come andò. Quella notte ero stata male, molto male. Eravamo con altri ospiti nel privé del Billionaire, dove Tarantini aveva sempre un tavolo riservato...»
Anche perché ospitava a casa sua pure Raffaella Zardo, pierre del locale di Briatore.
«Ho sospettato che qualcuno mi avesse sciolto qualche sostanza nel bicchiere. Chiesi di andare al pronto soccorso. Ma non vollero: cosa avrebbero detto ai dottori, che mi avevano drogata a mia insaputa? Così scoprii che in quello che mi sembrava un ambiente familiare, con le mogli di Tarantini, dei suoi amici e i loro figli piccoli, succedevano cose strane...»

Beh, notti esagerate come spesso capita in Costa Smeralda. Non faccia Alice nel Paese delle meraviglie: conosce quell’ambiente.
«Certo, anche perché fui eletta miss Billionaire nel 2005. Ma ci tengo a dire che ho grande rispetto per Briatore, una persona che con me è sempre stata correttissima. Il mio sbaglio, di cui sono pentita, è stato quello di fidarmi di altre persone».
Come la Arcuri?
«Ma no. Sono stata la sua migliore amica per anni, e anche se da qualche settimana non la sento più, non rinnego nulla».
Avete rotto?
«Diciamo che sono rimasta molto delusa da certi suoi recenti comportamenti».
Legati alle disavventure di Tarantini?
«Sì. Ovviamente anche lei è rimasta scottata dallo scandalo. Era la persona più famosa che Tarantini ha usato per accreditarsi con Berlusconi».

Come andò la cena del 2 dicembre?
«C’erano al massimo venti persone, fra cui il direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce e Guido Bertolaso, il capo della Protezione civile. Ci siamo seduti a tavola, io ero accanto a Manuela e avevamo di fronte Berlusconi. Con gli altri non abbiamo parlato molto, erano lontani. È stata una normale cena con ottimo cibo. Ricordo che dicemmo al presidente: “La sua casa è il miglior ristorante di Roma”. Poi un po’ di barzellette, una schitarrata con Apicella, e tutti a casa».
Tutti?
«Sì».

E la seconda cena?
«Non ricordo la data esatta, comunque fu ancora in dicembre, prima di Natale. Stessa scena, sempre con Tarantini, e ricordo che Berlusconi ripeté alcune delle barzellette della volta precedente. Ma a parte questo, è stata una persona gentilissima, un ospite squisito».

Anche perché c’era una delle sue attrici preferite, la Arcuri. Lei si rende conto che veniva invitata solo perché era la sua dama di compagnia?
«Me ne rendo conto solo ora. Ma su di me adesso scrivono illazioni allucinanti, infamie terrificanti, mi sono affidata al mio avvocato. Ammetto il mio errore, che però è stato solo quello di essere ammaliata da persone negative, che mi offrivano l’opportunità di frequentare ambienti importanti».

È chiaro che Tarantini portava dal premier due tipi diversi di donne.
«Sì, ma in questi mesi ho imparato sulla mia pelle che nel mondo dello spettacolo non esistono scorciatoie: bisogna studiare, non “frequentare”. Io sono stata per anni la migliore amica di Manuela Arcuri, ma non l’ho mai utilizzata per farmi dare qualche lavoro. Vengo dalla gavetta, ho lavorato nelle tv private di Roma, ho avuto parti in Distretto di polizia e Commissario Rex. Studio recitazione e dizione all’Accademia dello spettacolo di Cesare Lanza. E soprattutto, dopo la maturità scientifica, mi sto laureando al Dams di Roma. Mi mancano due esami».

Un ex fidanzato della Arcuri, Matteo Guerra, l’ha accusata: «Francesca era gelosa del nostro rapporto. Cone lei Manuela faceva le sei del mattino, mentre a me piace andare a letto presto».
«Ma quando mai... Certo, siamo giovani e ci divertiamo. Ma Manuela lavora molto, e io studio. Quindi se non siamo in vacanza al mattino ci alziamo presto, non possiamo sfarfalleggiare troppo».

Come ha conosciuto Tarantini?
«Per caso, in un locale di Montecarlo dove Manuela ed io eravamo andate per il Gran Premio 2008. Poi, siccome è pugliese, lo abbiamo rivisto quando siamo capitate in Puglia a giugno, alla masseria San Domenico. Allora Manuela aveva un fidanzato di lì, le famose foto “lesbo” ce le hanno scattate quando c’era anche lui».

Poi però in Sardegna nella villa di Tarantini c’è andata solo lei.
«Sì, stavo con un ragazzo. Poi, ho frequentato per due mesi Matteo Marzotto».
Bel colpo. Che si aggiunge a un suo altro ex, il calciatore Alberto Aquilani.
«Roba vecchia, del 2006. Ma, lo ripeto, quello è un mondo che mi ha illuso e disilluso. Ora penso solo a studiare, e a preparare la tesi».
Su che cosa?
«Volevo analizzare la commedia all’italiana...»
Basta che racconti quello che le è successo negli ultimi mesi: c’è dentro in pieno.
«... Ma il mio professore ha preferito darmi un altro tema: il cinema di Antonioni».
Perfetto anche questo: alienazione e incomunicabilità.

Mauro Suttora

Wednesday, July 15, 2009

Guido Bertolaso

SUPERGUIDO

Non solo Protezione civile: Bertolaso organizza tutti i grandi eventi, dal G8 ai Mondiali di nuoto, restaura monumenti, toglie la spazzatura, gestisce aree archeologiche, distribuisce indennizzi. In nome di un'eterna emergenza. Perché Berlusconi si fida solo di lui

di Mauro Suttora

Oggi, 8 luglio 2009

Una volta, disastri come quella di Viareggio venivano affrontate da prefetti e questori. Oggi arriva Bertolaso. Per i terremoti c’erano vigili del fuoco ed esercito. Ora c’è Bertolaso. Per ricostruire dopo i terremoti c’erano regioni e ministri dei Lavori pubblici. Adesso, Guido Bertolaso. E chi ha organizzato gli spettacolari funerali del Papa nel 2005? Sempre Bertolaso.

Bertolaso di qua, Bertolaso di là. “Ha 106 controfigure”, scherza Fiorello. Superbertolaso. L’eroe della spazzatura di Napoli e Sicilia. Il trionfatore della piena del Tevere: il sindaco di Roma Alemanno si affidò a lui lo scorso dicembre, e poi lo ha nominato commissario straordinario per tutte le zone archeologiche di Roma. Soprintendenti, addio.

L’apoteosi di Bertolaso si compie in questi giorni, con l’appalto totale del vertice G8 all’Aquila. Esautorato il ministero degli Esteri, è la Protezione civile a gestire tutto. Perfino l’ordine pubblico: polizia e carabinieri sono agli ordini di Bertolaso. «Coordinati», bisogna dire, per non irritare troppo i ministri dell’Interno e della Difesa ormai bypassati.
Ma chi è questo bell’uomo 59enne, faccia da attore, poche parole e molti fatti, diventato più potente di tutti i ministri non essendo neanche sottosegretario?

Romano, figlio di un generale dell’Aviazione, nel ‘63 vide sfrecciare il padre all’aeroporto, primo collaudatore di un F104: «Ero con mia madre, ci passò sopra quell’uccello di ferro che urlava. Un’emozione indimenticabile”.
Poi, narra la leggenda, quand’era ragazzino in collegio organizzò squadre di volontari per spegnere un incendio vicino all’abbazia di Farfa, in Sabina. Vocazione precoce. Oggi sono 15 i Canadair che fa volare ogni estate per (cercare di) proteggere i nostri boschi. Anche qui, è lui il capo di tutti: un milione e 300 mila volontari della protezione civile divisi in 2.500 organizzazioni, diecimila guardie forestali, trentamila pompieri, Cnr, Aeronautica, Agenzie regionali dell’Ambiente.

Superguido si laurea in medicina a Roma. Sarebbe diventato medico ai Parioli, il suo quartiere, se lo spirito d’avventura non lo avesse spinto a Liverpool, per specializzarsi in malattie tropicali. E poi via, in Africa: missionario laico in Algeria, Burkina Faso, Mali. Nel 1980, a trent’anni, la Farnesina lo manda in Thailandia a gestire un ospedale italiano.

Poi se lo piglia Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, per lavorare alla Cooperazione internazionale. Tanto basta agli invidiosi per catalogarlo come democristiano, e sussurrare: «È nipote del cardinale Camillo Ruini». Gli schizzi non lo colpiscono: «Sono un tecnico, non ho tessere».

Intanto Bertolaso sposa Gloria Piermarini, architetto paesaggista, famiglia della Roma-benissimo. Due figlie, Olivia e Chiara. Carattere non facile, si distrae giocando a golf all’Olgiata. Quando Andreotti lascia gli Esteri nell’89 va al ministero Affari sociali sotto Rosa Russo Iervolino, oggi sindaco della Napoli da lui ripulita. Una breve incursione nel volontariato internazionale (Unicef Italia), poi di nuovo a iniettare managerialità nel parastato nostrano: il sindaco di Roma Francesco Rutelli lo chiama nel ‘97 a gestire il Giubileo 2000. Il suo capolavoro: guidare l’auto che, fendendo la folla di papa-boys, portò Giovanni Paolo II in mezzo al prato dello storico raduno di Tor Vergata.

Dopo il Vaticano, ad maiora: capo della Protezione civile. Silvio Berlusconi si innamora di questo antesignano di Sergio Marchionne, sempre in maglioncino blu o grigio (ma bordato di tricolore), che sprizza efficienza da tutti i pori. Gli fa organizzare il vertice Nato di Pratica di Mare, ne rimane soddisfatto. Da allora, se c’è un problema, chiama sempre Bertolaso. Tutti i summit sono suoi: Fao 2002, presidenza Ue 2003, costituzione europea 2004.

Non si capisce bene cosa c’entri con i «grandi eventi» la Protezione civile, che dovrebbe proteggerci dalle emergenze naturali. Ma per velocizzare la burocrazia è comodo catalogare tutto come «emergenza».
Quindi a Bertolaso vengono affidati anche i mondiali di ciclismo a Varese l’anno scorso, quelli imminenti di nuoto a Roma (con appalti costosissimi per opere non finite o abbandonate a metà, come il megastadio di Calatrava) e i Giochi del Mediterraneo a Pescara. SuperGuido organizzerà pure le celebrazioni per i 150 anni dell’Italia, nel 2011.
Non pago, Bertolaso sta soppiantando pure il ministero dei Beni culturali: ha restaurato la cattedrale di Noto (Ragusa) e perfino la statua del David di Donatello a Firenze, oltre a ricostruire in Umbria e Marche dopo il terremoto del ‘97.

La sua bravura ha un riconoscimento bipartisan: il primo governo Prodi lo fece capo della Protezione civile nel ‘96, e dieci anni dopo lo ha lasciato al suo posto.

Unica grossa polemica, quella con la Croce Rossa di Maurizio Scelli (oggi deputato Pdl) sui 25 milioni inviati via sms per lo tsunami del 2004. Unico infortunio giudiziario, il processo per tangenti sui rifiuti in Campania: 25 arresti, incriminata il suo ex braccio destro Marta Di Gennaro. Prima udienza il 15 luglio.

Per il G8 alla Maddalena Bertolaso aveva speso 363 milioni, prima che Berlusconi decidesse di spostarlo all’Aquila. La Protezione civile ci costa 1,6 miliardi l’anno. Il grosso va per le calamità naturali: 1,1 miliardi. Dopo la strage della classe di San Giuliano di Puglia del 2002, Bertolaso si occupa anche di sicurezza nelle scuole al posto del ministero dell’Istruzione: venti milioni di euro quest’anno. E distribuisce indennizzi per 37 milioni annui ai contadini danneggiati da alluvioni e siccità, al posto del ministero dell’Agricoltura.

Per far fronte all’espansione di compiti i 700 uomini della Protezione civile hanno ottenuto un raddoppio di sedi: oltre a quella vecchia di via Ulpiano, accanto al Palazzaccio di giustizia di Roma, una nuova di zecca in via Flaminia, alla confluenza con la Flaminia vecchia. E Bertolaso è ricompensato (dichiarazione 2007) con un milione di euro l’anno.

Mauro Suttora