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Wednesday, August 08, 2012

fotografi olimpici

"Si possono vincere campionati europei o mondiali, ma con una medaglia alle Olimpiadi entri nella storia. Per ogni atleta l'immagine della premiazione è il massimo. E le foto riescono a fermare quel momento magico meglio della tv".

Ferdinando Mezzelani, 48 anni, è il fotografo ufficiale di Coni e Federcalcio. Quella di Londra è la quinta Olimpiade che immortala. La sua agenzia, Gmt, ha otto fotografi: quattro erano ai Giochi.

"Rispetto a Sydney 2000 gli spazi per le tv sui campi di gara si sono allargati, a spese di noi fotografi. È quella la nostra Olimpiade: sgomitare a bordo campo e sotto i podi per le postazioni migliori".

Che sono?
"Dipende. A Pechino feci una foto memorabile di Bolt che usciva dalla curva dei 200. Difficile, hai a disposizione poche frazioni di secondo. Ma molto meno banale delle solite foto all'arrivo. Altri sport non si prestano all'immagine di azione, sono statici: i tiri a segno e a volo, per esempio".

E allora?
"Tutto si concentra nella premiazione. Ma, anche lì, sono pochi secondi. Io urlo come un pazzo per attirare l'attenzione".

E ci riesce?
"Certo. L'argento del piattello Fabbrizi mi ha detto scherzando: 'Se vuoi lecco la medaglia'".

Quando è nata la mania di morderle?
"Non so. Ultimamente la Pellegrini rifiutava di farlo".

Che rapporti ha con gli atleti?
"Ottimi. Ho fatto begli scatti a Rossi della canoa a Sydney, a Juri Chechi ad Atene 2004, alla Quintavalle del judo a Pechino. Sono amici, poi mi chiedono le foto per loro. A Londra mi sono messo d'accordo con la squadra del fioretto maschile perché posassero in un certo modo sul podio, perché avevo bisogno di uno scatto verticale".
Mauro Suttora

Tuesday, August 26, 2008

Giulia Quintavalle

Intervista alla medaglia d'oro di judo nel villaggio olimpico

dal nostro inviato Mauro Suttora

Pechino, 20 agosto 2008

Sorride. Sorride sempre, un po’ perché glielo chiede il fotografo, col quale sono riuscito a intrufolarmi nella sua stanza al villaggio olimpico (vietato, ma il Coni ha chiuso un occhio). E soprattutto perché il suo sorriso è irresistibile.

Giulia Quintavalle, 25 anni, da Rosignano (Livorno): la judoka più brava del mondo. Perlomeno fra le donne che pesano fino a 57 chili.
Per tre volte ai campionati mondiali del 2007 e agli europei di quest’anno la Quintavalle è arrivata quinta, cosicché molti avevano cominciato a scherzare col suo cognome. «Allora adesso chiamatemi Primavalle», ha risposto lei, livornese salace, dopo la vittoria.

Provate voi ad avere un fratello gemello (Michel, in onore a Platini) e uno più grande che fanno judo. Niente di più facile che, anche se siete una femminuccia, prima o poi per entusiasmo o autodifesa li imitiate. E così ha fatto Giulia, figlia di geometra comunale. Sette anni fa, la svolta. Troppo brava per le palestre di Livorno: la Guardia di Finanza se la piglia e la manda all’Infernetto. Niente scherzi: così si chiama il quartiere di Roma dove dal 2001 si allena a tempo pieno con la Finanza. Prima lì c’erano zanzare e malaria. Oggi invece è una bella zona residenziale.

Se vuoi diventare medaglia d’oro la vita non è un paradiso. Ecco la giornata tipo di Giulia in caserma: «Sveglia alle otto, allenamento fino alle 12.30, pranzo, nel pomeriggio fino alle sette altre ore di preparazione fisica».
Resta poco tempo libero. Prima Giulia lo ha usato per prendersi la maturità, ora «vado a fare shopping con i miei amici, in centro o nei centri commerciali. Mi piacciono Eros e Giorgia, fra gli attori Raul Bova». Il fidanzato, finanziere e judoista pure lui, si chiama Orazio D’Allura. Ma ora lei ha paura dei pettegolezzi: «Non voglio dire niente, anzi scriva che sono single».

Non ha il fisico della lottatrice, Giulia. Anzi. Alta uno e 73, sembra esile rispetto alle avversarie meglio piantate, tutte più basse: «Due anni fa ho cambiato categoria, dai 63 ai 57 chili. Ma non devo seguire diete particolari, non mangio molto». Il problema è che nella categoria superiore Giulia sarebbe rimasta «chiusa», in Italia, dalla campionessa Ylenia Scapin, che ha otto anni di più e ha vinto due bronzi olimpici (Atlanta ’96 e Sydney 2000). Quindi Giulia ha preferito scendere di peso.

Ai giornalisti sarebbe proibito entrare nelle stanze degli atleti. L’unica parte del villaggio olimpico aperta agli esterni, ma solo per appuntamento e con controlli severissimi, è quella dei negozi: supermercatino, banca, internet point, coiffeur. Ma per Giulia, che ha finito le gare e vinto l’oro, i dirigenti fanno un’eccezione.

Lei è in camera con Lucia Morico di Marotta (Pesaro). Gli appartamenti hanno due stanze da letto. Un palazzo intero di sette piani è occupato dai 347 atleti italiani, a ogni balcone sventola il tricolore. Su uno al terzo piano c’è scritto col pennarello «Fede champion»: è la stanza della nuotatrice Federica Pellegrini.

Più tranquille le judoiste, guidate dal’allenatore Felice Mariani (bronzo a Montreal ’76). Lucia Morico gareggia fra due ore, ma si ferma a parlare con noi come niente fosse, lodando Giulia. Sarà battuta dopo due turni da un ermafrodita brasiliano.

E lei, Giulia, che farà ora? Sorride: «Non lo so. Una ventina giorni di vacanza dai miei al mare. Poi però devo tornare all’Infernetto. Comincia la preparazione per Londra 2012…»
I suoi in pratica non la vedono più da sette anni. «Mia madre non voleva che lasciassi il liceo linguistico per il judo, ma si è ricreduta. Li sento al telefono ogni giorno». Ora tutti la vogliono. Se la contendono i sindaci di Livorno, dov’è nata, e di Rosignano dov’è cresciuta.

«Il giorno della sua vittoria ci siamo alzati prestissimo», racconta papà Fabrizio, «alle cinque eravamo davanti alla tv. Giulia ci ha fatto soffrire quando, in uno degli ultimi incontri, si è fatta male. Mia moglie mi ha stretto forte la mano. Poi però ha vinto e non nascondo di aver pianto».

«Ora l'aspettiamo a casa con la schiacciata del fornaio che le piace tanto, e una bella pasta con le cicale, di quelle che pesca il nonno», aggiunge la mamma. Scoppia di gioia anche il fratello maggiore Manuel, 32 anni: «Ricordo quando aveva cinque anni e la portai con me in palestra. Si appassionò subito, e nostro padre accettò che si allenasse». «Il judo è uno sport stupendo», dice Fabrizio Quintavalle, «ci vogliono preparazione atletica ed equilibrio mentale. Lo consiglio a tutti i genitori che hanno figli piccoli da avviare allo sport».

Mauro Suttora

Pellegrini, Phelps, Bolt

L'Olimpiade dei fenomeni: Federica, Michael e Usain il giamaicano

Oggi

Pechino, 20 agosto 2008

Un chilo di pasta al giorno. Tanto mangia il «mostro» Michael Phelps, trionfatore delle Olimpiadi, il nuotatore che dopo 36 anni ha vinto più di Mark Spitz: otto medaglie d'oro in una sola edizione. Con tanti saluti alle diete «no carb(oidrati)». Quale nostra industria della pasta assolderà ora il 23enne di Baltimora come testimonial?

Il secondo campione simbolo di questi Giochi è Usain Bolt, ancora più giovane, 22 anni. Fino a tredici non aveva i soldi per comprarsi le scarpette, correva a piedi nudi in un paesino giamaicano fra le piantagioni di caffè e zucchero. La sua foto mentre taglia in scioltezza il traguardo dei cento metri con una scarpa slacciata, dopo essersi voltato a guardare gli avversari lasciati due metri indietro, e stabilendo pure il record mondiale (9"69), è già leggenda. Completata il giorno dopo dalle donne giamaicane: soltanto loro nei primi tre posti dei 100 metri.
I due uomini più veloci del mondo (in acqua e per terra) sono i «mostri» che vale la pena conoscere meglio, anche perché vista l'età li attende una lunga carriera.

Quanto a noi italiani, il trionfo della nuotatrice Federica Pellegrini nei 200 stile libero è ancora più clamoroso perché è arrivato a poche ore dalla sconfitta sui 400. Una resurrezione che premia la sua forza di volontà, la capacità di non darsi per vinta. Ma anche l'argento della sua collega romana Alessia Filippi negli 800 è prezioso. Senza dimenticare gli ori degli sport minori: l'udinese Chiara Cainero nel tiro a volo, il bolognese Andrea Minguzzi nella lotta greco-romana, Giulia Quintavalle nel judo (da noi intervistata nell'articolo seguente).

Federica la lunatica

Lo ammette anche lei: «Cambio umore in fretta». E per fortuna: al mattino è solo quinta nella gara in cui è favorita (solidarietà col fidanzato Luca Marin, pure lui quinto nei 400 misti?), ma alla sera batte il record del mondo nell’altra. La ventenne di Mirano (Venezia) è figlia del capo barman di in hotel di lusso sulla Laguna, ex parà, che le ha dedicato un nuovo cocktail: «Tacchi a spillo». È questa una delle passioni di Fede, oltre al gatto Neve con cui vive a Verona, alla moda, la tv e le Ferrari. «Mi piacerebbe averne una», ha detto dopo la vittoria, ben sapendo che il presidente del suo club, l’Aniene di Roma, è concessionario di auto di lusso. La 500 appena regalatale dalla Fiat è già dimenticata.

Intanto ha strappato il siciliano Marin alla rivale francese Laure Manaudou, ormai più nota per le foto porno che girano in rete che per le prestazioni sportive. Ma quanto a sesso neanche Fede si tira indietro: «Lo facciamo sempre, anche agli appuntamenti importanti, magari non prima della gara. Scarica la tensione. Sogno di farlo coi tacchi alti e nello spogliatoio della piscina», ha detto. Conferma Luca: «Fede non simula mai il mal di testa per non fare l’amore. Bacia molto meglio di Laure. La nostra prima volta sono durato 50 minuti…»

«Le permetterei di posare per un calendario», aveva incautamente detto a Oggi quattro mesi fa papà Roberto. Subito accontentato: a giugno la Pellegrini si è mostrata in topless sul mensile Fox Uomo. I gomiti però coprono i capezzoli, quindi il piercing su quello sinistro non si vede. Fede vanta inoltre quattro tatuaggi. Quello sul gluteo promette: «Nient’altro che noi». «Sono foto vecchie di due anni», si giustifica lei. Che si cura molto le unghie ed è tormentata dall'acne.
I suoi prossimi obiettivi: andare sotto i quattro minuti nei 400 e iscriversi a psicologia all’università: «Da grande voglio fare l’analista. O forse darmi alla moda». Intanto, gira spot per le valigie Carpisa.

Phelps il prodigio

«Non è il nuotatore più forte della storia. È il massimo atleta in assoluto, di ogni sport. La sua impresa è epica»: parola di Spitz, felice di essere stato sorpassato. Ormai sono otto anni che Michael vince tutto. La sua specialità è lo stile farfalla, ma è velocissimo anche nello stile libero, a dorso. «E ora è migliorato anche a rana», dice il suo allenatore e secondo padre Bob Bowman. Che lo scoprì nel '95 in una piscina di Baltimora: si accorse subito che era un fenomeno, e l'ha coltivato come un gioiello.

Il suo vero padre, un poliziotto, aveva divorziato un anno prima dalla mamma, preside di scuola media inferiore, e da allora è sparito. Ma gli esempi in famiglia sono state le due sorelle Hilary e Whitney, entrambe nuotatrici. Whitney mancò per un soffio a 15 anni la qualificazione alle Olimpiadi di Atlanta '96. Il piccolo Michael giurò che l'avrebbe vendicata. E dopo quattro anni, anche lui 15enne, ci riuscì, andando a Sydney. Non vinse nulla, ma ad Atene 2004 esplose: sei ori e due bronzi.

Da allora il ragazzo con mani, piedi e orecchie giganti, alto uno e 92 per 88 chili, non ha perso un colpo. Uniche due disavventure: arresto e diciotto mesi con la condizionale per guida in stato di ebbrezza nel 2004, e la casa invasa dalla schiuma quando ha messo nella lavastoviglie sapone liquido da cucina invece del detersivo apposito.

Non gli si conosce vita sentimentale: «Passo tutta la vita a mangiare, nuotare e dormire. Sono un po' noioso e molto pigro», ammette, «la domenica sto sdraiato sul divano a giocare con la playstation e a guardare la tv». Gli sono state attribuite due legami: una con la nuotatrice sexy Usa Amanda Beard, di tre anni più anziana, e l'altra con una modella inglese che ha sostituito Kate Moss come volto di Burberry.

Qualche fan arriva ad attribuirgli una moglie segreta. Va pazzo per Cameron Diaz, ma quando ha incontrato la ex modella Cindy Crawford qui a Pechino si è emozionato, parlandole con difficoltà. Prima delle gare per caricarsi ascolta rap (Eminem in cuffia), il libro preferito risale alle letture obbligatorie della scuola media: Il buio oltre la siepe.

Dagli sponsor Visa, McDonald’s, Omega, At&t (telefoni) e Speedo (costumi da nuoto) Phelps incassa vari milioni l'anno. Il prezzo minimo di ogni sua comparsata: 15 mila dollari.

Bolt il lampo

«Bolt» in inglese significa lampo, e con un cognome così come si fa a non vincere? «Dopo di lui l’atletica non è più la stessa», dicono gli esperti. Campione sui 200 metri, corre i cento da solo un anno. Alla quinta gara disputata, lo scorso giugno, aveva già stabilito il nuovo record mondiale. E pensare che il suo allenatore lo considerava troppo alto per la distanza breve: uno e 93.

Figlio di un negoziante e una sarta del villaggio rurale di Trelawny, nel profondo nordovest della Giamaica a mezz’ora d’auto da Montego Bay, Usain (nome strano, suggerito per caso da un bambino alla mamma Jennifer) sei anni fa comincia a correre come un razzo e vince tutti i campionati juniores.

Fidanzato con la giamaicana Mizicann Evans, che è qui a Pechino con mamma Jennifer, Usain fa parte della valanga giamaicana abbattutasi sui Giochi: oltre ad Asafa Powell, l’ex primatista mondiale arrivato però solo quinto, le centometriste donne hanno occupato l’intero podio. Prima, era successo solo alle Olimpiadi 1912 di Stoccolma.

Qual è il segreto della Giamaica, Paese di soli 2,7 milioni di abitanti che sforna gli umani più veloci del mondo? «Il potere della musica reggae», scherza l’oro Shelly-Ann Fraser. Altri dicono sia lo yam, una patata dolce tropicale. Qualcuno teme il doping, che ha falciato molti giamaicani in passato, a cominciare da Ben Johnson ai Giochi di Seul ’88. «Ma quelli erano giamaicani espatriati che correvano per Usa o Canada», dice Glen Mills, l’allenatore che gestisce la fucina dei campioni a Kingston. «Io non mi sono mai drogato», giura Usain, «e sono pigrissimo. Mi sveglio alle undici, Glen mi deve tirare giù dal letto. Mangio quel che capita, il giorno della gara ho trovato del pollo fritto. E non faccio mai colazione». Capito, Phelps?

Mauro Suttora

Sunday, August 17, 2008

Primi giorni di Olimpiade

dall'inviato Mauro Suttora

Pechino, 11 agosto 2008

Gran festa per le medaglie, molte emozioni, qualche delusione. I primi giorni dell’Italia alle Olimpiadi cinesi hanno portato alla ribalta nuovi personaggi come lo schermidore Matteo Tagliariol, mentre alcuni fra i favoriti della vigilia come il ciclista Paolo Bettini non sono riusciti a salire sul podio.

Grande conferma invece per il fioretto: alle inossidabili e ormai leggendarie marchigiane Valentina Vezzali (oro), 34 anni, e Giovanna Trillini, 38, che dominano il mondo da quindici anni, si aggiunge ora la triestina 28enne Margherita Granbassi (bronzo), eletta Miss Olimpiade da vari giornali stranieri per la sua bellezza.

Un altro trio che ha emozionato l'Italia, conquistando l'argento nel tiro con l'arco a squadre, è quello composto dal veterano triestino Ilario Di Buò, 42 anni, dal padovano Marco Galiazzo, 25, e dal giovane pavese Nespoli, 20. Una garanzia di continuità. E poi la stupenda performance della judoista debuttante alle Olimpiadi Giulia Quintavalle di Livorno, 25 anni, che ha atterrato la campionessa olimpica uscente per poi vincere l'oro.

La prima impresa di questi Giochi l’ha compiuta Davide Rebellin, da San Bonifacio (Verona), che ha conquistato l’argento nel ciclismo su strada proprio nel giorno del suo 37° compleanno. Una prova tanto scenografica quanto massacrante: partita fra i palazzi della Città proibita nel centro di Pechino, la carovana ha percorso 250 chilometri sotto la Grande muraglia. Il problema però non era la distanza, ma la tremenda nebbia calda-umida che attanaglia la città. «Semplicemente non ce l’ho fatta», spiega Bettini, quando gli chiediamo come mai non è scattato alla fine, quand’era a pochi secondi dal gruppetto di testa. In più di cento non sono riusciti neppure a terminare il percorso.

Il miracolo, al posto di Bettini medaglia d’oro ad Atene, lo ha compiuto il veterano degli italiani. Rebellin era ancora un dilettante quando sedici anni corse la sua prima Olimpiade a Barcellona, vinta dallo scomparso Casartelli. «E ora non so bene se gioire per il secondo posto, o rimpiangere i pochi centimetri che mi ha dato lo spagnolo Samuel Sanchez in volata», dice.

Uno che invece si sarebbe volentieri suicidato è il francese di colore Fabrice Jeannet, battuto dal nostro Tagliariol nella finale di spada: ha fatto scena muta e disperata alla conferenza stampa dopo la premiazione. Quella medaglia d’oro che il principe Alberto di Monaco ha piazzato sul collo del nostro splendido 25enne trevigiano era infatti sua, nei pronostici. Ma Matteo lo ha stracciato: «Sono stato più determinato, era la mia giornata», spiega a chi gli ricorda che una volta aveva detto di considerare proprio Jeannet il suo modello.

«Conosci te stesso»: questa frase di saggezza degli antichi greci Tagliariol se l’è tatuata sull’avambraccio. E dopo la vittoria è andato ad abbracciare Edoardo Mangiarotti, l’89enne nostro massimo campione di scherma (vedere il riquadro) che lo seguiva trepidante in prima fila. Prima, però, per caricarsi aveva ascoltato sull’i-pod una delle sue canzoni preferite: Plug In Baby dei Muse.

Gli schermidori gareggiano al coperto, e quindi sono fra i fortunati che non devono combattere contro il tempo tremendo di Pechino, oltre che misurarsi con gli avversari. Perché qui, quando non si è soffocati dall’afa, piove. Se n’è accorto Giovanni Pellielo, che ormai alle medaglie olimpiche è abbonato. Dopo il bronzo di Sydney 2000 e l’argento di Atene, il campione vercellese di tiro al piattello un pensierino all’oro lo aveva fatto. Ma al momento di sparare sembrava di essere in una risaia dalle sue parti, con scrosci di acquazzone che hanno stravolto la gara. Nessuno dei favoriti ha preso l’oro, è stata una roulette. Ma lui, 38enne imperturbabile, ha conquistato comunque il secondo posto. Pellielo è forse il più religioso fra i 347 olimpionici azzurri, e anche questa volta la fede lo ha sostenuto.

Pochi lo sanno, ma Pellielo gareggia con i colori delle Fiamme azzurre. Che è la squadra sportiva della Polizia penitenziaria. E, per un’incredibile coincidenza, un’altra Fiamma azzurra fra le 17 approdate a Pechino è salita sul podio un’ora dopo l’asso del tiro a volo, sotto la stessa pioggia di domenica 10 agosto. Tatiana Guderzo, 24 anni, da Marostica (Vicenza), ha conquistato il bronzo nel ciclismo su strada: gara proibitiva quanto quella maschile del giorno precedente. Anche nel suo caso, come per il corregionale veneto Rebellin, la favorita italiana era un’altra: Noemi Cantele. Ma ancora una volta le Olimpiadi hanno confermato la propria imprevedibilità. Così la simpatica «secondina» bionda vicentina ha rimediato alla giornata no della compagna varesina.

Questa prima settimana di Olimpiadi è orfana dell’atletica leggera, specialità regina dei giochi. Le piste e pedane del grande stadio «Bird Nest» (nido d’uccello), ammirato durante la cerimonia inaugurale, si riempiono solo dopo Ferragosto. Questo vuoto però è positivo, perché dà il tempo di interessarsi anche a sport cosiddetti minori.

Così, la mattina del primo giorno di gare sono andato alla prima gara in programma: quella del sollevamento pesi per donne che pesano fino a 48 chili. La specialità è nobile e antica, presente nelle Olimpiadi greche e poi già nella prima edizione di quelle moderne nel 1896. Fino al 2000 era riservata agli uomini, e sarò maschilista ma forse era giusto così. In ogni caso, i cinesi hanno programmato questa gara proprio all’inizio perché volevano essere sicuri che la prima medaglia d’oro andasse a loro, e non agli statunitensi loro rivali per il medagliere finale (ma la «vecchia» Europa, se gareggiasse unita, distruggerebbe sia Cina sia Usa).

Così è stato: la cinese Chen Xexia ha battuto come sempre le rivali turche e thailandesi, alzando bilancieri mostruosi di oltre cento chili. In più, per la gioia dei cinesi più patriottici che considerano Taiwan cosa loro, una ragazza di Taipei ha conquistato il bronzo. Ma al momento dell’alzabandiera il suo vessillo era assente, sostituito da quello olimpico con i cinque cerchi. I cinesi di Pechino infatti vogliono così bene a Taiwan che ne negano l’esistenza. Uno dei tanti «amori» un po’ soffocanti…

Io però ero andato ad ammirare queste piccole forzute anche perché per la prima volta ha gareggiato un’italiana: Genny Pagliaro, bella 19enne siciliana che ha perfino rinunciato alla sfilata d’apertura per essere in perfetta forma la mattina dopo. Così purtroppo non è stato: Genny, sopraffatta dall’emozione, si è fermata a 82 chili. Come più o meno tutte le atlete occidentali, d’altronde.

Ora, lo so che è impossibile consolare gli olimpionici che arrivano qui dopo quattro anni di sforzi e sacrifici incredibili, e si giocano tutto in una gara di poche ore, minuti o addirittura secondi. Però gli atleti a Pechino sono più di diecimila, mentre le medaglie in palio sono appena 900. L’importante è partecipare, bisogna saper perdere, non sempre si può vincere, blablabla…

Ma soprattutto, osservando Genny e le sue avversarie sottoporsi a quelle prove crudeli, fra «strappi» e «slanci», non ho potuto fare a meno di pensare alle nostre mogli, madri, sorelle e figlie che giustamente si lamentano se i sacchetti della spesa da trasportare superano i tre chili. E mi è venuto quasi spontaneo, da gentiluomo, lanciarmi in pedana per aiutare le malcapitate, cercado di alleviare la loro fatica. Mi ha fermato solo lo sguardo severo dei giovani volontari cinesi che controllano la tribuna stampa.

Mauro Suttora