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Wednesday, February 25, 2015

Pansa: «Salvini, volgare furbastro»

MATTEO SALVINI? UN FURBASTRO DI SUCCESSO

«Populista, volgare, sfida il ridicolo per far parlare di sé: è un politico di oggi». Così Giampaolo Pansa descrive il capo leghista. E lo confronta con i grandi conservatori, da Scelba ad Almirante. «Normale che si allei con Marine Le Pen». E Grillo? «Sembra il capo della X Mas»  

di Mauro Suttora

Oggi, 25 febbraio 2015

«Fa sembrare Silvio Berlusconi un matusalemme da ospizio. Ha spedito nel reparto anticaglie il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Ha annichilito i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Ha messo in guardaroba i vecchi capi leghisti Umberto Bossi e Bobo Maroni. Tutto in pochi mesi, con tanti blitz che ricordano il Berlusconi del 1994».

Giampaolo Pansa, l’ultimo capitolo del suo nuovo libro, La Destra siamo noi (Rizzoli), è tutto dedicato a Matteo Salvini.
«Il capo del Carroccio è davvero un esemplare politico del nostro tempo: furbastro, volgare, pronto a sfidare il ridicolo pur di far parlare di sé. In lui non c’è più nulla della vecchia destra. Che cosa ne avrebbero detto Scelba, Almirante o Montanelli? Ecco una domanda che non inquieta il ragazzone, il quale dalla copertina di Oggi ci ha offerto il capezzolo rosato, l’ascella pelosa e una posa da catalogo per incontri a luci rosse».

Per ora ha incontrato la Le Pen.
«Nella sua deriva populista contro l’euro e a favore di Putin, era fatale che incontrasse la signora con il carisma che ha sedotto la Francia».

E che ha distrutto D’Alema, in un duello tv a Di Martedì di Floris.
«D’Alema è da troppo tempo sulla scena. Come me, anche se io spero di salvarmi non annoiando i lettori».

Certo non con questo libro. Perché l’ha scritto?
«Perché, in un momento come questo in cui in Italia il centrodestra non esiste più e la destra è a pezzi, volevo raccontare la storia di una quarantina di “destri” che invece hanno fatto la storia: Fanfani, Rauti, Guareschi, Romiti, Gelli, Bisaglia, Rumor, Freda...»

Fascisti, dc, industriali, giornalisti.
«Alcuni possono apparire fuori posto. C’è perfino un eroe civile come Giorgio Ambrosoli, l’avvocato che si battè contro Sindona. Tutti accomunati dall’essere di destra, una parola che oggi però non puzza più di fascismo».

Come mai oggi la destra ha l’euro come suo principale bersaglio?
«Tutta l’Europa è minata alle fondamenta dalla crisi economica, che è diventata crisi sociale. Quindi chiunque proponga di fuggire dallo stato attuale  prende voti. C’è da dire che se l’Europa ha la faccia di Draghi, è ottima. Se invece ha quella del presidente della Commissione Juncker, sembra quella di un ubriaco».

Pure Grillo è antieuro. È di destra?
«Inclassificabile. Ma ormai è in curva discendente, i suoi deputati lo mollano. Nel mio libro c’è un personaggio che come lui ce l’aveva con la partitocrazia inefficiente e corrotta: Junio Valerio Borghese, capo della X Mas».

Grillo sta con l’inglese Farage.
«Quello mi sembra un cialtrone, anche se pare andrà bene al voto di maggio».

E il capo di Pegida, i tedeschi anti-Islam, che si è fatto fotografare in posa da Hitler?
«Guardi, l’unica che seguo in Europa  è la Le Pen. Anche perché nel fisico massiccio  mi ricorda mia madre, che faceva la modista».

Dei personaggi di destra che rievoca, chi potrebbe servire oggi?
«Almirante. Intelligente, astuto, forte. Sapeva stare al mondo. Oggi nella politica italiana mancano gli hombre vertical, quelli che rassicurano l’uomo della strada perché incutono rispetto».

E Renzi?
«È solo un bullo, un ganassa convinto di poter fare tutto. Autoritario: neanche lui immagina quanto lo sia, si farà brutte sorprese. Si sente senza limiti perché la destra è scomparsa. Ma non può fare tutte le parti in commedia. Oggi in Italia non c’è opposizione».

C’è Forza Italia.
«È diventata un ricovero per vecchi, guidata da un 78enne che non può competere con Renzi e Salvini. Il proverbio dice che “col sole al tramonto anche l’ombra del nano si allunga”, ma i fedeli di Berlusconi non possono tenerlo in vita politicamente imbalsamandolo come Lenin».

Nel suo libro ci sono molte storie di sesso. Compresi due premier della Dc chiacchierati come gay.
«La Democrazia Cristiana era la fotocopia dell’Italia: c’era dentro tutto. E liberale: si potevano scrivere le peggior cose contro di loro, senza troppe conseguenze. Il Pci, invece, ci avrebbe fucilati. Ma, soprattutto, la Dc è immortale. L’elezione di Mattarella a presidente dimostra che è ancora viva».

Cosa pensa di Mattarella?
«Lo stimo molto. Riuscirà a fare da argine a Renzi».
Mauro Suttora


Thursday, April 02, 2009

Bocchino: il mio Fini privato

intervista a Italo Bocchino

di Mauro Suttora

Oggi, 1 aprile 2009

Eravamo quattro amici al bar. «Il bar Giolitti, di fronte a Montecitorio, dove ci trovavamo sempre Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed io. Eravamo i tre moschettieri di Gianfranco Fini, e Pino Tatarella, più anziano di noi, era il nostro D’Artagnan».
Così Italo Bocchino, 41 anni, vicepresidente dei deputati Pdl, ricorda i «tempi eroici». Cioè vent’anni fa, quando dopo il crollo del muro di Berlino il presidente Francesco Cossiga («prima di Berlusconi») sdoganò il Msi.

I nostalgici neofascisti si trasformarono nei rispettabili moderati di Alleanza Nazionale. E ora anche An scompare, confluita nel Popolo delle libertà. «Ma quegli amici restano tali, perché l’amicizia non si può sciogliere», dice Bocchino. Che è fiero di occupare lo stesso ufficio d’angolo al quarto piano del palazzo dei gruppi di Montecitorio, «dove fino al ’99 stava Tatarella, morto troppo presto».

«Ricordo perfettamente la prima volta che incontrai Fini nell’85», ricorda Bocchino, «a una conferenza sull’atlantismo nella sede Msi di Terni. Io studiavo a Perugia e stavo negli universitari del Fuan. Lui guidava il Fronte della Gioventù, era già deputato, e mostrava una diversità lombrosiana rispetto ai militanti missini: moderato nei tratti, nei modi, negli argomenti».

Era il cocco di Giorgio Almirante, allevato apposta per succedergli.
«Una scelta lungimirante, quella di saltare tutta una generazione per modernizzare il partito. Ma il Msi era molto democratico al proprio interno, e Almirante non riuscì a imporre subito Fini segretario nell’87. Ci fu lotta con Pino Rauti, Franco Servello e Domenico Mennitti. Io ero il più giovane della corrente finiana, la mascotte dei quattro moschettieri. Gasparri era il motorino organizzativo, La Russa il fantasista. Il nostro rapporto andava oltre la politica, passavamo tutto il tempo assieme. Ho dormito per un anno sul divano del bilocale di 40 metri quadri di Gasparri e della sua santa moglie a Roma in via Gradoli – sì, quella del covo dei brigatisti che uccisero Moro. Lui andava in motorino alla sede del Secolo, io in bus a quella del partito in via della Scrofa. Ma anche a Milano, non ho mai dormito in albergo: sempre a casa di La Russa. E loro da me quando vengono a Napoli».

A proposito di Napoli: è vero che Berlusconi ha consigliato a Fabrizio Cicchitto, di cui lei è il vice, di vestirsi dal suo sarto napoletano Mazzuoccolo, visto che lei è sempre elegantissimo?
«Non solo: ho portato a farsi il guardaroba da lui anche Gasparri e Quagliariello, che guidano i senatori del Pdl. Un altro quartetto…»

Degli amici faceva parte anche Francesco Storace, che però si è allontanato.
«Fu Storace a farmi assumere come giornalista al Secolo: Gasparri stava alla redazione economica, Urso e Landolfi alla politica, lui agli interni, e fece una grande battaglia sindacale per me. Entrare nel giornale allora significava conquistare il primo stipendio fisso. Passai l’esame da professionista con Veltroni e Ferrara».

Nelle foto che pubblichiamo Fini, la sua compagna Elisabetta Tulliani e la figlia Carolina passeggiano a villa Borghese con lei, sua moglie Gabriella Buontempo e le vostre due figlie. Com’è il Fini privato? Il ghiacciolo che è in pubblico?
«Assolutamente no. Formalmente sembra freddo, ma nella sostanza è normalissimo. Ha forti passioni, ora che è diventato padre è rinato a vita nuova. Credo soffra un po’ per una certa difficoltà a esprimere i sentimenti, ma per un uomo abituato a ruoli di leadership da quando aveva 25 anni l’autocontrollo è normale. Né lui né io parliamo di politica fuori dal lavoro…»

E di che parlate?
«Di tutto, delle nostre famiglie, del mare, che è l’altra sua grande passione. Gli piace vivere semplicemente: siamo stati da poco a Parigi con le nostre signore, e ci siamo spostati in metro».

Mai una litigata in un quarto di secolo?
«Come no. Nel 2005, dopo che alcuni di noi suoi amici furono intercettati mentre sparlavamo di lui, ci tolse ogni carica. Non si è più fidato di nessuno fino al 2007, io ho rischiato perfino l’elezione. E stato un periodo molto pesante, ma l’abbiamo superato».

Mauro Suttora

Thursday, March 26, 2009

Da Mussolini a Silvio

Un curioso paradosso: i postfascisti di An più democratici dei «liberali» di Forza Italia: niente «Uomo della provvidenza» nel Popolo della Libertà

di Mauro Suttora

Oggi, 25 marzo 2009

Il congresso di scioglimento di An passerà forse alla storia perché conclude l'avventura sessantennale del Msi. Ma sicuramente passa alla cronaca per il debutto in pubblico della nuova compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani. Un cambio non solo simbolico: l'ex moglie di Fini, Daniela, rappresentava infatti il passato anche politico del presidente della Camera, poiché entrambi sono stati militanti neofascisti, con il braccio alzato nel saluto romano.

Ora gli ex di An andranno d'accordo con gli ex di Forza Italia, oppure il Popolo della libertà scricchiolerà nel giro di pochi mesi, com'è capitato al Partito democratico dove ex comunisti ed ex democristiani non si sono amalgamati? Finché c'è Silvio Berlusconi non ci dovrebbero essere problemi. Ma gli ex fascisti sono abituati a una maggiore democrazia interna nel loro partito, rispetto a Forza Italia. Il «culto del Capo» non fa per loro: neppure Giorgio Almirante, come ricorda Italo Bocchino in queste pagine, riusciva a imporre la propria volontà senza discutere.

Avremo così, nel grande partito del centrodestra, dei «liberali» che si affidano all'Uomo della provvidenza di Arcore, mentre gli ex nostalgici dell'Uomo della provvidenza di Predappio pretenderanno voti democratici e dirigenti eletti, non più nominati dall'alto. Lo ha anticipato Fini: «Niente culto della personalità per Berlusconi». Un curioso paradosso.