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Tuesday, February 20, 2024

Putin sfregia la mamma di Navalny



Nemmeno la pietà di mostrare il corpo del figlio ucciso

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 20 febbraio 2024
Il corpo di Alexei Navalny non viene restituito e neppure mostrato a sua madre. Questo oltraggio è grave quanto la sua morte: pone Vladimir Putin fuori dai tremila anni della nostra civiltà. L'Iliade infatti, primo poema della storia, ruota tutto attorno alle vicende di due cadaveri: quello di Patroclo ucciso da Ettore e quello di Ettore poi straziato da Achille. Ma che l'eroe greco restituì al re troiano Priamo, padre dolente, come atto di estrema pietà.

Pietà di cui sembra sprovvisto Putin, il quale riesce a negare a una madre il diritto primordiale di vegliare il figlio morto. Perfino gli animali rispettano il dolore delle mamme, quando restano vicine ai loro cuccioli esangui. Ignorare questa tregua finale rappresenta quindi uno sfregio immenso, che va oltre la politica. Si tratta di negazione del sacro, di violazione del cardine di ogni religione.

Tutte le ore che passano senza che in Siberia la signora Ludmila Navalnaya possa piangere suo figlio scaraventano Putin indietro negli orrori dell'arcipelago gulag staliniano e delle crudeltà di Ivan il Terribile.
 
Sempre più satrapo asiatico, sempre meno presidente presentabile, il capo del Cremlino fa di tutto per ricordarci che, in fondo, la sua sfortunata Russia ha goduto di soli dieci anni di libertà nella sua storia millenaria. Ma anche gli anni '90 di Boris Eltsin, dopo secoli di impero zarista e 72 anni di dittatura comunista, furono contrassegnati da ubriacature etiliche al vertice e colossali rapine degli oligarchi mafiosi.
 
Una parentesi di libera corruzione presto conclusa dall'ufficiale Kgb con i suoi massacri in Cecenia. Il quale ha fatto ripiombare Mosca negli abituali intrighi: da Rasputin a Prighozin. Putin sognava di finire nei libri di storia come il nuovo Pietro il Grande. Invece il suo nome verrà associato a quello delle sue vittime inermi, trucidate o avvelenate: da Anna Politkovskaya ad Aleksandr Litvinenko, da Boris Nemtsov a Navalny. Un gradino sotto quelle di Stalin: Trotszky, Zinoviev, Kamenev, Bucharin. I quali avevano almeno una dignità di purgati dopo omeriche lotte politiche, seppur sanguinarie.

Putin invece si conferma, dopo i massacri di Aleppo e le fosse comuni di Bucha, criminale semplice. Minuscolo e anche un po' vigliacco: perché Mussolini cent'anni fa si addossò pubblicamente tutta la responsabilità del delitto Matteotti. Mad Vlad invece si limita a umiliare di nascosto la mamma di Navalny.

Saturday, November 21, 2009

Il Piccolo (Trieste): Perché Diari segreti?

Perché i diari di Claretta sono rimasti invisibili per oltre sessant'anni?

il Piccolo
pagina 23 sezione Cultura

Trieste, 21 novembre 2009

Per oltre sessant’anni nessuno ha potuto leggerli. Perchè sui diari di Claretta Petacci è stato imposto il segreto di Stato. E adesso? Finalmente il veto è caduto, ma solo per quanto riguarda il periodo che va dal 1932 al 1938. Le altre carte, che raccontano il periodo più difficile (quello delle leggi razziali, dell’entrata in guerra, dell’8 settembre, dell’arresto di Benito Mussolini, della Repubblica di Salò, fino alla morte, rimasta avvolta nel mistero) sono ancora inaccessibili. Su quei diari ha lavorato a lungo Mauro Suttora, giornalista del gruppo Rcs. Che pubblica adesso un’ampia selezione dei documenti nel libro Claretta Petacci ”Mussolini segreto” (Rizzoli, pagg. 533, euro 21).

A invogliare alla lettura, se ce ne fosse bisogno, è la prefazione scritta da Ferdinando Petacci, nipote dell’amante del Duce, che vive da tempo in Arizona. Da bambino, quando aveva tre anni e mezzo, si ritrovò a viaggiare nel piccolo corteo di macchine che il 27 aprile del 1945 portò il capo del fascismo e la sua amante dritti verso la morte. Da allora si è sempre chiesto: perché lo Stato italiano ha fatto scendere il silenzio sulle carte di sua zia? Claretta Petacci era solo un’amante o una spia degli inglesi? O, addirittura, insieme al fratello Marcello «collaborarono con Mussolini per arrivare a una pace separata con l’Inghilterra»? La merce di scambio sarebbe stato il carteggio tra il Duce e Winston Churchill, «molto compromettente per il premier britannico».

Insomma, dopo una prefazione del genere, inutile negare che viene voglia di lanciarsi alla disperata a leggere i diari di Claretta. Che, purtroppo, deluderanno il lettore fin dalle prime pagine. Che cosa emerge da questa carte? Una marea di promesse d’amore fatte da un uomo profondamente infedele, una sorta di ”serial lover”, alla sua giovanissima, gelosissima amante. E poi il ritratto di un uomo, Mussolini, che pensa soprattutto ad apparire forte, virile, che è terrorizzato dal fatto di invecchiare e parla spesso della morte. E che non evita gli scivolini nel ridicolo. Come quando lamenta i dolori dell’ulcera provocati dal polverone che si è alzato attorno all’omicidio di Matteotti. O come quando frigna che gli stivaloni, indossati per avere un aspetto più virile, lo fanno soffrire molto.

Nei diari di Claretta, i grandi eventi del ’900 passano in secondo piano rispetto alla girandola di amanti di Mussolini e alla gelosia ossessiva della Petacci. Il Duce le racconta di alcuni imbarazzanti incontri con la principessa Maria José, che si distendeva mezza nuda vicino a lui sulla spiaggia quasi a volersi offrire. Sparla spesso e volentieri di donna Rachele, la moglie: «Una contadina». Spara a zero sugli antifascisti, se la prende con Franco che tentenna in Spagna, manda insulti e maledizioni agli ebrei. Si mostra amico di Hitler, anche se lo teme profondamente. Ma, soprattutto, tempesta di telefonate la sua Claretta. A ogni ora del giorno, della notte. Per prometterle che non la tradirà più. Anche se sa benissimo che, quando gli arriverà la prima donna disponibile, la tradirà di nuovo. ( a.m.l.)