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Wednesday, May 05, 2010

Luca Beatrice: 'Da che arte stai?'

Un critico svela i trucchi dell'arte contemporanea

Oggi, 28 aprile 2010

di Mauro Suttora

Incidenti imbarazzanti al sesto piano del Moma (Museum of modern arts) di New York. Il modello nudo di una «performance» dell’artista Marina Abramovich ha avuto un’erezione. A forza di subire gli strusci degli spettatori, che devono passare fra due corpi in piedi, il poveraccio non è riuscito a controllarsi. E ha dovuto essere sostituito. Né sembrano meno «calienti» i visitatori: alcuni di loro, sia uomini che donne, sono stati espulsi dopo aver allungato le mani sui 36 modelli nudi, sia uomini che donne (che si esibiscono otto alla volta, a turno).

I dirigenti del museo non vedono l’ora che la retrospettiva dedicata alla 64enne artista serba finisca, il 31 maggio. «È buffo come la natura si ribelli all’arte», commenta Luca Beatrice, critico e curatore della Biennale di Venezia 2009. «La Abramovich aveva presentato questa performance a Bologna nel ‘77, ma allora il contesto era completamente diverso. Gli artisti usavano i corpi per trasgredire, basti pensare agli happening del Living Theatre o ai sit-in di protesta nelle strade. Oggi si è perso qualsiasi valore di ribellione sociale: riproporre questo tipo di arte è solo un gesto estetico».

Arte contemporanea: chi ci capisce qualcosa? Ci piace affollare le mostre, bere qualcosa alle vernici e visitare musei che anche in Italia si moltiplicano. Ora ce ne sono perfino a Monfalcone (Gorizia) o Isernia, e un mese fa a Gallarate (Varese) ne è stato aperto uno con il solito acronimo «furbo»: Maga (Museo arte Gallarate). Il clou sarà a fine maggio a Roma: il 27 si inaugura il Macro (Museo arte contemporanea Roma) dell’architetta francese Odile Decq, e appena tre giorni dopo il Maxxi (Museo arte XXI secolo) di Zaha Hadid. Dopo anni di rinvii, è curiosa questa apertura contemporanea di spazi d’arte contemporanea in concorrenza fra loro nella stessa città.

«In Italia ormai ci sono più musei che artisti», scherza Beatrice, che ha appena pubblicato il libro Da che arte stai? (Rizzoli). È una bella storia dell’arte italiana degli ultimi quarant’anni, che spiega con parole semplici le ultime tendenze e le rivalità fra le varie correnti. Beatrice infatti, come Vittorio Sgarbi, ama la polemica. E lui ce l’ha contro l’Arte Povera, «che fino al 1979 ha dettato le regole, imponendo le proprie scelte e tagliando le gambe ai non allineati. L’esatto specchio della cultura sessantottina: “Se non sei dei nostri, non esisti”».

Per Beatrice l’anno della svolta è stato il 1979, con la nascita della Transavanguardia. Cinque pittori (Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino) e un critico mentore: Achille Bonito Oliva, che si farà fotografare nudo sulla rivista Frigidaire, disteso sul divano come la Maya di Goya.

«Quell’anno è stato importante perché si usciva dai grigi anni '70», dice Beatrice. E mette assieme quattro donne diversissime fra loro: Nilde Iotti che diventa presidente della Camera dei deputati, Oriana Fallaci che scrive il capolavoro Un Uomo, Gianna Nannini che esplode con America, e l’americana Patti Smith che incendia Bologna e Firenze con due concerti memorabili, dopo un decennio di astinenza e ostracismo contro i gruppi rock stranieri.

La Transavanguardia italiana conquista il mondo, fino alla consacrazione definitiva del ‘99 con la personale di Clemente al Guggenheim di Manhattan. Ma oggi? A parte Maurizio Cattelan, chi sono i nostri nuovi artisti di successo?

«Tutto dipende dal contesto», spiega Beatrice. «Facciamo un gioco. Prendiamo un quadro di buona ma non eccelsa qualità e appendiamolo alle pareti di un ristorante. Quindi trasportiamolo in una galleria media, di quelle che i critici con la puzza al naso definiscono “commerciali”. Infine inseriamolo in una mostra importante, curata da un nome giusto, nelle sale della Fondazione Sandretto di Torino o di un museo egualmente conclamato».

Lo stesso quadro?
«Sì. Nel primo caso avremo l’opera domenicale di un dilettante, che ha chiesto al proprietario del ristorante di ospitarlo e, magari, di provare a venderlo a duecento euro. Nel secondo caso il dipinto aumenterà di valore, fino a qualche migliaia di euro ma non di più, perché la galleria non è così buona e si presume che lì un grande artista non ci lavorerà mai. Nel terzo e ultimo caso il quadrò prenderà la strada del successo, lodato dagli addetti ai lavori e inseguito dai collezionisti disposti a spendere cifre folli per portarselo a casa, perché il suo valorer è stato certificato da un Bonami o Birnbaum, dalla Tate Modern o da White Cube di Londra».

E la qualità del quadro?
«Di tutto sentiremo discutere, tranne che di quello. Perché quando Marcel Duchamp nel 1917 ha piazzato il suo orinatoio in una sala bianca, con gesto geniale e provocatorio, ha dimostrato che qualsiasi cosa sarebbe potuta stare lì. Bastava la certificazione del contesto e l’accordo fra gli attori del circo. Duchamp tutto avrebbe potuto prevedere, tranne che di essere preso così sul serio dai posteri».

E anche oggi...
«Se entriamo in uno qualsiasi dei santuari dell’arte contemporanea, troveremo una sfilza di oggetti in disuso, scarti, pezzi di neon, sculture minimaliste, avanzi di piastrelle, scritte... e a nessuno viene mai il dubbio che non si tratti arte. Se stanno lì, nel museo, sono arte e basta».

Ma un bravo pittore come può essere preso in considerazione dal curatore di una mostra o di un museo?
«È un bel casino. Intanto veda di non essere troppo bravo, capace e virtuoso. Sia sciatto piuttosto, trasandato, incerto, dipinga se può come un incapace o un mentecatto. Se qualcuno gli dà del pittore si deve ribellare, guardarlo in cagnesco e spiegargli che lui è un “artista che usa la pittura”».

Perché questa commedia?
«Perché ai critici, che sono spesso artisti falliti, piace il non finito che fa molto “tormento ed estasi”. Prediligono i fondi bianchi su cui ritagliare figurine incerte o volti dall’espressione idiota. Se collabori con qualche “galleria di mercato” sei finito. Se vivi decorosamente del tuo lavoro ti daranno del “commerciale”».

Insomma, un disastro. Chi si salva, Beatrice?
«Oggi l’artista italiano più importante al mondo, che per classe e inventiva batte Cattelan dieci a uno, è Francesco Vezzoli».

Oddio, quello che un anno fa nella galleria Gagosian di Roma ha esposto la boccetta di un finto profumo?
«Sì. Con lo spot di un minuto girato da Roman Polanski. Vezzoli ti sbatte in faccia l’inutilità dell’arte contemporanea. E si autodefinisce così: “Sono un frocetto di provincia che guarda i film di Visconti e trasforma la propria solitudine e il proprio dolore in una magnifica ossessione».

Mauro Suttora

Monday, November 26, 2007

Newsweek: Italy loves America

THE ITALIAN LOVE AFFAIR

The country appreciates everything about America: its cities, its celebrities and even its cowboy culture.

by Mauro Suttora

NEWSWEEK

Link all'articolo originale su Newsweek

November 26, 2007

This might come as a belated consolation to poor Karen Hughes, who is leaving her post as the U.S. head of public diplomacy after struggling for two years to advocate American ideas around the world: although Italians dislike aggression (81 percent opposed the Iraq War), Italy just loves the United States. In 2003, 30 percent of Italians had a positive image of the country, a 60-year low. But now, according to a Pew Research poll, America's image is positive among 53 percent and negative for 38. Italy beat everybody in the European Union but Poland: in Britain, 51 percent love the United States; in France, 39 percent; and in Germany, only 30 percent are pro-American, with 66 percent against.

Italians like America so much, they want to see the real thing. Due in part to the strong euro, more than 1 million Italian tourists headed to the United States this year, breaking the old record. In August, Italians defy the humidity and head to Florida, and while cheap fares to Britain still make London the most favored destination for Italian travelers, this year New York surpassed Paris for the No. 2 spot. A new Italian airline, Eurofly, now connects even minor cities like Bologna and Palermo to New York.

Among the visitors: Italian politicians, who come for art and fashion shows financed by Italian institutions, and to meet and greet with Italian-Americans who, since 2006, may vote in Italian elections if they still have their Italian passport. Former prime minister and now opposition leader Silvio Berlusconi just bought a house for his youngest daughter to attend university in New York City. And indeed Italians of every political stripe love U.S. politicians. John F. Kennedy and Bill Clinton inspire the left. Ronald Reagan is a mythic figure for the right. Walter Veltroni - Rome's mayor, and possibly Italy's next prime minister - says his political idols are Kennedy and Martin Luther King Jr. His new party: the "Democrats."

But let alone politics. Fashion designers Valentino, Cavalli, Prada and Armani all own homes and spend time in New York City. Donatella Versace and her daughter live there. Other positive indicators of pro-Americanism: nine out of the top 10 movies at the Italian box office in October were from the United States. In France, ticket proceeds from domestic films equal that of American movies. But in Italy, Hollywood films outgross Italian movies by a margin of 38 percent.
At the recent Rome Film Festival even American B-listers received celebrity treatment. George Clooney is a fixture, as well, in his villa on Lake Como, and Italians are proud that Tom Cruise got married here, that Brad and Angelina began loving each other while shooting in Amalfi and that Reese Witherspoon and Jake Gyllenhaal rekindled their romance in Rome. Eighty percent of the television series broadcast in Italy are also made in the U.S.A. "House" is the most successful series in a decade, with 22 percent of prime-time audience share. Music? Zucchero, Italy's biggest star, considers himself a Louisiana bluesman. Art? Larry Gagosian, the American dealer, will soon open his first continental gallery in Rome. Invitations to the opening are the hottest tickets in town.

Italians have adored America for 60 years, ever grateful for liberation from the Nazis and for introducing them to rock and roll, disco, "Sex and the City" and the iPod. Rome was once the world's capital, but Italians are happy to acknowledge that the power has shifted to America. "America is a big place where people like to chew problems and projects," says Beppe Severgnini, author of "La Bella Figura: A Guide to the Italian Mind." "Italy is a smaller country obsessed with people and with the past. To look at, read about, dream and talk of America is like taking a mental holiday for many of us."

This month, the most comprehensive exhibition of 19th-century American art will open in Brescia, near Milan. Works will come from Washington's National Gallery and lesser-known spots like the Buffalo Bill Historical Center in Cody, Wyoming. That museum also contributed to "The Mythology of the American West," an exhibition that opened in September in France. Yes, it seems all of Europe is back to admiring the cowboys. But, remember, the Italians were first.

Suttora is a senior editor at Oggi, Italy’s largest weekly magazine, and the author of “No Sex in the City: Adventures of an Italian Man in New York”

©2007 Newsweek, Inc.

Letters to the Editor


Newsweek, 26 novembre 2007

Storia d’amore italiana

All’Italia piace tutto dell’America: le città, le celebrità, e perfino la sua cultura cowboy.

di Mauro Suttora

Può consolarsi in extremis la povera Karen Hughes, che lascia la guida della ‘diplomazia pubblica’ statunitense dopo avere lottato due anni per propagandare gli ideali americani nel mondo: anche se agli italiani non piacciono le aggressioni (l’81 per cento era contro la guerra in Iraq), l’Italia ama gli Stati Uniti.

Nel 2003 solo trenta italiani su cento avevano un’idea positiva degli Usa, il risultato peggiore in 60 anni. Ma ora, secondo un sondaggio Pew Research, l’immagine dell’America è positiva per il 53 per cento, e negativa per il 38. L’Italia batte tutti nell’Unione Europea, tranne la Polonia: in Gran Bretagna infatti i filoamericani sono 51 su cento, in Francia 39 e in Germania solo 30, con il 66 per cento contro.

Gli italiani amano l’America, e vogliono andare a vederla di persona. Anche grazie all’euro forte, quest’anno più di un milione di italiani hanno visitato gli Usa, battendo ogni record. Perfino in agosto gli italiani sfidano l’umidità e vanno in Florida. Anche se grazie ai voli low-cost Londra è sempre la meta preferita dai viaggiatori italiani, quest’anno New York ha conquistato il secondo posto scavalcando Parigi. Una nuova compagnia italiana, Eurofly, ora collega direttamente a New York anche città minori come Bologna e Palermo.

Fra i visitatori più assidui: i politici italiani, che arrivano per eventi artistici e modaioli tutti finanziati da enti pubblici italiani, e anche per coltivare gli italoamericani che dal 2006 possono votare alle elezioni se conservano ancora il passaporto tricolore.
Silvio Berlusconi, ex premier e ora capo dell’opposizione, ha appena comprato una casa per la figlia più giovane che frequenta l’università a New York. Ma ogni fede politica ha la sua passione americana. John Kennedy e Bill Clinton ispirano la sinistra. Ronald Reagan è un mito per la destra. Walter Veltroni - sindaco di Roma e prossimo possibile premier - dice che i propri idoli sono Kennedy e Martin Luther King. Il suo nuovo partito: i “Democratici”.

Ma lasciamo la politica. Gli stilisti Valentino, Cavalli, Prada e Armani hanno tutti casa a New York, e ci stanno parecchio tempo. Donatella Versace ci abita con la figlia. Altri indicatori di filoamericanismo: nove fra i dieci film che hanno incassato di più in Italia in ottobre erano statunitensi. In Francia i film francesi sono visti quanto quelli americani. In Italia invece Hollywood batte il cinema italiano con un margine del 38 per cento. Alla recente Festa del cinema di Roma anche artisti americani di serie B hanno ricevuto un’accoglienza da star. George Clooney è ormai una presenza familiare nella sua villa sul lago di Como. Gli italiani sono orgogliosi che Tom Cruise si sia sposato qui, che Brad e Angelina abbiano cominciato ad amarsi mentre giravano un film ad Amalfi, e che Reese Witherspoon e Jake Gyllenhaal abbiano riannodato la loro love story proprio a Roma.

Anche l’ottanta per cento dei serial tv trasmessi in Italia sono made in Usa. “Dr. House” è la serie di maggiore successo da dieci anni, con uno share del 22 per cento in prima serata. Musica? Zucchero, il cantante più celebre d’Italia, si considera un bluesman della Louisiana. Arte? Larry Gagosian, il potente commerciante d’arte contemporanea americano, sta per aprire a Roma la sua prima galleria nell’Europa continentale. Gli inviti all’inaugurazione sono i più ambiti in città.

Gli italiani adorano l’America da 60 anni, eternamente grati per la liberazione dai nazisti - e per averli iniziati al rock and roll, la disco, “Sex and the City” e l’iPod. Roma fu un tempo la capitale del mondo, ma gli italiani sono felici di ammettere che oggi quel potere è passato agli Stati Uniti.
“L’America è un posto enorme dove alla gente piace masticare problemi e progetti”, dice Beppe Severgnini, autore del libro ‘La Bella Figura: Guida alla mente italiana’. “L’Italia è un Paese più piccolo, ossessionato dai personaggi e dal passato. Guardare, leggere, sognare e parlare dell’America per molti di noi è come prendersi una vacanza mentale”.

Questo mese apre a Brescia, vicino a Milano, la mostra più completa sull’arte americana del diciannovesimo secolo. Sono in arrivo quadri dalla National Gallery di Washington e da posti meno conosciuti come il Buffalo Bill Historical Center di Cody (Wyoming). Questo museo contribuisce anche alla “Mitologia del West americano”, mostra in corso da settembre in Francia. Sì, pare proprio che tutta l’Europa ami di nuovo i cowboys. Ma ricordatevi: gli italiani sono stati i primi.

© Newsweek