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Wednesday, November 29, 2017

Che stangata per Veronica Lario



Clamorosa sentenza sul Cavaliere e la ex moglie
Svelati i documenti sul divorzio

CHE VITA SUPERLUSSO QUANDO ERA LA SIGNORA BERLUSCONI!

Ville, piscine, barche, viaggi in mezzo mondo e decine fra domestici e guardie del corpo. Miriam Bartolini aveva chiesto tanto e ottenuto alimenti da favola. Ora glieli hanno azzerati. E non solo: le tocca restituire le somme già incassate

di Mauro Suttora

Oggi, 23 novembre 2017

Adesso, per risparmiare, dovrà scegliere. L’attico e superattico al 18esimo piano del grattacielo Magnolia fra le Torri Bianche di Vimercate, quelle che si vedono dall’autostrada, o il palazzetto di via Bigli nel centro di Milano?

Miriam Raffaella Bartolini, alias Veronica Lario ex Berlusconi, si divide fra queste due case dopo aver dovuto lasciare la magione di Macherio da 78 milioni nel 2012: le centinaia di metri quadri in affitto di Vimercate, con vista sulle Prealpi e sui nuovi grattacieli di Milano, e l’altrettanto spazioso appartamento dietro via Montenapoleone, acquistato per 11 milioni, già set del film Happy Family (2010) del premio oscar Gabriele Salvatores. Vicini di casa: i Tronchetti Provera, i Moratti, l’ex moglie di Galliani, la Casaleggio & Associati srl.

Dopo la disastrosa sentenza che le ha azzerato gli alimenti, l’ex moglie di Silvio Berlusconi dovrà sicuramente rivedere quello che gli avvocati chiamano «il suo treno di vita».

Peggio di così, non poteva andare. E pensare che solo cinque anni fa la sentenza di separazione le aveva assegnato l’astronomica cifra di 3 milioni al mese. Ogni anno 36 milioni. Tanto che l’ex premier ci scherzò su: «Anche oggi la mia ex, quando si sveglierà, dovrà decidere come spendere i suoi 100 mila euro giornalieri».

È una vera rivoluzione per i divorziati italiani

Già due anni fa, però, la sentenza di divorzio le aveva dimezzato il sontuoso appannaggio. Ma neanche nei suoi peggiori sogni la povera Veronica avrebbe immaginato che alla fine la corte d’Appello di Milano non le avrebbe riconosciuto neppure un centesimo.

E non solo: le tocca pure restituire una sessantina dei milioni già ricevuti. Che si riducono a una quarantina perché il caro Silvio, sperando in un futuro sconto, aveva già iniziato da mesi a ridurre l’assegno.

La rivoluzione è scoppiata pochi mesi fa, quando la Cassazione ha deciso che l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli non doveva più mantenere l’ex moglie, perché la signora era in grado di provvedere da sola. Basta con l’ex coniuge ricco che deve garantire all’altro lo stesso “treno di vita” goduto durante il matrimonio.



Patrimonio di Silvio: 7 miliardi di euro

Ora di questa svolta epocale approfitta Berlusconi, il quinto uomo più ricco d’Italia, 7 miliardi di patrimonio personale. Che non dovrà più garantire alcunché a Veronica, visto che lei può trarre sostentamento dal suo patrimonio accumulato durante il matrimonio: un centinaio di milioni.

E pensare che gli avvocati della Lario si erano dilungati fino alle minuzie per descrivere la sua vita da sposata, convinti che Berlusconi avrebbe dovuto garantirgliene una di pari livello. Prima della separazione Veronica risiedeva nella Villa Belvedere di Macherio dotata di piscina coperta e palestra, con 12 domestici (7 donne e 5 uomini: cuoco, cameriere, giardinieri, personal trainer, restauratori).

Si trasferiva nella Villa Certosa di Porto Rotondo per almeno 5 settimane all’anno, e altrettanto tempo trascorreva sullo yacht Morning Glory.
Alla signora piace molto viaggiare. Nei quattro anni prima della separazione si è recata a Galapagos, Polinesia, Figi, Nuova Zelanda, Cambogia, Laos, Thailandia, Brasile, Siria, Praga.
Andava più volte all’anno a New York, Londra, Parigi, Venezia, Roma, e in montagna nella villa di St.Moritz. E naturalmente, come precisano gli avvocati, «viaggia sempre nelle classi massime».

Berlusconi possiede non un aereo privato, ma un’intera società dotata di vari velivoli, la Alba Servizi. E Veronica ne è stata un’assidua cliente, sia sul Gulfstream 450 (viaggi intercontinentali) che sui tre Hawker e l’elicottero.
Erano ben 25 le guardie del corpo della signora, distribuiti su vari turni 24 ore su 24.
E la memoria specifica che il marito provvedeva a saldare i conti per gli acquisti di «abiti di noti stilisti», nonché per l’opera di estetiste, parrucchieri e personal trainer a domicilio.

Ora tutto è stato ridimensionato. Ma non troppo. Oltre alle due case dove abita a Milano e Vimercate, infatti, Veronica può contare su un palazzetto  a S-Chanf, accanto a St. Moritz, intestato alla madre.



Case a New York, Londra e in Sardegna

La sua società immobiliare Il Poggio incorpora residenze a Londra (valore: 3 milioni), New York (Park Avenue, 7 milioni), Porto Rotondo (600 mila euro), Bologna (117 mila euro).

I cespiti maggiori per il futuro reddito che l’ex signora Berlusconi dovrà a questo punto autoprodurre sono due interi palazzi di uffici a Milano 2 (il Canova, otto piani, valutato 33 milioni, piano terra affittato al supermercato Crai, e il Borromini), uno a Milano (12 milioni), e 55 posti auto a Segrate. Veronica inoltre avrebbe incassato 15 milioni vendendo Villa Minerva in Sardegna al miliardario russo Tariko Rustam.

Insomma, senza contare gli investimenti finanziari, la signora dovrebbe farcela a estrarre una rendita decente per vivere, visto che il totale degli  immobili a bilancio nella sua srl risulta di 46 milioni, ma probabilmente il valore commerciale reale è il doppio.
Mauro Suttora



Wednesday, September 25, 2013

Com'è moderno il vecchio Lucrezio

IL DE RERUM NATURA TRADOTTO E COMMENTATO DA ODIFREDDI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 settembre 2013


Quanto avete sofferto, a scuola, per il latino? E quanto avete odiato le intraducibili versioni del De Rerum Natura di Lucrezio?

Beh, ravvedetevi. Il nuovo libro di Piergiorgio Odifreddi (Come stanno le cose: il mio Lucrezio, la mia Venere, ed. Rizzoli) vi farà amare il capolavoro del poeta romano.
Odifreddi, infatti, nelle pagine dispari offre una sua versione in prosa de La Natura delle Cose. E nelle pagine pari, di fronte, la commenta, con sorprendenti rimandi all’attualità che la rendono godibilissima.

Bob Dylan, per esempio. Chi l’avrebbe detto che la sua canzone più famosa, Blowin’ In The Wind del 1962, appariva già nel verso 559 del libro IV del De Rerum (quello sulla fisiologia e i sensi umani)? «Conturbari vocem, dum transvolat auras», che Odifreddi traduce «la voce si turba, disperdendosi nel vento». Così, «la risposta sta soffiando nel vento» duemila anni dopo.

Oppure Federico Fellini, Woody Allen e John Lennon. «Il film 8 e mezzo», scrive Odifreddi, «è un’opera autobiografica che mostra Fellini mentre pensa al nuovo film che deve girare. Idea simile a Stardust Memories di Allen (1980), in cui la finzione dell’assassinio del regista anticipa di poche settimane la realtà di quello di Lennon».
Ebbene, sull’autoreferenzialità dell’opera d’arte aveva già scritto tutto Lucrezio (IV, 969-970): «Sogno di indagare la natura delle cose, di comprenderla e di spiegarla in un libro intitolato La natura delle cose».

Anche Italo Calvino si ispira a questi versi all’inizio del suo notissimo libro del 1979: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino…»

Gli esempi di autori che citano se stessi sono innumerevoli, avverte Odifreddi: «Nell’Iliade Elena ricama una veste di por- pora che raffigura i passi salienti dell’Iliade. Nell’Amleto si mette in scena una tragedia che è la stessa dell’Amleto. Nel Don Chisciotte, i protagonisti della seconda parte hanno letto la prima. Nei Sei personaggi in cerca d’autore, i sei personaggi cercano un autore che racconti la loro stessa ricerca».

Quegli stessi versi di Lucrezio offrono un esempio archetipico dell’indistinguibilità fra sonno e veglia. Calderon de la Barca nel 1635 ci scrisse sopra un intero poema: La vita è sogno. «E vari film di fantascienza», aggiunge Odifreddi, «hanno esplorato mondi popolati da esseri virtuali che credono di essere reali: da Nirvana di Gabriele Salvatores del 1997, alla trilogia Matrix» con Keanu Reeves.

Insomma, quanti spunti di attualità potrebbe trovare un bravo prof di latino per appassionare i propri studenti. Invece, come avvertiva Primo Levi, «Lucrezio non si legge volentieri nei licei: ufficialmente perché è troppo difficile, di fatto perché dai suoi versi ha sempre emanato odore di empietà».

Lucrezio, infatti, era un seguace dei filosofi materialisti Democrito ed Epicuro. Per niente religioso, quindi. Anzi ateo, come Odifreddi. Il quale polemizza: «Gli scrittori cristiani, per screditare il più elevato canto mai intonato da un uomo alla scienza e alla ragione, tramandarono la notizia che il poeta fosse stato pazzo, avesse scritto i suoi versi nei recessi della follia e si fosse suicidato. Ma la cosa è poco verosimile». In ogni caso, nel 1946 l’Unione Sovietica fu l’unico Paese al mondo che celebrò il secondo millennio dalla morte di Lucrezio.

Una delle parti più godibili del De Rerum è quella su amore, matrimonio e sesso. Immaginate che scandalo se a 15-16 anni ci avessero fatto tradurre questi versi che spiegano scientificamente le polluzioni notturne (IV,1033-36): «L’adolescente in preda ai bollenti spiriti sogna qualche ragazzina bella e prosperosa e gli si inturgida il membro, finché eiacula a larghi e caldi fiotti per la prima volta nella vita, imbrattandosi la veste».

Le femministe avrebbero qualcosa da ridire su questo Lucrezio antiromantico: «Se ciò che si ama è lontano, lo si può riavvicinare rievocandone le immagini e mormorandone il nome. Ma è meglio volgere altrove la mente e scaricare il proprio seme in un corpo qualsiasi. Trattenerlo nell’attesa dell’unico sempiterno amore è garanzia di affanni e dolori».

Il poeta si spinge oltre, e da perfetto epicureo contesta il matrimonio: «Chi evita saggiamente l’amore non deve certo privarsi del sesso: può godere delle sue gioie senza doversi sobbarcare le sue pene. E ne ricava una pura voluttà».

Dopo una descrizione dell’atto sessuale che rasenta la pornografia, Lucrezio diventa misogino: «Gli amanti si spossano a vicenda, passano la vita soggetti l’uno ai capricci dell’altro. In nome dell’amore si trascurano i propri doveri, si perde la faccia. Si sperperano patrimoni in profumi, gioielli, scarpe e vestiti, che poi si sgualciscono imbrattandoli di sperma».

Nessuno sospettava che Lucrezio avesse scritto tali porcherie. Neanche gli studenti e professori dei tanti licei a lui intitolati. È passato alla storia, invece, questo brano (attualissimo) sull’amore che rende ciechi: «Accecàti dalla passione, attribuiamo all’amata pregi inesistenti. Così le donne brutte si trasformano in bellezze ricercate e adulate. Le scure vengono considerate “abbronzate”, le grossolane “naturali”, le scheletriche “scattanti”, le nane “minute”, le enormi “maestose”. Le balbuzienti diventano “timide”, le insopportabili “focose”, le pettegole “argute”, le moribonde “cagionevoli”, e le già morte “tanto delicate”. Quelle con gli occhi storti hanno lo strabismo di Venere, se posseggono attributi giganteschi sono Giunoni».

Stoccata finale, massimo dello scetticismo: «Quand’anche una donna fosse veramente bella e attraente, non sarebbe comunque l’unica. Se vivevamo bene senza di lei prima di conoscerla, potremmo vivere altrettanto bene anche dopo. E comunque, a letto e altrove, non potrà che fare le stesse cose di tutte le altre».

Lucrezio è considerato l’inventore dell’espressione «addolcire la pillola». Odifreddi avverte che fu invece Senofonte. Fra i tanti rimandi contemporanei, cita quello di Mary Poppins (1964): «Basta un po’ di zucchero e la pillola va giù». Ma le pillole sarcastiche del sommo poeta latino contro l’amore è difficile ingoiarle anche oggi.
Mauro Suttora

Saturday, February 08, 1997

Hollywood a Milano

Cinema e computer: la rivoluzione digitale sbarca in Italia

CHIP, SI GIRA

Il film Nirvana di Gabriele Salvatores apre il nuovo filone. E alcune società milanesi scoprono il business degli effetti speciali, dando vita a una Hollywood sui Navigli

di Mauro Suttora
Il Mondo, 8 febbraio 1997

Passera' alla storia indipendentemente dai successi di critica e di incasso Nirvana, il nuovo film del regista Gabriele Salvatores (premio Oscar 1992 per Mediterraneo) uscito nelle sale venerdi' 24 gennaio. E' infatti la prima pellicola italiana che fa un massiccio uso di effetti speciali. E non quelli tradizionali, del genere mostri, pupazzi o sangue finto. Qui gli interventi sono elettronici, o piu' precisamente digitali, proprio come nelle megaproduzioni tecnologicamente piu' avanzate di Hollywood, da Forrest Gump a Jurassic Park

La neve, per esempio, e' tutta finta. Addio macchine che sputavano fiocchi bianchi nascoste sopra la cinepresa: adesso la neve si inserisce direttamente sulla pellicola con il computer. Ma c'e' di piu'. All'inizio Salvatores voleva girare un film itinerante, ed era gia' andato in Marocco e in India per individuare le location. Poi, anche per problemi di budget, ha deciso di concentrare tutte le riprese nella fabbrica abbandonata dell'Alfa Romeo al Portello di Milano. Ma non per questo mancano le scene ambientate a Marrakech o a Bombay: la realta' virtuale, infatti, aiuta a spostare anche i set dei film. 

Salvatores e' entusiasta: "Questo e' il mio primo lavoro subliminale, psichedelico, in cui vengono fuori i miei sogni e i miei riferimenti, da Jerry Garcia a Timothy Leary", dice. "Grazie al computer invento ogni trucco, creo paesaggi, pianto un cristallo nella fronte di un'attrice, aggiungo o tolgo un personaggio. La possibilita' di scegliere direttamente su video i ciac e di controllare subito gli effetti mi ha permesso liberta' espressiva e un gran risparmio di tempo e denaro".

Milano come Hollywood. 
Ma cosa c'e' dietro allo sforzo culminato con Nirvana? Davvero si puo' ormai parlare di "Hollywood sui Navigli", visto che tutti gli effetti digitali del film sono stati creati a Milano? A che punto e' lo stato dell'arte tecnologico ed economico in questo campo? 

"Quello di cui pochi si sono accorti", spiega Franco Gaieni, amministratore delegato della societa' di effetti digitali milanese Chinatown, "e' che proprio negli ultimi mesi sono arrivate in Italia delle nuove macchine che ci hanno permesso di colmare il gap con Londra e gli Stati Uniti. Ormai siamo allineati al meglio che c'e' nel mondo".

 Prodotti leader sono le piattaforme Onyx della Silicon graphics e i vari software Inferno, Flame, Flint o Fire della canadese Discreet Logic, che crea programmi in esclusiva per la Silicon graphics. Inoltre, e' presente sul mercato italiano la societa' inglese Quantel che vende prodotti proprietari che integrano hardware e software. Risultato? "Fino a qualche anno fa le agenzie pubblicitarie italiane andavano a produrre all'estero il 40 % dei loro spot, adesso la percentuale e' scesa al dieci", dice Stefano Raina, direttore della Digitalvideo di Milano.

 Il ritmo del progresso tecnologico e' impressionante. Ancora nel giugno scorso Salvatores ha dovuto spedire a Londra la sua pellicola per prepararla al trattamento elettronico. Ma adesso anche a Roma, negli studi di Cinecitta', e' arrivato lo scanner Cineon Kodak che archivia in forma digitale su supporto magnetico Dlt (Digital linear tape) il negativo originale della pellicola in 35 millimetri: grazie a questo processo la qualita' del film viene interamente preservata. 

Il costo degli investimenti tecnologici e' notevole: basti dire che un'altra delle maggiori societa' milanesi, la Interactive, che ha fatto camminare in cielo Zucchero nel video della sua ultima canzone Menta e rosmarino, e che ha assistito Roman Polanski nel filmato su Vasco Rossi, ha dovuto sborsare piu' di quattro miliardi per assicurarsi, unica in Italia, i sistemi Domino e Inferno. 

Pochi studi specializzati. 
E' difficile stimare il valore del mercato degli effetti speciali oggi in Italia: quello della produzione di spot pubblicitari si aggira intorno ai 250 miliardi annui, e all'interno di questa cifra la "post - produzione" (ovvero tutto cio' che avviene dopo che la scena e' stata girata, dal montaggio all'inserimento del suono, fino alle sigle) assorbe il 20 - 25%. Una sessantina di miliardi, quindi, che coprono anche i costi degli effetti digitali. 

Gli studi specializzati si contano sulle dita di una mano (a Milano, oltre a quelli citati, ci sono anche 2 Kappa, Media Cube e Imaginaction, mentre a Roma operano Eta Beta, Sbp, Frame by Frame e Sergio Stivaletti), e la loro dimensione medio - piccola rende assai onerosi gli investimenti.

 "Come ogni cosa nel mondo dei computer", spiega Stefano Marinoni di Digitalia, la societa' milanese che ha realizzato gli effetti speciali del film di Salvatores, "anche le nostre macchine hanno tempi di obsolescenza rapidissimi: dopo un anno e mezzo, al massimo due anni, sono gia' vecchie, superate da altre novita'. Ma la legge italiana prevede tempi di ammortamento di tre anni, e per noi questo e' assurdo: una sola piattaforma Onyx della Silicon graphics, infatti, costa mezzo miliardo".

 Leader del mercato hardware e' la Silicon graphics: l'anno scorso, dopo la fusione con Cray research, la multinazionale californiana con sede a Mountain View ha toccato i cinquemila miliardi di fatturato in lire, con utili per 180 miliardi. Da dieci anni opera anche una filiale italiana con sede a Rozzano (Milano) e 75 dipendenti: nel 1996 ha fatturato una sessantina di miliardi, con un balzo del 70 % rispetto all'anno precedente. 

"Il grande pubblico associa il nostro nome agli effetti speciali di Hollywood", dice il direttore marketing Paolo Vitali, "ma in realta' le macchine per video e film rappresentano solo il 15 per cento del nostro giro d'affari, anche se questo e' un segmento che controlliamo quasi totalmente". Il vero business, per la Silicon, e' quello del Caid (Computer aided industrial design): dal Centro ricerche Fiat all'Agip, a Benetton, non c'e' ormai visual designer che possa fare a meno delle proiezioni bi e tridimensionali dei computer Silicon o dei suoi concorrenti Sun e Hewlett Packard. "Il mercato dell'entertainment invece in Italia e' estremamente ridotto e verticale", nota sconsolato Vitali. 

Tutti i professionisti del settore fanno spot e documentari industriali per guadagnare, ma sognano il cinema. Pero', fino a quando in Italia si produrranno soltanto poche decine di film all'anno (70 nel 1995, 90 l'anno scorso), e' difficile pensare a sbocchi significativi per gli effetti digitali sul grande schermo. 

Know how senza industria. 
Fra l'altro, c'e' un problema di costi: un solo spot pubblicitario di trenta secondi ha spesso a disposizione un budget da un miliardo, cioe' la meta' del costo medio di un intero film italiano lungo un'ora e mezzo. Insomma, esistono in Italia attrezzature paragonabili a quelle di Hollywood; gli operatori, siano italiani che si sono specializzati a Londra, New York e Los Angeles, o tecnici anglosassoni che si sono stabiliti a Milano, garantiscono lo stesso livello di professionalita' dei "maghi" americani; non mancano giovani registi in gamba e i costi sono competitivi. 

Peccato che, per i film, manchi tutto il resto. Cioe' un'industria del cinema nazionale cosi' com'e' esistita fino a vent'anni fa, che grazie al numero dei film girati garantisca la massa critica necessaria al ritorno degli investimenti. Finche' non rinascera', le meraviglie digitali si troveranno solo negli spot. Oppure nei film made in Hollywood.
Mauro Suttora