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Wednesday, May 22, 2013

Duello Michaela-Cécile

LA SOTTOSEGRETARIA BIANCOFIORE E LA MINISTRO KJENGE: AGLI ANTIPODI

Oggi, 8 maggio 2013

di Mauro Suttora


Non fosse per quella benedetta ricrescita di capelli che ogni tanto svela la verità, Michaela Biancofiore sarebbe l’esatto contrario di Cécile Kyenge: (finta) bionda, nata a Bolzano (seppur romano-pugliese), di destra. E poi il cognome, un destino di purezza.
Era stata nominata sottosegretaria alle Pari opportunità. Ma lei ha subito ha perso l’opportunità di dimostrare il proprio valore, causa poco opportune dichiarazioni «omofobe» come «chi va con i trans ha seri problemi di posizionamento sessuale», «oggi purtroppo l’omosessualità è estremamente comune», «i gay si autoghettizzano, sono una casta». Spostata ad altro incarico.

Molte dichiarazioni anche su Cécile Kyenge, nuova ministra per l’Integrazione: «In un Paese civile non lo sarebbe mai diventata», l’ha accarezzata l’eurodeputato leghista Mario Borghezio, «è un elogio dell’incompetenza, fa parte di un governo bonga bonga». Lei ha risposto sobria, spiazzando i politicamente corretti: «Non dite che sono “di colore”: sono fiera di essere nera».

Nata nel Katanga, Congo profondo: padre benestante funzionario statale, capo villaggio con quattro mogli e 37 figli. Cécile voleva studiare medicina all’università, in Congo i burocrati la obbligano a iscriversi a farmacia, lei si ribella e riesce a ottenere una borsa di studio per la Cattolica di Roma. Arriva 30 anni fa, per mantenersi lavora come badante. Si specializza in oculistica, vent’anni fa si sposa con un ingegnere italiano, acquista la cittadinanza, ha due figlie oggi adolescenti: Giulia e Maisha. A Modena dove vive fonda un’associazione che aiuta gli immigrati, nel 2004 è consigliere di zona Ds, nel 2009 consigliere provinciale Pd. Eletta deputata in febbraio, la sua bandiera è lo «ius soli»: significa «legge del suolo», si è cittadini del Paese dove si nasce e non di quello dei propri genitori.
       
Michaela invece diventa berlusconiana già nel ’94, dopo il diploma magistrale. Si definisce «imprenditrice nel settore del wellness», ma è stata anche assistente alla regia in film di Carlo Verdone prodotti da Mario Cecchi Gori (Al lupo, al lupo, Maledetto il giorno che ti ho incontrato). «Sono una kamikaze imbottita di tritolo berlusconiano puro», dice, e non si toglie mai l’anello di Damiani che Silvio le ha regalato. Già fidanzata dell’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, che dieci anni fa la nominò «consigliere per le autonomie locali», consigliere provinciale Forza Italia nel 2003, deputata dal 2006. E adesso non vede l’ora di opporsi alle idee di Cécile.
Mauro Suttora

Tuesday, April 19, 2011

Feltri, ora fai il pacifista?

BISOGNA AIUTARE GLI INSORTI LIBICI

editoriale su Libero, 19 aprile 2011

di Mauro Suttora

Caro Feltri, vent’anni fa, quand’eri mio ottimo direttore all’Europeo, Saddam invase il Kuwait e scoppiò la prima guerra del Golfo. Io ero antimilitarista, tu invece trovavi giusto che l’Italia mandasse aerei a bombardare l’Iraq con gli Usa. Ora è il contrario: io sono diventato militarista, tu pacifista. «Abbiamo sbagliato a intervenire in Libia», sostieni.

Sono appena tornato da Bengasi. Lavoro per un settimanale, Oggi, quindi non ho dovuto «coprire» l’attualità quotidiana della guerra. Ho cercato invece di rispondere alle domande che tutti ci poniamo da due mesi: chi sono gli insorti della nuova Libia libera? Vale la pena aiutarli? Ho così intervistato alcuni dei tredici “ministri” del loro governo provvisorio.

Ahmed Zubair Al Senussi, per esempio, il loro decano: 77 anni, cugino del principe Idris di cui avete pubblicato proprio domenica (sotto il tuo articolo) una bella intervista da Washington. Il mio Senussi, anch’egli della famiglia reale cacciata da Gheddafi nel ’69, è soprannominato «Mandela libico» perché è stato in carcere 31 anni (perfino più dei 27 del Nobel della pace).

Arrestato nel ’70 per aver tramato contro il dittatore, che lo ha torturato (non ha più le dita dei piedi) e tenuto in isolamento totale senza vedere la luce del giorno per undici anni. «Come ha fatto a non impazzire?», gli ho chiesto. «Pensavo a mia moglie e leggevo il Corano».

Ecco, penso io, il solito islamista che si finge tollerante ma poi, conquistato il potere, fa finire la Libia come l’Iran, l’Afghanistan talebano o Gaza. Poi però mi dice che il Corano è stata la sua unica lettura solo perché non gliene permettevano altre: «Invidio Mandela che in prigione aveva tanti libri, e poteva essere visitato dai familiari». I parenti di Senussi, invece, non seppero per una dozzina d’anni se fosse vivo o morto. E quando suo fratello ebbe il permesso di andarlo a trovare la prima volta, fu per dirgli che la moglie Fatima era scomparsa.

Liberato nel 2001, oggi Senussi assicura che gli insorti vogliono libertà, una democrazia «liberale», legalità, rispetto dei diritti e delle minoranze. Che i musulmani libici sono tolleranti. E che ama l’Italia, visitata con sua moglie nel ’66 («Belle Roma e Milano, stupenda Palermo»).

Gli stessi propositi voltairiani me li ha giurati nel suo compìto francese Salwa Deghali, trentenne prof universitaria di legge, tre figli, unica donna del governo. È reduce da quattro anni alla Sorbona di Parigi per un dottorato in diritto costituzionale. E Fathi Terbil, il giovane avvocato che assiste le famiglie dei 1.270 trucidati nel massacro del carcere Abu Selim di Tripoli del 1996: il suo arresto lo scorso 15 febbraio ha scatenato la rivolta.

Ci sono poi Omar Hariri, il 75enne ministro della Difesa, pure lui con una dozzina di anni di carcere sulle spalle. E Mahmud Jibril, ministro degli Esteri, ex docente universitario di economia negli Usa: quando parla risulta così sincero che ci ha messo solo mezz’ora per convincere Sarkozy a salvare i civili di Bengasi da una strage il 19 marzo, e pochi minuti in più per far riconoscere da Frattini la Libia libera il 4 aprile.

Sono sicuro che anche tu, caro direttore, se potessi conoscere i nuovi dirigenti di Bengasi cambieresti idea. Sono gente come noi: ingegneri, professori, magistrati, avvocati, giornalisti, improvvisamente catapultati a governare un Paese. E a combattere contro uno dei tiranni più feroci e longevi della Terra: solo Fidel Castro è durato più dei 42 anni di Gheddafi.

«Ancora non ci rendiamo bene conto di essere liberi, a volte ci sembra di sognare», mi hanno confessato. Per questo, forse, devono ringraziare anche i «traditori», come tu (correttamente) li chiami: il generale Fattah Younis, comandante della piazza di Bengasi che si è rifiutato di sparare contro la folla, o l’anziano ex ministro della Giustizia Mustafa Jalil nominato presidente del consiglio provvisorio in mancanza di meglio.

Mentre camminavo per le strade di Bengasi, così uguali a quelle di una nostra cittadina meridionale degli anni ’50, stesse case, alberi e piastrelle sui marciapiedi, pensavo agli eroi che abbiamo appena festeggiato in Italia dopo 150 anni: Garibaldi, Mazzini, Cavour. Non prendiamoci in giro: oggi frasi come «combattere per la libertà» ci appaiono francamente desuete. Io per primo, confesso, piuttosto che rischiare di morire in guerra probabilmente emigrerei in Canada. E sai quanto sono allergico alla retorica.

Eppure, se oggi nel mondo c’è qualche giovane «eroe» che dà la vita per la libertà, bisogna cercarlo fra gli entusiasti ragazzotti libici che partono per il fronte di Brega. Sventolano bandiere italiane, francesi, inglesi e americane, oltre che libiche. Perfino quelle blu dell’Europa e azzurre dell’Onu, incoscienti. Abbracciano sorridenti qualsiasi giornalista straniero incontrino. Chiedono «Help us!», aiutateci.

Poi, dopo qualche giorno, magari la loro foto finisce incollata sul compensato del nuovo «muro del pianto» sul lungomare di Bengasi, vicino a quelle delle altre vittime degli assassini professionisti di Gheddafi. Loro sono volontari dilettanti, come i Mille. Per questo perdono e ci innervosiscono. Senza la protezione degli aerei Nato verrebbero spazzati via in poche ore.

I loro amici, nel collegamento wi-fi che offrono gratis ai computer degli ormai pochi giornalisti stranieri rimasti (la Libia non fa più notizia, che palle lo stallo), hanno messo la sciagurata password: “We win or we die”: o vinciamo o moriamo. Aiutiamoli a rinsavire. E quindi a vivere, se non a vincere. Per ora, che si accontentino di una Libia libera a metà.

Caro Feltri, sono sicuro che troverai argomenti per farmi cambiare idea, e distogliermi da questa inedita deriva bellicosa che stupisce me per primo.
Tuo ex antimilitarista

Mauro Suttora

Tuesday, March 01, 2011

intervista a Lara Comi

"SILVIO, TROVA UNA CHE TI AMA" per la prima volta parla l'eurodeputata pdl accusata di "velinismo"

Oggi, 21 febbraio 2011

di Mauro Suttora 

 Bella, è bella: alta, occhi azzurri. «Ma non ho mai fatto la velina. E non ho niente a che spartire con Sara Tommasi, tranne la laurea alla Bocconi». 
Lara Comi, 28 anni, da Saronno (Varese), dal 2009 è eurodeputata Pdl. Con Barbara Matera e Licia Ronzulli era stata bollata come una delle tre giovani «favorite» che Silvio Berlusconi spedì a Bruxelles. Avrebbero dovuto essere di più, ma la famosa lettera di denuncia della moglie Veronica bloccò l’operazione.

La Comi aveva seguito pure lei il corso di tre giorni sull’Europa tenuto dai ministri Franco Frattini e Renato Brunetta. Poi però le showgirl più vistose e imbarazzanti come Angela Sozio furono depennate. 
«E pensare che Silvio me l’aveva chiesto: “Vuoi darti alla politica o allo spettacolo?”», si lamenta oggi la Tommasi. «E io come una stupida scelsi lo spettacolo. Mentre oggi potrei essere tranquilla all’Europarlamento». Invece di finire nel vortice delle intercettazioni, con l’sms «Spero k krepi kon le tue troie» spedito al premier, che purtroppo rischia di passare alla storia. 

«Io con tutto ciò non ho niente a che fare», dice la Comi, «e tengo a precisare due cose. Primo, con me Berlusconi è sempre stato correttissimo. Sono andata a casa sua sia ad Arcore, sia a Roma. Mai in Sardegna. Ma erano tranquille cene di lavoro con altri politici e imprenditori, uomini e donne...»

Ha visto la discoteca del “bunga bunga”? 
«Due anni fa ho visitato un locale al piano di sotto, ma mi era sembrata una normale sala proiezioni. Nessun palo da lap-dance. Seconda precisazione: io la gavetta l’ho fatta. Non sono una miracolata. Ho lavorato in Forza Italia come attivista da quando avevo 19 anni. Ho volantinato e montato gazebi per passione, conosco bene la politica di base, cosa vuol dire faticare. Dopo la laurea ho lavorato alla Beiersdorf, la società che fra l’altro produce la Nivea, e alla Giochi Preziosi, da cui adesso ho l’aspettativa. Sono stata assistente di Maria Stella Gelmini. E quando lei è diventata coordinatrice lombarda del partito, ho diretto i giovani della regione». 

 Quanto prendeva alla Giochi Preziosi? «Mille e 300 euro al mese».
 
 E adesso, da eurodeputata? «Cinquemila e 500». 

 Un bel salto. Cosa pensa del «cursus honorum»? Già i romani duemila anni fa avevano regole ferree per le carriere politiche: i consoli dovevano essere stati prima tribuni e questori. 
«Giusto. Ma è giusto anche che l’Europarlamento sia rappresentativo di tutte le età e professioni, oltre che di tutte le nazioni. Infatti, non sono l’unica ventenne. Anzi, c’è una danese più giovane di me. E poi, alle europee abbiamo dovuto conquistarci le preferenze una ad una in quattro regioni. Lì non ci sono liste bloccate con elezione garantita».

Cosa pensa del Rubygate?
«Assurdo».

Assurdo che un 74enne paghi per avere a cena delle ventenni?
«Non credo che il presidente abbia pagato nessuno. Ma colpevolizzo più le donne, che ci sono andate per libera scelta».

E Berlusconi?
«Ognuno è libero di comportarsi come crede, nella vita privata».

Ma se suo padre o suo nonno si comportasse così, cosa gli direbbe?
«Di trovarsi una donna fissa che gli vuole veramente bene». E quella gemella che frequentava Arcore avendo un fidanzato indagato per camorra? «Appunto. Berlusconi deve circondarsi di persone che conosce, e di cui possa fidarsi». Cioè il contrario delle ragazze di via Olgettina. «Sì. Però trovo assurdi anche i cortei che strumentalizzano la dignità delle donne. Quella non si conquista urlando per strada, ma portando a casa più ruoli e posti nelle aziende e nelle istituzioni». Mauro Suttora

Wednesday, December 22, 2010

La guerra mondiale di Wikileaks

Ecco perché i corsari informatici sono forti e imprendibili

di Mauro Suttora

Oggi, 15 dicembre

È scoppiata la terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorti? Da quando, il 28 novembre, Wikileaks ha cominciato a svelare i 251 mila cablogrammi segreti inviati negli ultimi anni dai diplomatici degli Stati Uniti in tutto il mondo, ogni giorno scoppia un putiferio. Perché, molto furbamente, i seguaci di Julian Assange hanno deciso di centellinare le rivelazioni. L’ultima, che ha provocato grande costernazione in Vaticano, riguarda il segretario di Stato Tarcisio Bertone, numero due del Papa, definito «inadeguato» dai diplomatici americani. Ma molti altri imbarazzanti segreti verranno alla luce nelle prossime settimane: basti dire che finora sono stati pubblicati appena 1.340 documenti sul quarto di milione in possesso dei pirati informatici.

“Pericolosi come Osama”

Ma come funziona Wikileaks? E chi c’è dietro a questi «guerrieri della trasparenza» che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito «pericolosi quanto Osama Bin Laden»? Diciamo subito che, proprio come Al Qaeda, la struttura di Wikileaks è decentrata. Si illudono, quindi, coloro che pensano di bloccarla incarcerando il capo, Assange, o chiudendo fisicamente i computer. I due server ospitati a Stoccolma nel bunker antiatomico della società Prq, infatti, sono solo una goccia nel mare di internet.

Qualche nostro tg li ha mostrati, spacciandoli per il «cervello» di Wikileaks. Ma è solo sensazionalismo. Quella stessa società, infatti, ospita altri 8mila server. E Wikileaks può contare su centinaia di «siti-specchio» che entrano automaticamente in funzione appena ne viene disattivato uno. Lo stesso Assange ha avvertito: «Altre centinaia di militanti, oltre a me, posseggono l’intero file di 251 mila documenti, e lo rilasceranno se dovesse capitarmi qualcosa».

“Contenuto esplosivo“

Ma qual è il vero valore di questi documenti segreti? È vero che riscrivono la storia contemporanea, o sono soltanto una rimasticazione di articoli di giornale copiati da pigri incaricati di affari nelle ambasciate? In alcuni casi il contenuto è esplosivo, e quindi e' giusto il paragone con una guerra mondiale. Non però la terza: quella è già stata vinta dall’Occidente contro il comunismo nel 1989. E neanche la quarta, cominciata nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle da parte dei fanatici islamici, e ancora in corso. È la quinta o sesta, assieme all’altro grande conflitto dei nostri giorni: quello fra mondo libero e Cina.

Però i ragazzi di Wikileaks sono occidentali, quindi la definirei una guerra civile, anche se nonviolenta. È un conflitto interno alle democrazie, fra chi pensa che anche i nostri stati debbano conservare segreti, e chi invece vuole esporre tutto.

Non dimentichiamo però che fra i fondatori di Wikileaks, nell’ottobre 2006, ci sono anche importanti dissidenti cinesi: Wang Dan, leader degli studenti di Pechino massacrati in piazza Tian an men nell’89, e Xiao Qiang. Inizialmente, quindi, l’intento di Assange e soci era quello di smascherare i segreti di tutti i governi. Ed è ovvio che le dittature ne hanno molti di più, e più sanguinosi, dei regimi democratici.

Perché, allora, quasi tutte le rivelazioni finora riguardano gli Stati Uniti? Prima ci fu il filmato in cui si vedono le truppe Nato uccidere un giornalista in Afghanistan. Poi, l’estate scorsa, i documenti del Pentagono con l’ammissione ufficiale di avere ammazzato 60 mila civili innocenti nella guerra d’Iraq. E se dietro Wikileaks ci fosse la Cina o la Russia, o qualche altro avversario degli Usa?

Non credo che gli hackers di Wikileaks siano manipolati. Politicamente sono anarchici che si battono contro il potere a 360 gradi. Hanno già preannunciato rivelazioni sulle grandi banche. E se avessero documenti segreti cinesi sulla repressione in Tibet o contro Falun Gong, non esiterebbero a divulgarli. Il problema è che finora non c’è stato nessun funzionario pentito di Pechino che gliel’ha passati.

Sì, perché in realtà Wikileaks non ha mai rubato alcun documento. Si limita, come da statuto, a pubblicare, dopo averli verificati, quelli in arrivo (gratis) da persone che per un qualsiasi motivo decidono di tradire il vincolo di segretezza che li lega all’organizzazione per cui lavorano. Quindi, il vero colpevole dell’attuale terremoto è il soldato americano 22enne che ha passato i files ad Assange, e che è in carcere per spionaggio.

Giuridicamente, Wikileaks è colpevole di un unico reato: ricettazione. Magari di ricettazione attiva, o di istigazione al furto e allo spionaggio, perché invita pubblicamente i dipendenti pentiti a rivelare le magagne della propria azienda, o ministero. E si può immaginare quanti siano coloro disposti a farlo, magari per vendicarsi di essere stati licenziati, o frustrati per una mancata promozione o aumento di stipendio... E sapere che c’è lì Wikileaks pronta a fare giustizia rappresenta un incentivo formidabile.

Coinvolgere i principali giornali mondiali è stata la mossa più intelligente di Assange. Li ha coinvolti - ed è preoccupante che ce ne sia uno spagnolo, El Pais, ma nessuno italiano - ottenendo così una patente di veridicità che non avrebbe avuto da solo. Li ha anche messi uno contro l’altro, suddividendo equamente il materiale. Cosicché, per la legge della concorrenza, nessuno si è sognato di censurare parzialmente o di non pubblicare: lo avrebbe fatto qualcun altro.

Il direttore del New York Times Bill Keller ha fatto vedere i documenti al governo Usa prima di pubblicarli, e ha cancellato alcuni nomi. Il NY Times è il più esposto, perché è l’unico giornale americano. Ma, a proposito di mandanti, non mi meraviglierei se dietro alla fuga di notizie più imponente della storia ci fosse qualche repubblicano che vuole danneggiare il presidente Obama e Hillary Clinton.

Mauro Suttora

Wednesday, December 08, 2010

Berlusconi troppo amico di Putin

IL MEGLIO E IL PEGGIO DI WIKILEAKS

Rivelazioni: un sito pubblica 250 mila documenti segreti dei diplomatici Usa

Gli Stati Uniti criticano il nostro premier per i rapporti con Russia e Gheddafi, le feste sfrenate e la vanità: «Che dorma di più»

di Mauro Suttora

Oggi, 8 dicembre 2010

«Silvio Berlusconi è fisicamente e politicamente d debole. Inetto, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Perché? «Le sue frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party selvaggi significano che non riposa a sufficienza». Insomma, secondo l'incaricata d'affari americana a Roma Elisabeth Dibble il nostro nostro premier dovrebbe dormire di più. È questa la rivelazione più imbarazzante per l'Italia contenuta nei 250 mila rapporti segreti dei diplomatici statunitensi resi pubblici dal sito Wikileaks.

La Dibble ha retto l'ambasciata Usa in Italia per quasi due anni, nel lungo interregno fra l'ambasciatore di George Bush e l'attuale, David Thorne, nominato dal presidente Barack Obama nel giugno 2009. Diplomatica di carriera, è stata richiamata a Washington pochi mesi fa. E questo salva dal disagio lei e il governo americano per quei suoi giudizi su Berlusconi. oscuro intermediario Washington è preoccupata anche per il rapporto «straordinariamente stretto» fra il nostro premier e quello russo Vladimir Putin, con «regali generosi» e contratti energetici redditizi: Berlusconi «sembra essere il portavoce di Putin» in Europa. E c'è un «oscuro intermediario italiano che parla russo»: probabilmente il per nulla oscuro Valentino Valentini, 48 anni, l'ex interprete simultaneo dell'Europarlamento che ha organizzato tutti i contatti fra Berlusconi e la Russia, e che è diventato deputato nel 2008.

Gli Stati Uniti sanno bene che la politica russa è nelle mani di Putin (soprannominato nei rapporti «maschio alfa, lupo capobranco, Batman ») e non in quelle del presidente Dimitri Medvedev («Robin»). Putin è giudicato un politico autoritario, il cui stile maschilista gli consente di intendersi con Berlusconi. Gli Usa sono preoccupati per l'intesa Eni-Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue in alternativa al Nabucco che taglia fuori Mosca.

Berlusconi si può però consolare leggendo i giudizi sferzanti dei diplomatici americani su altri presidenti. L'argentina Cristina Kirchner, per esempio, desta tali sospetti a Washington che la Segreteria di stato (guidata da Hillary Clinton) arriva a «chiedere informazioni sul suo stato di salute mentale». La tedesca Angela Merkel «evita i rischi ed è raramente creativa».

Frattini contro Turchia

Tra le rivelazioni c' è un telegramma inviato da Roma lo scorso 8 febbraio, dopo un incontro del nostro ministro degli Esteri Franco Frattini con il segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates. Frattini «ha espresso particolare frustrazione per il doppio gioco di espansione verso l' Europa e l' Iran da parte della Turchia». La «sfida, secondo Frattini, è portare la Cina al tavolo» dei colloqui sulla questione iraniana. Cina e India secondo Frattini sono «Paesi critici per adottare misure» contro «il governo iraniano senza ferire la popolazione ».

Il problema dell'Italia, come rivela un altro telex dell' ambasciata del 22 gennaio 2010, è che l'Eni ha molti interessi in Iran, ai quali non intende rinunciare: ha investito nel Paese degli ayatollah tre miliardi di dollari, e finora ne ha recuperati solo la metà sotto forma di petrolio e gas. Il resto lo incasserà entro il 2013, ma fino ad allora l'Italia non vuole/non può aderire all'embargo completo contro l'Iran.

La rivelazione più imbarazzante per gli Stati Uniti è quella sull'ordine ai propri diplomatici di spiare i colleghi all'Onu. L'operazione nei confronti delle Nazioni Unite avrebbe riguardato non solo il segretario generale coreano Ban Ki Moon, ma anche i membri permanenti cinese, russo, francese e inglese del Consiglio di sicurezza. Nel 2009, sotto il nome di Hillary Clinton, sarebbe stata inviata ai diplomatici americani una direttiva - a metà tra diplomazia e spionaggio - in cui si chiedevano dati tecnici e password sui sistemi di comunicazione usati dai funzionari Onu, dettagliate informazioni biometriche su uomini chiave come sottosegretari o capi di agenzie speciali, oltre a numeri di carte di credito, indirizzi email e numeri di telefono.

Mandela: "Bush razzista"

I file contengono anche critiche mosse dai diplomatici statunitensi a Nelson Mandela e Hamid Karzai. Il presidente sudafricano sarebbe finito nel mirino dei diplomatici per il suo scontro con George Bush quando questi decise di invadere l'Iraq. Mandela lo accusò di essere razzista, dichiarando che il presidente Usa aveva ignorato le richieste delle Nazioni Unite perché il suo segretario generale all'epoca, Kofi Annan, era nero. Mandela all'epoca aveva anche attaccato l'allora premier britannico Tony Blair, definendolo «il ministro degli Esteri degli Usa».

Per quanto riguarda la Corea, gli Stati Uniti hanno discusso con i funzionari di Seul la possibilità di una Corea unificata, nel caso la Corea del Nord dovesse «implodere» per i suoi problemi economici e per problemi di transizione del leader. Le discussioni segrete si sarebbero estese a come convincere la Cina ad accettare la situazione di una Corea unificata.

Vicepresidente corrotto

Con Ahmed Wali Karzai, il fratellastro del presidente afgano, «dobbiamo avere a che fare in quanto numero uno del Provincial Council. Ma è sottointeso che è uno corrotto e un trafficante di stupefacenti». Questa la descrizione di Ahmed Wali Karzai fornita dai diplomatici americani secondo Wikileaks. «Sembra non capire il livello di conoscenza che abbiamo delle sue attività. Dobbiamo monitorarlo attentamente, inviandogli un messaggio chiaro».

Quando lo scorso anno il vice presidente dell' Afghanistan Ahmed Zia Massoud visitò gli Emirati Arabi Uni ti le autorità locali, in collaborazione con la Dea (Drug enforcement administration) americana, avevano scoperto che trasportava con sé 52 milioni di dollari in contanti. L'ambasciata americana di Kabul inviò a Washington un documento con il quale specificò che si trattava di una «somma significativa », e che Massoud «aveva il diritto di averla con sé e di non rivelare l'origine e la destinazione del denaro». Massoud ha negato di aver portato denaro fuori dall'Afghanistan.

Guantanamo

Un file racconta le conversazioni dei diplomatici sui tentativi degli Usa di convincere i governi di alcuni Paesi ad ospitare detenuti islamici di Guantanamo. Alla Slovenia è stato chiesto di accettare un prigioniero in cambio di un incontro diretto del loro presidente con Barack Obama (capirai che onore). Alle isole Kiribati nell'Oceano Pacifico sono stati offerti milioni di dollari per accettare un gruppo di detenuti. Al Belgio si suggerisce che accettare prigionieri garantirebbe «visibilità» in Europa.

L'infermiera ucraina

Con Muammar Gheddafi, come sempre, si scivola nel grottesco. Di rado si muove senza la sua «infermiera ucraina», una «voluttuosa bionda». Così i diplomatici americani descrivono il dittatore libico, che sarebbe stato infastidito da come venne ricevuto a New York per l'assemblea generale dell'Onu lo scorso anno. L'ambasciatore americano a Tripoli racconta che «Gheddafi usa il botox ed è un vero ipocondriaco: fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli dopo con i suoi dottori».

Mauro Suttora

Wednesday, February 18, 2009

Chantal Sciuto

Lady Frattini lasciata dal ministro degli Esteri

Oggi, 11 febbraio 2009

di Mauro Suttora

Che sfortuna essere nata il 4 novembre. Aveva organizzato da mesi la propria festa di compleanno, Chantal Sciuto. La sera più importante della sua vita: perché compiva 40 anni, cifra tonda, e perché da sei mesi era la fidanzata (prima segreta, poi ufficiale con tanto di comunicato a mezzo stampa) del ministro degli Esteri Franco Frattini. Peccato non si fosse accorta che era anche la data delle elezioni presidenziali Usa, avvenimento storico per la probabile vittoria di Barack Obama.

Così quella sera il capo della diplomazia italiana, invece di presenziare a uno dei party d’alto livello programmati a Roma, o di prepararsi a commentare l’evento in uno studio tv, ha dovuto partecipare alla festa della bella dermatologa. Lei, come da copione, gli ha presentato i genitori arrivati apposta dalla Sicilia. Lui, dopo averle regalato un anello, si è persino fatto fotografare per un giornale a cui lei aveva assicurato l’esclusiva e gli è toccato sorridere a molti amici di lei, tra cui personaggi della «Roma godona» fra spettacolo e tv, come attricette e tronisti, gente lontanissima dall’aplomb della diplomazia. Ma è riuscito a eclissarsi quasi subito, prima di mezzanotte.

«Lo soffocava», sibila un ambasciatore che lavora nel bianco palazzo della Farnesina, già lambito dagli scandali rosa tre anni fa per gli appuntamenti galanti di Salvo Sottile, addetto stampa dell’allora ministro Gianfranco Fini.

In effetti, i caratteri di Chantal (soprannominata Chantal n°5 dagli amici) e dell’algido Franco sono agli antipodi. Ma in amore gli opposti si attraggono, e Frattini sembrava aver perso la testa per la dottoressa dei vip. Tanto da portarla con sé all’austero convegno Ambrosetti di Cernobbio, al vertice Ue di Avignone, e perfino all’Assemblea generale dell’Onu a New York.

Il modello della Sciuto era Carla Bruni Sarkozy. Dimenticando però che l’ex top model, prima di conquistare il presidente francese, esibiva già un carniere pieno di conquiste importanti: da Donald Trump a Mick Jagger, da Eric Clapton al genero filosofo di Bernard-Henri Lévy.

Chantal invece, Venere in miniatura dagli occhioni smeraldo, movenze da gatta e vocina sexy, prima di Frattini vantava un fidanzamento con Paolo Calissano, l’attore finito nei guai per cocaina e la morte di una ragazza nella sua casa di Genova, e amicizie con il conduttore Michele Cucuzza e gli attori Enrico Mutti e Antonio Cupo. I suoi amori però non arrivano mai all’happy end. Avrà un caratterino difficile? Cucuzza ha sempre smentito il flirt ed è rimasto in buoni rapporti con lei.

Con Calissano invece fu gelo totale, anche perché Chantal confessò (con quella sincerità disarmante che l’ha portata ad annunciare via comunicato stampa il fidanzamento con Frattini) di essere rimasta incinta di lui, ma di avere abortito spontaneamente. Calissano motivò la propria discesa nella droga anche per quell’episodio. Poi però l’attore ha precisato: «Chantal è fantastica, una persona speciale. Una delle donne più solari, dinamiche e intelligenti che abbia mai conosciuto. Forse non avevo capito la fortuna che mi era capitata».

Neanche Frattini l’ha capita, e l’ha scaricata da un giorno all’altro («Senza preavviso, fino a una settimana prima tutto sembrava filare per il meglio», dicono gli amici di lei) e, si dice, con un sms. Frattini ha addirittura scomodato l’ufficio stampa del ministero per smentire, ma una conoscente sussurra: «Sms? No, molto peggio».

Oddio, e che c’è di peggio di un messaggino per dire addio? In che modo è stata tradita l’eleganza dei modi che anche gli avversari politici riconoscono a Frattini? Nessuno sembra saperlo con certezza, anche perché Chantal, distrutta, per la prima volta in vita sua si è rifugiata nel silenzio. Ha lavorato un po’ al Villa Borghese Institute, la clinica della bellezza dei proprietari delle acque Rocchetta e Uliveto dove esercita come dermatologa. Poi è scomparsa qualche giorno.

Niente più aperitivi in piazza San Lorenzo in Lucina con l’amico Sandro Rubini, arrampicata sulle sue scarpe preferite (Caovilla tacco 12). Niente più vita sociale instancabile, dai 40 anni dell’amica del cuore Ramona Badescu alle prime con Nancy Dell’Olio (ex dell’allenatore Eriksson), fino alle feste dello sceicco arabo Rashid Al Habtoor (ex di Manuela Arcuri e Naomi Campbell).

DOMINATRICE SADOMASO

In questi giorni nel generone romano non si parla d’altro. Alcuni dicono che Chantal non andasse d’accordo con la figlia diciottenne di Frattini: il padre aveva cercato di farle diventare amiche, le portava a pranzo insieme la domenica. Altri parlano di presa coscienza di una insuperabile incompatibilità di carattere.

Forse la verità è da ricercare nella smania di apparire di Chantal. Dava interviste corredate da foto da dominatrice sadomaso con frustino da cavallerizza in pugno, si faceva paparazzare assieme a lui con perizoma in bella vista, andava in Tv a farsi pubblicità («Conflitto d’interessi», ha tuonato il deputato del Pd Roberto Giachetti). Forse un po’ troppo per l’austero Frattini, soprannominato «frigorifero».
Mauro Suttora