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Wednesday, May 19, 2021

I due ultranovantenni del Mondo

Il racconto di Angiolo Bandinelli, le foto di Paolo Di Paolo

di Mauro Suttora

HuffPost, 19 maggio 2021


Angiolo Bandinelli ha 94 anni. Partigiano a Roma, iscritto al partito d’azione, poi fondatore di quello radicale con Marco Pannella. Segretario del partito ai tempi pioneristici, mezzo secolo fa, fra marce antimilitariste, caso Braibanti (l’omosessuale accusato di plagio), divorzio e obiezione di coscienza alla naja. 

Infine deputato nel 1986, ma soltanto per un anno e soltanto perché Spadaccia “ruotò” in suo favore (mica come i grillini che frignano perché devono abbandonare le poltrone dopo dieci anni: gli eletti radicali lasciavano il seggio a metà legislatura, dopo appena due anni e mezzo).

In realtà il suo gesto più memorabile, in politica, fu offrire uno spinello, lui consigliere comunale, al sindaco di Roma nel 1979: il popolarissimo comunista Petroselli, che lo amava anche fra gli insulti.

Ammiro Bandinelli da 40 anni, da quando lo vedevo tirare la volata al pupillo Rutelli nei congressi radicali, perché fu giornalista del leggendario settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. Scrisse una cinquantina di articoli su quella bibbia dei liberali di sinistra, che si spense con il suo fondatore nel 1968 (data non casuale).

Ora il ragazzo Bandinelli ha pubblicato una bellissimo racconto: La Perla (edizioni Galaad). Lui è un poligrafo voltairiano, gli piace il passo breve, quindi scrivere articoli sul Foglio e libretti Millelire per Stampa alternativa di Marcello Baraghini, altro nume della controcultura.

Sottotitolo di La Perla: “Favola senechiana”. Perché?, gli chiedo per e-mail (basta telefonate, è sordo). “Perché è piena di morti, come nelle tragedie di Seneca”, mi risponde dalla sua bella casa romana al parco Nemorense.

Ha litigato con tutti, sia i radicali di destra (il partito che ora raccoglie firme con i leghisti per separare i procuratori dell’accusa dai giudici) che quelli di sinistra (Bonino, +Europa). Tratta male anche me: “Non capisci un c. di politica, come tutti i milanesi”. Per questo lo amo.

Paolo Di Paolo ha 96 anni, due più di Bandinelli. È stato il fotografo storico del Mondo, paginate in bianco e nero che spiegavano tutto da sole. Chiuso il settimanale, nell’ultimo mezzo secolo non ha più voluto lavorare.  È venuto a Milano per inaugurare una mostra di sue foto organizzata dalla figlia alla galleria Sozzani di Corso Como 10 a Milano: La lunga strada di sabbia, aperta fino a fine agosto.

Sono le immagini che illustrarono un reportage di Pier Paolo Pasolini del 1959 sulla rivista Successo. Viaggio geniale sulle coste della penisola da Ventimiglia a Muggia (Trieste), nell’Italia del boom. Non so se sono più belle le foto o il testo, raccolto in libro da Guanda. Ma sicuramente le parole scritte di Pasolini guadagnarono dalle immagini di Di Paolo, e viceversa. 

Ho incrociato da poco l’inchiesta pasoliniana scrivendo il mio libro ‘Confini, storia e segreti delle nostre frontiere’. Folgorante la descrizione dell’unica turista che i due scovarono a prendere il sole sulla spiaggia a Ventimiglia: “Una giovincella olandese, bella come un cipressetto”. La foto di Di Paolo vidima il giudizio di Pasolini.

Mauro Suttora

 

Wednesday, April 03, 2013

Mennea


Oggi, 27 marzo 2013

Chi non è stato un ragazzo del Sud negli anni Sessanta o Settanta non può capire. Non potrà mai capire cos’ha significato Pietro Mennea assieme a pochi altri personaggi suoi coetanei (il calciatore della Juventus Franco Causio, i cantanti Al Bano e Mino Reitano) e a poche altre imprese (l’Alfasud, Termini Imerese, la Siv e la Fiat di Termoli, l'industria delle scarpe di Barletta) per la grande speranza che avvolgeva quegli anni.

Un profumo di riscatto per tutto il Meridione, svanito nei decenni successivi. Tranne forse che nella Puglia di Pietro, meno zavorrata da mafia, camorra
e ’ndrangheta, e anzi diventata internazionalmente attraente grazie a masserie e tarante.

'Il ragazzo che sorride' era il titolo di una bellissima canzone di Al Bano. Mennea sorrideva, sì, ma più che altro digrignava i denti. Onestamente, non era simpatico. «De mortuis nisi bene», dei morti non si parla che bene. Però la grande qualità di Pietro era un’altra: la volontà. Un pugliese con la disciplina di un tedesco. E la voglia di emergere di un americano.

Due ragazzi guardano la villa di un ricco su una collina. L’europeo dice: «Ora vado e la brucio». L’americano dice: «Un giorno riuscirò a diventare così ricco che mela comprerò». Mennea apparteneva a questa seconda categoria. Non il meridionale piagnone, rivendicativo, vittimista. Ma quello che si allenava 350 giorni l’anno, che si aiutava perché sapeva che il cielo non lo aiutava.

Nessun atleta al mondo si allena 350 giorni l’anno. Mennea sì, lo faceva, sotto il torchio del suo allenatore-aguzzino Carlo Vittori. Che oggi, sopravvissutogli a 82 anni, lo ricorda così: «Impegno e testardaggine».

Il suo record del mondo sui 200 metri ha resistito 17 anni. Diciannove secondi e 72 centesimi. Quando il tempo apparve sullo schermo di Città del Messico, nel 1979, era così incredibile che qualcuno non capì: «Si sono sbagliati di anno, c’è scritto 1972».

Ancora oggi, un terzo di secolo dopo, Mennea è l’uomo più veloce d’Europa sui 200 metri e d’Italia sui 100. Il francese Christophe Lemaitre è riuscito a superarlo come bianco europeo più veloce sui 100, ma solo nel 2011.

Il suo carniere olimpico non è strabiliante, considerando che ha partecipato a ben cinque edizioni dal 1972 all’88: un oro (Mosca 1980, dove non correvano gli statunitensi per il boicottaggio contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan) e due bronzi. Resta ancora inspiegabile la débacle del 1976, quando a Montreal non voleva neanche andare.

In tv era famoso perché parlava di sè in terza persona. Finita la carriera sportiva si è dato all’avvocatura e alla politica. Nel 1999 è stato eletto al Parlamento europeo con l’Asinello: un’alleanza fra Antonio Di Pietro, Romano Prodi e Francesco Rutelli. Poi ha litigato, come tutti, con Di Pietro. E ha subìto due sconfitte che non gli sono andate giù: mancato sindaco della sua Barletta con Forza Italia nel 2002, e due anni dopo niente conferma all’Europarlamento con i repubblicani-liberal di Vittorio Sgarbi. Si chiamerà Mennea il primo treno Frecciarossa che nel 2014 supererà i 400 km all’ora.
Mauro Suttora

Wednesday, January 25, 2012

Capodanno alle Maldive

I POLITICI POSSONO ANDARE IN VACANZA DOVE VOGLIONO. MA SE SCELGONO LE MALDIVE PROPRIO ADESSO, NON SONO BUONI POLITICI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 gennaio 2012

Ma si rendono conto che il clima è cambiato? I nostri politici di professione svacanzano alle Maldive per Capodanno in suites da migliaia di euro al giorno, e si scandalizzano per lo scandalo: «Che c'è di strano, era l'anniversario di matrimonio, era il sessantesimo compleanno, avevamo lavorato tanto, abbiamo pagato tutto...»

Naturalmente. Nessun reato. Avevano tutto il diritto di andare dove volevano. Ma proprio in questo momento, dovevano andare in uno dei posti più lussuosi della Terra? Ora che scattano i sacrifici da loro causati e imposti: benzina alle stelle, addizionali Irpef, pensionati non più protetti dall'inflazione?

La nostra copertina della settimana scorsa ha fatto il giro del mondo. Il quotidiano spagnolo Abc ha ripubblicato le foto di Schifani, Rutelli, Casini e Fini negli atolli, mentre agli italiani tocca «ajustarse el cinturòn», stringere la cinghia. I tedeschi hanno fatto il paragone con la loro cancelliera Angela Merkel, che per Natale si è accontentata di un'austera pensione a tre stelle a Pontresina (Svizzera). E noi abbiamo fotografato il sindaco di Londra Boris Johnson, venuto in ferie pure lui senza scorta in un tre stelle nella nostra Champoluc (Aosta): auto a noleggio, in fila allo skilift.

Anche in Italia c'è chi ha capito. A cominciare da Mario Monti, Capodanno a Roma con figli e nipotini. «Ma a palazzo Chigi!», ha tuonato Roberto Calderoli, immaginando chef e camerieri in livrea. Invece nell'alloggio di servizio a cucinare il cotechino e a servire a tavola c'erano solo la signora Monti e sua sorella. Povero Calderoli: ora è indagato lui per truffa perché si è scoperto che da ministro usò un aereo di Stato per andare a Cuneo a trovare il figlio della compagna. Danno erariale: 10 mila euro.

La musica è cambiata per i nuovi ministri e sottosegretari. Carlo Malinconico non ha fatto neppure in tempo ad ambientarsi, che ha dovuto dimettersi per avere accettato in passato soggiorni gratis all'hotel Pellicano di Porto Ercole (Grosseto) da un esponente della «Cricca». Filippo Patroni Griffi è indagato per un appartamento di 100 metri quadri dietro al Colosseo comprato dall'Inps per soli 170 mila euro. Profilo basso anche per Corrado Passera: non più villona sull'Appia o casa da 11 mila euro al mese d'affitto in via Madonnina a Milano per la nuova moglie; con lei si è appena trasferito in un anonimo appartamento ai Parioli.

Un nuovo rigore, contraddetto però dalla vecchia classe politica che non vuole sentir parlare di tagli ai propri stipendi o pensioni d’oro. L’abolizione delle Province? Contestata. Maria Elisabetta Casellati, non più sottosegretario, a Cortina continua a esibire la scorta. Il presidente della provincia di Bolzano guadagna più del presidente Usa Barack Obama (25 mila euro al mese), il suo vice più di quello francese Nicolas Sarkozy, il capo della provincia di Trento prende 2 mila euro al mese più della Merkel.

«Non ho niente contro la ricchezza», ci dice la commentatrice Marina Terragni, «chi ha guadagnato soldi onestamente ha il diritto di spenderli. Ma se un politico di carriera in questo particolare momento non capisce che farsi fotografare ai tropici a Capodanno è disastroso, non è un bravo politico. Non è sintonizzato con lo spirito del tempo. Oltretutto è una scelta tragicomica, da cinepanettone, quella delle Maldive. Lo sanno che lì ci sono i paparazzi. Cosa gli costava andarsene in Maremma - perchè di solito i politici a Roma lì hanno la villa - e starsene tranquilli? Avrebbero anche evitato lo choc da fuso orario, perché a una certa età non è che certi sbalzi caldo/freddo facciano benissimo... Consiglio l'Italia, la prossima volta. Il nostro è il Paese più bello del mondo. E in più non si rischia di fare una brutta fine, alle prossime elezioni». Ovvero: se non per sobrietà, contenetevi almeno per furbizia.

Più perfida Ambra Angiolini, «Casta diva» tv, che a Piazza pulita su La Sette ha commentato: «Non si può più nemmeno fuggire nell’oceano Indiano, che si incappa nella trippetta flaccida di Schifani».

C'è cascato anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, nella trappola intercontinentale da 800 euro a notte: fotografato in un resort thailandese. Uno dei pochi politici di nome che ha dribblato sapientemente il problema è stato Pierluigi Bersani: Capodanno a Bettola (Piacenza), dai suoceri.

Insomma, a ben cinque anni dalla pubblicazione del libro La Casta, che ha svelato i privilegi dei 100 mila politici italiani a tempo pieno, poco è cambiato. Tante promesse e annunci, ma quasi nessun risparmio effettivo. Anche dopo il taglio del 10 per cento a tutti gli stipendi d’oro pubblici, uno stenografo al Senato continua a guadagnare 260 mila euro l’anno: il doppio del vicepresidente degli Stati Uniti. E un barbiere 130 mila. Totale per il Parlamento: un miliardo e mezzo l’anno. Gli sprechi continuano, e anche le ostentazioni.
Mauro Suttora

Thursday, April 08, 2010

Rutelli andrà con Berlusconi?

Dopo il flop della sua Api potrebbe finire in braccio al premier

di Mauro Suttora

Libero, 8 aprile 2010

«Ah Berlusco’... Perché ce l’hai co’ mme? Io sto a lavora’ pe’ te! Ricordati deji amici! Di chi t’ha voluto bene!» Così Francesco Rutelli implorava Silvio Berlusconi nove anni fa, nell’indimenticabile satira di Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano. L’avversario del Cavaliere alle politiche 2001, mandato allo sbaraglio in elezioni già perse, sembrava intento più a ingraziarselo che a combatterlo.

Oggi quella che sembrava soltanto una fantasia comica sta per diventare realtà: Rutelli finirà con Berlusconi. La sua Api (Alleanza per l’Italia), fondata pochi mesi fa, ha infatti ottenuto risultati deludenti al voto del 28 marzo. È riuscita a presentarsi in sole quattro regioni, raccattando il due per cento in Calabria e nelle Marche, il tre in Campania e il quattro in Basilicata, grazie a qualche capataz locale.
È vero, ha trionfato a San Nicola da Crisse (Vibo Valentia) con il 42%, e a Marcianise (Caserta) con il 23. Ma forse di queste percentuali c’è più da preoccuparsi che da rallegrarsi. In tutto il nord Api continua a voler dire solo Associazione piccole imprese. E nel resto d’Italia è una catena di pompe di benzina.

Così fra poco Rutelli compirà l’ottavo giro di valzer della sua carriera politica. Ricapitoliamo. Per quasi vent’anni radicale. Poi è cominciato il pellegrinaggio: verdi, Centocittà (movimento sindaci), Asinello con Prodi e Di Pietro, Margherita, Pd. Infine l’Api: doveva essere la grande scissione a destra del Pd, e invece quasi nessuno dei suoi lo ha seguito. Gentiloni, Realacci, Zanda e Giachetti sono rimasti con gli ex comunisti; Carra, Lusetti e la Binetti si sono rifugiati nell’Udc.

Ora mancano tre anni al prossimo contatto con la realtà (le elezioni), momento sempre più spiacevole per il bel Francesco. Quindi c’è tutto il tempo per «riposizionarsi» senza dare troppo nell’occhio. In fondo, se l’ex capo di uno schieramento passa dalla parte opposta, sarebbe come se Bush diventasse democratico, o Berlusconi socialista. Uno scandalo. Ma per Rutelli nulla è impossibile.

Ha già cominciato Francesco Carducci Artenisio, 47 anni, fedelissimo del Piacione quand’era sindaco di Roma: si è fatto eleggere consigliere regionale del Lazio nel listino personale di Renata Polverini. La quale potrebbe nominarlo assessore alla Cultura, così come Rutelli quand’era ministro dei Beni culturali lo fece amministratore delegato della società Cinecittà Holding (gran posto di potere nel superassistito cinema italiano).

Entro la fine dell’anno Pierferdinando Casini dovrebbe sciogliere la sua Udc e far nascere un non meglio precisato Pdn (Partito della nazione). Tramontato il sogno centrista di un rapido tramonto di Berlusconi, è svanito anche l’asse Casini-Fini-Montezemolo su cui Rutelli puntava. Non gli resta che accomodarsi nella «nuova» formazione centrista, contrattando buone posizioni per se e i pezzi di classe politica in cerca di ricollocazione che si porta appresso.

A quel punto, se Berlusconi com’è del tutto probabile nel 2011 sarà ancora saldamente al potere, attraverso Carducci le doti rabdomantiche di Rutelli potrebbero spingersi fino al Pdl. Come? L’ex compagno di lotte di Emma Bonino si farà portare fra le braccia del Cavaliere da colei che l’ha sconfitta: la Polverini. Per lo meno questo è il disegno della neogovernatrice del Lazio, secondo un articolo pubblicato ieri dal quotidiano Italia Oggi. Fantascienza? Figuriamoci: l’anno prossimo l’Italia festeggia i 150 anni. Ma il trasformismo dei suoi politici, dal «connubio» di Cavour a Depretis, ha più o meno la stessa età.

Wednesday, October 28, 2009

Francesco Rutelli lascia anche il Pd

L'UOMO CHE CAMBIO' SETTE CASACCHE

di Mauro Suttora

Libero, 28 ottobre 2009

«Inizieremo un tragitto differente, unendo persone diverse con culture diverse».
Indovinello: quand’è che Francesco Rutelli ha pronunciato per la prima volta queste parole?
Nel 1989, quando lasciò Pannella per i verdi dopo quindici anni di militanza radicale? O nel ’98, quando da sindaco di Roma mollò i verdi per consorziarsi con altri primi cittadini eccellenti (Cacciari, già allora sindaco di Venezia, Enzo Bianco di Catania, Fistarol da Belluno), per fondare il movimento Centocittà? «Centopadelle», li ribattezzò sarcastico Giuliano Amato. I sindaci non resistettero allo scherzo, e dopo tre mesi Centocittà era già sciolto. Rutelli può quindi vantarsi di avere inventato il partito dalla vita più corta nella storia d’Italia (forse del mondo).

Subito dopo, con un guizzo si mise con Di Pietro e Prodi nell’Asinello. I «democratici» resistettero un po’ più a lungo, e nel 2002 ecco la quarta giravolta di Francesco: assieme ai democristiani nella Margherita. Infine, confluenza nel Pd due anni fa.

Bisogna essere forti in matematica: quella annunciata con Casini sarà la settima casacca indossata da Rutelli nei suoi ultimi vent’anni di vita politica (e lui ne ha «solo» 55). Con una costante: «Unire persone diverse, con culture diverse». Lo ha ripetuto anche ieri a Milano. Il cambiamento come virtù. Unica coerenza: quella dell’incoerenza. Mischiare le carte, sempre.

Un voltagabbana, come tanti politici di professione? Ma no. Non bisogna essere ingenerosi con Francesco. Lui si trova infatti in competizione con Mastella per quantità di trasfigurazioni: antimilitarista e ora capo dei servizi segreti (anche militari), anticlericale e poi baciapile con replay di matrimonio in chiesa, anticomunista libertario ma poi alleato dei demoproletari, antisocialista («Auguro a Craxi di mangiare il suo prossimo rancio nel carcere di San Vittore») pentito dopo sei anni e una querela alla figlia Stefania che gli rispose «Stronzo».

Ma, a differenza del marito di Sandra Lonardo Mastella, il marito di Barbara Palombelli non ha mai surfato fra destra e sinistra. È sempre rimasto nel centrosinistra, non ha effettuato salti della quaglia. Insomma: trasformista sì, ma almeno all’interno dello stesso schieramento.

Con annessa una commendevole propensione al martirio: chi alle politiche del 2001 avrebbe osato opporsi a un Silvio Berlusconi trionfante, col vento in poppa dopo le vittorie alle europee del ’99 e alle regionali l’anno dopo? Rutelli accettò di fare il candidato a perdere, limitò i danni (solo due punti percentuali di differenza) e si «sacrificò» in attesa del successivo indennizzo: presidente della Margherita. Fu allora che perfezionò il suo secondo miracolo politico, dopo quello del maxiparcheggio sotto il Gianicolo per il Giubileo 2000: diventare, lui ex radicale, il capo dei democristiani. Alcuni dei quali, vittime palesi della sindrome di Stoccolma, continuano a seguirlo pure adesso: la vandeana Binetti, per esempio.

La capacità sopraffina di Rutelli è quella di riuscire a contare senza contare i propri voti. Che non esistono. Francesco infatti non ha una sua «costituency», come dicono i raffinati. Non ha una base di elettori: il suo è un voto totalmente di opinione. Armato solo del proprio disarmante sorriso e di un’affabilità seconda solo a quella di Bersani, pratica alla perfezione l’insegnamento del suo pigmalione Pannella: la strategia del cuculo. Si piazza nel nido degli altri. Da solo, non vale nulla. Però riesce a strappare il principale titolo di prima pagina al Corsera.

«Quante divisioni ha Rutelli?», chiederebbe Stalin. Nessuna. Da vent’anni galleggia e guida pezzetti di nomenclatura in cerca spasmodica di ricollocazione. Ma ormai Gentiloni e Realacci lo hanno mollato. Perfino il fedelissimo Giachetti tituba di fronte a un grigio destino Pierferdi. A Francesco resta solo Vernetti, un genio della politica.

Wednesday, July 15, 2009

Guido Bertolaso

SUPERGUIDO

Non solo Protezione civile: Bertolaso organizza tutti i grandi eventi, dal G8 ai Mondiali di nuoto, restaura monumenti, toglie la spazzatura, gestisce aree archeologiche, distribuisce indennizzi. In nome di un'eterna emergenza. Perché Berlusconi si fida solo di lui

di Mauro Suttora

Oggi, 8 luglio 2009

Una volta, disastri come quella di Viareggio venivano affrontate da prefetti e questori. Oggi arriva Bertolaso. Per i terremoti c’erano vigili del fuoco ed esercito. Ora c’è Bertolaso. Per ricostruire dopo i terremoti c’erano regioni e ministri dei Lavori pubblici. Adesso, Guido Bertolaso. E chi ha organizzato gli spettacolari funerali del Papa nel 2005? Sempre Bertolaso.

Bertolaso di qua, Bertolaso di là. “Ha 106 controfigure”, scherza Fiorello. Superbertolaso. L’eroe della spazzatura di Napoli e Sicilia. Il trionfatore della piena del Tevere: il sindaco di Roma Alemanno si affidò a lui lo scorso dicembre, e poi lo ha nominato commissario straordinario per tutte le zone archeologiche di Roma. Soprintendenti, addio.

L’apoteosi di Bertolaso si compie in questi giorni, con l’appalto totale del vertice G8 all’Aquila. Esautorato il ministero degli Esteri, è la Protezione civile a gestire tutto. Perfino l’ordine pubblico: polizia e carabinieri sono agli ordini di Bertolaso. «Coordinati», bisogna dire, per non irritare troppo i ministri dell’Interno e della Difesa ormai bypassati.
Ma chi è questo bell’uomo 59enne, faccia da attore, poche parole e molti fatti, diventato più potente di tutti i ministri non essendo neanche sottosegretario?

Romano, figlio di un generale dell’Aviazione, nel ‘63 vide sfrecciare il padre all’aeroporto, primo collaudatore di un F104: «Ero con mia madre, ci passò sopra quell’uccello di ferro che urlava. Un’emozione indimenticabile”.
Poi, narra la leggenda, quand’era ragazzino in collegio organizzò squadre di volontari per spegnere un incendio vicino all’abbazia di Farfa, in Sabina. Vocazione precoce. Oggi sono 15 i Canadair che fa volare ogni estate per (cercare di) proteggere i nostri boschi. Anche qui, è lui il capo di tutti: un milione e 300 mila volontari della protezione civile divisi in 2.500 organizzazioni, diecimila guardie forestali, trentamila pompieri, Cnr, Aeronautica, Agenzie regionali dell’Ambiente.

Superguido si laurea in medicina a Roma. Sarebbe diventato medico ai Parioli, il suo quartiere, se lo spirito d’avventura non lo avesse spinto a Liverpool, per specializzarsi in malattie tropicali. E poi via, in Africa: missionario laico in Algeria, Burkina Faso, Mali. Nel 1980, a trent’anni, la Farnesina lo manda in Thailandia a gestire un ospedale italiano.

Poi se lo piglia Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, per lavorare alla Cooperazione internazionale. Tanto basta agli invidiosi per catalogarlo come democristiano, e sussurrare: «È nipote del cardinale Camillo Ruini». Gli schizzi non lo colpiscono: «Sono un tecnico, non ho tessere».

Intanto Bertolaso sposa Gloria Piermarini, architetto paesaggista, famiglia della Roma-benissimo. Due figlie, Olivia e Chiara. Carattere non facile, si distrae giocando a golf all’Olgiata. Quando Andreotti lascia gli Esteri nell’89 va al ministero Affari sociali sotto Rosa Russo Iervolino, oggi sindaco della Napoli da lui ripulita. Una breve incursione nel volontariato internazionale (Unicef Italia), poi di nuovo a iniettare managerialità nel parastato nostrano: il sindaco di Roma Francesco Rutelli lo chiama nel ‘97 a gestire il Giubileo 2000. Il suo capolavoro: guidare l’auto che, fendendo la folla di papa-boys, portò Giovanni Paolo II in mezzo al prato dello storico raduno di Tor Vergata.

Dopo il Vaticano, ad maiora: capo della Protezione civile. Silvio Berlusconi si innamora di questo antesignano di Sergio Marchionne, sempre in maglioncino blu o grigio (ma bordato di tricolore), che sprizza efficienza da tutti i pori. Gli fa organizzare il vertice Nato di Pratica di Mare, ne rimane soddisfatto. Da allora, se c’è un problema, chiama sempre Bertolaso. Tutti i summit sono suoi: Fao 2002, presidenza Ue 2003, costituzione europea 2004.

Non si capisce bene cosa c’entri con i «grandi eventi» la Protezione civile, che dovrebbe proteggerci dalle emergenze naturali. Ma per velocizzare la burocrazia è comodo catalogare tutto come «emergenza».
Quindi a Bertolaso vengono affidati anche i mondiali di ciclismo a Varese l’anno scorso, quelli imminenti di nuoto a Roma (con appalti costosissimi per opere non finite o abbandonate a metà, come il megastadio di Calatrava) e i Giochi del Mediterraneo a Pescara. SuperGuido organizzerà pure le celebrazioni per i 150 anni dell’Italia, nel 2011.
Non pago, Bertolaso sta soppiantando pure il ministero dei Beni culturali: ha restaurato la cattedrale di Noto (Ragusa) e perfino la statua del David di Donatello a Firenze, oltre a ricostruire in Umbria e Marche dopo il terremoto del ‘97.

La sua bravura ha un riconoscimento bipartisan: il primo governo Prodi lo fece capo della Protezione civile nel ‘96, e dieci anni dopo lo ha lasciato al suo posto.

Unica grossa polemica, quella con la Croce Rossa di Maurizio Scelli (oggi deputato Pdl) sui 25 milioni inviati via sms per lo tsunami del 2004. Unico infortunio giudiziario, il processo per tangenti sui rifiuti in Campania: 25 arresti, incriminata il suo ex braccio destro Marta Di Gennaro. Prima udienza il 15 luglio.

Per il G8 alla Maddalena Bertolaso aveva speso 363 milioni, prima che Berlusconi decidesse di spostarlo all’Aquila. La Protezione civile ci costa 1,6 miliardi l’anno. Il grosso va per le calamità naturali: 1,1 miliardi. Dopo la strage della classe di San Giuliano di Puglia del 2002, Bertolaso si occupa anche di sicurezza nelle scuole al posto del ministero dell’Istruzione: venti milioni di euro quest’anno. E distribuisce indennizzi per 37 milioni annui ai contadini danneggiati da alluvioni e siccità, al posto del ministero dell’Agricoltura.

Per far fronte all’espansione di compiti i 700 uomini della Protezione civile hanno ottenuto un raddoppio di sedi: oltre a quella vecchia di via Ulpiano, accanto al Palazzaccio di giustizia di Roma, una nuova di zecca in via Flaminia, alla confluenza con la Flaminia vecchia. E Bertolaso è ricompensato (dichiarazione 2007) con un milione di euro l’anno.

Mauro Suttora

Wednesday, July 08, 2009

Debora Serracchiani privata

Ha battuto Berlusconi, ma la temono anche i capi democratici

Oggi, 28 giugno 2009

dal nostro inviato a Udine Mauro Suttora

Mai, nella storia d’Italia, c’era stata un’ascesa politica più rapida. Fino al 2003 Debora Serracchiani di politica non si interessava, se non leggendo i giornali. Fino a cento giorni fa non era mai scesa a Roma per una riunione nazionale del suo partito, il Democratico.
Oggi, milioni di simpatizzanti sperano in questa 38enne romana-udinese per rinnovare il centrosinistra. In 144 mila l’hanno votata il 7 giugno, spedendola all’Europarlamento. «E in Friuli ho battuto anche “papi”», scherza lei: settemila preferenze più del premier Silvio Berlusconi.
Incontriamo il fenomeno con frangetta a casa sua, nella periferia estrema di Udine. Una casetta comprata col mutuo assieme al compagno Riccardo, 40 anni, romano pure lui, impiegato in un’impresa di telecomunicazioni. Debora, che da quindici anni fa l’avvocatessa specializzata in cause di lavoro, ci accoglie nel giardinetto di fronte al canale Ledra. Poco più in là il palasport della Snaidero basket e lo stadio dell’Udinese calcio: «Da qui sentiamo gratis i concerti: ottimi quelli di Vasco Rossi e Red Hot Chili Pepper, ora aspettiamo i Coldplay a fine agosto».

Debora ha appena scritto un libro: Il coraggio che manca (ed. Rizzoli). Sottotitolo: A un cittadino deluso dalla politica. Racconta le incredibili dieci settimane fra il suo primo discorso del 21 marzo a Roma e il trionfo alle Europee. Il giorno dell’equinozio primaverile 2009 «è stato forse il momento più basso nella storia della sinistra italiana». Il segretario del Pd Walter Veltroni si era dimesso. Sul tavolo del successore Dario Franceschini i sondaggi davano il partito al 20 per cento. Un disastro per gli eredi di Dc e Pci, attestati al 70 per cento per mezzo secolo.

La Serracchiani, con un discorso di pochi minuti, è riuscita a galvanizzare il pubblico democratico. Era arrivata in corriera di notte da Udine assieme ai colleghi di base del Pd, non aveva dormito, era a disagio per la scarsa eleganza del proprio vestito rispetto ai dirigenti romani: «Pensavo a un incontro di partito, mi sono ritrovata in una convention». Eppure ha attirato l’attenzione di tutti i delusi dalla nomenklatura democratica, che l’hanno applaudita 35 volte. Dal giorno dopo, migliaia di e-mail e sms.

Ma chi è la Serracchiani, da dove viene?
«Sono nata nel 1970 a Roma, quartiere Casetta Mattei, zona Portuense. Mio padre era impiegato Alitalia, mia madre ha smesso di lavorare quand’è nato mio fratello Emiliano. Scuola dalle suore fino alla terza media. Poi istituto tecnico commerciale, perché non volevo andare all’università: ragioneria con lingue, inglese e francese. Ci ho aggiunto lo spagnolo. Fino a 18 anni ho giocato a tennis a livello agonistico. Ma le ore d’allenamento erano troppe: entrata all’università, non ho più toccato la racchetta per dieci anni. Laureata in legge nel ‘94 con 110 e lode, tesi di diritto commerciale su una direttiva europea per le srl”.
E nel tempo libero?
«Musica: Bruce Sprigsteen, Zero Assoluto, Elisa. Libri: Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, l’ho letto dieci volte, anche in inglese. E i legal thriller di Grisham. Cinema: Il marchese del Grillo con Alberto Sordi, grandi dialoghi e senso civico».
Ha visto il film Mister Smith va a Washington di Frank Capra?
«No».
È proprio la sua storia: James Stewart, idealista digiuno di politica, viene eletto deputato.
«E poi?»
Non le rovino la sorpresa del finale. Ci dica lei piuttosto: com’è finita a Udine, e per di più in via Sondrio? Più a nord di così...
«Ricordo ancora il giorno del trasloco: 3 gennaio ‘95. Un freddo incredibile. Ho seguito Riccardo, che aveva trovato lavoro qui».
Lo ha trovato subito anche lei.
«Sì, lo studio Businello mi ha fatto fare il praticantato. Mi sono specializzata in cause di lavoro».
A proposito di lavoro. All’ultimo incontro nazionale del Pd, nel Lingotto di Torino domenica scorsa, lei ha affrontato un totem e tabù della sinistra: l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Che secondo alcuni tutela un po’ troppo i dipendenti, rendendoli quasi illicenziabili.
«Ho posto il problema, più in generale, sul mondo del lavoro. Il Pd deve dire chiaramente cosa pensa su alcuni temi fondamentali. Oggi purtroppo c’è troppa differenza fra lavoratori garantiti e precari. Anche per una questione di tempi: le cause di lavoro sono lunghissime».
Stia attenta: a sinistra chi tocca i fili (l’articolo 18) muore.
«La risposta è: migliorare gli ammortizzatori sociali. Che non devono proteggere settori improduttivi, ma accompagnare chi perde il posto a un nuovo lavoro».
L’avvocato Businello, prima suo principale e poi socio, mi ha parlato molto bene di lei. Dice che le sue grandi virtù, determinazione e capacità di lavoro, sono anche il suo unico difetto: qualche segretaria non rimpiange i suoi ritmi.
«Sono esigente soprattutto cone me stessa. Al sabato mattina lavoro. E anche in agosto, quando c’è più tempo e tranquillità per smaltire il lavoro arretrato».
Povero Riccardo.
«Ma no, anche a lui piace andare in vacanza a giugno o a fine estate, fuori dalla ressa».
Dove?
«Isole greche».
E i week-end azzoppati?
«Passiamo le domeniche pomeriggio qui sul divano a vedere le partite della Roma in tv».
Su Sky?
«Macché: digitale terrestre Mediaset. Pagando Berlusconi. Me ne vergogno...»
Non vi sposate?
«Non vogliamo svilire il matrimonio, istituto nel quale non crediamo fino in fondo, sposandoci solo per convenienza. Aspettiamo i Dico, i patti di convivenza».
Aspetta e spera. Anche nel Pd i cattolici fondamentalisti sembrano dettare la linea sulle questioni etiche.
«È ora di discutere, rispettando la sensibilità di tutti, ma prendendo una decisione. Magari lasciando a casa qualcuno. Anche perché nel 2020 le nuove convivenze in Italia supereranno i matrimoni».
Nel suo primo e ormai famoso discorso lei si è presentata così: «Vengo dalla città che ha accolto Eluana Englaro».
«Certo. Sono questioni di civiltà. Sto con Ignazio Marino, il medico cattolico fautore del testamento biologico».
E nel libro maltratta Francesco Rutelli.
«Ricandidarlo sindaco a Roma dopo quindici anni è stato un disastro. Ci voleva un volto nuovo. Abbiamo regalato la capitale alla destra».
Quattro a Rutelli, cinque a D’Alema e Di Pietro, sei a Franceschini, sei più a Veltroni: questa è la severa pagella Serracchiani ai capi del centrosinistra.
«Veramente secondo me Di Pietro non ha nulla a che fare col centrosinistra: nel suo partito personale ha riciclato di tutto».
Visto il voto a D’Alema, inutile chiederle se appoggerà il suo candidato Pierluigi Bersani al congresso d’autunno, contro Franceschini.
«Ci vogliono facce nuove».
«A destra sono capaci di tutto, a sinistra sono buoni a nulla»: all’inizio del libro lei cita questa tremenda frase di Marco Pannella contro i politici italiani. La condivide?
«Dobbiamo fare di tutto per smentirlo».

Mauro Suttora

Wednesday, April 08, 2009

parla Luigi De Magistris

"Mi volevano morto"

IL GRANDE ACCUSATORE LASCIA LA TOGA E SI BUTTA IN POLITICA. PER CORRERE ALLE EUROPEE

Oggi, 8 aprile 2009

«Ho toccato interessi troppo forti, il mio tempo era scaduto». Il magistrato che ha terremotato l' Italia si candida con Di Pietro. «Al Sud un politico su due è compromesso con la mafia».

dall'inviato a Catanzaro Mauro Suttora

De Magistris, anche lei è come Di Pietro, Michele Santoro, Lilli Gruber: si butta in politica.
«Sono stato io buttato via dalla magistratura. Avrei voluto continuare a fare inchieste, era il sogno della mia vita. Me lo hanno impedito».
Trasferendola nella sua Napoli, giudice del riesame.
«Il mestiere di giudice è diverso da quello di pm...».
Quasi un inno alla separazione delle carriere... Ma ora vedremo se prende più voti lei o Mastella.
«Non è questo il problema».
E qual è?
«Sarò fra i capilista di Italia dei Valori in tutta Italia, dietro a Di Pietro, per far nascere una nuova classe dirigente».
Vasto programma.
«Ma necessario. Oggi, dove la mafia spadroneggia, un politico su due è compromesso».
Addirittura?
«Se non por complicità e collusione, almeno per omissione. E non solo i politici. Ormai la criminalità organizzata arruola uomini delle istituzioni».
Anche magistrati?
«Sì. Una delle mie inchieste era Toghe lucane ».
Quindi la corporazione con lei si è vendicata?
«I magistrati italiani hanno grandi luci e grandi ombre».
Chi ammira fra i suoi ormai ex colleghi?
«Ingroia e Scarpinato a Palermo».
Con un capo come Borrelli sarebbe ancora al suo posto?
«Sarebbe stato un faro. I capi delle procure devono sostenere e consigliare i propri sostituti».
La accusano di esibizionismo.
«Stavano per ammazzarmi, professionalmente o fisicamente. Nessuno se ne sarebbe accorto. Il mio tempo era scaduto».
Quindi ha cominciato a parlare a convegni e giornali.
«Non avevo scelta. Sono apparso in Tv solo due volte, ma mi hanno salvato la pelle».
Ripeto: addirittura?
«Avevo toccato interessi troppo forti».
E perché non li ha combattuti in aula, invece di fare sociologia?
«Ripeto io: mi hanno tolto le inchieste. Anche Falcone dovette dare interviste per non rimanere isolato».
Lo sa che l'Europarlamento è una grande fabbrica di frustrati?
«Ma le sue direttive sono importanti. È un'ottima tribuna».
Vive sempre a Catanzaro?
«Mia moglie è di qui, e qui viviamo con i nostri due figli».
Quanti anni hanno? «Nove e quattro anni».
Bene: almeno loro non le creeranno problemi.
«Perché?».
Le raccomandazioni di Di Pietro junior...
«Suo padre è stato nettissimo nel redarguirlo».
Ora lei fa il pendolare.
«Tre ore di treno e sono a Napoli. Mi hanno tolto la scorta, in auto sarebbe rischioso».
Dorme bene la notte?
«Sì, ma poco: quattro ore».
L'unica cosa che la accomuna a Berlusconi.
«Ne approfitto per leggere».
Che cosa? «Ho appena finito l'ultimo Erri De Luca, e ho riletto L'Isola di Arturo di Elsa Morante».
Solo romanzi?
«No, anche Fratelli d'Italia di Pinotti, sui massoni».
La massoneria è una sua fissa.
«È uno dei poteri forti».
Musica?
«Genesis e Pink Floyd».
È vero che piace alle donne?
«Non sono un playboy, come ha scritto Novella 2000. Sono sposato e felice».
Hobby?
«Giardinaggio».
Che fiori coltiva?
«Rose, camelie, ortensie».
Allora è proprio berlusconiano.
«Il berlusconismo è un pericolo per l'Italia. La nostra è una democrazia solo apparente».
Il solito catastrofismo.
«Ho colpito anche a sinistra».
Infatti l' hanno fatta subito fuori, assieme alla Forleo.
«La questione morale è importante come ai tempi di Enrico Berlinguer».
Le piaceva Berlinguer?
«Così tanto che a 17 anni andai al suo funerale».
Il solito comunista, diranno ora a destra.
«Ho sempre votato a sinistra, ma mi hanno deluso».
Perché?
«Si arroccano in difesa castale delle mele marce, che ci sono anche a sinistra».
Dicono di lei e Woodcock: magistrati di provincia che cercano pubblicità incriminando nomi noti.
«Per dieci anni ho fatto inchieste e incontrato nomi importanti. Cos'avrei dovuto fare, nasconderli?».
Si è più indipendenti stando a Catanzaro e Potenza invece che a Roma e Milano?
«Il magistrato più solo sta, meglio è. Ottima sarebbe la rotazione, come per i carabinieri. Altrimenti si formano amicizie e incrostazioni».
Lei e Woodcock avete aperto tante inchieste, ma quante ne avete chiuse?
«Io a decine, con dibattimenti e condanne. Finché non ho toccato gli intoccabili».
La Calabria è martoriata, ma lei non faccia il martire.
«Mi sono reso conto dei piedi che pestavo. Poi ho sentito per caso il fratello di Borsellino».
E che cosa ha detto?
«Navigavo su Internet e leggo che lui, di fronte all'avocazione della mia inchiesta, dice di non avere provato un'emozione così forte da quando suo fratello venne assassinato».
Caspita.
«Falcone e Borsellino sono i miei idoli, per seguire il loro esempio sono diventato magistrato. Una missione». Oddio, i magistrati missionari...
«Meglio i burocrati?».
E ora la politica.
«Mi hanno costretto».
Ma anche come giudice a Napoli è riuscito a farsi notare, attaccando Rutelli nell'inchiesta Romeo.
«Quella sentenza è opera di un collegio a tre. Di cui io ero il giudice a latere più giovane».
Cos'è, fa marcia indietro?
«No, solo per precisare».

Mauro Suttora

Monday, February 23, 2009

Francesco Rutelli

Ritratto di un politico maestro nel riciclarsi

Libero, sabato 21 febbraio 2009

di Mauro Suttora

«Dovete iscrivervi tutti all’Lsd». Udine, estate 1978. Ogni tanto, diciottenne in bici, facevo un salto alla sede del partito radicale, attirato più dalle belle ragazze che dal fascino di Pannella. E un pomeriggio Rita, una di loro, mi intimò di darle tremila lire «per l’Lsd».

«E che sarebbe, questo Lsd?» «Lega Socialista per il Disarmo», sorride Rita, estasiata. «Ma da quando in qua sei antimilitarista?» «Dalla scorsa settimana. Sono andata a Roma, ho incontrato Francesco Rutelli. Lui ha fondato l’Lsd. Ed è bellissimo…»

La seconda volta che m’imbattei in Rutelli fu un anno dopo. Sempre impegnato contro gli eserciti, aveva organizzato con Adele Faccio una Carovana di protesta da Bruxelles (sede Nato) a Varsavia (sede dell’omonimo patto). Ci andai, mi piaceva questa equidistanza fra sovietici e yankee. Presi tenda e sacco a pelo, m’imbarcai su uno dei sei pullman pieni di radicali. Dormivamo in campeggi e palestre di scuole. Le pacifiste tedesche erano affascinanti. C’era anche una sedicenne Sabina Guzzanti che suonava la chitarra. Però Rutelli mi deluse. Lui, con gli altri capetti radicali, non dormiva con noialtri. Dirigeva i sit-in di fronte alle basi militari col megafono, e poi spariva in albergo.

Arrivati al muro Berlino Est fummo manganellati dai vopos, le guardie di frontiera. In Polonia non arrivammo mai. Però io m’ero appassionato alla nonviolenza, e cominciai a leggere Gandhi. Così l’anno dopo, quando Rutelli fondò con lo scrittore Carlo Cassola il mensile ‘L’Asino’, me ne facevo mandare da Roma venti copie che rivendevo agli amici. ‘L’Asino’ era un famoso giornale antimilitarista e anticlericale fondato da Guido Podrecca che all’inizio del ’900 vendeva centomila copie. Poi fu chiuso dai fascisti. La versione rutelliana durò due anni. «Franciasco», come lo chiamavano le sue adepte romane (fra cui Eugenia Roccella), ci scriveva scintillanti articoli contro le spese militari e i missili atomici.

Nel frattempo, a soli 25 anni, Rutelli era diventato segretario nazionale del Partito radicale. Ancora oggi qualche morboso curiosone ogni tanto mi chiede quanti dei giovani politici messi in orbita da Pannella (da Rutelli a Capezzone) siano passati per il suo letto. «Non ne ho idea», rispondo sincero.
Dopo due anni Pannella vuole far spazio a una sua nuova scoperta, Giovanni Negri. Ma Rutelli oppone una fiera resistenza, riesce a restare sveglio tutta una notte mentre il capo radicale parla in riunione fino alle quattro del mattino, e alla fine riesce a farsi nominare vicesegretario assieme a Negri e a un altro giovanissimo: Gaetano Quagliariello.

Negli anni ’80 continuo a seguire con simpatia la carriera di Rutelli, che anch’io reputo bello e simpatico (secondo la mia fidanzata, invece, assomiglia ad Alberto Sordi). Lui sposa Barbara Palombelli, mia collega all’Europeo, e continua a organizzare proteste contro le parate militari del 2 giugno: in mutande e scolapasta in testa fa sfilare in piazza Venezia le «trippe disarmate».

A un certo punto però Pannella gli toglie lo stipendio, costringendolo a «ruotare»: un’usanza giusta ma crudele per dimostrare che i deputati radicali non sono attaccati alle poltrone, e che quindi si dimettono a metà mandato. Il povero Rutelli deve riciclarsi con i verdi, e a un certo punto è perfino costretto a elemosinare collaborazioni giornalistiche a Feltri, allora direttore dell’Europeo.

Ma in politica la ruota gira sempre, e nell’89 i verdi raggiungono il sette per cento: quarto partito italiano. Trionfo di Rutelli che ne diventa il capo. E nel ’93 Ciampi lo nomina ministro dell’Ambiente. Ma lui si dimette dopo un solo giorno per protesta contro il Parlamento che nega l’autorizzazione a procedere contro Craxi. In quei giorni tumultuosi di Tangentopoli Berlusconi debutta in politica «sdoganando» Fini, e candidando il segretario del Msi sindaco di Roma. A Pannella viene l’idea di contrapporgli Rutelli, che viene eletto.

Non abitando allora a Roma non so come valutare Rutelli, sindaco per otto anni. Però mi ha impressionato la scena di giubilo cui una distinta signora si è abbandonata sull’autobus 52 la scorsa primavera, quando giunse la notizia che Francesco aveva perso il nuovo tentativo di salire al Campidoglio dopo Veltroni: come mai tanto astio?

Mi ha colpito anche la cattiveria di una biografia a lui dedicata dall’editore di Kaos (un ex radicale che gli aveva pubblicato dei libri): ‘Cicciobello del potere’. Viene staffilato come «mediocre politicante che fa carriera a colpi di opportunismi, spregiudicatezze e aria fritta: passato dalle lotte contro la fame nel mondo agli appetiti dei palazzinari romani, dalle campagne anticlericali alle genuflessioni in Vaticano, dall’antimilitarismo ai campi da golf…»

Nel ’99, con Cacciari ed Enzo Bianco, fonda il movimento dei sindaci. Poi si allea con Di Pietro, Prodi e Parisi: dall’Asino all’Asinello. Quindi, nel 2001, viene mandato al sacrificio contro un arrembante Berlusconi. Candidato premier per la sinistra, perde ma si consola: «Solo due punti di distacco». Infine, lui ex radicale, riesce nel miracolo di diventare capo degli ex democristiani nella Margherita. Io lo ammiro per questo, oltre che per essersi risposato in chiesa con la Palombelli. Mi spiace che Andrea De Carlo lo abbia sbertucciato nel romanzo ‘Mare delle verità’ (2006). E lo penso sempre quando passo davanti alla stupenda fontana di piazza Esedra con le naiadi nude scolpite da Mario Rutelli, di cui è bisnipote.

Mauro Suttora

Thursday, January 08, 2009

Renzo Lusetti, il "vicepiacione"

Bello come il suo capo Francesco Rutelli, il deputato del pd indagato per i favori al faccendiere napoletano Romeo piace perfino a Berlusconi, che lo voleva arruolare. E si consola con la neomoglie in questo suo superattico romano

Oggi, 31 dicembre 2008

Perfino Silvio Berlusconi si era innamorato della sua bella faccia telegenica con sorriso permanente, e l’aveva invitato due volte ad Arcore nove anni fa per offrirgli un posto da dirigente di Forza Italia. Renzo Lusetti aveva appena stracciato la tessera dei popolari contro la segreteria Castagnetti, e la tentazione di passare con l’avversario fu forte. Ma alla fine rimase nel partito che lo aveva incoronato principe già ventenne, quando Ciriaco De Mita lo fece capo dei giovani democristiani.

A Roma era soprannominato «vicepiacione» da quando il «piacione» in carica, Francesco Rutelli, lo tirò fuori dalle secche di Tangentopoli imbarcandolo come assessore al comune di Roma di cui era sindaco. Fu in quel periodo, metà anni Novanta, che Lusetti conobbe il faccendiere napoletano Alfredo Romeo che ora lo ha inguaiato assieme al deputato Pdl Italo Bocchino: il faccendiere napoletano gestiva le case comunali.

Lo scorso maggio Lusetti si è sposato in seconde nozze con Vira Carbone, 39enne conduttrice Rai. Cerimonia civile nella chiesa sconsacrata di Caracalla finita su Cafonal del sito Dagospia, e ricevimento all’Hilton. Testimoni: Maria Grazia Cucinotta e Dario Franceschini. Molti gli invidiano la casa a due piani sulle pendici di Monte Mario, attico e superattico con entrata indipendente, vista sulla città, terrazze, boiseries, un lussuoso scalone di legno circolare che porta alla zona letto. «Vale tre miliardi», sussurrano gli ospiti. «Ma è di mio suocero, è intestata a lui e a mia moglie», precisa Lusetti a Oggi.

La signora Carbone Lusetti appare su Raiuno ogni weekend di primo mattino, nel programma Sabato, domenica &. Ed era in prima fila alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Gran cerimoniere: Berlusconi. Il feeling trasversale continua.

Tuesday, October 14, 2008

Ponti inutili a Roma

VENTI MILIONI PER DUE PONTI CICLOPEDONALI
L'eredità folle di Rutelli e Veltroni

Libero, martedì 14 ottobre 2008

di Mauro Suttora

Il Comune di Roma butta quasi venti milioni di euro per costruire due ponti che non servono a nulla. Oggi cominciano i lavori per il Ponte della Musica (11,8 milioni) e quello della Scienza (6,2 milioni). Dio solo sa quanto il traffico di Roma abbia bisogno di ponti sul Tevere per alleggerire la fiumana di auto che blocca la città. Soprattutto nelle zone dove i ponti sorgeranno: il primo a nord, fra il lungotevere Flaminio e il Foro Italico, il secondo a sud, fra i quartieri Ostiense e Portuense. Lì c’è veramente carenza di collegamenti fra le due rive, perché i ponti più vicini distano quasi due chilometri.

Ebbene, l’assessore all’Urbanistica Marco Corsini oggi inaugura invece due ponti «ciclopedonali». Sui quali le auto non possono passare, e men che meno tram e bus. Quindi inutili, perché da quelle parti pedoni e bici non si avventurano. Roma ha già tre bellissimi ponti pedonali antichi: il Milvio reso famoso dai lucchetti degli innamorati di Moccia, e in centro quelli di Castel Sant’Angelo e il Sisto, che da Trastevere porta a Campo dei Fiori. Servono a turisti e cittadini, sono stretti, vietarli alle auto è stato saggio.

Questi nuovi ponti, invece, sono una follia. Uno spreco di soldi pubblici. La colpa non è dello sventurato assessore Corsini: i progetti «ecologissimi» sono infatti un’eredità di Rutelli e Veltroni. Il bando di concorso risale al 2000, ben otto anni fa. E la nuova giunta Alemanno non può buttare nella pattumiera tutti i progetti del passato, come ha fatto col parcheggio del Pincio. Tuttavia, sfidiamo chiunque ad andare sul lungotevere Cadorna o sotto il gasometro Ostiense e contare le persone, i cani e le bici che vi transitano ogni giorno, non vedendo l’ora di attraversare il Tevere.

Il ponte della Musica è stato leggiadramente battezzato così perché, nei piani fantasmagorici di Rutelli e Veltroni, dovrebbe collegare l’Auditorium della Musica, il nuovo museo Maxxi e perfino il parco di Villa Glori (molto più indietro) al Foro Italico, attraverso via Guido Reni. Peccato che si tratti di un percorso lunghissimo perfino per i clienti con zaino dell’ostello della Gioventù, che infatti ci arrivano in bus.

Ma le vette della poesia si raggiungono per l’altro ponte, chiamato «della Scienza» perché in quelle aree industriali oggi dismesse, dove si rischia lo stupro, invece di utili case il Comune minaccia di costruire un ennesimo museo, della Scienza appunto.

Ecco come i tre progettisti dello studio APsT presentano il loro ponte, in puro stile «architettese»: «Il ponte metafora del collegamento, dell’unire, si pone come mezzo attraverso il quale tentare una “ricucitura” con le due parti della città, ma soprattutto con il tempo perduto. Il rapporto con il luogo viene, infatti, istituito mediante l’individuazione di corrispondenze atte a rivelare una percezione emotiva, un carattere, una presenza anziché un riferimento più o meno diretto. L’intenzione alla base della concezione del progetto è quella di cercare, di preservare e rendere evidente questo carattere negato, obliato. L’idea che il tempo si sia fermato e che quest’area custodisca un tempo “altro” da quello che si vive quotidianamente, attribuisce notevole interesse e valore al progetto del ponte della Scienza.

« (…) La strategia del progetto del ponte, mediante la concezione di una struttura portante “scarnificata” sin nei minimi termini, appesa ad un filo, vuole testimoniare non un atto d’intelligenza bensì una violenza subita che ci toglie la calma e ci induce alla ricerca di un significato che ristabilisca una condizione di equilibrio che procede per opposizioni e corrispondenze. L’interpretazione di questi segni, della loro realtà noumenica è come un alfabeto senza fine. L’obiettivo è quello della risemantizzazione della forma architettonica attraverso un vocabolario di dissonanze che sottolineano la complessità percettiva e costruttiva. Questa metodologia diacronica ed asimmetrica viene applicata dalla scala urbana a quella di progetto fin nei dettagli (…)»
Italiani popolo di poeti, più che di costruttori…

Mauro Suttora

Wednesday, February 27, 2008

Beppe Grillo, primarie a Roma

Beppe Grillo cala su Roma con una Serenetta

Per la corsa al Campidoglio scelta l’ex precaria Serenetta Monti. Che si accontenterebbe del 2-3%

Libero, 27 febbraio 2008

di Mauro Suttora

Beppe Grillo fino a qualche settimana fa stracciava tutti i politici in ogni sondaggio: 60 per cento di consensi, contro il 30-40 degli altri. E minacciava: “Cacceremo i professionisti della politica con le nostre liste civiche”. Ma ora alle elezioni politiche non si presenta. Alle regionali del 13 aprile (Sicilia e Friuli) neppure, e neanche alle provinciali (“Sono enti inutili, vanno aboliti"). Restano i comuni. Roma, soprattutto, che sarà la vetrina più importante per il debutto di Grillo in politica.

L’altra sera si sono svolte le primarie fra gli ‘Amici di Grillo’ della capitale, per eleggere il loro candidato sindaco. Un centinaio di persone sono arrivate al Linux Club, locale del quartiere Ostiense che, in linea con i dettami grilleschi, propugna l’‘open source’ nei computer, contro il monopolio Microsoft-Windows. Sono duemila gli aderenti al cosiddetto ‘Meetup’ romano, il sito internet dove chiunque può registrarsi gratis.

Dopo il Vaffa-day dell’8 settembre c’è stata un’esplosione di adesioni. Quindi il comitato organizzatore, eletto ogni sei mesi, ha prudentemente deciso di limitare le candidature agli ‘antemarcia’, ovvero a chi si era registrato prima dell’8 settembre. “Troppo alto il rischio che dopo siano arrivati opportunisti”, spiega il presidente dell’assemblea, il dentista Dario Tamburrano.

Si sono candidati a sindaco (quindi a capolista) ben quattro ‘organizzatori’ su tredici. Inesistenti le differenze di linea politica. si vota per simpatia. Al ballottaggio arrivano due donne: Serenetta Monti, 36 anni, custode di museo, coordinatrice degli organizzatori da sette mesi, e Roberta Lombardi, 34, impiegata in una società di arredamenti. Vince la prima.

Il suo programma per Roma ovviamente coincide con il Grillo-pensiero, che è in gran parte simile a quello degli ecologisti: raccolta differenziata della spazzatura, no agli inceneritori (o almeno a quelli sospettati di rilasciare diossina), preferenza al trasporto pubblico rispetto alle auto (anche se, come ha fatto notare qualcuno, buona parte dei presenti non è arrivato alla riunione in bus o metro).

Serenetta Monti si autodefinisce “novizia della politica”, Ma inesperta non lo è affatto. Per dieci anni, infatti, ha lottato come precaria. “Abbandonata l'università”, racconta, “ho fatto di tutto: baby sitter, data entry, assistenza agli anziani, pony express. Poi ho seguito un corso per restauratrice. Nel ’97 il sindaco Rutelli istituì i Lavori socialmente utili e assunse al Comune mille persone per 800 mila lire al mese con venti ore settimanali. Io contribuivo a rendere più bello il Pincio, lavorando sui busti degli uomini illustri. Dopo tre anni e mezzo di lotte abbiamo conquistato il posto fisso. In quel periodo la mia vita è trascorsa tra riunioni di lavoratori di tutta Italia, manifestazioni nazionali, locali, incontri politici, commissioni del consiglio comunale, occupazioni del Campidoglio e di tutti gli assessorati di Roma. Alla fine venni assunta nel gruppo Ama [la nettezza urbana, ndr] che si occupava di scritte vandaliche”.

Ma il posto fisso non rasserena Serenetta: “Dal 2000 al 2005 ho fatto denunce al ministero del Lavoro, Asl, Inail, sui giornali, una querela da parte dell’amministratore delegato e un ricorso con richiesta di risarcimento di 25 mila euro. Risultato: due rinvii a giudizio all’amministratore delegato per inadempienze sulla legge per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Mi è stata riconosciuto la malattia professionale: l’utilizzo indiscriminato delle attrezzature mi ha prodotto una sindrome del tunnel carpale a entrambe le mani. Mi sono sparata anche sei mesi di disoccupazione...”

Quanti voti riuscirà a prendere ora Serenetta? Gli stessi Amici di Grillo non nutrono grandi aspettative:“Speriamo di eleggere un rappresentante in consiglio comunale e in ogni municipio”. Cioè appena il 2-3 per cento. Il fenomeno Grillo si è già sgonfiato?

Mauro Suttora

Friday, March 23, 2001

Rutelli rifiuta i radicali

CAMPAGNA ELETTORALE DEI RADICALI

di Mauro Suttora
Il Foglio, 23 marzo 2001

Centinaia di volontari radicali sono scesi sui marciapiedi di tutta Italia con i loro banchetti: stanno raccogliendo le firme per partecipare elle elezioni. E’ uno sforzo notevole per un partito totalmente d’opinione, privo di funzionari e clienti locali, nonché di consiglieri comunali che autentichino le sottoscrizioni.

A Fiumicino, nel collegio dove si candida Marco Pannella (presente nel proporzionale della Camera anche in tutta la provincia di Roma, in Emilia e in Toscana), i "tavolinari” della lista Bonino hanno sorpreso alcuni dipietristi che facevano firmare senza autenticatore.

Questo delle firme false è uno scandalo sollevato l’anno scorso dai radicali, e che sta dando i primi frutti: elezioni annullate in Molise, inchieste aperte a Napoli, il vicepresidente della Provincia di Milano Dario Vermi (An) rinviato a giudizio per falso in atto pubblico e violazione delle leggi elettorali. Per Pannella, è la conferma dello “stato di illegalità” in cui versa il Paese, da lui denunciato un mese fa nell’appello a Carlo Azeglio Ciampi (“Presidente, ti uccido”).

Le accuse pannelliane riguardano soprattutto l’informazione tv: “Gli accadimenti di questi giorni alla Rai confermano che è questo il problema centrale della politica italiana”, spiega il dirigente radicale Angiolo Bandinelli, il quale sta preparando per il Comune di Roma una lista “civica, laica e antiproibizionista” simile a quelle promosse a Torino (con il verde Silvio Viale candidato sindaco) e ad Ancona.

L’Autorità garante delle comunicazioni ha dato ragione ai radicali, invitando la Rai a dare più spazio alla lista Bonino, vittima di uno “squilibrio editoriale”. “Ma l’azzeramento nei nostri confronti è continuato pure nei primi 70 giorni del 2001“, avverte Daniele Capezzone, “anche se il presidente Rai Roberto Zaccaria tenta di nascondere i dati sui radicali accorpandoci a Di Pietro, D’Antoni e Bertinotti, la cui presenza viene invece fatta esplodere”.

Pannella è convinto che sull’onda di qualche bel dibattito tv i radicali supererebbero agevolmente la barriera del 4 per cento. Altrimenti, l’unica eletta rischia di essere Emma Bonino, candidata al Senato in Lombardia (dove basta il 3 per cento ottenuto dalla sua Lista alle regionali).

Intanto, i radicali raccolgono adesioni prestigiose alla candidatura di Luca Coscioni (capolista in Umbria, Lazio ed Emilia davanti a Pannella), malato di sclerosi e simbolo della lotta per “la libertà della scienza”: per lui hanno firmato dodici premi Nobel e cento personalità del mondo accademico e scientifico internazionale (fra cui Ilya Prigogine, Noam Chomsky, l’ex rettore dell’università di Roma Giorgio Tecce e il matematico Alessandro Figà-Talamanca).

Un altro appello è rivolto al candidato premier dell'Ulivo Francesco Rutelli da Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Michele Salvati e Gianfranco Spadaccia, affinché “apra” ai radicali. Domenica scorsa il vertice dell’Ulivo sembrava avere accolto questo tentativo di dialogo in extremis (concretizzabile in qualche desistenza), ma poi Rutelli ha per l’ennesima volta snobbato i suoi ex compagni.

“I radicali sono alternativi a entrambi i poli, ma l’andata a casa del centrosinistra dovrebbe comunque essere una priorità per loro”, avverte l’intellettuale d’area Iuri Maria Prado, editorialista di Libero. Continua, infatti, la polemica liberista e antisindacale dell’eurodeputato boniniano Benedetto Della Vedova: l’ultima sua denuncia riguarda sei miliardi di fondi per la formazione Ue usati invece per un congresso di 120 dirigenti Cisl in una hotel a 4 stelle a Nizza.

Intanto la Bonino gira come una trottola: prima è andata in Africa per sollecitare adesioni al Tribunale Onu sui crimini di guerra; poi ha organizzato a Roma un convegno contro le infibulazioni delle donne africane; ha presentato a Milano un libro di Sergio Romano; è corsa a Napoli al Global Forum e a Torino per presentare le liste; ha partecipato ad Amman a un summit dell’International Crisis Group; ha condannato gli attacchi albanesi in Macedonia (“con la stessa fermezza con cui ho difeso gli albanesi kosovari dai serbi”); si è complimentata con Mary Robinson, che lascerà l’Alto commissariato Onu sui diritti umani in settembre (la Bonino è candidata a quel posto).

Emma ha incassato infine i complimenti dell’(autorevole) editorialista de “La Stampa” Barbara Spinelli: “Bonino e Rutelli sono personaggi di grande statura, usciti dalla scuola di alta politica, antisettarismo, rigore, laicità, senso di responsabilità individuale e interesse vero per il mondo circostante e per i diritti umani violati, che è la scuola di Pannella”.

Eppure le manca ancora il 'tocco magico' che aveva mostrato alle elezioni europee del 1999. I piu' malevoli commentatori, che affollano le file degli ex radicali, dicono che il successo della Bonino avvenne malgrado Pannella. E ora il vecchio leader è tornato in campo finendo per soffocarla. Ma gli 'amori gelosi di Marco' sono una leggenda che si ripete, si ripete, si ripete...
Mauro Suttora

Monday, July 19, 1999

Il cognato di Di Pietro e i Democratici

di Mauro Suttora

Il Foglio, 20 luglio 1999

Milano. «Non ci faremo pillitterizzare!»: un borbottio di protesta accoglie l’introduzione dell’onorevole Gabriele Cimadoro alla prima assemblea regionale dei Democratici della Lombardia dopo le elezioni. Il cognato di Antonio Di Pietro (che ricorda il leggendario sindaco-cognato milanese di Bettino Craxi, Paolo Pillitteri) suscita malumore innanzitutto perché, ancora una volta, il nome di Tonino è stato usato come specchietto per le allodole allo scopo di attirare gli attivisti.

Arrivati in duecento sabato 17 nella sala del quartiere periferico Barona (non c’è nessun giornalista: tutti sono da Walter Veltroni, in contemporanea anche lui a Milano per consolare i ds), la sorpresa è che, come sempre più spesso accade, il senatore del Mugello non c’è. Il che, in un gruppo carismatico come quello dell’Asinello, equivale a negare la Madonna ai fedeli giunti a Lourdes.

Ma l’imposizione del cognato come surrogato dipietresco, a parte il sapore familistico, ha anche un significato politico di gravità quasi surreale: da un mese infatti l’unica proposta politica dei Democratici a livello nazionale sembra essere quella di escludere dall’Ulivo i «traditori» Clemente Mastella e Rocco Buttiglione, in quanto eletti tre anni fa nel Polo di Silvio Berlusconi. 

E chi si ritrovano gli adepti lombardi dell’Asinello ad aprire la loro riunione? Proprio Cimadoro, anch’egli fresco transfuga dal Ccd. Però, a differenza dei suoi due ex capi oggi così detestati dal surrogato di Prodi, Arturo Parisi, il cognato è stato non solo accolto con gioia fra i Democratici (che si autoproclamano «lievito dell’Ulivo»), ma ne è addirittura diventato subito un dirigente nazionale. È stato infatti nominato «garante» (cioè commissario politico) per il Molise: una delle ultime regioni italiane come numero di abitanti, ma la più importante per i Democratici come quota di elettori (28 per cento).

Così le truppe Democratiche, già demoralizzate dal magro risultato lombardo (6% alle europee, attorno al 5% nelle provinciali), si sono irritate e hanno accolto freddamente il cognato bergamasco. L’unico che ha avuto il coraggio di criticarlo apertamente è stato l’avvocato Pierluigi Mantini, ma nei corridoi i commenti erano quasi tutti democristianamente velenosetti. 

Intanto, in barba al proprio nome, i Democratici continuano a essere l’unico partito italiano senza dirigenti (più o meno) democraticamente eletti: il primo congresso nazionale è stato rinviato a fine anno, perché i prodiani sperano che in settembre il congresso Ppi si concluda con la fuga nell’Asinello di molti popolari. Prodi avrebbe voluto far slittare tutto addirittura al Duemila, ma gli altri dirigenti che già cominciano ad averne abbastanza della gestione «provvisoria» di Parisi hanno strappato un anticipo a novembre.

Gli ex democristiani (prodiani, pattisti e, adesso, anche diniani) sembrano comunque avere già conquistato l’Asinello, in barba ai vari Di Pietro, Francesco Rutelli e Massimo Cacciari: come «garante» per la Lombardia, ad esempio, Prodi è riuscito a imporre la fedele Albertina Soliani, ex dc reggiana, direttrice didattica, già sottosegretaria all’Istruzione nel suo governo. Così, mentre la base è ancora composta quasi tutta da dipietristi (i militanti della prima ora che un anno fa diedero l’anima per raccogliere il mezzo milione di firme per il referendum), i vertici stanno diventando in maggioranza prodiani.

Se in Lombardia la Soliani (che assomiglia impressionantemente a Rosy Bindi) ha subito scelto come sua principale collaboratrice la prodiana Viviana Guerzoni, infliggendo così un altro colpo alla leadership del dipietrista Giorgio Calò, in altre regioni le cose stanno anche peggio. 

Disastri in Puglia: «Il garante Mario Monaco», protesta il dirigente foggiano Filippo Fedele, «ha spartito i subgaranti secondo la miglior logica democristiana». Un altro prodiano, il neoeurodeputato Giovanni Procacci, è andato a combinar guai a Modena, mentre nel Lazio c’è il caso di Raffaele Fellah, imbarazzante primo dei non eletti a Strasburgo dopo Rutelli grazie all’appoggio di Cl e degli andreottiani.

«Tutti questi passi falsi ci sono costati almeno quattromila aderenti in meno», commenta sconsolato Elio Veltri, dipietrista ante marciam. E «il nuovo modo di fare politica» dov’è finito? 

Tuesday, January 31, 1984

Lega per il disarmo a congresso

PACE/FIRENZE: UNILATERALISTI E POLEMICI

di Mauro Suttora

Il Manifesto, 31 gennaio 1984

Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.

"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".

Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.

Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.

C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".

Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".

I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".

Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora