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Wednesday, January 28, 2009

L'Uomo nero di Rignano Flaminio

DI SICURO C'E' SOLO CHE NON E' LUI

Intervista esclusiva al cingalese Kelum Weramuni, scagionato

di Mauro Suttora

Oggi, 28 gennaio 2008

No, non è lui l’Uomo Nero. Kelum Weramuni de Silva non è un pedofilo, non ha violentato i bambini di Rignano Flaminio (Roma), non ha mai conosciuto gli alunni e le maestre dell’asilo del paese. Una settimana fa è arrivato il decreto ufficiale d’archiviazione dalla procura di Tivoli.

Ma Kelum, 30 anni, due mesi fa è tornato nella sua patria, lo Sri Lanka: «Era da quattro anni che non vedevo la mia fidanzata Ishara, i miei genitori, la mia famiglia. In Italia non potevo più lavorare, non mi prendeva nessuno dopo quella storia. Ero tornato clandestino, avevo un decreto d’espulsione, dormivo da amici, loro mi aiutavano anche per mangiare. Ma non ce la facevo più. Sono tornato a casa. Però qui non c’è lavoro. Quindi spero di poter tornare presto in Italia»
.
Ha ancora voglia di stare nel nostro Paese, Kelum, nonostante l’incubo che gli è piombato addosso e che è durato più di un anno e mezzo. Il 24 aprile 2007 era stato arrestato assieme a tre maestre della scuola materna «Olga Rovere», una bidella e il marito di una di loro. Una gragnuola di accuse infamanti: violenza sessuale aggravata dalla minore età delle vittime, sequestro di persona, atti osceni, maltrattamenti, sottrazione di persona, corruzione di minori, atti contrari alla pubblica decenza.

Diciassette giorni di carcere a Rebibbia, poi l’interrogatorio e la scarcerazione. Ma l’inchiesta si è conclusa solo adesso, con tre archiviazioni (lui, la bidella, una maestra che non era finita in prigione) e quattro «avvisi di conclusione dell’indagine», con una possibile richiesta di rinvio a giudizio.

Kelum faceva il benzinaio nel paese di ottomila abitanti, 40 chilometri a nord di Roma. «Lavoravo lì dal settembre 2005», ci racconta, «ma non ho mai conosciuto nessuno di quella scuola. Anzi, non sapevo neppure dove fosse. Quando sono arrivato in commissariato mi hanno detto di cosa ero accusato, ma non capivo».

Venti bambini fra i quattro e i sei anni avevano raccontato ai genitori di essere stati portati più volte in una casa fuori dall’asilo, alla periferia del paese. Lì gli adulti li avrebbero sottoposti a giochi erotici di ogni tipo, con maschere, carezze, toccamenti e penetrazioni con piccoli oggetti. La cosa sarebbe andata avanti da anni: le prime denunce dei genitori sono del 2006.

«Gli avvocati mi hanno spiegato che due bambini su venti mi avrebbero “riconosciuto”. Una bimba, mentre era in auto con i suoi che si erano fermati a far benzina, disse che io ero Maurizio, facevo i giochi della scuola con loro, mi mascheravo da scoiattolo. E un altro era scoppiato a piangere dopo che io gli feci una smorfia per scherzo. Diceva che io ero Giovanni, l’Uomo nero con il codino che li aspettava in auto e li portava a casa di una maestra».
Due bambini su venti. Ma le loro testimonianze sono bastate per incastrare Kelum, unico uomo dalla pelle nera nei dintorni.

«Nell’interrogatorio spiegai al giudice che non ho la patente e non ho mai guidato. Lavoravo dalle sette del mattino alle otto di sera, ero sempre lì alla pompa, tutti mi vedevano. Nella pausa di chiusura, dall’una alle tre, andavo a pranzo lì vicino, a casa di altri cingalesi. Potevano testimoniare tutti, anche il mio padrone».

Gli avvocati Ettore Iacobone e Domenico Naccari assistevano Kelum da tempo: il permesso di soggiorno gli era scaduto, aveva ricevuto un decreto di espulsione, ma il suo datore di lavoro aveva fatto domanda di regolarizzazione. Aspettava la sanatoria. Invece, è finito in prigione.

Il caso ha fatto un enorme clamore non solo per le accuse di pedofilia collettiva da parte di maestre in un asilo, ma anche perché il paese di Rignano si è spaccato in due, fra colpevolisti (le famiglie dei bambini) e innocentisti (parenti e amici degli accusati). Ci fu perfino una dimostrazione di questi ultimi sotto Rebibbia per chiedere la scarcerazione.

I presunti «orchi» di solito non vengono trattati bene dagli altri carcerati.
«Ma io non ho avuto problemi in quei diciassette giorni, tutti mi credevano», dice Kelum. che è buddista e ha un carattere assai mite. Anche adesso, al telefono da Ceylon, più che la rabbia sembrano trasparire sorpresa e rassegnazione.

«Non sono mai riuscito a capire perché quei due bambini mi hanno accusato. I carabinieri sono anche venuti a sequestrare un computer nella casa dove dormivo, non so cosa cercavano, ma non hanno trovato niente. Io sono sempre stato tranquillo, perché non avevo nulla da nascondere».

La sua famiglia in Sri Lanka ha saputo qualcosa?

«Certo, i miei amici hanno telefonato qui a casa raccontando quello che era successo. Ma la mia fidanzata mi conosce da quando avevamo quindici anni, nessuno ha creduto a niente. Anche perché di solito sono gli occidentali che vengono qui in Sri Lanka per fare certe cose con i bambini».

Ma davvero vuoi tornare in Italia dopo questa disavventura?

«Prima di emigrare in Europa lavoravo in un albergo qui vicino a Colombo. Ma adesso c’è crisi nel turismo, non c’è lavoro. Ero emigrato in Germania, però dopo un mese ho preferito l’Italia. Quando mi hanno liberato dal carcere mi hanno subito portato in un Cpt, un Centro di permanenza temporaneo, per espellermi. Ma i miei avvocati hanno fatto ricorso, e sono rimasto. Ho lavorato da un dentista a Morlupo, poi però non mi ha preso più nessuno. Con quelle accuse, quale famiglia ti vuole come domestico? Eppure mi sembrava che il giudice mi avesse creduto, infatti non mi ha dato neppure il divieto d’espatrio. Ora voglio solo tornare».

Mauro Suttora