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Thursday, September 02, 2010

Oggi: la Tulliani come la Petacci?

da www.corriere.it del 17.8.10:

Non è un collegamento diretto, ma un punto in comune sì quello che il settimanale Oggi (www.oggi.it), in edicola mercoledì 18 agosto, evidenzia tra Mussolini e Fini. Non c'entra la politica, ma la famiglia: Claretta Petacci come Elisabetta Tulliani. Oggi pubblica infatti degli estratti del libro Mussolini segreto, a cura di Mauro Suttora (Rizzoli), da cui emerge che anche il Duce si prodigò per la famiglia della sua amante.

Nel 1937 raccomandò il fratello Marcello evitandogli il carcere: «Farò il tuo amante e il suo ministro (…)», le dice. Ordinò al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il «suocero»: «Tuo padre è contento degli articoli?», chiede a Claretta. «Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso (…). Poi lo farò senatore, sei contenta?».

Ma le analogie non finiscono qui – prosegue il settimanale. Mussolini si occupa anche della costruzione di una villa sulla Camilluccia, a Roma, per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38, il Duce chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci?». E il 20 dicembre del ’38 - conclude il settimanale - di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».

articolo completo di Oggi:

I potenti di ogni epoca hanno sempre avuto mogli, compagne e amanti ad assillarli con raccomandazioni. Gianfranco Fini come Benito Mussolini. Claretta Petacci, amante del duce, era asfissiante. Conobbe Benito a vent’anni, nell’aprile 1932. I due non si erano scambiati neanche un bacio, ma pochi mesi dopo lei era già lì a pretendere. Per suo padre, per il fidanzato, per il fratello.

Ecco la trascrizione di una telefonata del 15 dicembre ’32, dal libro Mussolini segreto (Rizzoli, 2009) con i diari di Claretta. La cui autenticità è garantita dall’Archivio di stato che li ha resi pubblici dopo 70 anni.

Claretta: «La causa di mio papà. Bisogna che lei se ne interessi. Ecco, ho qui dei nomi».
Mussolini: «Già, vedo. Ma io non posso far nulla direttamente, non posso interessarmene. In dieci anni non mi sono mai incaricato di giustizia, per un sentimento mio di coscienza».
C. «Già, ma la giustizia...»
M. «Farà il suo giusto corso. Il tuo fidanzamento, come va? [Claretta è fidanzata con Riccardo Federici, tenente dell’Aeronautica, 28 anni, ndr]»
C. «Il mio fidanzamento dipende da Vostra Eccellenza» [vuole un trasferimento che avvicini il suo Riccardo a Roma].
M. «Da me? Sai che non è possibile, perché c’è la legge che lo vieta. Te l’ho detto».
C. «Appunto perché esiste una legge che lo vieta, ho domandato il suo consenso. Altrimenti era inutile disturbarlo».
M. «Già, ma non è possibile far nulla, e lui pure deve saperlo».
C. «Precisamente, il tenente [mio fidanzato] non voleva fare la domanda per via gerarchica perché sapeva di non poterla fare, e perciò la diresse a lei. Era inutile andare per una strada che già si conosceva impossibile».
M. «Ma io di fronte ad una legge che vige non posso far nulla. Non posso essere io, il capo, a trasgredirla».

Nel marzo ‘34 Claretta, ormai sposata con Federici (e ancora allo stadio platonico con Mussolini) cambia obiettivo: «Perché non lo fa suo aiutante di volo?»
Mussolini: «Perché conosco te».
C. «Ebbene che c’entra? Anzi, ragione di più».
M. «No, perché direbbero: “L’ha fatto aiutante di volo perché è l’amico della moglie”».
C. «E allora di tutti questi che vanno avanti, che ne sappiamo se la moglie... non lo dicono, questo».
M. «Lo dicono, lo dicono».
C. «E che importa?»
M. «Importa sì, perché poi gli dovrò dare degli ordini, lo dovrò avere a mio contatto, e devo pensare che di fronte alla mia coscienza faccio la figura del traditore. No, questo no».
C. «Quanti scrupoli di coscienza».
M. «È questo il mio forte, se non avessi così profondamente coscienza non riuscirei a vincere gli altri».
C. «Ma pure Napoleone prendeva a benvolere delle ragazze e le favoriva».
M. «Già, e questa era una sua debolezza».
C. «Insomma, non mi vuole aiutare. Un aiutante dovrà pure prenderlo. È un bel ragazzo, di bella presenza, intelligente».
M. «Lo credo, lo credo, ho la massima stima di lui come pilota e come ufficiale. Ma conosco te e basta».
C. «Capisco, non mi aiutate perché non mi volete più bene».
M. «Non posso».
C. «Fate conto che io sia vostra figlia».
M. «Già, ma non lo sei. Io i miei parenti li pesto più che posso, non li aiuto mai, ho questa abitudine».

Abitudine che già l’anno dopo abbandonerà. Scrive infatti Claretta a Mussolini del ’35: «Ecco i documenti di mio fratello [Marcello, che verrà fucilato a Dongo nel ‘45, ndr], che Ella con tanta benevolenza mi ha richiesto e di cui vi è copia alla sede del fascio. Le sono infinitamente grata di quest’altra prova di affettuoso interessamento che Ella ha voluto darmi. Vi sono inoltre dei fatti avvenuti durante l’attività giovanile, che non sono documentati. Ricordo per esempio che nel 1921, per aver gettato nella calce una bandiera rossa, fu percosso tanto che dovette rimanere due settimane in clinica. Nello stesso periodo fu aggredito da un sovversivo armato di coltello, che riuscì fortunatamente soltanto a ferirlo».

Fratello fascistissimo, insomma, e mamma di Claretta pure lei felice per uno dei tanti favori di Mussolini al figlio. Ecco infatti una lettera di ringraziamento della signora Petacci del 29 ottobre ’36: «Ancora una volta per Voi c’è nel mio animo un raggio di luce. Per la Vostra grande bontà Vi ringrazio con cuore riconoscente di mamma. Sono certa che il mio Marcello corrisponderà sempre degnamente a questo Vostro prezioso interessamento».

Nell’ottobre ’36 Claretta (separata dal marito) e Benito sono ormai amanti. E lei gli chiede per lettera di proteggere il padre Francesco Saverio, medico del Vaticano, da un tizio con cui è in causa: «Perdonami si ti disturbo, se ti parlo di cose estranee al mio amore... ma come fare senza il tuo consiglio? Papà avrebbe lasciato libero l’appartamento per aderire all’accordo. [...] Hanno ricorso a Sua Eccellenza Pacelli [Eugenio Pacelli (1876-1958), segretario di stato vaticano, diventerà papa Pio XII nel ‘39, ndr], mettendo in cattiva luce papà anche presso il governatore. Continua la sua linea scorretta, oltre che con il fascio, anche con papà».

Un anno dopo, 15 ottobre ‘37: «Mi dice di Marcello [che ha combinato un guaio], che stia tranquilla, che non gli fanno nulla, e che prima di esprimersi con tanta leggerezza su di un ufficiale ci pensino e stiano attenti a quello che fanno. Dice che Sebastiani [il segretario di Mussolini] ha detto che Marcello è un po’ esuberante ma simpaticissimo. Molto contento di averlo potuto aiutare».

Nove giorni dopo: «Lo trovo scuro. C’è la questione riguardante Marcello, una vigliaccheria che vogliono fargli, un’infamia. Io scatto, mi dispiaccio, mi viene da piangere, difendo Marcello per la verità e per la giustizia. Lui si convince, mi calma. Dice che farà di tutto perché nulla di male avvenga, capisce che qualcuno ad arte ha esagerato per fargli del male. “Farò il tuo amante e il suo ministro. La mia situazione è falsa, non voglio che si dica che me ne occupo perché è tuo fratello, perché questo non è. D’altronde se l’hanno mandato a me, vuol dire che avevano uno scopo”».

Due giorni dopo, il verdetto. Mussolini dice a Claretta: «Volevano dargli niente di meno che la fortezza [il carcere] per una scemenza di così poco valore. Allora ho detto di andarci piano, di non calcare la mano, che non è il caso. Se la caverà con una decina di giorni di arresti semplici o di rigore, non so, che poi non farà perché lavorerà lo stesso».

Mussolini ordina al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il padre di Claretta: poi le chiede: «Tuo padre è contento degli articoli? Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso, prenderà 2000-2500 lire al mese. Poi, nel ‘39, lo farò senatore. Sei contenta?».

La nomina al Senato non va in porto. E il 24 gennaio ’39 Claretta scrive: «Gli dico che mi è dispiaciuto abbia fatto la legge dei 60 anni [età minima per diventare senatore] che lascia fuori papà. Rimane male e dice: “Non sapevo che tuo padre fosse ancora così giovane. Sono spiacente, mi ha costretto a farlo una richiesta per 700 e più [seggi di] senatori [sui 212 da nominare per il nuovo Senato, ndr], quindi ho dovuto mettere un limite. Non credere che l’abbia fatto apposta. Mi sono trovato costretto per eludere molte domande”». Ma Claretta non ci crede e gli molla una scenata: «Rispondo come devo e mi vengono le lagrime».

Intanto è iniziata la costruzione di una villa sulla Camilluccia per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38 Mussolini chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria [di casa]. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci. Sono contento che tu abbia qualcosa. Io sono nemico di avere beni, cose, tenute, ma ciò non toglie che sia contento che li abbiano gli altri».

E il 20 dicembre ’38 di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».

Mauro Suttora

Wednesday, September 01, 2010

Fare futuro

LE PROVOCAZIONI DI FILIPPO ROSSI E DEGLI ALTRI GIORNALISTI FINIANI

di Mauro Suttora

Oggi, 25 agosto 2010

Provate a cercare su Google la parola «Fare futuro». Il nome della fondazione di Gianfranco Fini batte «fare l’amore» e «fare soldi» per cinque milioni di risultati contro mezzo milione e 400 mila, rispettivamente. Incredibile: le due attività più piacevoli della vita stracciate da un sito politico. Questo spiega ed è spiegato (causa ed effetto) dall’estate più pazza nella storia dei partiti italiani: un intero agosto passato da tv e giornali a registrare ogni sospiro di Fini e del suo nuovo avversario, il premier Silvio Berlusconi che lo rese «presentabile» nel 1993, e col quale appena due anni fa aveva fondato il Popolo della Libertà.

«Il berlusconismo è fatto di ricatti, menzogne, editti e killeraggio», ha scritto Filippo Rossi, direttore della rivista online di Fare futuro. Definizione durissima, che neppure gli oppositori del Partito democratico userebbero. Ormai siamo in territorio Di Pietro-Grillo. Presa di distanza immediata, quindi da parte dei 44 parlamentari transfughi finiani: «Editoriale fuori misura», hanno tagliato corto i capigruppo Italo Bocchino e Pasquale Viespoli.

Ma l’autore non fa marcia indietro: «A Fare futuro siamo commentatori e giornalisti», ci dice Rossi, «non facciamo direttamente politica, ma cultura. E registriamo sensazioni che abbiamo dentro di noi o attorno a noi».
Rossi come Vittorio Feltri? Il direttore del webmagazine finiano come quello de Il Giornale berlusconiano, che dopo la rottura non lascia passar giorno senza un titolo a nove colonne in prima pagina contro Fini? Giornalisti entrambi, Rossi e Feltri mitragliano all’impazzata. Poi arrivano i politici a smentire, attenuare, minimizzare. Ma intanto il danno è fatto, le parole sono state dette e scritte, il clima avvelenato.

Rossi non accetta il paragone con Feltri (o con Maurizio Belpietro, direttore di Libero, l’altro quotidiano belusconofilo altrettanto aggressivo): «Noi facciamo analisi politiche, non attacchi personali». Beh, accusare i berlusconiani di essere dei killer... «E cosa fanno da un anno, se non accusare Fini di qualsiasi nefandezza? Gettano cacca nel ventilatore, e alla fine qualche schizzo resta attaccato. Si sono ridotti ad attaccare il fratello della compagna di Fini, oppure a rovistare fra le fatture di una cucina Scavolini».

A proposito: non sarebbe meglio che Fini, per tacitare le accuse, dicesse sempre tutto e subito?
«In che senso?»
Che spieghi chi c’è dietro le società fantasma che hanno acquistato la casa di Montecarlo affittata dal fratello della sua compagna Elisabetta Tulliani, e se quella cucina l’ha comprata per lui. Magari aggiungendo: «Se ho commesso qualche stupidaggine, l’ho fatto per amore». Gli italiani capirebbero. Almeno quelli che tengono famiglia. Cioè quasi tutti.

«Ma figurarsi se il presidente della Camera deve abbassarsi a rispondere. Non può partecipare a questo gioco al massacro. Ha già dato abbastanza spiegazioni. D’altra parte, lo stesso Feltri ammette che si tratta soltanto di “questioni di galateo politico”. Non stiamo parlando certo di reati, di cui invece sono formalmente accusati vari dirigenti berlusconiani. Insomma, non è ridicolo che tutto il dibattito politico di una nazione, con i problemi che abbiamo, debba ruotare attorno a un piano rialzato a Montecarlo, una cucina componibile, una schedina Enalotto?»
Beh, è capitato anche a Clinton e Monica, a Sarkozy e Carla.
«Ecco. Invece noi vorremmo parlare di politica, possibilmente».

À la guerre comme à la guerre, però. Quindi, adesso ai giornali berlusconiani Elisabetta Tulliani risponde solo con querele: contro Il Giornale, Libero, il settimanale Panorama. Una linea dura suggerita probabilmente da Giulia Bongiorno, l’avvocata-deputata in questi giorni più vicina alla coppia Fini-Tulliani. Era stata lei a mettere una pietra tombale sul primo matrimonio di Fini con Daniela Di Sotto, trovando un accordo che impedisse alla signora di recriminare. Ora, invece, nessuna spiegazione all’opinione pubblica, nessun cedimento.

E poi ci sono i giornalisti mandati avanti a lanciare provocazioni, un po’ come vent’anni fa Gorbacev utilizzava Eltsin, «kamikaze della perestroika». Oltre a Rossi (ex Tempo e Italia Settimanale di Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco) fra i finiani brilla la stella di Flavia Perina, direttrice del quotidiano dell’ex An, Il Secolo. Una somiglianza con la governatrice del Lazio Renata Polverini, ogni volta che apre bocca è un carico da novanta. I metodi del Pdl? «Stalinisti». La legge sul «processo breve», ritenuta non trattabile da Berlusconi? «Deve servire solo a snellire la macchina della giustizia». E poi, sul suo giornale, giù paginate urticanti per i benpensanti della destra vandeana. «Aperture» su tutto: coppie di fatto, testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, procreazione assistita...
Gli ex missini sono diventati radicali? Hanno rubato loro il mestiere di baluardo della laicità? Con «dibattiti culturali» come questi, da parte dei finiani, scintille garantite.

Mauro Suttora

Thursday, April 02, 2009

Bocchino: il mio Fini privato

intervista a Italo Bocchino

di Mauro Suttora

Oggi, 1 aprile 2009

Eravamo quattro amici al bar. «Il bar Giolitti, di fronte a Montecitorio, dove ci trovavamo sempre Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed io. Eravamo i tre moschettieri di Gianfranco Fini, e Pino Tatarella, più anziano di noi, era il nostro D’Artagnan».
Così Italo Bocchino, 41 anni, vicepresidente dei deputati Pdl, ricorda i «tempi eroici». Cioè vent’anni fa, quando dopo il crollo del muro di Berlino il presidente Francesco Cossiga («prima di Berlusconi») sdoganò il Msi.

I nostalgici neofascisti si trasformarono nei rispettabili moderati di Alleanza Nazionale. E ora anche An scompare, confluita nel Popolo delle libertà. «Ma quegli amici restano tali, perché l’amicizia non si può sciogliere», dice Bocchino. Che è fiero di occupare lo stesso ufficio d’angolo al quarto piano del palazzo dei gruppi di Montecitorio, «dove fino al ’99 stava Tatarella, morto troppo presto».

«Ricordo perfettamente la prima volta che incontrai Fini nell’85», ricorda Bocchino, «a una conferenza sull’atlantismo nella sede Msi di Terni. Io studiavo a Perugia e stavo negli universitari del Fuan. Lui guidava il Fronte della Gioventù, era già deputato, e mostrava una diversità lombrosiana rispetto ai militanti missini: moderato nei tratti, nei modi, negli argomenti».

Era il cocco di Giorgio Almirante, allevato apposta per succedergli.
«Una scelta lungimirante, quella di saltare tutta una generazione per modernizzare il partito. Ma il Msi era molto democratico al proprio interno, e Almirante non riuscì a imporre subito Fini segretario nell’87. Ci fu lotta con Pino Rauti, Franco Servello e Domenico Mennitti. Io ero il più giovane della corrente finiana, la mascotte dei quattro moschettieri. Gasparri era il motorino organizzativo, La Russa il fantasista. Il nostro rapporto andava oltre la politica, passavamo tutto il tempo assieme. Ho dormito per un anno sul divano del bilocale di 40 metri quadri di Gasparri e della sua santa moglie a Roma in via Gradoli – sì, quella del covo dei brigatisti che uccisero Moro. Lui andava in motorino alla sede del Secolo, io in bus a quella del partito in via della Scrofa. Ma anche a Milano, non ho mai dormito in albergo: sempre a casa di La Russa. E loro da me quando vengono a Napoli».

A proposito di Napoli: è vero che Berlusconi ha consigliato a Fabrizio Cicchitto, di cui lei è il vice, di vestirsi dal suo sarto napoletano Mazzuoccolo, visto che lei è sempre elegantissimo?
«Non solo: ho portato a farsi il guardaroba da lui anche Gasparri e Quagliariello, che guidano i senatori del Pdl. Un altro quartetto…»

Degli amici faceva parte anche Francesco Storace, che però si è allontanato.
«Fu Storace a farmi assumere come giornalista al Secolo: Gasparri stava alla redazione economica, Urso e Landolfi alla politica, lui agli interni, e fece una grande battaglia sindacale per me. Entrare nel giornale allora significava conquistare il primo stipendio fisso. Passai l’esame da professionista con Veltroni e Ferrara».

Nelle foto che pubblichiamo Fini, la sua compagna Elisabetta Tulliani e la figlia Carolina passeggiano a villa Borghese con lei, sua moglie Gabriella Buontempo e le vostre due figlie. Com’è il Fini privato? Il ghiacciolo che è in pubblico?
«Assolutamente no. Formalmente sembra freddo, ma nella sostanza è normalissimo. Ha forti passioni, ora che è diventato padre è rinato a vita nuova. Credo soffra un po’ per una certa difficoltà a esprimere i sentimenti, ma per un uomo abituato a ruoli di leadership da quando aveva 25 anni l’autocontrollo è normale. Né lui né io parliamo di politica fuori dal lavoro…»

E di che parlate?
«Di tutto, delle nostre famiglie, del mare, che è l’altra sua grande passione. Gli piace vivere semplicemente: siamo stati da poco a Parigi con le nostre signore, e ci siamo spostati in metro».

Mai una litigata in un quarto di secolo?
«Come no. Nel 2005, dopo che alcuni di noi suoi amici furono intercettati mentre sparlavamo di lui, ci tolse ogni carica. Non si è più fidato di nessuno fino al 2007, io ho rischiato perfino l’elezione. E stato un periodo molto pesante, ma l’abbiamo superato».

Mauro Suttora

Thursday, March 26, 2009

Da Mussolini a Silvio

Un curioso paradosso: i postfascisti di An più democratici dei «liberali» di Forza Italia: niente «Uomo della provvidenza» nel Popolo della Libertà

di Mauro Suttora

Oggi, 25 marzo 2009

Il congresso di scioglimento di An passerà forse alla storia perché conclude l'avventura sessantennale del Msi. Ma sicuramente passa alla cronaca per il debutto in pubblico della nuova compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani. Un cambio non solo simbolico: l'ex moglie di Fini, Daniela, rappresentava infatti il passato anche politico del presidente della Camera, poiché entrambi sono stati militanti neofascisti, con il braccio alzato nel saluto romano.

Ora gli ex di An andranno d'accordo con gli ex di Forza Italia, oppure il Popolo della libertà scricchiolerà nel giro di pochi mesi, com'è capitato al Partito democratico dove ex comunisti ed ex democristiani non si sono amalgamati? Finché c'è Silvio Berlusconi non ci dovrebbero essere problemi. Ma gli ex fascisti sono abituati a una maggiore democrazia interna nel loro partito, rispetto a Forza Italia. Il «culto del Capo» non fa per loro: neppure Giorgio Almirante, come ricorda Italo Bocchino in queste pagine, riusciva a imporre la propria volontà senza discutere.

Avremo così, nel grande partito del centrodestra, dei «liberali» che si affidano all'Uomo della provvidenza di Arcore, mentre gli ex nostalgici dell'Uomo della provvidenza di Predappio pretenderanno voti democratici e dirigenti eletti, non più nominati dall'alto. Lo ha anticipato Fini: «Niente culto della personalità per Berlusconi». Un curioso paradosso.