Showing posts with label eddy merckx. Show all posts
Showing posts with label eddy merckx. Show all posts

Friday, May 19, 2023

Oggi è morto il ciclismo

OGGI È MORTO IL CICLISMO

19 maggio 2023
Oggi è morto il ciclismo. Quello che doveva essere il tappone alpino del Giro d'Italia, Ivrea-Crans Montana, è stato ridotto a 75 chilometri eliminando la scalata del Gran San Bernardo (Aosta).
Troppo freddo, troppo lungo, duro, pericoloso. Il politicamente corretto è arrivato anche nello sport. Addio fughe leggendarie di Coppi, Gimondi, Pantani, addio distacchi di 20 minuti. Addio mito, byebye spettacolo.
Il ciclismo è l'unico sport, oltre alle maratone, che non si svolge in luoghi delimitati, ma va dappertutto. Per questo è popolare: si innerva in tutte le nostre strade, come il sangue percorre le vene.
Oggi lo hanno sterilizzato. Forse è stata la decisione giusta, perché i giorni scorsi sono stati funestati da pioggia, ritiri, spaventose cadute. L'inglese Tao Geoghegan Hart, terzo in classifica generale, ha dovuto ritirarsi con una frattura all'anca. Anche il covid ha colpito, fuori tempo massimo: ha eliminato il grande favorito Remco Evenepoel, giovane belga considerato il nuovo Merckx, e il nostro Filippo Ganna.
Così è diventato maglia rosa l'attempato britannico Geraint Thomas, separato da appena due secondi dall'altro favorito, lo sloveno Primoz Roglic. E questo distacco millimetrico dà la misura della mediocrità voluta del ciclismo moderno.
Che stia trionfando anche nelle gare lo slogan buonista ugualitario "Nessuno deve restare indietro"? Ad aiutare i campioni in difficoltà finora erano i compagni di squadra, i valorosi gregari che si attardano quando i loro capitani vanno in crisi, pilotandoli verso le cime delle montagne.
Da oggi invece ci penseranno gli organizzatori ad alleviare le fatiche dei ciclisti, tagliando le asperità, eliminando pioggia e neve dai percorsi delle tappe.
Stiamo parlando di campioni che meritano tutto il nostro rispetto, anche perché possono solo sognare gli stipendi milionari di calciatori o tennisti. E infatti nessuno di loro aveva chiesto esplicitamente di evitare il passo del Gran San Bernardo. C'è solo stato un sondaggio anonimo che ha esplorato le loro preferenze: ovvia la scelta per il risparmio di energie. Ma sarebbero tutti partiti disciplinatamente anche sul tracciato lungo, perché sono orgogliosi professionisti.
Niente, il principio di precauzione ha prevalso anche fra i tornanti che creano i miti. Per certi dirigenti sportivi i campioni devono ridursi a parastatali: tante garanzie, pochi rischi. Nessuna avventura.

Monday, June 28, 2021

Olanda e Belgio, scherzi del destino pallonaro in una storia bimillenaria

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 giugno 2021

Tre ore hanno separato ieri il cammino di Olanda e Belgio: cacciata la prima dagli Europei a opera della Cechia, e giustiziere il secondo dei campioni uscenti portoghesi di Ronaldo. A completare l’overdose di notizie dal Benelux, nello stesso pomeriggio il premier lussemburghese Xavier Bettel ha annunciato di avere il Covid.

Scherzi del destino, ma solo gli ultimi nella storia bimillenaria di questi Paesi così vicini e lontani. Perché Gallia Belgica già si chiamava il nord della Francia nell’impero romano, eppure il Belgio ha conquistato soltanto 190 anni fa la sua indipendenza dall’Olanda, seguito a ruota dal Lussemburgo.

Tutta colpa di Lotario, il nipote di Carlomagno che nella tripartizione del Sacro romano impero ebbe la Lotaringia, oblunga creatura ficcata tra Francia e Germania, con le valli del Rodano e del Reno. Poi subentrano Lorena e Borgogna, e quando l’ultima regina borgognona sposa un Asburgo la frittata è fatta: i Paesi Bassi (Belgio più Olanda) diventano austriaci e poi spagnoli. 

Le sette province del nord, diventate protestanti, ci mettono 80 anni a cacciare gli spagnoli. Diventano la nazione più ricca e potente del mondo, sostituendo i regni iberici nei traffici oceanici. L’Olanda nel ’600 domina il pianeta da New Amsterdam (New York) a Batavia (Indonesia), passando per i Caraibi (Aruba, Curaçao, Sint Marteen), Suriname e Città del Capo. Le sue Compagnie delle Indie occidentali e orientali sono le prime multinazionali della storia.

Le guerre anglo-olandesi del ’700 stabiliscono il predominio britannico, ma l’Olanda conserva ricchezza e colonie. Intanto crescono le province cattoliche del sud (Fiandre, Brabante, Vallonia, oggi Belgio), rimaste alla Spagna e poi all’Austria.

Dopo Napoleone le Fiandre godono di un boom industriale pari a quello inglese, Anversa diventa il porto più trafficato del mondo. Ma la Restaurazione la consegna con Gand, Bruges e Liegi al regno d’Olanda, che ne approfitta per spostare i traffici sui propri porti di Amsterdam e Rotterdam. Così i belgi si ribellano e nel 1831 ottengono l’indipendenza ripristinando il confine religioso, mentre quello linguistico rimane misto: tuttora i fiamminghi parlano olandese nelle loro Fiandre, mentre i valloni sono francofoni.

Provate a usare il francese con un fiammingo a Bruxelles: vi risponderà in inglese.

Il Belgio si arricchisce enormemente fino a 60 anni fa sfruttando la colonia del Congo. Oggi Lukaku lo ha portato in cima alla classifica Fifa, ma sono milioni i suoi avi morti nelle piantagioni di caucciù.

La nazionale belga non era disprezzabile negli anni ’50, nel 1980 è battuta dalla Germania nella finale europea di Roma, però i successi internazionali arrivano solo nell’ultimo ventennio, in corrispondenza con il declino delle due grandi Olande: quella di Cruijff negli anni ’70, e lo squadrone Gullit-Van Basten-Rijkaard dieci anni dopo. 

Tuttavia per entrambe il carniere è scarsissimo: l’Olanda agguanta solo gli Europei 1988 e perde tre finali mondiali; zero titoli per il Belgio.

Mancini e Vialli ora sperano di ripetere l’impresa del 1990, quando la loro Sampdoria vinse la finale di Coppa Uefa contro l’Anderlecht di Bruxelles. Ma sarà dura quanto per Gimondi fronteggiare Merckx. È il dramma di essere campioni, ma contemporanei di un cannibale. Lo stesso problema dei ciclisti olandesi: tutti ottimi, da Zoetemelk a Mollema. Ma perennemente sovrastati dai belgi, fossero Rik Van Looy o Evenepoel. Anche perché le ‘classiche’ si corrono in Belgio: l’Olanda è piatta. Come la sua nazionale di calcio ieri.

Mauro Suttora

Wednesday, July 24, 2002

Mario Cipollini

L' ultimo ruggito di Re Leone: me ne vado e vi lascio tutti nudi

Il campione minaccia il ritiro per protesta contro il disinteresse verso il mondo delle "2 ruote"

"Perche' neanche una lira dei 300 miliardi di diritti televisivi per Giro, Tour e Vuelta va alle nostre squadre?", chiede polemico il velocista. "Nonostante il disastro dei Mondiali i calciatori guadagnano dieci volte piu' dei ciclisti". Dopo 300 vittorie e una stagione trionfale il campione mirava al titolo iridato, ma ora e' indeciso se continuare

Oggi, 24 luglio 2002

di Mauro Suttora

Qui lo vedete nudo, in una foto che ha accettato di fare per il mensile Fit for fun. Ma cinque anni fa si era vestito con uno smoking bianco per salire sul podio del Giro a Milano, e ogni volta che vince è sempre una sorpresa.

Un po’ come Valentino Rossi nelle moto, non si sa mai cosa inventerà il più creativo fra i campioni del ciclismo italiano: Mario Cipollini, 35 anni, da Lucca, altissimo (uno e novanta), magrissimo (peso forma 76 chili), potentissimo: è il professionista in attività che ha vinto più di tutti, nella sua carriera ha trionfato in 300 volate e per dieci anni su tredici, a fine stagione, è stato l’italiano più vincente.

Insomma, uno così sarebbe un peccato perderlo, anche perché il nostro ciclismo dopo i guai col doping di Marco Pantani non se la passa granché bene. E invece lui minaccia di lasciare, «perché gli sponsor pensano solo al calcio, e anche dopo la brutta figura della nazionale ai Mondiali i giornali continuano a scrivere solo di calcio e i pubblicitari a far fare spot solo ai calciatori».

Ha ragione, Cipollini. Per esempio, che rivoluzione sarebbe scoppiata in Italia se in in un qualsiasi altro sport la Francia avesse impedito al nostro maggiore campione di gareggiare? Invece è proprio quel che è successo all’estroso toscano, al quale è stato vietato di iscriversi al Tour de France.

I francesi lo temono: superMario da loro è famosissimo, ha vinto dodici tappe al Tour e nel ‘99 addirittura quattro consecutive. Quest’anno, poi, Cipollini è in gran forma. Ha vinto ben sei volte al Giro d’Italia (e ormai è a quota 40, solo una tappa in meno del record di Alfredo Binda, ottenuto però in un’altra epoca, in cui uno come Binda riusciva ad aggiudicarsi quasi tutte le tappe di un Giro), ma soprattutto ha compiuto un’impresa che in passato era riuscita soltanto al grande Eddy Merckx: vincere nello stesso anno due classiche come la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem.

La storica accoppiata di Merckx avvenne quando l’asso belga era agli inizi della carriera: nel 1967, guarda caso lo stesso anno in cui Cipollini nacque.

Ora superMario è a fine carriera, ma certo non in declino: «Se avessi annunciato il mio ritiro da non vincente, sarebbe stata routine», ci spiega lui al telefono mentre torna nella sua casa toscana da Roma, il giorno dopo aver sfilato per lo stilista Cavalli a piazza di Spagna, «ma io voglio protestare per il sistema sbagliato che governa il ciclismo. Non è possibile, infatti, che su 300 miliardi di diritti televisivi ai gruppi sportivi non arrivi neppure una lira. Il problema non riguarda me, io sono soddisfatto dei miei compensi, ma non è giusto che un mio compagno di squadra, che fa la stessa fatica che faccio io, guadagni 50 milioni lordi all’anno. Che professionismo è? In tutti gli sport, dal calcio alla Formula Uno, dal tennis al basket, quest’ingiustizia non accade. Oggi sono solo gli sponsor a pagare per l’attività delle squadre, e in cambio si devono accontentare solo del ritorno d’immagine, come se i diritti tv di Giro, Tour o Vuelta spagnola non esistessero. Per questo c’è crisi, ed è difficile trovare sponsor».

Cipollini in questo momento ha il coltello dalla parte del manico. Sa che tutto il mondo del ciclismo italiano è lì col fiato sospeso ad aspettare la sua decisione: lascia, non lascia?

Il motivo è semplice: il 13 ottobre in Belgio si correrà il campionato del mondo, e il circuito sembra stato scelto apposta per far vincere lui, il nostro Re Leone. Pianeggiante abbastanza per impedire fughe e portarlo fresco alla volata, dove lui piazzerebbe la sua zampata irresistibile.

Lui intanto se la gode, come sempre. È andato in Costa Smeralda dove ha partecipato a tutte le feste, compresa l’inaugurazione del Billionaire del suo amico Flavio Briatore. C’è chi dice ci possa essere lo zampino di Briatore se nelle prossime settimane avverrà il colpo di scena: e cioè che la Renault scenderà in pista come sponsor di peso per aiutare la squadra di Cipollini, l‘Acqua & Sapone e Cantina Tollo di Civitanova Marche.

Probabilmente è proprio la vita dei vip a Porto Cervo ad avere amareggiato superMario, a tu per tu con i campioni del calcio e le divette televisive. Può essere umiliante, infatti, il confronto con ragazzi ventenni che guadagnano dieci volte più del massimo campione del secondo o terzo sport più popolare d’Italia (tale è infatti il ciclismo, superato solo dal calcio e, forse, dalla Formula Uno). E anche durante la sfilata di moda a Roma neanche un accenno, da parte della presentatrice Cristina Parodi, alla sua presenza come modello di lusso.

Nel mondo del ciclismo la protesta di Cipollini non è stata accolta solo da applausi: «Complimenti», ha per esempio commentato velenosamente Il Giorno, «il suo ritiro a scadenza gli sta dando una ribalta che nemmeno il Tour gli avrebbe concesso. Una volta doveva fare la fatica di correre la prima settimana in Francia per poi andare in spiaggia, adesso riesce a far parlare di sè semplicemente stando sotto l’ombrellone».

Ma che ci può fare, il re Leone, se lui è nato velocista e non scalatore? I campioni delle volate danno sempre l’impressione di fare meno fatica dei «grimpeurs» che sudano e scappano sui tornanti, sembra che arrivino al traguardo con la pappa fatta dai gregari, e che il loro scatto finale sia un lusso indecente.

Ma lo sforzo di quegli ultimi chilometri allo spasimo prima dei traguardi, chi li misura? Sarebbe come dire che in atletica un centometrista vale meno di un fondista. E invece esattamente trent’anni fa, nel '72, un altro velocista misconosciuto, Marino Basso, regalò il Mondiale all’Italia infilzando Merckx negli ultimi metri. Proprio come si spera faccia in settembre il Re Leone.

Mauro Suttora