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Wednesday, October 07, 2020

Ecco perché i liberali non sono né conservatori né populisti

Huffingtonpost, 7 ottobre 2020

Caro direttore,

al tuo articolo del 23 settembre sull’“indifferibile necessità di una destra liberale” in Italia, in alternativa a quella populista antieuro(pea) di Salvini e Meloni, ha risposto Friedrich von Hayek 60 anni fa nel suo saggio ‘Perché non sono un conservatore’. Il Nobel dell’economia 1974 avverte che in alternativa alla sinistra socialista (o statalista), non ci sono solo i conservatori di destra, ma anche i liberali/liberisti come lui. Insomma, i poli sono tre e non due.

Nel 1960 Von Hayek ha la fortuna di vivere in un’epoca in cui il populismo quasi non esiste: Peron è stato sconfitto in Argentina, Poujade in Francia e il qualunquista Giannini in Italia. Quanto al sovranismo, lo si chiama col suo vero nome: nazionalismo. Ed è confinato ai rimasugli fascisti sopravvissuti dopo il 1945. 

Ma sostituisci la parola ‘conservatore’ con ‘populista’, e il ragionamento di Von Hayek vale ancor oggi: “Le posizioni dei partiti sono rappresentate su una linea in cui i socialisti sono a sinistra, i conservatori a destra e i liberali in qualche punto al centro. Niente di più ingannevole. È più appropriato disporli in triangolo, mettendo i conservatori in uno, i socialisti che tirano verso il secondo e i liberali verso il terzo”.

Per i liberali, spiega Hayek, “il problema essenziale non è chi governa, ma cosa il governo è autorizzato a fare. Mentre il conservatore (oggi il populista, ndr) si sente sicuro e soddisfatto solo se qualche autorità ha il compito di mantenere ordine e disciplina”. In economia “i conservatori avversano le misure dirigiste, e qui il liberale troverà spesso alleati fra loro. Ma i conservatori sono anche protezionisti. Perché ovviamente i conservatori vogliono conservare, mentre i liberali vogliono cambiare”.

E infatti quale cambiamento maggiore è avvenuto in Occidente negli ultimi 75 anni, se non le rivoluzioni liberiste di Thatcher e Reagan? Oggi il maggiore fossato che separa i liberali alla Bonino/Calenda dai populisti, oltre al neostatalismo e al neonazionalismo sia di destra che di sinistra (M5s), è quello dei diritti civili. Su fine vita, antiproibizionismo e garantismo sono agli antipodi. Perché i liberali, liberisti e libertari non amano lo stato né quando s’intromette nella vita privata, né quando mette le mani nelle nostre tasche, con le tasse. Insomma, cuore a sinistra, portafogli a destra.

Ps: il libretto ‘Perché non sono un conservatore’ di Hayek fu ripubblicato nel 1997 da Ideazione, la rivista degli ex Msi Mennitti e Tatarella. Allora, dopo Fiuggi, in An c’erano fermenti culturali e si scopriva il liberalismo. Dov’è oggi il dibattito in Fratelli d’Italia? Tutto appaltato alla subcultura complottista del fasciocomunista Fusaro? 

Mauro Suttora

Thursday, April 02, 2009

Bocchino: il mio Fini privato

intervista a Italo Bocchino

di Mauro Suttora

Oggi, 1 aprile 2009

Eravamo quattro amici al bar. «Il bar Giolitti, di fronte a Montecitorio, dove ci trovavamo sempre Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa ed io. Eravamo i tre moschettieri di Gianfranco Fini, e Pino Tatarella, più anziano di noi, era il nostro D’Artagnan».
Così Italo Bocchino, 41 anni, vicepresidente dei deputati Pdl, ricorda i «tempi eroici». Cioè vent’anni fa, quando dopo il crollo del muro di Berlino il presidente Francesco Cossiga («prima di Berlusconi») sdoganò il Msi.

I nostalgici neofascisti si trasformarono nei rispettabili moderati di Alleanza Nazionale. E ora anche An scompare, confluita nel Popolo delle libertà. «Ma quegli amici restano tali, perché l’amicizia non si può sciogliere», dice Bocchino. Che è fiero di occupare lo stesso ufficio d’angolo al quarto piano del palazzo dei gruppi di Montecitorio, «dove fino al ’99 stava Tatarella, morto troppo presto».

«Ricordo perfettamente la prima volta che incontrai Fini nell’85», ricorda Bocchino, «a una conferenza sull’atlantismo nella sede Msi di Terni. Io studiavo a Perugia e stavo negli universitari del Fuan. Lui guidava il Fronte della Gioventù, era già deputato, e mostrava una diversità lombrosiana rispetto ai militanti missini: moderato nei tratti, nei modi, negli argomenti».

Era il cocco di Giorgio Almirante, allevato apposta per succedergli.
«Una scelta lungimirante, quella di saltare tutta una generazione per modernizzare il partito. Ma il Msi era molto democratico al proprio interno, e Almirante non riuscì a imporre subito Fini segretario nell’87. Ci fu lotta con Pino Rauti, Franco Servello e Domenico Mennitti. Io ero il più giovane della corrente finiana, la mascotte dei quattro moschettieri. Gasparri era il motorino organizzativo, La Russa il fantasista. Il nostro rapporto andava oltre la politica, passavamo tutto il tempo assieme. Ho dormito per un anno sul divano del bilocale di 40 metri quadri di Gasparri e della sua santa moglie a Roma in via Gradoli – sì, quella del covo dei brigatisti che uccisero Moro. Lui andava in motorino alla sede del Secolo, io in bus a quella del partito in via della Scrofa. Ma anche a Milano, non ho mai dormito in albergo: sempre a casa di La Russa. E loro da me quando vengono a Napoli».

A proposito di Napoli: è vero che Berlusconi ha consigliato a Fabrizio Cicchitto, di cui lei è il vice, di vestirsi dal suo sarto napoletano Mazzuoccolo, visto che lei è sempre elegantissimo?
«Non solo: ho portato a farsi il guardaroba da lui anche Gasparri e Quagliariello, che guidano i senatori del Pdl. Un altro quartetto…»

Degli amici faceva parte anche Francesco Storace, che però si è allontanato.
«Fu Storace a farmi assumere come giornalista al Secolo: Gasparri stava alla redazione economica, Urso e Landolfi alla politica, lui agli interni, e fece una grande battaglia sindacale per me. Entrare nel giornale allora significava conquistare il primo stipendio fisso. Passai l’esame da professionista con Veltroni e Ferrara».

Nelle foto che pubblichiamo Fini, la sua compagna Elisabetta Tulliani e la figlia Carolina passeggiano a villa Borghese con lei, sua moglie Gabriella Buontempo e le vostre due figlie. Com’è il Fini privato? Il ghiacciolo che è in pubblico?
«Assolutamente no. Formalmente sembra freddo, ma nella sostanza è normalissimo. Ha forti passioni, ora che è diventato padre è rinato a vita nuova. Credo soffra un po’ per una certa difficoltà a esprimere i sentimenti, ma per un uomo abituato a ruoli di leadership da quando aveva 25 anni l’autocontrollo è normale. Né lui né io parliamo di politica fuori dal lavoro…»

E di che parlate?
«Di tutto, delle nostre famiglie, del mare, che è l’altra sua grande passione. Gli piace vivere semplicemente: siamo stati da poco a Parigi con le nostre signore, e ci siamo spostati in metro».

Mai una litigata in un quarto di secolo?
«Come no. Nel 2005, dopo che alcuni di noi suoi amici furono intercettati mentre sparlavamo di lui, ci tolse ogni carica. Non si è più fidato di nessuno fino al 2007, io ho rischiato perfino l’elezione. E stato un periodo molto pesante, ma l’abbiamo superato».

Mauro Suttora