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Monday, October 16, 2023

Istriani e palestinesi. Le sliding doors di due popoli senza terra

Nel ’47-’48 due guerre perse provocarono un milione di profughi. Quelli dell’Istria hanno preso una strada, quelli di Palestina un’altra. Perché i secondi sono stati sfruttati anche dagli amici, e amici di un mondo bellicoso

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 17 ottobre 2023 

Quasi contemporaneamente, nel 1947-48, due guerre perse provocarono un milione di profughi: 300mila istriani rifugiati in Italia, e 700mila palestinesi scappati da quello che per l’Onu avrebbe dovuto essere il loro nuovo stato, accanto a Israele.

Attenzione: in entrambi i casi non fu pulizia etnica. Nessuno, né il maresciallo Tito né David Ben Gurion, obbligò italiani e palestinesi ad andarsene. Fu una fuga spontanea. Certo provocata anche dal terrore per foibe e per massacri tipo Deir Yassin (commesso dal futuro Nobel per la pace Menachem Begin, pensate un po’). 

Ma le stragi fra israeliani e palestinesi nei trent’anni precedenti erano state reciproche, e nel 1948 non furono certo gli israeliani a invadere la “Grande Palestina” araba prevista dall’Onu. Al contrario, vennero loro attaccati da tutti i Paesi arabi. Non solo quelli confinanti, Egitto, Giordania, Siria, Libano: anche da Iraq, Arabia Saudita, perfino Yemen.

Miracolosamente il neonato Israele sopravvisse al tentativo di sopprimerlo in culla, feroce quanto il 7 ottobre di Hamas: vinse la guerra e molti palestinesi preferirono andarsene. Non tutti: rimasero in 160mila, il primo nucleo degli attuali due milioni di palestinesi cittadini israeliani (su dieci milioni di abitanti d’Israele), che godono degli stessi diritti politici e civili degli ebrei, tranne il dovere della leva militare. Probabilmente sono gli arabi più liberi del pianeta.

Insomma, le guerre si vincono, si pareggiano, si perdono. In quest’ultimo caso, da sempre esse producono profughi. “Esuli”, preferivano chissà perché essere chiamati gli istriani e dalmati fuggiti in Italia dalle meraviglie del comunismo jugoslavo. Forse suonava più nobile di “profughi”. O poetico, e in effetti da Dante a Foscolo, da Mazzini a Garibaldi, quanti eroi sradicati e raminghi.

Fatto sta che molti dei rifugiati nostrani dopo aver perso tutto finirono anch’essi nei campi profughi. Ma nel giro di pochi anni si rifecero una vita trovando nuove case e lavori. Nessuno ha rivendicato mai nulla, in tre quarti di secolo neanche al più fanatico è passato per la testa di fondare un Fronte di liberazione dell’Istria. Neanche un petardo. L’Italia aveva attaccato la Jugoslavia, aveva perso, e amen.

Non così i palestinesi. Che sono stati sempre usati dai “fratelli arabi” come mezzo di pressione contro Israele. Ammassati in condizioni miserevoli nei campi profughi ai suoi confini, e peggio stanno meglio è, perché così aumenta l’odio verso Israele.

Gaza e Cisgiordania rimasero la prima egiziana fino al 1979, e la seconda giordana fino al 1994, quando furono firmati i trattati di pace con Israele. Perché in tutti quei decenni l’Egitto non diede Gaza ai palestinesi, né la Giordania Gerusalemme Est e la Cisgiordania, affinché lì nascesse il loro stato promesso dall'Onu?

In realtà quanto questi cari “fratelli arabi” amino i palestinesi lo hanno dimostrato re Hussein di Giordania col massacro del Settembre Nero nel 1970, e l’Egitto ancora in queste ore bloccando il valico di Rafah con Gaza.

Ora i profughi palestinesi sono aumentati da 700mila a cinque milioni. Gli unici rifugiati al mondo che hanno diritto a ereditare il titolo, si fanno mantenere in eterno da Onu e Ue e continuano a premere su Israele. Ormai sono passate quattro generazioni.

Nel frattempo le guerre non smettono di provocare esodi. I croati nel 1995 hanno cacciato dalla Krajna di Knin i terribili serbi, che però inopinatamente si sono rassegnati.

L’ultima fuga, quella dei centomila armeni espulsi dal Nagorno Karabach. Per fortuna non tutti hanno sempre voglia di rivincita, di tornare, di ricorrere al terrorismo per vendicarsi. Sarà vigliaccheria, sarà pigrizia, sarà quieto vivere, sarà dolente saggezza. Oppure i Rokes: “Bisogna saper perdere”. Come mi dicevano sorridenti mio padre e mio nonno, esuli nel 1944 dalla loro isola oggi croata di Lussino: “Cos te vol, mulo. G’avemo perso”. Non ditelo ai palestinesi. E neanche agli altrettanto bellicosi israeliani e iraniani, russi e ucraini.

Monday, December 13, 2021

Che nausea i patrioti che hanno bisogno di confini in cui rinchiudersi


 

Perché quando Giorgia Meloni parla di un patriota al Quirinale mi assale un lieve stato di malessere

di Mauro Suttora

13 dicembre 2021
 

La statua di Giuseppe Mazzini nel Central Park di New York sta a 300 metri da Strawberry Fields, il memorial di John Lennon. Ci passavo davanti ogni mattina, per andare al lavoro alla Rizzoli sulla 57esima Strada. Non mi sono mai sentito più patriota e orgoglioso di essere italiano, ammirandola. E anche di fronte alla statua di Dante, poco più in là verso Columbus Circle, e a quella di Garibaldi a Washington Square. Facevo lavare ogni anno la bandiera tricolore che sventolava davanti alla mia finestra alla Rizzoli.

Però resto un fan di Lennon e del suo inno, “Imagine there’s no countries”: immagina che non ci siano Paesi. Sono peggio che europeista: mondialista. Anzi cosmopolita, cittadino del cosmo.

Quindi Giorgia Meloni non mi voterebbe presidente della Repubblica. Vorrei chiederle: nel 1944 chi erano i suoi tanto amati ‘patrioti’? I repubblichini o i partigiani?

“Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”, disse Samuel Jackson nel ’700. “Quando gli stati si fanno chiamare patria, si preparano a uccidere”, ha ribadito lo svizzero Dürrenmatt, chiudendo la questione. Aggiungerei: quando i sovranisti parlano di patriottismo, si rivelano fascisti. Perché la patria ha bisogno di frontiere, e di soldati per difenderle. O espanderle, come ora minacciano di fare Putin in Ucraina dopo la Crimea, e la Cina con Taiwan.

Sono affascinato dall’argomento. Nel mio libro ‘Confini’ (ed. Neri Pozza) mi consolo: constato che fortunatamente gli attuali neonazionalisti hanno abbandonato l’insalubre tendenza a volerli spostare in avanti, provocando guerre per secoli. Si limitano a proclamare recuperi di sovranità e identità, ma all’interno degli stati esistenti. Isolazionismo, non aggressione. Frontiere con trincee e muri per proteggersi, non per attaccare.

Ma allora, perché quando la pittoresca Giorgia parla di patrioti mi assale un lieve senso di nausea? Forse perché noto ancora la fiamma fascista nel simbolo dei suoi Fratelli. E ricordo la libreria Orion, qui a Milano in via Plinio, dove negli anni ’80 i ‘camerati del terzo millennio’ avevano come loro principale avversario non più il comunismo o le democrazie giudoplutomassoniche, ma il mondialismo. E all’Onu, alla pace universale e a un mondo senza confini contrapponevano una loro buffa paccottiglia subculturale fatta di Hobbit, leggende medievali, Atreju, esoterismo.

Erano contemporaneamente in retroguardia e all’avanguardia, perché negli anni ’90 anche gli estremisti di sinistra, orbati del comunismo, li raggiunsero nella polemica contro la globalizzazione (Seattle, Genova). I no global dei centri sociali si irritavano quando li avvertivo di questa primogenitura fascista sulle loro idee, ma che ci posso fare se Marx invece era globalissimo, e i compagni lavoratori sono sempre stati internazionalisti?

Ora abito in una via dedicata ad Augusto Anfossi, patriota morto nelle 5 giornate. Qui attorno tante vie di patrioti morti giovanissimi: Emilio Morosini (a 19 anni), Enrico Dandolo (22), Goffredo Mameli (21). Eroi che ammiro. Ma il “siam pronti alla morte” dell’inno è una frase necrofila poco in sintonia con la generazione Erasmus che abbatte le frontiere grazie ai low cost, e anche alla mia che scorrazzava per tutta Europa in autostop e treni Transalpino.

“Morire per delle idee? Sì, ma di morte lenta”, cantavano beffardi Brassens e De Andrè. Alla faccia degli ottimi patrioti mazziniani e delle nostalgie ducesche di Giorgia. Che ieri, sventurata, ha detto pure “Siamo dalla parte giusta della Storia”. Aiuto.

Mauro Suttora

Wednesday, April 01, 2015

Dante: 750 anni

ALIGHIERI COMPIE 750 ANNI ANCHE AL CINEMA

Biggio&Mandelli: I SOLITI IDIOTI SFIDANO DANTE 

I comici irriverenti (reduci da Sanremo) affrontano il Sommo poeta. E nel loro Solita Commedia scoprono i nuovi peccati e ci fanno ridere. «Ma stavolta senza parolacce», dicono. Mentre nel mondo...

di Mauro Suttora 

Oggi, 1 aprile 2015 

«Nel nostro film tutti potranno riconoscere i tanti peccatori che s'incontrano nella vita di ogni giorno: mariti che fanno i bambinoni, drogati di telefonini, poliziotti che sognano di caricare i cortei degli insegnanti. Tutti isterici, nevrotici, vacui, infelici. E violenti, perché si sentono in guerra».

Francesco Mandelli spiega a Oggi La solita Commedia, il film con cui i Soliti Idioti sono tornati nei cinema dopo i venti milioni di euro incassati dai loro due film del 2011-12. Sapevate che quest'anno si celebrano i 750 anni della nascita di Dante Alighieri? «Macché. Cercavamo solo un'idea per poter mettere in un film tanti personaggi diversi. Questo anniversario è un segno divino, o del destino».

I comici con gli incassi più alti d'Italia dopo Checco Zalone e Aldo, Giovanni e Giacomo non sono gli unici a ricordare quel 1265 da cui sono passati tre quarti di millennio. Il giorno esatto in cui nacque il Sommo poeta è sconosciuto, si sa soltanto che sta fra il 14 maggio e il 13 giugno. 

Ma già fra qualche settimana l'attore Tom Hanks e il regista Ron Howard arriveranno a Firenze per le riprese del terzo film tratto dai best seller mondiali di Dan Brown. Dopo il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni, è la volta dell'Inferno: il professor Robert Langdon si lancerà alla ricerca di tracce dantesche nelle vie della città, in una spirale di misteri. 

E quanto sia attuale Dante nella cultura pop contemporanea lo hanno dimostrato anche il successo dei reading di Roberto Benigni, gli spot di Neri Marcorè per la Foxy con la Divina Commedia scritta su un rotolo di carta igienica, il videogioco Dante's Inferno, i Depeche Mode con il video della loro canzone Walking in My Shoes, Milla Jovovich con il suo debutto come cantante in The Divine Comedy...

Il più antico fra i recenti repechage è stato il Topolino-Dante del 1949-50, con Beatrice-Minnie e Virgilio-Pippo. Fra i più freschi, il protagonista della serie tv Mad Men che legge l'Inferno su una spiaggia hawaiana, e David Fincher, primo regista di The House of Cards nonché di Fight Club e The Social Network, i cui sette peccati capitali di Seven (con Brad Pitt, Kevin Spacey e Morgan Freeman) si ispiravano al Purgatorio.

«Onestamente, come tutti ho ricordi scolastici vaghi della Divina Commedia », ammette Mandelli, «buoni quelli dell' Inferno al terzo anno del liceo, mentre l'ultimo anno, nel '98, già lavoravo a Mtv come il "nongiovane" di Andrea Pezzi. Molte assenze, maturità con 37, e poco Paradiso ...»  

Nella Solita Commedia l'Inferno è nel caos: con il 2015 le sue porte si aprono a folle di peccatori sempre nuovi, che affollano l'ormai invivibile ufficio di Minosse. Una struttura burocratica così vecchia e antiquata non riesce a smaltire tali numeri e, dovendo trovare alle anime dannate una collocazione, mette a dura prova la resistenza dei suoi gironi istituzionali. 

Che fare? Chiamato a raccolta da Dio in persona (un Dio che fa affari, ristrutturazioni, pubblicità, rischia l'infarto, beve whisky e prende antidepressivi), Lucifero concorda sull'unica soluzione possibile: catalogare i nuovi peccatori in schiere inventate per l'occasione, destinandoli non più al sovraffollato Inferno, ma alla Terra. Il compito di trovare neonati gironi verrà affidato a Dante Alighieri-Mandelli che, più di ogni altro, per esperienza e cursus honorum può esaudire la richiesta.   

«Vi stupirete», assicura Mandelli, «perché scomparso il personaggio di Ruggero De Ceglie col suo turpiloquio continuo ed esagerato, in questo film non ci sono molte parolacce. Ma il risultato è ancora più graffiante e irriverente. Si può e si deve ridere di tutto: tic, idiozie, sensi di colpa». 

Insomma, i Soliti Idioti, dopo il passaggio a Sanremo con la canzone simil-Cochi e Renato, si rinnovano ma restano politicamente scorretti. E il duo Fabrizio Biggio-Mandelli diventa un trio: firma per la prima volta la regia, infatti, il compagno di scherzi di sempre Martino Ferro, già coautore nei precedenti.

E a Firenze rivive l'Inferno di Dante con Tom Hanks 
Vale 200 milioni di copie tradotte in 50 lingue e vendute in soli 15 anni, l'impero dello scrittore Dan Brown. E fra pochi giorni a Firenze iniziano le riprese di Inferno, terzo film tratto dai libri del 50enne romanziere americano dopo Il Codice Da Vinci (libro nel 2003, film tre anni dopo) e Angeli e Demoni (volume ambientato a Roma, nel 2000, pellicola del 2009). 

L'attesa è grande, perché questa vera e propria multinazionale letterario-cinematografi ca incassa miliardi di euro. Per la precisione, 750 milioni per il film Codice Da Vinci, e quasi 500 per Angeli e Demoni. Sempre con lo stesso autore, lo stesso protagonista (il professor Robert Langdon) interpretato dal medesimo attore (Tom Hanks) e diretti dallo stesso regista (Ron Howard, che da giovane fu indimenticato personaggio della serie tv Happy Days, amico di Fonzie). 

Dan Brown è innamorato dell'Italia. Con la scusa di scrivere i suoi best seller ci vive da parecchi anni per molti mesi all'anno. E ha fatto più di molti uf ci del turismo per promuovere il genio italiano nel mondo. Non che ne avesse bisogno, ma per esempio la Biblioteca Ambrosiana di Milano ha quadruplicato i visitatori (da 30 a 120 mila annui, per l'85% stranieri) con le mostre del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci dal 2009. Inferno sarà girato a Firenze, Venezia e Istanbul. Come sempre, Langdon avrà avversari spietati, fra misteri inquietanti, passaggi segreti e scienze occulte. E i puristi tremano per il povero Dante.   

È famosissimo in tutto il mondo 
Avete in tasca una moneta da due euro coniata in Italia? C'è Dante (1265-1321). Ma la fortuna del Sommo poeta (il cui vero nome era Durante) valica i confini nazionali. Il veicolo è la Società Dante Alighieri, che con i suoi 100 comitati in Italia e 450 nel resto del mondo è la principale scuola della nostra lingua per gli studenti stranieri. Solo negli ultimi 15 anni la Divina Commedia ha avuto sei nuove traduzioni inglesi.

Mauro Suttora