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Wednesday, April 27, 2016

Brennero, falso allarme

MA DOV'È IL MURO? IL CONFINE CON L'AUSTRIA È APERTO

dall'inviato Mauro Suttora

confine Italia/Austria, 15 aprile 2016



Papa Francesco è andato a Lesbo per confortare i profughi siriani bloccati in Grecia. Ma un altro papa era passato per il Brennero, dove ora gli austriaci vorrebbero, se non bloccare, almeno filtrare i migranti previsti per i prossimi mesi. Pio VI nel 1782 fece tappa a Matrei, terzo paese dopo il passo. E venne ritratto con il padrone dell’albergo Krone, dove le carrozze cambiavano i cavalli.

La famiglia Stadler continua a gestire da secoli il Krone, e l’attuale proprietario Hannes ci dice: «L’Austria l’anno scorso ha accolto 80mila rifugiati, la quota decisa quest’anno è 35mila. Noi austriaci siamo solo otto milioni, in proporzione agli abitanti sarebbe come se l’Italia ne ospitasse 270mila. Quindi la nostra parte la facciamo, non capisco le polemiche».

Le polemiche, in realtà, sono sul nulla. Il tanto temuto «Muro del Brennero», che avrebbe resuscitato la frontiera Italia/Austria abolita vent’anni fa, sono solo 15 metri di asfalto. Serviranno per incanalare dall’autostrada su una corsia d’emergenza auto e camion sospetti. Normali controlli di confine. 

E allora, perché tanto clamore quando gli operai hanno cominciato a lavorare? Semplice: il 24 aprile in Austria si vota, e nei sondaggi è in testa il candidato di destra, Norbert Hofer. Seguono un verde e un civico. Democristiani e socialisti sono ultimi. Quindi la ministra dc degli Interni di Vienna ha voluto far vedere che sugli immigrati è severa, per recuperar voti.

Ma davvero gli austriaci sono razzisti ed egoisti? Andiamo a vedere dove li mettono, i profughi. Il primo paese che incontriamo, otto chilometri dopo il confine, è Gries, mille abitanti. Trenta “asylanten” stanno in uno chalet moderno di quattro piani. 

Muhanad Asgar, 54 anni, è un prof d’inglese irakeno. Fuma una sigaretta da solo davanti all’entrata, in tuta, ciabatte e piedi nudi nonostante i 5 gradi: «Ho insegnato per 17 anni a Bengasi, in Libia. Sono cristiano, dopo che l’Isis ha ucciso mio figlio sono scappato in Italia con moglie e figlia. Abbiamo pagato il viaggio per l’Italia 7mila dollari, dopo quattro giorni eravamo a Savona. Ma la nostra meta è Linz in Austria, dove ci sono parenti di mia moglie. Stiamo aspettando qui da un anno e mezzo: solo due settimane fa, dopo interviste ed esami, mi hanno regolarizzato. Ora posso lavorare e andare a Linz. Ci danno 240 euro mensili a testa: per noi tre sono 700, ci bastano per comprare da mangiare e le altre spese. L’appartamento è gratis».

Compresa la carta igienica: mentre parliamo si ferma davanti al palazzo un camion dell’assistenza che ne lascia un pallet, più detersivi per la casa. Niente sussidi indiretti a coop e onlus, quindi, come da noi. Niente pericolo di tangenti e speculazioni. Su ogni porta degli appartamenti c’è il nome di tutti i membri delle famiglie, e la provenienza.
Al piano terra Kosovo, al primo piano gli armeni Mamadov, all’ultimo il siriano Maam al Baroudi con moglie e tre figli: «A Damasco avevo una fabbrica di mobili, i macchinari erano italiani, ma il nostro quartiere si è trovato in mezzo fra l’Isis e i soldati di Assad. Ho già il certificato dell’Agenzia rifugiati Onu, aspetto da un anno la regolarizzazione. Non posso lavorare come falegname, impazzisco a far nulla. I miei figli vanno a scuola, noi adulti abbiamo solo i corsi di tedesco. Con la pace, torneremo in Siria».

È l’estrema organizzazione a far fare agli austriaci la figura degli xenofobi. Non sopportano l’idea di un’invasione incontrollata come quella di settembre dai Balcani. Vogliono pianificare l’accoglienza, per carattere detestano emergenze e improvvisazione.



Al paese italiano del Brennero, intanto, i controlli e gli arresti continuano. Ma pochi: «Una decina al giorno, in media», ci dice Giovanni Pederzini, 67 anni, assessore delegato (in pratica sindaco) del comune che comprende la più grande Valle Isarco. Su mille abitanti, 300 sono extracomunitari. 

Imran Mohammad, 24 anni, è pakistano. Ha appena ottenuto la cittadinanza italiana dopo 14 anni di residenza. Fa il meccanico, ma ha lavorato due mesi al museo Plessi, aperto dal 2013 nell’ultima piazzola di sosta italiana sull’autostrada: «Simbolo di connessione tra il mondo mediterraneo e quello mitteleuropeo», spiega un cartello ai camionisti che guardano stralunati un’enorme scultura in ferro.

«Gli austriaci vogliono ripristinare la frontiera? A noi in paese converrebbe», scherza Pederzini, «e se rinasce pure la lira torniamo agli anni d’oro dei cambiavalute».
Strada statale, ferrovia e autostrada si stringono una accanto all’altra. Andiamo in stazione. Pattuglie di polizia, carabinieri ed esercito controllano ogni arrivo e partenza. 
Arrestano sette africani, li portano in commissariato. Li ha rimandati indietro la Germania perchè sono migranti “economici” e non hanno diritto all’asilo politico. Ma il grosso dei passeggeri, sui treni locali, sono gli universitari che da Vipiteno e Bressanone vanno a studiare a Innsbruck, capitale del Tirolo austriaco.

Per ora qui è tutto tranquillo. Ma se dalla frontiera sud Italia/Libia arriveranno decine di migliaia di disperati, tedeschi e austriaci non li faranno passare in massa, come nelle scene bibliche dello scorso autunno.
Mauro Suttora

Wednesday, September 09, 2015

NoTav, noTap, noTriv, noTtip, noToem

I CITTADINI CHE LOTTANO PER LA SALUTE E CONTRO GLI SPRECHI

Treni, gasdotti, petrolio, trattati, radar: in tutta Italia nascono comitati spontanei contro qualsiasi cosa. Spesso con buone ragioni, ma anche con qualche isteria

Oggi, 2 settembre 2015

di Mauro Suttora

Battono perfino Matteo Renzi: il 25 agosto all’Aquila il premier ha dovuto fare marcia indietro per evitare 300 noTriv che manifestavano contro le trivelle per la ricerca di gas e petrolio nell’Adriatico. In sua assenza, scontri con la polizia: tre feriti.

Estate relativamente tranquilla invece per i noTav in val Susa: dopo le epiche battaglie nei boschi degli anni scorsi, gli autonomi hanno rinunciato ad attaccare i cantieri del Treno alta velocità Torino-Lione (solo una schermaglia il 5 settembre con 8 arresti).

Anche i noTap hanno avuto meno fortuna del 2014: questa volta all’annuale Notte della taranta di Melpignano (Lecce) nessun artista ha sventolato dal palco la bandiera contro il Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe trasportare gas dal mar Caspio all’Europa via Puglia.

Quanto ai noMuos, aspettano entro settembre la sentenza del tribunale amministrativo d’appello di Palermo, che deciderà la sorte del Mobile user objective system, grande radar statunitense a Niscemi (Caltanissetta).



NoTav, noTap, no Triv, noMuos. E poi  noTtip (Transatlantic trade and investment partnership), noToem (Tangenziale ovest esterna Milano), no alle centrali eoliche e geotermiche, ai canali Expo, alle navi che a Venezia passano  davanti a piazza San Marco, alla base militare Usa Dal Molin di Vicenza, agli aerei F35, al nuovo traforo del Brennero, alle ferrovie veloci.

Tutta Italia è invasa da contestatori di nuove opere pubbliche giudicate dannose per la salute o troppo costose. Ma è sempre così? Vediamo.

TAV. Da vent’anni gli autonomi si battono contro la ferrovia Torino-Lione. Ora però sono nati comitati anche contro le linee Milano-Genova e Milano-Venezia. E contro la nuova galleria del Brennero, che nel 2026 sarà la più lunga del mondo: 63 km.

Il successo dell’Alta velocità Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno, però, dimostra la bontà del trasporto ferroviario, meno inquinante di auto e aerei. Certo, sono opere costose. E gli appalti statali in Italia sono sempre funestati da tangenti. Ma non si può rinunciare al progresso per colpa dei ladri.

Obiettano gli oppositori della Milano-Venezia: «L’Alta velocità farebbe risparmiar tempo solo se unisse direttamente le due città, senza fermate intermedie a Brescia, Verona, Vicenza e Padova. Così come il Milano-Bologna non si ferma a Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Ma i passeggeri in Veneto vanno soprattutto in città vicine, troppo vicine per dare ai treni il tempo di raggiungere l’alta velocità fra l’una e l’altra».



TAP. Il Trans adriatic pipeline porterà il gas dal mar Caspio all’Europa via Turchia-Grecia-Albania-Puglia. Senza passare dalla Russia, quindi evitando i ricatti di Putin. Il tubo sottomarino approderà a San Foca (Lecce), e i contrari temono l’impatto ambientale. Visivo, perché non c’è mai stata una fuga letale da un gasdotto di quel tipo.

«Al massimo l’acqua diventa gasata», scherza qualcuno. Gli abitanti locali temono per il turismo, ma la società del Tap mostra una spiaggia a Ibiza dove nessuno si accorge di un impianto simile.

TRIV. Pare che nell’Adriatico ci siano giacimenti non indifferenti di gas e petrolio. Da mezzo secolo sono attive piattaforme al largo di Romagna e Molise, nessuno si è mai lamentato.

Ora la Croazia si è lanciata nell’esplorazione, e poiché i giacimenti non rispettano i confini marittimi, c’è il rischio che vengano sfruttati solo da loro.

Il decreto Sblocca Italia ha assegnato alcune licenze di trivellaggio (anche per il metano in terraferma, come a Zibido a sud di Milano), e ora la fantasia popolare immagina fiotti di petrolio che inquineranno l’Adriatico.
Tutti pensano al disastro nel Golfo del Messico cinque anni fa.

Il gioco vale la candela? Le statistiche dicono che le perdite dalle piattaforme sono rarissime: in Europa solo una in Norvegia, con 4mila tonnellate di greggio versato in mare. Quantità infinitesimale a rispetto alle centinaia di migliaia di tonnellate dei disastri di ogni petroliera: Haven (Genova 1991), Exxon Valdez, Amoco Cadiz.

MUOS. Il Mobile user objective system  è un enorme padellone delle campagne vicino a Niscemi (Caltanissetta). Gli abitanti temono radiazioni nocive. In realtà è un radar che fa volare gli aerei militari Usa sul Mediterraneo.
Gli americani, stufi per le proteste («Volete chiudere i radar di tutti gli aeroporti?»), minacciano di trasferirsi in Tunisia. Sembra una replica della fobia per i ripetitori dei telefonini quindici anni fa.

TTIP. Fa venire il mal di testa solo dirlo: Transatlantic trade and investment partnership. È un trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti. Cadranno le tariffe doganali, sarà più facile importare ed esportare.

Gli ecologisti temono i cibi americani con gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), dei quali però nessun scienziato ha dimostrato la pericolosità.
I produttori di alimenti italiani, invece, sono felici di esportare negli Usa senza le barriere che ora li ostacolano.

TOEM. La Tangenziale ovest esterna Milano rovinerà ettari di verde nel Parco Sud. Rischia di fare la fine delle nuove autostrade BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano) e Tem (Tangenziale Est Milano): semivuote. I pendolari preferiscono migliorare i treni. O mettere una quarta corsia sull’attuale Tangenziale Ovest.

EOLICO. Su tutto il crinale appenninico, da Alessandria alla Sicilia, negli ultimi 25 anni si sono moltiplicati altissimi mulini a vento. I parchi eolici hanno un forte impatto visivo e le loro pale uccidono gli uccelli. Ma stanno in zone poco abitate, quindi le proteste non sono forti.

GEOTERMIA. Sul Monte Amiata (Siena), nei Campi Flegrei (Napoli) e a Castel Giorgio (Terni) vengono contestati anche gli impianti che sfruttano quest’energia, nonostante sia rinnovabile e non inquinante come il vento.

F35. I costosissimi aerei da guerra made in Usa subiscono le proteste degli ex oppositori pacifisti alle due guerre del Golfo e della lotta (persa) contro l’ampliamento della base Usa Dal Molin a Vicenza. Si saldano così (anche contro il Muos) gli antiamericanismi di comunisti, autonomi e cattolici di sinistra.
Mauro Suttora