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Thursday, July 02, 2020

Di Maio, il colpo di grazia alla politica estera italiana

Fiumi di propaganda a parte, il simpatico ministro ha un grande argomento dalla sua parte: non si uccide un uomo morto. La nostra politica estera già da tempo non esisteva più

Mauro Suttora

Huffington Post, 2 luglio 2020

articolo su HuffPost 

Vent’anni fa D’Alema ministro degli Esteri e i suoi accoliti furono definiti, per il loro penchant verso il business, “l’unica merchant bank al mondo che non parla inglese”. Ci risiamo. Tempi duri per gli angloglotti alla Farnesina. Dopo l’ineffabile Angelino Alfano, ministro nel governo Gentiloni (2017), ecco Giggino tanta buona volontà.

“Si è eccitato molto la prima volta che è andato a Londra come candidato premier M5S e poi a Harvard, negli Stati Uniti”, sibila un grillino che  conosce bene Luigi Di Maio, “volare in aereo lo rende euforico. Ha capito che la sua dimensione è quella. Altro che Pomigliano”.

Se l’era vista brutta nel maggio 2018, quando alla poltrona degli Esteri mirava Alessandro Di Battista. Ma allora i grillini non si erano ancora montati la testa, e Ale manco osò proporsi durante le trattative per il Governo gialloverde. 
Alla fine Mattarella impose Moavero, addirittura dalla gerla Monti. Uno agli antipodi del sovranismo grilloleghista, e infatti per Moavero fu una bella vacanza di un anno.

Prima missione di Di Maio al Governo: a Fiumicino per lo sputtanamento dell’Air Force Renzi, video in coppia con Toninelli. Due anni dopo l’aereo è sempre in quell’hangar.
Di Maio ricomincia a volare, perché vicepremier significa tutto e niente, ma di Sviluppo economico c’è bisogno ovunque. Al primo viaggio in Cina mostra orgoglioso il “bijetto di classe economica, perché noi non siamo come loro”. 
Poi chiama Xi “mister Ping”. Quello sussulta, perdona lo scugnizzo, e avanti con la via della Seta, Italia avanguardia d’Europa per la gioia degli Usa. 
Con Di Battista va a Parigi a solidarizzare con i gilet gialli, per la gioia di Macron. Poi è l’unico politico in Europa a non riconoscere presidente il capo dissidente venezuelano Guaidò.

Dieci mesi fa arriva il ribaltone, per Di Maio salta la poltrona di vicepremier visto il crollo alle Europee. La consolazione di lusso è la Farnesina. Ci sta pure lo scuorno per Di Battista. Le feluche ingoiano, dopo la Mogherini sono avvezzi a tutto.

Il debutto è all’annuale Assemblea generale Onu a New York. Di Maio ha un ritmo di lavoro teutonico, ogni giorno incontra omologhi e il suo staff, sapientemente guidato all’ambasciatore Sequi, sforna una valanga di comunicati. Quello più frequente, sempre uguale da dieci mesi, è sulla Libia. Dice così: “Il ministro Di Maio esprime la volontà di rafforzare il lavoro per fermare gli scontri e rilanciare il processo politico, allentare le tensioni e raggiungere un cessate il fuoco duraturo, nel pieno rispetto dell’embargo Onu e con l’identificazione di garanzie economiche e di sicurezza idonee a ricostruire la fiducia tra le parti libiche”.

Lo ripete a tutti, da dieci mesi. Nel frattempo c’è stata una guerra, l’Eni ha bloccato pompaggio ed export di petrolio, il generale Haftar è avanzato e si è ritirato che neanche Rommel, mercenari russi combattono militanti Isis, la Turchia si è ripresa la Libia cent’anni dopo averla persa con l’Italia e ci sta cacciando dai pozzi petroliferi del Mediterraneo.

Gli attivisti 5 stelle sono fermi alle invettive contro la Francia, che invece la guerra la sta perdendo assieme alla sua Total, e Di Maio è prigioniero dei loro luoghi comuni.
Secondo fallimento: Giulio Regeni. Salto triplo per il povero Giggino, massacrato sui social grillini per avere pure venduto due fregate all’Egitto che ci prende in giro. “La decisione politica non c’è ancora”, balbetta. Lo sa che l’accordo con Al Sisi prevede anche 24 aerei Eurofighter?

A febbraio è andato a Ciampino ad accogliere gli italiani rimpatriati da Wuhan. “Siamo i migliori al mondo contro il virus”, si è vantato come sempre. Dopo pochi giorni è scoppiata l’epidemia pure in Italia.
Due mesi dopo è tornato a Ciampino per accogliere Silvia Romano, la ragazza liberata dai terroristi islamici. Speravano di convincerla durante il volo a levarsi il chador. La sventurata ha tenuto duro. Risultato: 100mila voti in più per la Lega. Non è che Di Maio è anche un po’ sfortunato?
  
Prima del lockdown è tornato in Cina. Questa volta ha regalato a Xi Jinping una maglietta azzurra della nazionale. Poi i rapporti si sono un po’ guastati perché l’Italia ha chiuso i voli causa virus. Sono tornati buoni quando Di Maio ha fatto la claque alle mascherine inviate dai gerarchi cinesi. E adesso, figurarsi se emetterà uno dei suoi innumerevoli post per criticare la repressione a Hong Kong.

Appena finito il picco della pandemia ha ripreso a volare. Prima ha preteso “rispetto” dagli Stati riluttanti a riaprirci le frontiere. Come comprensibilmente ha fatto la Grecia, 190 morti contro i nostri 34mila, posponendo il via libera al 1 luglio almeno per i lombardi. Di Maio è piombato ad Atene il 9 giugno e ha emesso il solito comunicato di vittoria: “Ho ottenuto l’apertura il 1 luglio”.

Fiumi di propaganda a parte, il simpatico Di Maio ha un grande argomento dalla sua parte: non si uccide un uomo morto. Lui sta solo dando il colpo di grazia a una politica estera italiana che già da tempo non esisteva più.

Quanto all’antropologia, aveva già previsto tutto in un carme del 2013 la poetessa Paola Taverna, oggi vicepresidente del Senato,che ben conosce i suoi polli grillini:

“Che meraviglia sei diventato senatore (ministro)
E mo’ te senti er più gran signore
Lasci interviste e fai er politico sapiente
Pe me e pe’ troppi ancora sei poco più de gnente
Te guardo incredula seduto proprio accanto
E penso che non sai qual gran rimpianto
De quelli che vicino me stavano ai banchetti
E senza dubbio alcuno capivano i concetti
Proponi accordi strani e vedi prospettive
Mentre io guardo ste merde e genero invettive
So io quella sbagliata che ha perso er movimento?
O te come bandiera ora giri insieme al vento
E invece de grida’ ‘Annate tutti a casa’
Te inventi le cazzate, ma questa è n’antra cosa”.
Mauro Suttora

Wednesday, November 20, 2013

Berlusconi e i suoi vice: Galliani, Alfano

VIA DAL MILAN IL PRIMO. VIA DAL GOVERNO IL SECONDO?

di Mauro Suttora

Oggi, 13 novembre 2013

Brutto mese, novembre, per Berlusconi. Due anni fa venne estromesso dal governo per far posto a Mario Monti. L’anno scorso i sondaggi davano il Popolo delle Libertà crollato al 15 per cento senza di lui. Dovette riprendere la guida del partito da Angelino «senza quid» Alfano per pareggiare in extremis le politiche di febbraio.

Adesso la data fatidica è il 27 novembre: il Senato vota la sua «decadenza» dopo la condanna per frode fiscale a quattro anni di carcere, e due di interdizione dai pubblici uffici.

«I magistrati non possono eliminare dalla politica il capo di uno dei maggiori partiti», dicono in coro i suoi. Subito dopo, però, si dividono. Alfano esclude di far cadere il governo guidato da Enrico Letta di cui è vice, dando le dimissioni e togliendo la fiducia: «Si andrebbe al voto e vincerebbe la sinistra». «Traditore,  vuoi rimanere attaccato alla poltrona anche dopo che la sinistra ha espulso Berlusconi dal Parlamento», gli ribattono i «lealisti» (Denis Verdini, Raffaele Fitto, Sanro Bondi).

«Farete la fine di Fini»

Alla fine decide Berlusconi in persona: «Come possono i nostri senatori e ministri collaborare con chi compie un omicidio politico?» E aggiunge minaccioso: «Non andrete da nessuna parte. Anche Fini e gli altri ebbero due settimane di spazio sui giornali. Ma poi è finita com’è finita».

Il Consiglio nazionale del Pdl è convocato per sabato 16 novembre. Sono 863 i membri che annunceranno la morte del partito, e la rinascita di Forza Italia. Ma per farlo devono arrivare ai due terzi dei voti.

In ogni caso, anche se dentro al suo partito prevarrà Berlusconi, non è detto che il governo Letta cada. Alla Camera, infatti, Pd e Scelta Civica hanno la maggioranza anche senza il Pdl. E al Senato bastano 20-30 senatori Pdl (o ex Cinque stelle) per conservarla. Dopodiché, Letta potrebbe andare avanti a governare anche fino al 2015, come spera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

I governativi hanno i voti necessari

Si ritornerebbe, insomma, allo scenario del 2 ottobre. Quando i «governativi» del Pdl (oltre ad Alfano gli altri ministri  Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo,   più big come Fabrizio Cicchitto e Roberto Formigoni) avevano già racimolato i voti necessari a proseguire le «larghe intese». E Berlusconi, piuttosto che perdere, con un colpo di scena votò la fiducia.

L’altro fronte che angustia l’ex premier in questi giorni è quello sportivo. Il suo Milan è in crisi nera, e la figlia Barbara ha chiesto la testa del vicepresidente Adriano Galliani. Anche qui, Berlusconi non si commuove. Facile disfarsi dell’allenatore Massimiliano Allegri: appartiene all’unica categoria di lavoratori immediatamente licenziabili in Italia. Più problematico rompere i rapporti con Galliani, che per più di un quarto di secolo è stato l’alter ego del cavaliere nel calcio, e che prima aveva messo in piedi tutta la rete dei ripetitori delle tv Fininvest.

L’uscita del vicepresidente sarà morbida, posticipata a primavera e compensata lautamente. Questo non toglie che ricorda un po’ la testa di Giovanni Battista ottenuta da Salomè dopo aver danzato per il padre Erode.

La bella e arrembante Barbara-Salomè richiamerà al Milan Paolo Maldini come direttore tecnico ed eventualmente Clarende Seedorf. Ma il padre comincia anche a considerarla per un futuro politico, dopo il no della primogenita Marina. Qui però le cose per il povero Berlusconi si complicano. Perché un conto è far andare d’accordo i due galletti Alfano e Fitto, un altro Marina e Barbara.
Mauro Suttora

Tuesday, October 01, 2013

Caligaris e Parenti su Forza Italia

LA CRISI DEL PARTITO DI BERLUSCONI
di Mauro Suttora
30 settembre 2013
Forza Italia resuscita, o abortisce? Appena una settimana dopo l’inaugurazione della nuova sede, le dimissioni imposte da Silvio Berlusconi ai suoi ministri fanno vacillare l’annunciata rinascita del partito. Che si era fuso con An nel 2008, con risultati catastrofici: sei milioni di voti persi dal Pdl alle ultime elezioni. Quindi ritorno alle origini, in un momento drammatico per il leader: condannato, espulso dal Parlamento.
Ma già si annunciano illustri defezioni: i ministri Angelino Alfano («Sarò diversamente berlusconiano»), Gaetano Quagliariello («Non sono un estremista da Lotta Continua»), Beatrice Lorenzin. Fabrizio Cicchitto mugugna sulla mancanza di democrazia interna.
Che succede? Che ne è del partito che dal 1994, al governo o all’opposizione, domina la politica italiana?
«Faccia quel che vuole, le do carta bianca». Esattamente vent’anni fa Berlusconi consegnò le chiavi della palazzina romana dove sarebbe nata Forza Italia al generale Luigi Caligaris. 
«Fu un’avventura entusiasmante», ricorda adesso il generale. «In quattro mesi costruimmo dal nulla un nuovo partito che divenne subito il primo della settima potenza industriale del mondo. Mai successo, nella storia».
Si ripeterà oggi il miracolo del 1993-94? «Impossibile», sentenzia Caligaris, tessera numero tre di Forza Italia (dopo il fondatore e l’ex ministro Antonio Martino). «Allora ci appoggiammo alle strutture Fininvest. Uomini d’impresa, legati da un rapporto di dipendenza a Berlusconi. Io, pur essendo abituato a obbedire, come militare, ero terrorizzato dal compito: creare un partito in poche settimane. Ma il clan dei fedelissimi mi rispose: “Nessun problema, siamo tutti bravi e il nostro capo è il più bravo di tutti”. Questo clima non è cambiato. Nessun dibattito interno. C’è più disciplina in Forza Italia che in una caserma. Berlusconi è sensibile solo alle opinioni dei fedeli».
Solo dei fedelissimi, pare, in questi giorni: i “falchi” Daniela Santanché e Denis Verdini.
«È la conferma che il modello dell'impresa privata non funziona in politica. I leader hanno bisogno di un sistema non autoritario, in cui ci sia uno scambio continuo di opinioni fra base e vertice, ma in entrambe le direzioni. La base non può limitarsi a eseguire quel che vuole il vertice».

Caligaris se ne andò nel ’97, quando gli eurodeputati di Fi passarono ai Popolari europei (Dc): «Nessuna coerenza. Dicevamo di essere liberali, finimmo democristiani. E l’ordine, come sempre, arrivò dall’alto. Inappellabile. Niente discussioni».
Un altro volto noto di quella stagione eroica era Tiziana Parenti. Titti la rossa, la pugnace magistrata pisana che contestò i colleghi milanesi (Di Pietro, Borrelli, D’Ambrosio): Tangentopoli a senso unico, Pci salvato.
Oggi lei non salva Forza Italia: «In realtà come forza politica non è mai esistita. È sempre stata un’illusione. Berlusconi si ritira ad Arcore con Confalonieri e i familiari, e decide. Eravamo commissariati dalla Fininvest, facevamo politica aziendale. Come oggi, con i deputati schierati contro la sentenza da 500 milioni per Mediaset».

La Parenti era uno dei deputati più popolari, simbolo di una giustizia non piegata a sinistra (eterna accusa forzista ai magistrati): «Berlusconi ripeteva sempre: il nostro partito si deve strutturare, io presto mi ritirerò. Per qualche anno gli ho creduto, ho aspettato. Poi mi sono sentita imbrogliata. Per essere eletta mi ero dimessa dalla magistratura, non ho preso aspettative come tanti altri. Nessun paracadute. Ma se osavo obiettare qualcosa, mi assalivano. C’è un clima di cortigianeria che rasenta il degrado umano».

La fede nel capo sembra essere il destino di molti partiti. Anche di quelli “contro”: Bossi, Di Pietro, Grillo.
«Grillo è differente da Berlusconi solo perché urla, invece di fare il borghese perbenista. Entrambi usano i parlamentari come marionette, Grillo li manda sul tetto. È drammatico che dopo vent’anni ci siano ancora persone adulte che rinunciano al senso critico».

La lista di quelli che hanno abbandonato Forza Italia è lunga: se ne potrebbe fare un altro partito.
«Ricordo i “professori”: usati come carta velina che si appallottola e si butta nel cestino. Ma tutti si legavano al carrozzone. Subivano il ricatto: “O con me o contro di me”. Non era permessa alcuna opinione alternativa. L’unico sfogo era sparlare alle spalle».

Insomma, altro che Dumas: nessun Vent’anni dopo per i moschettieri di Berlusconi? 
«Quelli di allora non ci sono più. È una ripetizione penosa, patetica. Chi trova il coraggio di criticare lo fa solo quando viene scaricato, come Fini. Non c’è futuro per Forza Italia. Berlusconi morirà senza eredi, i tanti pretendenti non hanno alcuna possibilità di crescita. È un danno anche per il Paese».

Non è che ha un po’ di odio dell’ex?
«Guardi, ero molto amareggiata quando sono uscita. Ma era il ’97. Ne è passato di tempo. Oggi faccio l’avvocato, e quel poco di passione politica che mi è rimasta lo spendo con il Psi. Brave persone. Il mio problema con Forza Italia era solo che volevo un minimo di dibattito interno. Poi potevo anche avere torto. Ma senza falangi precostituite. Per il resto, le mie idee non sono cambiate. Infatti ho sulle spalle una querela da Di Pietro per 250mila euro».
Mauro Suttora

Wednesday, September 04, 2013

4 scenari per il governo


CADE? NON CADE? SI VOTA?

di Mauro Suttora

Oggi, 28 agosto 2013

La data di lunedì 9 settembre è diventata importante quasi quanto l’8 settembre di settant’anni fa. La giunta per le elezioni del Senato si riunisce in quel giorno per decidere la decadenza di Silvio Berlusconi, condannato definitivamente a quattro anni per frode fiscale.
Il partito berlusconiano Pdl non accetta questa prospettiva, e minaccia di ritirare la fiducia al governo di Enrico Letta dopo appena quattro mesi. In ballo c’è anche l’Imu, tassa sulla casa che il Pdl vuole abolire. Ecco i possibili scenari:

1) NUOVO GOVERNO LETTA
Se l’attuale governo delle «larghe intese» (Pd-Pdl-Scelta Civica) non riesce in qualche modo a sopravvivere, il capo dello Stato Giorgio Napolitano potrebbe affidare un nuovo incarico a Letta. Nel rimpasto Angelino Alfano lascerebbe il ministero dell’Interno dopo lo scandalo Kazakistan, anche per avere più tempo da dedicare alla vita di partito e per rimarcare la distanza dal nuovo governo. Al quale però, per «senso di responsabilità», il Pdl (o una sua parte) continuerebbe a garantire la fiducia, o almeno la «non sfiducia» (astensione). 

2) NUOVE ELEZIONI
Forte di alcuni sondaggi che danno il centrodestra in testa con il 34-37 per cento, Berlusconi potrebbe puntare a nuove elezioni. Lo frenano altri sondaggi che danno vincitore il Pd, se guidato da Matteo Renzi. In ogni caso, la «stabilità» è considerato il valore più importante oggi, e non solo dal presidente Napolitano. Lo spread è calato a 250, nessuno vuole crisi politiche che risveglino gli speculatori finanziari internazionali. 

3) NAPOLITANO SI DIMETTE
Il presidente della Repubblica ha accettato un secondo mandato solo in cambio dell’impegno di Pd e Pdl ad assicurare la governabilità, con un’alleanza che va contro i rispettivi interessi di parte. Ma se quest’impegno venisse meno, Napolitano potrebbe compiere un gesto drammatico, dimettendosi. Poiché le Camere possono essere sciolte solo dal capo della Stato, occorrerebbe eleggerne uno nuovo.
Ma i tempi si allungherebbero e si arriverebbe alla primavera 2014, che già prevede il voto per l’Europarlamento.

4) GOVERNO PD-GRILLO
Se il governo cadesse per colpa del Pdl e Napolitano e Letta non riuscissero ad attuare l’ipotesi 1), si potrebbe tornare a un’alleanza  fra Pd e il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Il tentativo già fallito dell’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani avrebbe qualche possibilità di andare in porto se il Pd e Grillo (che nei sondaggi è sceso dal 25 al 17-20 %), si accordassero su un premier come Stefano Rodotà, candidato M5S al Quirinale.
Mauro Suttora   

Monday, July 29, 2013

Renzi odiato dai dirigenti Pd


Oggi, 23 luglio 2013

di Mauro Suttora

Nell’ultimo mese è riuscito a superare nei sondaggi Swg sui gradimenti dei singoli politici perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Impresa mai riuscita, negli ultimi anni, neanche all’ex premier Mario Monti quand’era ancora in stato di grazia a fine 2011.

Così Matteo Renzi ora veleggia sicuro attorno al 60 per cento dei consensi: un buon 5-10 più dell’attuale premier Enrico Letta, ex democristiano come lui (e come il vicepremier del Pdl Angelino Alfano). Dall’alto del trono di politico più popolare (e giovane) d’Italia, il sindaco di Firenze si gode qualche giorno di vacanza in famiglia a Punta Ala.

Eppure, non è detto che questi sondaggi stratosferici gli permettano di conquistare la segreteria del Pd. Anche perché non si conosce ancora la data del congresso. Fine anno, pare. Ma Renzi conosce bene i bizantinismi della politica italiana. Almeno quanto il suo nuovo “amico” Massimo D’Alema, che gli consiglia di puntare al governo invece che alla guida del partito.

Lo scorso autunno Renzi ha conquistato quasi il 40 per cento alle primarie Pd contro l’allora segretario Pier Luigi Bersani. Secondo molti, attirando simpatie anche fuori dal suo partito avrebbe potuto vincere le elezioni, perse invece da Bersani per un soffio a febbraio. Si pensava perciò che fosse il candidato naturale a segretario del Pd dopo le dimissioni di Bersani. Per essere eletti, tuttavia, ci vuole un congresso. E qui sorgono i problemi.

Di norma, infatti, il segretario del Pd diventa anche il candidato premier. E un Renzi capo dei democratici farebbe fatalmente ombra al premier Enrico Letta. Come nel 2007, quando l’elezione di Walter Veltroni portò in pochi mesi alla caduta del governo di Romano Prodi.

Vuole tagliare i soldi ai partiti
Renzi assicura sempre di non voler fare concorrenza a Letta, però non lesina le critiche al governo. Sul finanziamento pubblico ai partiti, per esempio, è sulle posizioni di radicali e 5 stelle: abolirlo subito. Mentre i partiti oppongono una sorda resistenza.
Anche sulle pensioni e sugli stipendi d’oro è drastico: tagliarli, in barba alla Corte Costituzionale che ha annullato le diminuzioni del 5 e 10% introdotte da Silvio Berlusconi e Monti nel 2011.

Insomma, sui sacrifici da imporre alla Casta dei politici e degli alti burocrati Renzi non riscuote ovviamente le simpatie dei diretti interessati. Ma, per gli stessi motivi, nei sondaggi vola.
Nella sua voglia di piacere a tutti, il sindaco di Firenze ha cercato di convincere perfino l’ostico giornalista Marco Travaglio durante una recente trasmissione di Enrico Mentana su La7. C’è riuscito solo parzialmente. Ma il vero ostacolo, per lui, sono i burocrati del suo stesso partito. Quelli che voleva “rottamare”.
Mauro Suttora

Monday, December 10, 2012

Monti si è dimesso. E ora?


di Mauro Suttora

Oggi, 10 dicembre 2012

Che cosa succede adesso.
Il presidente del Consiglio Mario Monti ha annunciato le proprie dimissioni dopo l’approvazione della legge di stabilità (bilancio 2013) da parte del Parlamento. Questo dovrebbe avvenire attorno a Natale, con nuove elezioni quindi possibili già in febbraio (70 giorni dopo lo scioglimento delle Camere). La legislatura sarebbe comunque finita ad aprile, quindi si tratta di un anticipo di due mesi.

Perché Monti si è dimesso.
Perché il segretario Pdl Angelino Alfano ha dichiarato di aver tolto la fiducia il governo. E Silvio Berlusconi, annunciando la propria sesta candidatura a premier, lo ha criticato pesantemente. Monti avrebbe potuto sopravvivere per due mesi con l’astensione Pdl sulle leggi in discussione (diminuzione province, legge elettorale, ecc), ma ha preferito dare un taglio netto.

Cosa farà Monti.
Non si sa. Forse lo annuncerà alla conferenza stampa di fine anno il 21 dicembre. Le ipotesi sono quattro: 1) succederà a Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica in aprile. 2) formerà un governo Monti bis dopo avere guidato alle elezioni una lista di centro con Casini, Fini, Montezemolo e ministri del proprio governo. 3) Monti bis nel caso che nessun partito raggiunga la maggioranza, e non si trovi un accordo per un premier eletto dal popolo. 4) A disposizione per alte cariche nell’Unione europea.

Sondaggi.
Si prevede che il centrosinistra vinca le elezioni e che quindi Pier Luigi Bersani diventi premier. Difficilmente Monti accetterebbe il posto di ministro dell’Economia nel suo governo, come fece l’ex premier Carlo Azeglio Ciampi nel 1996 nel governo Prodi. Se Bersani non riuscirà a ottenere una chiara maggioranza sia alla Camera sia al Senato, dovrà trovare un alleato. Questo potrebbe essere il Centro di Casini-Fini, che però oggi è accreditato solo al quarto posto, dopo il Pdl e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

Emergenza economica.
Molto dipende dallo spread, indicatore della fiducia dei mercati. Se dovesse alzarsi troppo, ci sarebbe più spazio per un Monti-bis. Ma sia Bersani sia Berlusconi considerano chiusa la fase dei governi tecnici. Gli unici a considerare Monti come proprio leader sono Casini, Fini e Montezemolo. Però a Monti non conviene identificarsi troppo con una parte politica, soprattutto se il Centro nei sondaggi continuasse a stagnare attorno al 10 per cento.        

Wednesday, March 23, 2011

Riforma della giustizia

Domande di Oggi

23 marzo 2011

risponde Mauro Suttora

1) Davvero Berlusconi vuole leggi che lo favoriscano?

La riforma costituzionale presentata dal governo la scorsa settimana mette tutti d' accordo soltanto su una cosa: avrà una portata «epocale». Infatti, mentre il centrodestra è convinto che servirà a limita re lo «strapotere» di una «casta», quella dei magistrati, il centrosinistra ritiene che si tratti di una ripicca del premier Silvio Berlusconi per i continui processi c he subi sce da quando è entrato in politica 17 anni fa. Per cambiare la Costituzione ci vogliono tempi lunghissimi, con doppia votazione di ogni ramo del Parlamento a mesi di distanza. E se non viene raggiunta la maggioranza dei due terzi, ci sarà un referendum. Quindi per questa riforma, se mai andrà in porto, ci vorranno anni.

Nelle foto qui sopra il ministro Angelino Alfano mostra una statistica secondo cui il numero dei processi civili è per la prima volta in diminuzione, grazie alle misure «acceleratrici» attuate dal gover no. Ment re Berlusconi fa vedere che d' ora in poi il giudice penale (in rosso) sarà imparziale fra accusa e difesa, mentre adesso «fa comunella» con l' accusa (il pubblico ministero, in nero). «Potremmo anche discutere di riformare la giustizia», dice Pier Luigi Bersani, «ma non con un premier imputato in quattro processi». La distanza quindi è grande.

2) È vero che già Gelli propose di separare le carriere?

Sì. Il cosiddetto «Piano di rinascita democratica» sequestrato nel 1981 fra le carte della loggia massonica segreta P2 guidata da Licio Gelli prevedeva la separazione fra magistrati dell' accusa (pubblici ministeri) e magistrati giudicanti.

Oltre alla responsabilità civile dei giudici per i propri errori. Il programma della P2, che alla fine degli Anni 70 cercò di attuare un colpo di Stato lento e incruento, arruolando adepti fra i dirigenti di forze armate, politica e giornali, era però molto vasto e dettagliato. Conteneva anche proposte ragionevoli per modernizzare il Paese, oltre a quelle per instaurare un governo più autoritario. Durante gli Anni 80, per esempio, Bettino Craxi fu bollato come «decisionista» perché proponeva il presidenzialismo. Ma presidenzialisti sono molti Stati di antica democrazia, come Francia e Usa.

Trent'anni dopo, la coincidenza fra alcune proposte della P2 e del governo Berlusconi viene ancora utilizzata come argomento critico da settori della sinistra. Anche perché Berlusconi stesso aveva fatto domanda di ammissione alla loggia. E piduisti furono alcuni attuali dirigenti del Pdl, come Fabrizio Cicchitto.

3) Perché i magistrati si sentono puniti dalle nuove regole costituzionali?

È ovvio che la responsabilità civile dei giudici venga avversata dall' Anm (Associazione nazionale magistrati). Introdotta da un referendum radicale nel 1987 dopo l'ingiusta condanna di Enzo Tortora, è stata poi disciplinata da una legge d'attuazione che scarica sullo Stato il pagamento dei danni agli imputati condannati da sentenze sbagliate.

Il Csm (Consiglio superiore della magistratura) sanziona i casi più gravi di incapacità dei magistrati. Ma questo avviene in casi rari, anche perché il Csm è un organo di «autogoverno »: è composto i n maggioranza assoluta da magistrati. Per questo Berlusconi vuole che il Csm sia composto per metà da membri di nomina politica.

La separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti non è di per sé punitiva, ma secondo l'Anm mette le procure sotto il controllo del governo. Idem per la polizia giudiziaria, che indagherà senza sottostare ai pm. E per l'obbligatorietà dell' azione penale: dovrebbe essere il Parlamento a stabilire ogni anno a quali reati dare la precedenza.

4) Gli assolti in primo grado non rischiano più l'appello?

Sì. È questo il cambiamento più grosso per i processi penali, quello che inciderà di più nella vita concreta di tutti noi. O, perlomeno, di coloro che hanno a che fare con la giustizia. Se subiamo una sentenza di condanna in primo grado, potremo sempre chiedere l'appello, e poi ricorrere a un terzo grado di giudizio in Cassazione. Se invece veniamo assolti, il pubblico ministero (l'accusa) non potrà più appellarsi, se non in casi gravissimi «previsti dalla legge». Insomma, per chi viene riconosciuto innocente in primo grado, l'assoluzione è definitiva. Come negli Usa. «Un bel regalo per i delinquenti» , commentano i dipietristi. « In dubio pro reo è un principio cardine di civiltà giuridica», ribatte il centrodestra: in caso di dubbio, l'accusato dev'essere assolto. E quale dubbio più grande di una sentenza di assoluzione?

Se questa norma fosse in vigore, 25 poliziotti non avrebbero potuto essere stati condannati in appello a 100 anni di carcere per le violenze al vertice G8 di Genova del 2001, perché in primo grado erano stati assolti.

Già nel 2006 il centrodestra aveva approvato la legge Pecorella per l'inappellabilità delle assoluzioni, in mancanza di nuove prove. Ma l'allora presidente Carlo Azeglio Ciampi l'aveva rimandata alle Camere per dubbia costituzionalità. E la Corte Costituzionale ne bocciò larghe parti l'anno successivo, con la motivazione che si viola il «principio di eguaglianza fra le parti».

Mauro Suttora

Wednesday, June 16, 2010

Magistrati in sciopero

PROTESTANO PER I TAGLI, MA GUADAGNANO MOLTO

di Mauro Suttora

Oggi, 7 giugno 2010

Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».

No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.

Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.

Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».

Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.

«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».

Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.

«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.

«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».

Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.

Mauro Suttora

Wednesday, May 12, 2010

Le case dei ministri

CASA NOSTRA: I POLITICI A ROMA ABITANO QUI

di Mauro Suttora

Oggi, 12 maggio 2010

Dopo le dimissioni del ministro Claudio Scajola e la scenata tv di Massimo D’Alema, che ha mandato «a farsi fottere» il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti per una questione di affitti, sorge spontanea la domanda: quanto pagano i nostri politici per le case in cui vivono a Roma?

Lo abbiamo chiesto a tutti i ministri. Molti non hanno avuto problemi a rispondere. Alcuni nel dettaglio, fino alla data d’acquisto e all’importo del mutuo. Altri, invece, si sono addirittura offesi perla domanda: «Ho diritto alla privacy», ci hanno detto. Un’addetta stampa ha perfino obiettato: «Ci sono i terroristi, il mio ministro ha ricevuto minacce di morte». Come se sapere il prezzo del suo appartamento (mica l’indirizzo) potesse attirare Al Qaeda.

ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI
Se passasse la proposta radicale del 2008 di istituire un’«Anagrafe pubblica degli eletti e nominati», regnerebbe la trasparenza su centinaia di migliaia di consiglieri comunali e regionali, parlamentari e consulenti.
«Ma finora solo la Camera dei deputati e pochi consigli comunali l’hanno approvata Roma, Torino, Napoli i più grandi. Senza però passare all’attuazione concreta», dice il segretario dei radicali Mario Staderini, il quale tre anni fa sollevò proprio su Oggi il caso di un intero palazzo nel centro di Roma acquistato dal Senato, che adesso si scopre essere finito nei maneggi della «cricca» della Protezione civile.

Siamo allora ricorsi al fai-da-te partendo dal vertice, cioè dai 22 membri del governo. Le ministre più «aperte» sono state le donne. Mariastella Gelmìni (Istruzione) ha dichiarato di pagare 2.500 euro mensili d’affitto per la sua casa romana.

«Io ho comprato un appartamento di 160 metri quadri in centro il 18 febbraio 2009, per 930 mila euro. Ho acceso un mutuo a tasso fisso di 450 mila euro, che me ne costa quattromila al mese», ci ha detto precisissima Mara Carfagna (Pari opportunità). Trasparente anche Giorgia Meloni: «Abitavo con mia madre alla Garbatella, ma lì i prezzi ormai sono troppo alti. Così l’anno scorso ho preso 50 metri quadri con terrazzo all’Ardeatino, per 370 mila col mutuo».

Anche il ministro Roberto Calderoli (Semplificazione) sta in affitto in periferia (65 metri quadri da un privato), e da buon leghista tiene a precisare: «Non ho mai pensato di comprare a Roma, perché ritengo che la casa la si debba acquistare sul territorio, nella città in cui si vive». Riassumiamo le altre risposte nel box della pagina accanto.

Le case hanno fatto soffrire molto i politici negli ultimi quindici anni. Lontani sono i tempi in cui i massimi capi Dc, Psi, Pci e anche Msi (Segni e Amendola, Mancini e Almirante, Pertini e Jervolino) si accontentavano di vivere tutti assieme in case in cooperativa fatte costruire su viale Cristoforo Colombo o al Trionfale, lontanissimo dal centro. Il primo a dar scandalo fu Ciriaco De Mita cui l’Inpdai (l’ente pensionistico dei dirigenti) nell’88 concesse un attico ad affitto irrisorio in via del Tritone.

E per un altro equo canone da un ente a Trastevere Vittorio Feltri tanto bastonò D’Alema con la «Affittopoli» nel ‘95 che l’allora segretario Pds preferì trasferirsi nel quartiere Prati. Assieme a lui finirono sulla graticola altri big beneficiati dall’equo canone: Giuliano Amato in via Veneto, Rocco Buttiglione in via delle Tre Madonne ai Parioli (fra le più eleganti della capitale), Pierferdinando Casini, Franca Chiaromonte, Maura Cossutta, i sindacalisti Franco Marini e Sergio D’Antoni, Clemente Mastella, Luciano Violante, Walter Veltroni.

Nulla d’illegale, e a volte con affitti di tutto rispetto: Buttiglione pagava due milioni e mezzo all’Ira. Ma in altri casi il risparmio era notevole, e sommandolo per venti o trent’anni si arrivava a cifre non lontane da quella che ha inguaiato Scajola.

La seconda puntata dello scandalo è arrivata nel 2007, quando si è scoperto che molte di queste case erano state vendute dagli enti ai politici con grossi sconti. Così Casini ha pagato per cinque appartamenti con 30 vani nello stesso palazzo 1,8 milioni di euro. Li ha dati all’ex moglie, alle due figlie e all’ex suocera. Mastella ha avuto cinque appartamenti con 26 vani più terrazzo e box per 1,2 milioni sul lungotevere Flaminio, più un appartamentone in largo Arenula.

Veltroni ha riscattato 190 mq dietro piazza Fiume per 377 mila euro nel 2005: duemila euro al metro quadro, un terzo delle quotazioni di mercato. Raffaele Bonanni, segretario Cìsl, ha avuto otto vani per 200 mila euro; a Violante soggiorno, quattro camere e terrazzo in zona Fori per 327 mila euro; Francesco Pionati (ex giornalista Tgl, deputato) attico e superattico a Monteverde Vecchio con vista su Trastevere per 260 mila euro del 2001.

Anche le segretarie dei politici ricevono benefici: quella dell’ex ministro della Difesa Arturo Parisi si è vista assegnare una casa in via Margutta dall’Ente di assistenza per i ciechi. Insomma, per essere efficace l’Anagrafe pubblica dovrebbe essere allargata anche ai parenti e ai collaboratori degli eletti.

Mauro Suttora

Wednesday, January 13, 2010

Alfano alle Maldive con la scorta

Il ministro della Giustizia, in vacanza con la famiglia, fa allontanare dei paparazzi. Abuso di potere? In realtà le cose stanno un po' diversamente...

di Mauro Suttora

Oggi, 13 gennaio 2009

Va bene che le Maldive sono un Paese di religione musulmana, ma è proprio necessaria una scorta di poliziotti italiani se un nostro politico ci va a trascorrere le vacanze private con la famiglia?

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha scelto questo paradiso nell’oceano Indiano per le ultime ferie di Natale e Capodanno. Dieci giorni di relax con moglie e figli nel villaggio Valtur sull’isola di Kihad. Meta prediletta di vip italiani, soprattutto nei periodi di alta stagione. Quest’anno alle Maldive c’erano, fra gli altri, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il presidente del Senato Renato Schifani, la cantante Carmen Consoli con la madre, e il giocatore del Milan Ronaldinho. Alta, quindi, anche la concentrazione di paparazzi nostrani. Compresi alcuni fra i più temibili, pure loro in trasferta da Roma: Maurizio Sorge e Massimiliano Scarfone. Quest’ultimo famoso per avere immortalato il portavoce di Romano Prodi Silvio Sircana con un trans, e più recentemente per l’altro scandalo trans con il governatore del Lazio Piero Marrazzo.

I due, come ha rivelato Gabriella Sassone sul Tempo e su Dagospia, erano sulle tracce di Eros Ramazzotti, a mollo in un altro atollo nonostante gli acquazzoni quasi perenni, con la nuova fidanzata bergamasca Marika Pellegrinelli e la figlia Aurora, con amichetta al seguito. «Ormai siamo degli habitués delle Maldive, ci veniamo ogni anno da tempo immemorabile», racconta Sorge a Oggi, «ma questa volta c’è stata una spiacevole novità per noi».

Avvisati dal loro «contatto» locale della presenza del ministro Alfano, i due fotografi hanno affittato un motoscafo da 400 cavalli e dopo tre ore di navigazione da Malè si sono appostati a qualche centinaio di metri dalla costa del villaggio Valtur, per immortalare il ministro sulla battigia. Ma i due agenti di scorta del ministro si sono accorti subito dei teleobiettivi che sbucavano dalle acque. E, come nel film di Vanzina Paparazzi, prima hanno raggiunto la barca dei fotografi intimando loro in modo piuttosto rude di allontanarsi. Poi hanno allertato la polizia maldiviana.

«In realtà siamo stati identificati grazie a un altro fotografo italiano che ha dato le nostre generalità alla polizia, per compiacenza», racconta Sorge. «Il nostro collaboratore maldiviano ci ha subito telefonato per dirci di tornarcene in Italia. La polizia aveva contattato anche lui per farci sapere che la prossima volta che torniamo alle Maldive a fare foto finiamo direttamente in galera. Ma che abbiamo fatto di male? Quale reato abbiamo commesso? Abbiamo bisogno pure noi di un Lodo Alfano? Mi pare incredibile che i politici italiani comandino anche all’estero...»

In effetti, è la prima volta che la scorta di un politico italiano allontana dei fotografi in suolo straniero. Ma al ministero dell’Interno l’Ucis (Ufficio centrale scorte) spiega che i poliziotti sono stati assegnati obbligatoriamente ad Alfano perché, come ministro della Giustizia, è particolarmente esposto alle minacce di mafiosi e camorristi. È lui, infatti, il titolare dell’applicazione dell’articolo 41 bis, cioè il regime di carcere duro che tanto fa infuriare i boss. «La scorta è indisponibile», dicono al Viminale: quindi la decide il Comitato per l’ordine e la sicurezza, e neppure il ministro stesso è libero di rinunciarci. Insomma, il suo non è stato un capriccio in nome della privacy.

Nei viaggi all’estero devono portarsi dietro sempre la scorta anche i presidenti della Repubblica, del Consiglio, e quelli di Camera e Senato. Ma loro per ragioni protocollari. Per i ministri più esposti, invece, decidono caso per caso i dirigenti della Pubblica sicurezza. E, paradossalmente, il fatto che le Maldive siano uno dei luoghi più tranquilli al mondo accresce, invece di diminuire, il rischio: un eventuale attentato potrebbe essere pianificato con più facilità.
Mauro Suttora

Monday, October 27, 2008

intervista al ministro Alfano

"Farò giustizia mettendo il turbo ai processi"

di Mauro Suttora

Oggi, 22 ottobre 2008

Cognome: Alfano. Nome: Lodo. Ministro, lo sa che rischia di passare alla storia così ?
"Ma io non pretendo di entrare nella storia. Mi accontenterei di riuscire a fare qualcosa di buono per questo Paese...".

Comunque vada, Angelino Alfano un record l' ha già conquistato: a 37 anni, è il più giovane ministro della Giustizia nella storia d' Italia. Mentre aspetto che torni dal fine settimana a Palermo, guardo i ritratti di tutti i suoi predecessori nel corridoio principale del ministero di via Arenula. Molti non hanno nome, ma alcuni si riconoscono: Palmiro Togliatti, Aldo Moro, Claudio Martelli. Il più buffo: Roberto Castelli, con sciarpone verde da leghista.
Alfano viene dalla punta opposta d' Italia: suo padre era vicesindaco dc di Agrigento. Appena nominato, a maggio, ha fatto imbestialire l' opposizione con il suo "lodo", che garantisce l' immunità (impunità, secondo gli avversari) al presidente del Consiglio Berlusconi e alle altre tre più alte cariche dello Stato: i presidenti di Camera, Senato e Repubblica.

Ministro, ammetta che questo "lodo" non è il massimo: altro che cittadini uguali di fronte alla legge, si torna ai tempi del sovrano assoluto, cioè ab solutus, sciolto dagli impicci dei tribunali.
Ma Alfano, placido come i democristiani che oggi quasi rimpiangiamo di fronte a certi isterici in Tv, risponde tranquillo, seduto sul divano: "No, guardi, è una buona legge che consente a chi governa di svolgere serenamente il proprio mandato, e di essere giudicato poi dagli elettori. Gli eventuali processi non si annullano, si sospendono".

Ma se Berlusconi rimane premier per tutta la legislatura e poi viene eletto al Quirinale, la sospensione dura dodici anni: fino al 2020. Perfino il presidente Clinton ha dovuto rispondere alle accuse di Monica, in Italia nulla ?
"Questo non sarà possibile: i mandati non sono cumulabili. E poi fino a 15 anni fa l' immunità copriva tutti i parlamentari, ma nessuno contestò i padri costituenti per avere introdotto questa garanzia".

Sul lodo Alfano deciderà la Corte costituzionale, e forse un referendum. Invece l' altra sua iniziativa, la riforma della giustizia, pare sia stata accolta bene.
"Sì, è già passata alla Camera e ora è al Senato. Serve ad accelerare il processo civile, e a smaltire i quattro milioni di procedimenti pendenti. Ora i tempi sono così da lumaca che si dice "fammi pure causa, poi vediamo". È più facile passare a miglior vita che ottenere una sentenza: le udienze oggi vengono fissate al 2012".

E quindi ?
"Introduciamo un massiccio uso di Internet. Puniamo chi gioca ad allungare i tempi. Vogliamo semplificare i rapporti, diminuendo i riti, eliminando una trentina di strade da percorrere per arrivare al giudizio".

Altre novità: la pausa estiva sarà di trenta giorni, e non più di un mese e mezzo. Il valore delle cause di competenza dei giudici di pace aumenterà a 7.500 euro, e a 25 mila per i risarcimenti su veicoli e barche. Le sentenze non verranno più pubblicate sui giornali, ma sul sito del ministero. Velocità e risparmi, insomma. Anche nel penale ?
"Certo. Subiamo condanne dell' Unione europea per la nostra lentezza, che in campo penale significa non certezza della pena. L' inefficienza tiene in carcere troppi detenuti in attesa di giudizio, con costi sia per i contribuenti, sia per gli imputati poi giudicati innocenti. E spesso il condannato la fa franca".

Che cosa farete, quindi ? Più giudici ? Fra togati e onorari, l' Italia ne conta 22 ogni 100 mila abitanti, contro i 68 della Germania...
"No, i magistrati italiani sono sufficienti. Ne stiamo assumendo 500 con un concorso a novembre. Il problema è restituire efficienza alle procedure, eliminando i tempi morti".

Anche perché i magistrati costano. I loro stipendi, tre anni dopo il concorso, sono già di 3.200 euro netti al mese. E arrivano automaticamente a seimila dopo 20 anni di carriera. Alfano ha accantonato, per ora, la riforma più spinosa promessa dal centrodestra: la separazione delle funzioni fra magistrati giudicanti e dell' accusa.
"Ci vuole parità fra accusa e difesa. I protagonisti del processo sono tre: pm, avvocati e giudici. Però se due di questi fanno il concorso assieme, hanno gli uffici vicini, frequentano lo stesso bar e magari nelle piccole città di provincia vanno pure a casa assieme, alla fine si danno del tu. Mentre l' avvocato deve dare del lei a entrambi. E lì finisce la parità".

Lei è andato a Bucarest con l' obiettivo di far scontare la pena nel loro Paese ai condannati stranieri. Quando succederà ?
"Un detenuto nelle carceri italiane costa parecchio allo Stato...".

Seimila euro al mese.
"A parte la cifra, il dato è che 38 carcerati su cento sono stranieri. Dobbiamo quindi trovare accordi bilaterali per trasferirli nei loro Paesi d' origine, a patto che scontino effettivamente la pena. È un problema che riguarda tutta l' Europa. Che sia quindi l' Unione europea a stringere accordi quadro con i Paesi in questione, come i nordafricani".

Altre novità ?
"Cè un' iniziativa cui tengo molto: i bimbi da zero a tre anni, figli delle detenute, non dovranno più stare in cella, ma in ambienti più accoglienti. Sempre custoditi, assieme alle loro mamme, ma senza dar loro l' impressione di stare in un carcere".

Intanto la vita è diventata un carcere per lei: scorta obbligata per un ministro della Giustizia, e per di più siciliano.
"Appena diventato ministro ho cambiato casa a Roma, quella di prima non era sorvegliabile senza bloccare mezzo quartiere. Mia moglie e i miei figli restano a Palermo, loro preferiscono così. Tiziana mi ha seguito prima a Milano all' università Cattolica, poi è tornata giù per seguire me". Quando ha chiesto di sposarla ? "Ricordo esattamente dove e quando: fu un momento magico. Eravamo a Londra".

Che passatempi avete ?
"Il mare, la musica. Avrò visto sei volte Guccini in concerto, anche se è di sinistra. Autogrill è una canzone straordinaria, ma ne so molte di sue a memoria".

Lei ha fama di secchione. Per diventare ministro, meglio far carriera da deputato o entrare nello staff di Berlusconi ?
"Io ho fatto entrambe le cose, dopo essere stato eletto consigliere provinciale e regionale, e deputato nazionale per Forza Italia. Ma, soprattutto, ho studiato, studiato, studiato...".

Com' è Berlusconi da vicino ?
"Un lavoratore incredibile. Comincia alle 7 del mattino, e a quell' ora ha già letto tutti i giornali. Quelli che non ha scorso alle due di notte, appena stampati".

Se non avesse fatto politica ?
"Mi sarebbe piaciuto il giornalismo".

Sempre stato democristiano ?
"Mio padre. Io ho avuto una militanza giovanile da ragazzino, ma ho messo piede nelle istituzioni con Forza Italia, cui ho aderito nel 1994. Quando Leoluca Orlando era sindaco di Palermo per la Dc, noi giovani eravamo molto attratti da lui".

Oggi Orlando è un durissimo avversario di Berlusconi.
"Sì, ma quella stagione ci segnò tutti. Avevo 12 anni quando ammazzarono Dalla Chiesa, 22 ai tempi degli omicidi Falcone e Borsellino. Siamo una generazione naturalmente antimafiosa. Il nostro eroe è Rosario Livatino, il "giudice ragazzino".
Parola di "ministro ragazzino".

Mauro Suttora

Friday, October 10, 2008

Consiglio d'Europa: giustizia lenta

Processi: siamo i peggiori d'Europa

In Italia cinque milioni di giudizi aperti, cinquecento giorni per una sentenza e il record di avvocati per abitante

Libero, 10 ottobre 2008

di Mauro Suttora

Per fortuna il Consiglio d’Europa pubblica il suo Rapporto sull’efficienza della giustizia soltanto ogni quattro anni, perché ogni volta per l’Italia sono dolori. Il disastro sta tutto in tre numeri. Il primo, tre milioni e 688 mila, è la quantità delle cause civili pendenti. Il secondo è l’arretrato dei processi penali: un milione e 200 mila. Il terzo è il tempo che occorre in media per ottenere giustizia: 507 giorni prima di una sentenza civile di primo grado. I dati risalgono al primo gennaio 2007. Da allora sono peggiorati.

Il dramma è che siamo di gran lunga soli al comando in tutte queste classifiche. Sui 47 Stati che compongono il Consiglio d’Europa (compresi Azerbaigian e Georgia), nessuno riesce a far peggio. Anzi, per la verità sì: in Bosnia il processo civile dura 701 giorni, e in Croazia un mese più che in Italia. Ma il confronto con l’Europa anche balcanica è impietoso.
Lasciamo perdere gli inarrivabili scandinavi, con arretrati di appena settemila processi in Norvegia e 17 mila in Svezia. La Francia, seconda in classifica e con gli stessi nostri abitanti, ha un milione di cause pendenti: un terzo dell’Italia. La Germania mezzo milione, e 287 mila sono i suoi processi penali (meno di un quarto). Ma tutti, proprio tutti, ci surclassano: dalla Spagna alla Turchia, dalla Polonia alla Russia (25 giorni per una sentenza a Mosca).

Di chi è la colpa? L’unico innocente è forse l’attuale massimo responsabile del carrozzone Giustizia, il ministro Angelino Alfano, da troppo poco in carica: cinque mesi. La sua riforma è passata alla Camera, ora è al Senato. Semplificherà e velocizzerà, ferie estive ridotte da 45 a trenta giorni, una trentina di riti aboliti, aumentate le cause smaltite dai giudici di pace.

Intanto, però, prendiamocela anche con noi stessi. Siamo i più litigiosamente incontinenti del continente: quasi tre milioni di nuove cause all’anno, e quindi un arretrato che aumenta di 200 mila ogni dodici mesi. Vantiamo il record degli avvocati, 290 ogni centomila abitanti. Ci superano solo i greci che però ne contano dodici per ogni giudice, mentre noi ne abbiamo più del doppio. I Paesi normali come la Francia hanno sette avvocati per giudice, sei Germania e Svizzera, tre Svezia e Inghilterra. A Londra gli azzeccagarbugli sono quattordici volte meno dei nostri, a Parigi un quarto, a Berlino la metà: «Causa che pende, causa che rende».

Dobbiamo fare di necessità virtù, cosicché svettiamo nella graduatoria del minor numero di divorzi contenziosii: appena 34 ogni centomila abitanti, contro 90 dei secondi classificati Portogallo e Austria, 127 in Spagna, 170 in Francia, 285 in Svezia e addirittura 368 in Lettonia.

I nostri divorziandi si vogliono ancora bene, ed evitano quindi di litigare? Macchè. Il problema è che la durata media di una nostra causa di divorzio è di ben 634 giorni, quasi due anni. E quindi tutti cercano la consensuale: ci si mette d’accordo prima, i giudici servono solo per il timbro. Nella libertina Olanda invece basta aspettare 25 giorni. Ma non è questione di religione, perché la cattolicissima Lituania scioglie i matrimoni in 39 giorni. Tre mesi ci mettono i danesi, cinque i turchi.

Siamo indietro con i computer, spendiamo solo l’1,7 del bilancio giustizia, contro l’otto dell’Irlanda, il sei dell’Austria e il 2,2 della Germania. In compenso, il 69% va in stipendi di magistrati e cancellieri, contro il 57% in Germania, il 47 in Francia, il 45 in Irlanda.

Sulle retribuzioni dei nostri magistrati nel rapporto di Strasburgo c’è un piccolo trucco. Vengono indicate solo quelle degli appena assunti (37 mila euro annui) e i massimi, da giudici di cassazione (seimila netti al mese). Dimenticando che appena tre anni dopo il concorso i magistrati incassano 3.200 mensili, che dopo tredici anni tutti, bravi e asini, scattano automaticamente a 4.500, che per il massimo di seimila bastano vent’anni d’anzianità. Che i giudici amministrativi ci arrivano già dopo otto anni. E che le indennità per le «sedi disagiate» al Sud, in discussione proprio in questi giorni, ammontano a ulteriori 45 mila euro annui, più undicimila per il trasloco.
Intanto, però, in certi uffici mancano perfino i soldi per i toner delle stampanti.

Chiunque di noi, d’altronde, entrando in un qualsiasi tribunale, ha la sensazione di tornare non al secolo scorso, ma a due secoli fa. Come nell’Ottocento, infatti, i fascicoli vengono accatastati nelle cancellerie, l’informatizzazione è un sogno, e gli avvocati civilisti sono costretti a scrivere da soli i verbali, con la penna. A volte la biro sostituisce la stilografica. Ma non sempre…

Mauro Suttora

Thursday, May 15, 2008

Emergenza sicurezza

Rom, clandestini e criminali: tutti in riga

"Colpiremo solo chi viola la legge", assicura il ministro Ronchi, "e per loro non saremo più un Paese disarmato". Ma c' è chi dice: attenzione ai facili capri espiatori

di Mauro Suttora

Roma, 28 maggio 2008

"La nostra priorità è garantire ai cittadini la necessaria protezione. Le azioni previste dal pacchetto puntano a combattere la paura entrata nelle nostre famiglie. La verità è che ormai non ci sentiamo sicuri neanche tra le mura di casa. È ora che gli italiani percepiscano un' inversione di tendenza nella lotta contro l' immigrazione clandestina".

Mentre da molti settori della politica, dell' impegno sociale e della Chiesa si sollevano allarmi sul rischio che la lotta alla criminalità si trasformi in una "criminalizzazione del diverso", Andrea Ronchi, neoministro per le Politiche comunitarie, spiega a Oggi il contenuto del decreto legge sulla sicurezza in approvazione dal Consiglio dei ministri riunito a Napoli mercoledì 21 maggio.

Non avete paura di alimentare razzismo e xenofobia?
"Episodi come quelli avvenuti a Ponticelli, il quartiere di Napoli dove la folla ha assaltato un campo Rom dopo il tentato rapimento di un neonato, non devono più accadere. Ci stiamo muovendo proprio per evitare questo rischio. Il decreto non combatte lo straniero in quanto tale, ma solo quello che non vuole essere identificato per evitare l' espulsione. Vogliamo punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che delinquono sul nostro territorio. Negli ultimi anni siamo diventati il ventre molle del Mediterraneo, la porta d' accesso all' Europa. Adesso questa porta deve essere chiusa e deve cambiare la percezione di lassismo spesso accostata al nostro Paese".

Quali sono le misure previste dal decreto ?
"Il pacchetto è in linea con la legge Bossi Fini sull' immigrazione del 2002, e coniuga solidarietà e legalità. Puntiamo a rendere il meccanismo delle espulsioni più efficace. Deve essere chiaro che chi varca la frontiera può restare soltanto se dimostra di avere un posto di lavoro e quindi un reddito. Gli altri saranno espulsi, con alcune eccezioni come le badanti cui è scaduto il permesso di soggiorno e i rifugiati politici. Inoltre puntiamo a garantire la piena operatività dei Centri di Permanenza Temporanea (Cpt), assicurandone la ricettività ma anche l' umanità del trattamento. In questo senso è importante allungare il limite di permanenza nei Cpt fino a 18 mesi".

C' è il rischio che questo provvedimento possa entrare in contrasto con le leggi europee e gli accordi di Schengen? "Il nostro intento non è certo quello di chiudere le porte ai cittadini europei. D' altra parte il problema non è sentito soltanto dal nostro Paese. Si tratta di una partita delicata, tant' è che le stesse istituzioni europee proprio in questi giorni si avviano a ridiscutere alcune direttive in materia".

Riuscirete a introdurre il reato di immigrazione clandestina ? "Il discorso è aperto, ma punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che commettono reati sul nostro territorio ritengo sia nel pieno diritto di uno Stato sovrano. Inoltre introdurre questo reato avrebbe un effetto deterrente molto forte sui trafficanti di esseri umani: farebbe capire che l' Italia ha davvero cambiato rotta".

Sì, il governo Berlusconi vuole esordire con un segnale di rigore. Dopo l' indulto (votato da partiti di entrambi gli schieramenti) e l' entrata della Romania in Europa, infatti, i reati sono aumentati. Ed è un fatto che i due terzi degli stranieri nelle nostre carceri oggi abbiano passaporto rumeno (semplici cittadini rumeni, o rom, ovvero zingari).

"Ma non si può fare di tutta l' erba un fascio", si accalora con Oggi da Lanciano (Chieti) il professor Santino Spinelli, docente di cultura rom nelle università di Trieste, Torino e Chieti, e artista con il nome di Alexian, "perché soltanto il 20 per cento dei 130 mila rom che vivono in Italia vengono dalla ex Jugoslavia o dalla Romania. Il resto sono cittadini italiani di antico insediamento. E non è neanche vero che siamo nomadi per cultura. I campi nomadi andrebbero smantellati, sono una forma di apartheid. Ma esistono troppe organizzazioni italiane che percepiscono soldi per "assistere gli zingari". Dateci case normali, piuttosto".

"Io le case le devo dare innanzitutto a chi ne ha diritto, e cioé ai 17 mila residenti anche stranieri che sono regolarmente in graduatoria", ribatte Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano. "Il problema è molto semplice: nei nostri campi rom ci sono duemila posti, ma ultimamente dalla Romania sono arrivate parecchie migliaia di persone. Per questi non c' è spazio, devono andarsene. Anche perché la situazione sta diventando insostenibile: solo a maggio, a Milano nove donne sono state violentate". A Milano non è questione di destra o sinistra: il presidente della Provincia Filippo Penati del Partito democratico dice che bisogna mandar via tutti i 23 mila rom accampati alla bell' e meglio. Quanto a Roma, il nuovo sindaco Gianni Alemanno (Pdl) vuole armare i vigili urbani.

Non è questione neppure di quantità delle forze dell' ordine: fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili e guardie forestali, l' Italia è di gran lunga il Paese più presidiato d' Europa. Per lo meno in teoria. Nella realtà, sono troppi gli agenti e i militari che non scendono per strada. Il capo della Polizia Antonio Manganelli chiede: "Dateci personale civile per sbrigare le pratiche burocratiche". Ma bisognerebbe anche snellirle, queste pratiche. Non è possibile, per esempio, che sia ancora in vigore la legge d' emergenza promulgata trent' anni fa, subito dopo il sequestro Moro, che obbliga chiunque vende o affitta una casa a denunciarlo subito in commissariato.

Sette anni dopo gli attentati dell' 11 settembre, la residenza privata dell' ambasciatore statunitense a Roma è ancora presidiata giorno e notte da una pantera della polizia, con due agenti sottratti a compiti più utili. Per non parlare di tutte le scorte ai politici. Poi, c' è tutto il capitolo della giustizia che non funziona. Perché le leggi possono anche diventare più severe, e la polizia ancora più efficiente (a Milano, per esempio, l'80 per cento dei violentatori viene arrestato). Ma se anche i recidivi godono di sconti prima di aver espiato metà della pena, e se la permanenza media in cella per un furto è di sette mesi, qualsiasi successo delle forze dell' ordine viene vanificato dall' eccessivo garantismo delle leggi e della loro interpretazione da parte dei giudici.

Per questo, accanto al ministro Ronchi (perché ormai l' immigrazione è una questione europea) e a quello dell' Interno Roberto Maroni, anche il nuovo ministro della Giustizia Angelino Alfano ha messo a punto nuove norme. L' articolo 656 del codice di procedura penale, per esempio, dovrebbe ora consentire ai plurirecidivi sconti di pena solo nell' ultimo anno. I reati su donne, anziani e bambini avranno minimi di pena più alti. Ed è stata introdotta anche l' aggravante della rapina in casa.

Più in generale, però, c' è la situazione di un Paese come il nostro dove l' immigrazione, contrariamente ad altri Paesi europei come Francia, Inghilterra e Germania, non è stata graduale e "assorbibile". In Italia gli immigrati erano un milione nel 1997, e oggi sono quattro milioni. Un aumento impressionante, che non può non dare luogo a problemi. "I politici italiani sapevano da anni che con l' entrata della Romania in Europa le frontiere si sarebbero aperte automaticamente. La colpa degli attuali rigurgiti razzisti è loro", accusa il professor Spinelli. Che paragona le bombe molotov contro i rom ai pogrom nazisti: "Siamo sempre noi un ottimo capro espiatorio".

Certo, in un Paese che da Roma in giù è controllato dalle mafie nostrane, sarebbe assurdo imputare tutto ai rom o ai rumeni. La grande criminalità è ben altra. Ma purtroppo è quella spicciola a dare più fastidio alla gente comune. In certi quartieri come l' Esquilino a Roma a volte basta anche lo sguardo un po' pesante di uno straniero a far crescere l' insofferenza fra le donne italiane impossibilitate a uscir di casa col buio. "Ma chiamarci razzisti no, questo non lo accetto", dice De Corato, lui stesso emigrato dalla Puglia: "A Milano vivono e lavorano tranquillamente 200 mila stranieri su un milione e 300 mila abitanti: il 15 per cento, quasi come a New York".

Mauro Suttora