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Tuesday, August 07, 2012

Schwazer. E i cinesi drogati?

Doping: e i cinesi sono senza peccato?

dall'inviato a Londra Mauro Suttora

7 agosto 2012

Bastava guardarlo nuotare per farsi venire dei dubbi. Sun Yang, gigante cinese ventenne, ha stabilito il nuovo record mondiale sui 1.500 metri stile libero in 14 minuti e 31 secondi. Stessa finale del nostro Gregorio Paltrinieri, quinto classificato. Il secondo, un canadese, è arrivato otto secondi dopo. Un'eternità, per uno sport dove si vince per un centesimo di secondo. E in cui ci sono voluti dieci anni per limare di tre secondi il precedente record del mondo. Poi arriva Sun Yang, e quegli stessi tre secondi se li mangia in pochi mesi.

Dopato anche lui, come si sospetta lo sia Ye Shiwen, sua connazionale sui 400 misti? Gliel'hanno detto in faccia senza riguardi i giornalisti statunitensi nel dopo-gara. Lui ovviamente fa il verginello. E l'antidoping, guidato qui ai Giochi da un italiano, il vicedirettore dei laboratori Wada Francesco Botrè, non riesce a incastrarlo. Hanno squalificato una ciclista russa, un velocista colombiano e un pesista albanese. A Pechino, quattro anni fa, era stato beccato il nostro Davide Rebellin, argento nel ciclismo.

Ma i cinesi, niente. Eppure tutti sanno che hanno preso il posto degli atleti di altre dittature comuniste come la Germania Est, che fino agli anni 80 drogava regolarmente i propri ragazzi per ragioni di prestigio statale. Ma sangue e urine risultavano immacolate.

Le nuove frontiere del doping riguardano diuretici, anabolizzanti, stimolanti, anoressizzanti (che cancellano la fame) e soprattutto i sostituti del sangue per trasportare meglio l'ossigeno e farlo arrivare ai muscoli. "I perfluoro derivati danno concentrazioni di ossigeno superiori fino a 50 volte rispetto al plasma normale", spiega il professor Dario D'Ottavio, già primario di Tossicologia dell'ospedale romano San Camillo.

La rincorsa fra doping e antidoping è continua: ogni giorno nascono prodotti non tracciabili dai laboratori. Su una ventina di casi scoperti finora in queste Olimpiadi, ben 14 riguardano l'atletica leggera. Che supera quindi il ciclismo come sport più drogato. E anche più indulgente: Justin Gaitlin (Usa), già sospeso per doping, ha appena vinto il bronzo sui 100 metri.

Wednesday, August 27, 2008

Appuntamento a Londra

Finiti (col botto) i giochi cinesi, si pensa già a quelli del 2012

I pugni di Cammarelle, la marcia trionfale di Schwazer, le pagaiate quasi d' oro della Idem chiudono un' Olimpiade in chiaroscuro. "Siamo soddisfatti", dice il capo del Coni, Petrucci. Ma i nostri esperti chiedono: "Più sport nelle scuole"

dal nostro inviato Mauro Suttora

Pechino, 25 agosto 2008

Grazie Alex, grazie Roberto. Dovevano arrivare questi ragazzoni dell' estremo nord e dell' estremo sud (Vipiteno e Lucania) per salvare lo sport italiano. Diciamolo: dopo le sei medaglie d' oro della prima settimana di Olimpiade, i giorni seguenti si erano rivelati un po' avari per i nostri colori, e il clima era mogio. Poi però sono giunti gli ori di Alex Schwazer, 23 anni, un metro e 85 di bravura, simpatia e bellezza, e di Roberto Cammarelle, 28 anni, uno e 90 di bravura, simpatia e potenza.

Il primo ha trionfato sulla distanza più lunga dei Giochi, maggiore anche della maratona: i 50 chilometri di marcia. Il secondo nella categoria più pesante del pugilato, quella dei supermassimi: quasi imbarazzante la sua superiorità contro l' avversario cinese in finale. Adesso la medaglia d' oro più settentrionale della storia d' Italia (Vipiteno/Sterzing si trova più a nord perfino della Trafoi di Gustav Thoeni) si gode il trionfo in compagnia della fidanzata non più segreta Carolina Kostner, corregionale principessa delle pattinatrici sul ghiaccio. È questa la nuova coppia d' oro dello sport italiano. Mentre Cammarelle da Cinisello Balsamo (Milano), ma figlio di immigrati dalla Basilicata, è tornato ad Assisi dove vive con la compagna Nicoletta e si allena con gli altri pugili azzurri.

Archiviati i Giochi di Pechino con le ultime medaglie, ora lo sport italiano guarda al futuro. Una generazione di atleti esce di scena, una nuova si prepara per le prossime Olimpiadi di Londra 2012. "A ottobre una nostra delegazione andrà lì per un primo sopralluogo", dice a Oggi il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Che è soddisfatto del medagliere: "Avevo detto che 27 medaglie sarebbero stato un buon risultato, e ci siamo. Anzi, una di più.

"Più bravi dei francesi"

"Anche facendo il confronto con Paesi a noi paragonabili, come Francia e Spagna. La Gran Bretagna non conta: il Paese che ospita l' Olimpiade successiva fa sempre uno sforzo per apparire bene. E poi molte medaglie britanniche vengono dal ciclismo su pista. Piuttosto, se fossi il presidente del Comitato olimpico statunitense, surclassato negli ori dalla Cina, avrei dei problemi..."

Però non possiamo nascondercelo: ci sono state anche delle delusioni. Alcune medaglie mancate sono il sintomo di un declino più generale dello sport praticato ? "Non direi proprio", risponde Petrucci, "anche se onestamente su alcune sconfitte occorre riflettere. Neanche una medaglia dagli sport di squadra, per esempio: calcio, pallavolo, pallanuoto. Nella pallacanestro non ci siamo neppure qualificati. Ma tutte le federazioni si sono impegnate al massimo. E non dimentichiamo che abbiamo collezionato una marea di quarti posti".

C' è qualcosa in più che può fare la politica per lo sport ? "No, non mi lamento". È l' unico in Italia a non farlo: lamentarsi sembra essere diventato il nostro sport nazionale più praticato. "No, i presidenti Napolitano e Berlusconi ci hanno telefonato, li abbiamo sentiti vicini. E ci tengo a sottolineare che non sono d' accordo con la Vezzali, la quale ha chiesto di non pagare le tasse sui premi per le medaglie. Li abbiamo fissati alti proprio perché sappiamo che ci sono le imposte".

I giochi della gioventù

L' unica cosa che il presidente del Coni chiede è un maggiore impegno della scuola per lo sport: "Non bastano certo quelle due ore alla settimana di educazione fisica, che poi si riducono a una e mezzo per il tempo degli spostamenti".
E su questo sono d' accordo tutti i maggiori esperti di sport che abbiamo sentito: "Sono sessant' anni che lo sostengo, ci manca la base essenziale della scuola", ci dice Candido Cannavò, storico ex direttore della Gazzetta dello Sport, "perché l' Olimpiade è la faccia abbagliante di una situazione che abbagliante non è. Eppure abbiamo ottimi tecnici, e siamo capaci di qualificarci in ben 26 sport. Ma basti dire che si parla tanto di Expo a Milano, e nessuno ricorda che è l' unica città europea priva di una piscina olimpica".
Che fare, quindi ? "Resuscitare i Giochi della Gioventù, per esempio. Correre è la prima cosa che spontaneamente un ragazzo vuole fare. Miracoli come la Giamaica non nascono per caso, o perché le mamme giamaicane fanno figli migliori. Ci vuole un sistema".

Franco Arese, campione dei 1.500 negli Anni '70 e oggi presidente della federazione atletica, concorda: "Abbiamo tanto da lavorare. A Pechino con due medaglie nell' atletica ci è andata bene, ma non dobbiamo fermarci. Anche perché lo sport di base serve a tutti. Il premier inglese Blair ha tolto fondi dalla Sanità per darli allo sport, perché se molti cittadini lo praticano stanno più in salute, e alla fine lo Stato spende meno in cure". L' atletica a Pechino ha deluso: se non ci fossero stati la Rigaudo e Schwazer nella marcia, il nostro bilancio sarebbe stato di un solo atleta fra i primi otto.

Il futuro della pallavolo

Uno che non ha problemi è Carlo Magri, presidente della Federvolley. A Pechino entrambe le squadre maschile e femminile di pallavolo hanno deluso, però lui si consola con "il milione di praticanti e i 370 mila tesserati. Siamo secondi solo al calcio, e abbiamo il quasi monopolio dello sport fra le donne. Nella sola provincia di Milano ci sono 900 squadre di calcio, e 1.200 di pallavolo. E nel primo anno di iscrizione per il beach volley siamo arrivati a diecimila".
Un altro che festeggia è Edoardo Mangiarotti, 89 anni e tredici medaglie vinte nella scherma: "Anche quest' anno abbiamo portato sette medaglie all' Italia, il nostro sport non delude mai". Arrivederci quindi a Vancouver (Canada) per le Olimpiadi invernali nel 2010, e a Londra fra quattro anni.

Mauro Suttora

Tuesday, August 26, 2008

Alex Schwazer

Forte e allegro, è il nostro Bolt

Libero, 23 agosto 2008

di Mauro Suttora

Chissà perché vengono tutti da posti lontanissimi, i nostri campioni di marcia. Abdon Pamich, ultima medaglia d’oro nei 50 chilometri all’Olimpiade di Tokio 1964, è profugo di Fiume, oggi Croazia. E Alex Schwazer arriva da Vipiteno/Sterzing. A nord di Bolzano, a nord di Bressanone, a soli dieci chilometri dal confine austriaco. Se percorre la sua distanza di gara verso nord, è già a Innsbruck.

Lo osservo mentre parla con i giornalisti nella “mixed zone”, il corridoio che inghiotte gli atleti dopo la gara portandoli agli spogliatoi. Si presenta contemporaneamente a Casimiro, un marciatore slovacco distrutto, piedi nudi e doloranti. Controllo sul tabellone: il povero Casimiro è arrivato ultimo, 47esimo, ed è anche stato bravo a non ritirarsi come hanno fatto in dieci sotto il sole caldissimo di Pechino.
Casimiro e Alex, ultimo e primo. Alex appare miracolosamente già fresco e riposato, dopo aver parlato per mezz’ora alle tv a bordo pista. Perfino i cinesi vogliono intervistarlo.

Alex è bellissimo, perfetto per diventare personaggio e fare innamorare milioni di ragazze. Il suo idolo Robert Korzeniowski, polacco tre volte oro (Atlanta, Sidney, Atene) lo stuzzica in conferenza stampa: “A chi è dedicato il braccialetto che indossi?” Lo sanno tutti: a Carolina Kostner, l’altra regina dello sport altoatesino, due anni più giovane di lui. Ma Alex diventa rosso, continua a sorridere e dice che nella vita non c’è solo lo sport, che bisogna anche essere felici, soprattutto a 23 anni.

Insomma il contrario del disperante “fenomeno” del nuoto Phelps, che ho incrociato l’altra sera alla festa dello sponsor Omega, e che appare quel che lui stesso ammette di essere: “Noioso, nella vita so solo mangiare, dormire e guardare la tv”.

Alex invece ha la luce dell’intelligenza negli occhi scintillanti, ed è giocherellone come Usain Bolt: un altro convinto che nella vita lo sport non sia tutto, fino a prendersi i rimbrotti di quel grigio burocrate che è il presidente del Cio Jacques Rogge, non a caso conte e belga.

Che bello constatare che Bolt, l’uomo più veloce del mondo, e Alex, quello più resistente, sono ragazzi allegri e non automi fabbricati in palestra e farmacia. E questo proprio nell’Olimpiade dei cinesi, che i propri campioni sembrano crearli in caserma.

Alex infila perfino una quasi gaffe, quando spavaldo ma non sbruffone riesce a dire, per sminuirsi: “Se si è superiori è facile vincere”. Il che, detto nel suo accento tedesco, potrebbe risultare inquietante se non fosse Alex.
Per lui scendono negli scantinati dello stadio i massimi dirigenti dello sport italiano: Gianni Petrucci, presidente del Coni, e Franco Arese campione dei 1.500 e capo della Federazione atletica leggera. L’allenatore Sandro Damilano, fratello del Maurizio marciatore d’oro nella 20 km. a Mosca 1980, rimane seduto su una seggiolina portatile, incredulo e felice. Per fortuna che è arrivato l’oro di Alex, dopo il bronzo della Rigaudo sempre nella marcia, a far felici tutti. Altrimenti il bilancio dell’Italia nella principale disciplina dell’Olimpiade sarebbe stato misero.

Ma adesso abbiamo Alex, e tutti i problemi del nostro sport sono risolti. Ora vado alla festa di Casa Italia. Per festeggiare Alex, stasera pizza-party invece delle abituali scaglie dello sponsor Parmigiano reggiano.

Mauro Suttora