Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Friday, December 23, 2016

Sopra la panca, Ivanka



IL PRESIDENTE TRUMP SCEGLIE LA FIGLIA COME SUO NUMERO DUE

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 23 dicembre 2016 

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump sostituirà la First Lady con la First Daughter? Sua moglie Melania non si trasferirà con lui alla Casa Bianca il 20 gennaio. Ufficialmente perché non vuole far interrompere al figlio l’anno scolastico a New York. Ma in realtà tutti sanno che all’ex modella slovena, terza moglie di Trump, la politica interessa poco. E quando ha cercato di aiutare il marito spesso ha combinato disastri. Come alla Convention democratica della scorsa estate, quando ha copiato un discorso di Michelle Obama.

La figlia Ivanka Trump, invece, è sempre accanto al presidente da quando, 40 giorni fa, è stato eletto. Addirittura partecipa assieme a lui a vertici internazionali come quello con il premier giapponese Shinzo Abe.

Finta bionda come mamma Ivana, naso e seno rifatti, tre figli, la 35enne Ivanka non si limita a presenziare. L’arrembante daughter, infatti, è capace di organizzare scherzi orrendi a politici e vip che, dopo aver insultato il padre, ora si recano in mesta processione a baciargli la pantofola nella Trump Tower di Manhattan.

La prima vittima è stato l’ex vicepresidente Al Gore, premio Nobel e Oscar. Dopo un colloquio di mezz’ora con lei e cinque minuti col padre è sceso nell’atrio magnificando le idee “ecologiste” di Ivanka. Risultato: tre giorni dopo Trump ha nominato ministro dell’Ambiente un tizio che nega il cambiamento climatico.

Poi è stato Leonardo DiCaprio a finire nella rete della furba figlia. Anche lui democratico e ambientalista militante, è andato a Canossa senza ottenere alcun risultato.

L’ultimo incredibile voltafaccia propiziato da Ivanka col marito Jared Kushner è stato quello dei big del computer. Bill Gates di Microsoft e i capi di Apple, Google e Amazon, tutti supporter di Hillary Clinton fino a novembre, si sono lanciati in un coro di adulazioni per il «nuovo John Kennedy» (così lo sprovveduto Gates ha definito Trump). «Dobbiamo collaborare con chiunque sia al potere», si giustificano i neopatrioti.

«Mio padre mi ha insegnato a colpire per prima gli avversari, così capiscono subito con chi hanno a che fare»: parola di Ivanka a David Letterman nel suo show tv pochi anni fa. La ragazza non è cambiata. E ora si appresta a trasferirsi a Washington con il “first genero” Jared per essere la principale scudiera di Donald.

Dribbleranno la legge del 1967 contro il nepotismo che vieta al presidente dinominare parenti (come fece Kennedy col fratello Bob procuratore generale), evitando di percepire compensi. A Ivanka basterà incassare i 4 milioni di dollari del suo appartamento su Park Avenue messo in vendita a New York per rientrare nelle spese.

Lei non è stupida: ha frequentato il liceo di Jackie Kennedy a Manhattan, si è laureata a 23 anni in Economia nella stessa università del padre, la Wharton business school in Pennsylvania. E il marito Kushner continuerà a fare l’eminenza grigia on line di Trump, con la sua strategia di bufale per bypassare gli odiati giornalisti.
Mauro Suttora


I POTENTI IN GINOCCHIO DAVANTI A LORO

Questa foto fa capire subito il nuovo clima che si è instaurato negli Stati Uniti verso il nuovo presidente Donald Trump. Osteggiato e insultato durante la campagna elettorale, quando nessuno pensava potesse vincere, ora i potenti di Wall Street (finanza) e Silicon Valley (computer) fanno a gara per ottenere un incontro con i Trump nella sua Tower di New York. E a tutti i vertici c’è Ivanka (qui sotto indicata dalla freccia, accanto al fratello Eric), che spesso promuove in prima persona gli incontri.

Questo, in particolare, ha visto presenti i big californiani di Apple (Tim Cook, fuori dall’inquadratura), Facebook e Amazon (Jeff Bezos, quinto da sinistra). La California ha votato contro Trump al 70 per cento, e New York all’80, ma adesso i cosiddetti “poteri forti” mettono le vele al vento, e si rassegnano a collaborare con quello che ritenevano soltanto un personaggio folkloristico. La Borsa sembra approvare: da quando Trump è stato eletto, è ai massimi storici.
Mauro Suttora


Friday, December 09, 2016

Gli scandali Vatileaks

di Mauro Suttora

dicembre 2016 - speciale Oggi per gli 80 anni di papa Francesco

Il 19 maggio 2012 Gianluigi Nuzzi, giornalista del quotidiano Libero, pubblica il libro Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI. È il suo secondo volume sugli intrighi della Santa Sede, dopo Vaticano S.p.A. (2009).

Il libro rivela lotte di potere attorno alla banca del Vaticano, lo Ior (Istituto per le opere di religione). Viene scritto grazie a una fuga di documenti interni riservati su irregolarità finanziarie che coinvolgono l'allora segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Altri documenti rivelano addirittura un presunto piano per uccidere papa Benedetto XVI.

Lo scandalo prende il nome «Vatileaks» dall’inglese leaks (fughe di notizie), per assonanza con le rivelazioni di Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange che dal 2007 aveva pubblicato un’enorme quantità di documenti segreti di governi occidentali.

Papa Benedetto XVI istituisce una Commissione d’inchiesta composta da tre cardinali per individuare la spia interna. Il 24 maggio la Gendarmeria vaticana arresta per furto aggravato Paolo Gabriele, aiutante di camera del Papa da sei anni, uno dei suoi uomini di maggior fiducia: aveva carteggi riservati personali del Papa. Nello stesso giorno viene allontanato Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior.

Un “corvo” (termine ripreso dalla “stagione dei veleni” di vent’anni prima a Palermo, che aveva nel mirino il magistrato Giovanni Falcone) rivela che le persone coinvolte nello scandalo sarebbero una ventina.

Il 30 maggio Benedetto XVI, al termine della sua udienza settimanale, definisce «esagerate» le rivelazioni, che «hanno offerto una falsa immagine della Santa Sede. Gli eventi degli ultimi giorni riguardo alla Curia e ai miei collaboratori hanno portato tristezza nel mio cuore». L’amarezza è tale che nove mesi dopo si dimetterà (non solo per Vatileaks, naturalmente).
  
Nell’autunno 2012 Paolo Gabriele e l’informatico Claudio Sciarpelletti, dipendente della segreteria di Stato, vengono processati dal tribunale della Città del Vaticano. Dopo una settimana Gabriele è condannato a tre anni di carcere, ridotti a un anno e mezzo. Il 22 dicembre Benedetto XVI lo visita e lo grazia. Sciarpelletti viene condannato a 4 mesi, ridotti a 2 e infine condonati.

Un secondo scandalo Vatileaks avviene nel novembre 2015. Vengono arrestati due “corvi”: monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, 54enne spagnolo che papa Francesco aveva nominato nel 2013 segretario di una commissione per la riforma della struttura economica-amministrativa della santa Sede, e Francesca Immacolata Chaouqui, 34enne calabro-marocchina, sua collaboratrice nella stessa commissione. La Chaouqui, soprannominata “la papessa”, viene rilasciata perché collabora alle indagini.

L’accusa è ancora di sottrazione di informazioni riservate dello stato del Vaticano, e sempre per un libro di Nuzzi: Via Crucis. Da registrazioni e documenti inediti la difficile lotta di Papa Francesco per cambiare la Chiesa. Un altro beneficiario dalle rivelazioni è il giornalista del settimanale Espresso Emiliano Fittipaldi, che sullo stesso argomento scrive il libro Avarizia.  Le informazioni riguardano le spese della Santa Sede, già messe sotto indagine da papa Francesco.

I due giornalisti vengono processati dal Vaticano e assolti nel luglio 2016 per «difetto di giurisdizione»: la consegna dei documenti segreti non è avvenuta nel territorio della Santa Sede. E comunque il tribunale afferma che «il diritto divino garantisce la manifestazione del pensiero e la libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano».

Nello stesso processo monsignor Vallejo Balda è stato invece condannato a un anno e mezzo di carcere che sta scontando, nella speranza di un perdono papale; la Chaouqui a dieci mesi, con pena sospesa. Non sono mancati particolari piccanti, come una relazione fra la Chaouqui e il monsignore smentita da quest’ultimo.
Mauro Suttora

Come funziona la Curia vaticana

di Mauro Suttora

dicembre 2016 - speciale Oggi per gli 80 anni di papa Francesco

È la più grande e potente multinazionale del mondo: un miliardo e 300 milioni di fedeli, 415mila preti e religiosi, 5.200 vescovi. La Chiesa cattolica opera su cinque continenti, ed è amministrata dalla Curia romana.

Non è un mistero che uno dei motivi delle dimissioni di papa Benedetto XVI sia stato l’enorme peso di questa responsabilità organizzativa. Perciò papa Francesco sta dedicando grande attenzione alla riforma della “macchina burocratica” della Chiesa. Il Vaticano ha vari “ministeri”.

Il più importante è la Segreteria di Stato, guidata dal 2013 dal giovane cardinale vicentino Pietro Parolin (61 anni). È lui il più stretto collaboratore del Papa per le questioni politiche e diplomatiche: una specie di ministro di Interni ed Esteri. Sono ben 214 i nunzi apostolici (ambasciatori) nei Paesi del mondo (non ci sono relazioni solo con Cina, Afghanistan, Bhutan e Corea del Nord).

Per le questioni religiose, invece, l’organo principe è la Congregazione per la dottrina della fede (ex Inquisizione e Sant’Uffizio). È retta dal cardinale tedesco Gerhard Müller, 68 anni, nominato da papa Ratzinger nel 2012 ed elevato cardinale da papa Francesco due anni dopo.
Nel temibile palazzo di piazza Sant’Uffizio una sessantina fra funzionari e consulenti assistono i 25 cardinali e vescovi che vigilano sul rispetto della dottrina, esaminano aperture e condannano eresie.

Fra le nove Congregazioni, un’altra molto importante è quella per il clero, guidata dal 2013 dal cardinale 75enne Beniamino Stella, anch’egli veneto come Parolin, e come lui con grande esperienza internazionale: nunzio a Santo Domingo, Malta, Africa, Cuba, Colombia.
È il dicastero che segue i sacerdoti in tutto: vocazione, formazione nei seminari, vita privata, assistenza sanitaria, pensioni, stipendi, ministero nelle parrocchie.

Per i vescovi invece esiste una Congregazione apposita, di cui è prefetto il cardinale canadese Marc Ouellet, 72 anni. Papabile al conclave del 2005, nominato prefetto nel 2010 e confermato da papa Francesco, Ouellet è un conservatore: vorrebbe tornare all’adorazione eucaristica e reintrodurre il canto gregoriano.

La sua Congregazione seleziona e nomina i nuovi vescovi, erige nuove diocesi, vigila sul loro governo e organizza i viaggi che tutti i vescovi devono compiere a Roma ogni 5 anni per riferire sul loro operato.

Papa Francesco vorrebbe delegare di più queste funzioni alle conferenze episcopali dei singoli Paesi. Oggi infatti, fra tutte le religioni del mondo, soltanto quella cattolica è così accentrata a Roma. Questo garantisce unità della Chiesa ed evita spinte centrifughe, ma produce anche intasamento burocratico e verticismo.

L’organismo più delicato della Curia è l’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica). Papa Francesco non perde occasione per ammonire: i soldi servono a far funzionare le chiese, al sostentamento del clero, ma devono andare soprattutto in carità. A Natale 2014 ha elencato le 15 «malattie» della Curia: burocrazia, perdere di vista gli obiettivi spirituali, accumulare denaro e potere, «profitto mondano», «terrorismo delle chiacchiere».

Con sottile senso dell’umorismo, perfino sentirsi indispensabili e lavorare troppo: «Come Marta nel racconto evangelico, qualcuno si immerge nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù. Il quale invece chiamò i suoi discepoli a “riposarsi un po’” perché trascurare il necessario riposo porta stress e agitazione».

Stress e agitazione hanno provocato in Vaticano alcune rivelazioni sull’Apsa (guidata dal 2011 dal cardinale Domenico Calcagno, che ha una strana passione per le armi da fuoco), come quella del banchiere Giampiero Fiorani che nel 2007 versò in nero all’Apsa 15 milioni di euro su un conto svizzero dove, secondo lui, il Vaticano avrebbe posseduto «due o tre miliardi di euro».

Due anni fa papa Francesco ha trasferito a una nuova Segreteria per l’economia molte competenze dell’Apsa, lasciandole la gestione dei fondi dell’8 per mille incassati ogni anno con le nostre denunce dei redditi: circa un miliardo di euro per mantenere 95mila chiese e 1.500 monasteri in Italia.

La nuova segreteria è guidata da George Pell (australiano, 75 anni) e Reinhard Marx (tedesco, 63enne), suoi cardinali di fiducia per la riforma della Curia. Altro uomo chiave è il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, 59 anni, presidente della Caritas Internationalis che fa opere di carità per circa due miliardi di euro annui.
Mauro Suttora

Wednesday, December 07, 2016

Melania Trump in privato

di Mauro Suttora

Oggi, 7 dicembre 2016

«Ma allora siamo diventati poveri!» Questa, narra la leggenda, è la frase ironica che avrebbe pronunciato Melania Trump dopo la sua prima visita alla Casa Bianca.
In effetti, le stanze della residenza del presidente Usa non brillano per magnificenza. E certo non possono competere con i tre piani di attico e superattico per un totale di 3.000 metri quadri dove abita attualmente la coppia presidenziale.

Ma com’è nel privato la futura First Lady? Una donna arguta e dotata di senso dell’umorismo, come testimonierebbe la battuta sull’austera modestia della sua nuova dimora washingtoniana, o soltanto la terza “moglie trofeo” di un miliardario zotico, come insinuano gli avversari di Trump?
Lo abbiamo chiesto all’italiana che conosce meglio Melania e Donald: Susi Mion, signora originaria del Veneto, da dieci anni loro amica e vicina di casa nella Trump Tower di New York. Lei al 32esimo piano, loro dal 66esimo in su.

«Ho conosciuto prima Donald, per alcune questioni di condominio», ci dice la signora Mion, scovata a Manhattan dal quotidiano Libero. «Gentilissimo, ha voluto invitarmi a casa loro per presentarmi sua moglie. Così sono salita su, e mi ha accolto una giovane signora che, ho scoperto, oltre alla bellezza, possiede un dolce sorriso, eleganza e fascino».

Le vicine hanno subito legato, e Melania ha invitato Susi nella loro magione di Mar-a-Lago in Florida: «L’unico motivo per cui non ho accettato, è che temo che la mia cagnolina maltesina disturbi durante il viaggio nel loro aereo privato».

Che tipo di moglie è Melania?
«Una donna molto tranquilla, quasi imperturbabile. Le piace stare a casa, non esce molto. Direi che è la classica casalinga: cucina per Donald i piatti tipici del proprio Paese, la Slovenia, si dedica alle faccende domestiche. Uno potrebbe pensare: la bellissima ex modella capricciosa e presenzialista che passa il tempo a rompere le scatole al marito ricco con 24 anni di più. Invece è l’esatto contrario: una moglie devota. Capace di restare silenziosa, ma anche di ascoltare Donald, e soprattutto di dargli un consiglio al momento giusto. E di volare sopra le critiche, a lei e a lui».

Gli unici attacchi che Melania non sopporta sono quelli al figlio Barron. Che durante il discorso della vittoria del padre, alle due del mattino del 9 novembre, si stava quasi addormentando in piedi. Normale, per un bambino di dieci anni (anche se ne dimostra di più, è altissimo). Hanno detto che ha i sintomi dell’autismo, diffondendo video che lo proverebbero. Mamma Trump ha subito diffuso una violenta diffida del suo avvocato. Hanno dovuto scusarsi.
«Come madre Melania è affettuosa e piena di premure. Spesso accompagna il figlio a scuola, e lo va a prendere. Crea attorno a lui e a Donald quel clima di serenità che è fondamentale in ogni famiglia. Lei sarebbe anche un’abile imprenditrice, e lo ha dimostrato. Ma da anni ha deciso di dedicarsi alla famiglia. Anche molto del suo tempo libero lo trascorre a casa: invita amiche, legge, fa ginnastica pilates».

Barron frequenta una delle scuole private più costose d’America: la Columbia Grammar Prep, sulla 93esima Strada dell’Upper West Side, dall’altra parte di Central Park. Costa 45mila dollari l’anno (42mila euro), come l'università di Harvard.

Melania, contrariamente a Michelle Obama che si trasferì subito con le figlie a Washington, resterà a New York fino a giugno, per non far cambiare scuola a Barron durante l’anno scolastico. Con relativi brontolii dei genitori degli altri alunni, in un quartiere che ha votato Hillary Clinton al 90%: «All’ultima riunione di classe gli agenti dei servizi segreti ci hanno bloccato l’ascensore, siamo dovuti salire a piedi!».

«Ma Melania è tutt’altro che arrogante», assicura Susi Mion, «anzi la definirei timida: non urla mai, non eccede. Riesce ad avere un ottimo rapporto anche con Ivanka e gli altri figli di Donald». 
Il che non è facile, poiché la differenza d’età con loro è di pochi anni, e Ivanka non è la più mansueta delle creature.

Insomma, signora Mion, lei ci dipinge Melania come una donna praticamente perfetta.
«Ma se è vero, perché dovrei mentire? Guardi, un anno fa, all’inizio della campagna elettorale, il New York Times mi intervistò con altri vicini di casa. Chiesi l’anonimato, e dissi questa frase: “Se Trump ha scheletri nell’armadio, la Clinton ne ha il doppio”. Ma il giornale mi identificò come una “signora con la maltesina”. Il giorno dopo Donald mi mandò un biglietto di ringraziamenti».

Quindi neanche un punto debole in Melania? 
«Senta, quant’è bella lo vedono tutti. In più è intelligente e simpatica. Posò senza vestiti da modella? Meglio lei nuda che Hillary vestita. Con le altre donne non è competitiva, anzi è solidale e garbata. Parla sei lingue: sloveno, serbo, inglese, italiano, tedesco, francese. Se la si conosce la si ama. Piano piano conquisterà il cuore di tutti. Sarà una splendida First Lady».
Mauro Suttora

Thursday, December 01, 2016

Bob Dylan snobba la cerimonia del premio Nobel

Il 10 dicembre diserterà la cerimonia del Nobel. Ma è da mezzo secolo che questo misantropo conduce una vita riservatissima. Fa lunghi tour, ha avuto otto figli, due mogli, non va mai a feste, tiene tutto segreto. Qui un elenco delle sue manie

Los Angeles (Stati Uniti), 1 dicembre 2016

di Mauro Suttora (Oggi)

Un vecchio scorbutico, e anche un po’ cafone. Questa è la figura che ha fatto Bob Dylan rifiutando di andare a Stoccolma il 10 dicembre per ricevere il premio Nobel della Letteratura. Ma era prevedibile. Da mezzo secolo il cantautore statunitense conduce una vita da misantropo, evitando qualsiasi contatto sociale. E dal 1988 passa mesi e mesi ogni anno in tournée in giro per il mondo, come uno zingaro senza radici.

«È arrivato con tre bus, parcheggiandoli nei vicoli dietro al teatro Manzoni», racconta Giorgio Zagnoni, presidente del teatro di Bologna dove Dylan si è esibito in concerto un anno fa. «Ha voluto che il camerino fosse arredato con divani in pelle nera, e che dello stesso colore fossero 70 asciugamani per lui e lo staff di 45 persone. Ha un cuoco privato, che si porta dietro una cucina da campo con tutti gli ingredienti. Abbiamo dovuto allestirgliela nel camerino accanto».

Le solite stranezze da rockstar. Che, nel caso di Dylan, si assommano a una segretezza maniacale. Per anni non sono circolate foto della prima moglie, Sara Lownds, ex coniglietta di Playboy. Le dedicò due famose canzoni, Sad Eyed Lady of the Lowlands (che ne richiama il nome) e Sara nel 1976, quando il matrimonio era a rotoli. Col divorzio dovette darle 36 milioni e metà dei diritti d’autore. Lei s’è impegnata al silenzio a vita.

La seconda moglie è la sua ex corista di colore Carolyn Dennis, sposata nel 1986. Ma la notizia delle nozze filtrò solo 15 anni dopo: la casa comprata per lei e la figlia avuta assieme era a Los Angeles, ma lontana dalla sua residenza di Malibu con sei camere e sei bagni dove vive dal 1973.

Dylan ha avuto otto figli. Quattro da Sara, fra cui Jakob, pure lui musicista. Gli altri da relazioni più o meno lunghe, con una preferenza per coriste di colore. Il sito maggiesfarm.eu elenca una trentina di amanti, fra cui la cantante francese Françoise Hardy.

Dylan passa metà anno on the road, e metà nelle sue case di Malibu o nel natio Minnesota. A Malibu ha uno studio di registrazione privato, dove alla fine degli anni 80 nacque per gioco il famoso gruppo dei Travelin’ Wilburys (con l’ex beatle George Harrison, Tom Petty e Roy Orbison).

Lo sgarbo al Nobel («Grazie, sono onorato, ma non posso venire per impegni precedenti») arriva dopo che Dylan ha vinto tutti i premi del mondo: dall’Oscar (nel 2000 per la canzone del film Wonder Boys con Michael Douglas) al Pulitzer, dai Grammy alla Legion d’Onore francese.

Ma come lui si senta poco a suo agio durante le cerimonie lo si capisce guardando la foto che pubblichiamo, con Obama che gli conferisce la massima onorificenza statunitense e lui che poi scappa senza neanche salutare.

Strano, per un uomo abituato a stare sul palco. Sono quasi 4mila i concerti della sua carriera, tutti minuziosamente elencati nel suo sito e con la lista delle canzoni suonate: prima in classifica è All Along the Watchtower, 2.257 volte, poi Like a Rolling Stone, 2.011 e Blowin’ in the Wind, 1.412.

Negli anni 70 la prestigiosa università di Princeton ebbe l’avventata idea di dargli una laurea honoris causa.
Lui poi descrisse la cerimonia nella canzone The Day of the Locusts. Piaga biblica per Bob, un incubo:
"I banchi erano macchiati di lacrime e sudore / non c’era molto da dire,
niente conversazione / mentre salivo sul palco a ricevere la laurea /
Era tutto buio, puzza di tomba / volevo andarmene, faceva caldissimo/
al tipo vicino a me esplodeva la testa/ pregavo che i pezzi non mi finissero addosso/
Mi tolsi la toga, presi il diploma / scappai con la mia ragazza /
verso le colline del Dakota / felice di esserne uscito vivo".
Mauro Suttora

Vita privata dei Trump

di Mauro Suttora


New York (Stati Uniti), 1 dicembre 2016


È già scivolata due volte. Ivanka Trump, figlia del nuovo presidente degli Stati Uniti, sta usando la politica per fare pubblicità ai suoi affari personali. A luglio, dopo il suo discorso alla Convention repubblicana che incoronò il padre, si affrettò a mandare un tweet in cui invitava a comprare il vestito da lei indossato: meno di cento dollari ai grandi magazzini Macy’s, con tanto di link alla sua linea di vestiti.

C’è ricascata pochi giorni fa. La vicepresidente della sua società di vendita di gioielli ha pubblicizzato via mail il braccialetto indossato dalla First Figlia durante la prima intervista tv del padre da presidente a 60 Minutes, il programma politico più visto in America. Questa volta il prezzo online sul sito di Ivanka è di 10.800 dollari.

«Ma è una piazzista? Inaccettabile!», si è scandalizzata metà America, quella che non ha votato Trump. E anche qualche repubblicano, come la mitica Peggy Noonan che scriveva i discorsi di Ronald Reagan.
Dovranno abituarsi. Perché se noi italiani siamo ormai avvezzi allo stile Berlusconi, cioè a quello di un miliardario sceso in politica (ma senza mai scendere ai livelli di Ivanka), per gli Stati Uniti è la prima volta.

A imbarazzare Donald non c’è solo la figlia avuta dal primo matrimonio, quello con la cecoslovacca Ivana famosa anche in Italia. Anche il marito di Ivanka, il First genero Jared Kushner, è piuttosto ingombrante. Figlio di un ricchissimo immobiliarista (quasi quanto il suocero), non ha esitato a vendicare il padre facendo fuori dalla squadra presidenziale un pezzo da 90: Chris Christie.

Cassetta a luci rosse per vendetta familiare

La sua colpa: aver inflitto a Kushner senior due anni di carcere quand’era procuratore in New Jersey. Fra i reati commessi: aver assoldato per 10mila dollari una prostituta che portò il cognato di Kushner senior in un motel e filmò l’incontro. La videocassetta fu poi recapitata alla zia di Jared, colpevole di aver tradito la famiglia confessando finanziamenti illeciti ai partiti.

Ora Jared è il consulente politico più stretto di Trump. Abita con Ivanka e i tre figli nel palazzo Trump Park Avenue, a due isolati di distanza dalla Trump Tower, sulla Quinta Avenue: il presidente all’altezza della 57esima Strada, loro sulla 59esima.

Vivono nell’ex hotel dei Beatles e di Dylan
Il grattacielo Trump Park (“soltanto” 32 piani) ha una storia curiosa. Costruito nel 1929, era l’hotel Delmonico. Nel 1964 ci alloggiarono i Beatles durante il loro secondo tour degli Usa, e nelle loro stanze accolsero Bob Dylan che li iniziò agli spinelli.

Nel 2002 Trump lo acquistò per 115 milioni di dollari, pagò gli inquilini per andarsene, e lo ristrutturò. Oggi sfavilla nel quartiere col metro quadro più costoso del mondo (50mila dollari). E Ivanka anche lì fa da testimonial alle vendite, con le foto delle stanze arredate sul sito di Elle Decor.

Meno conosciuta è l’altra figlia del presidente, Tiffany, avuta dalla seconda moglie Marla Maples. Neolaureata, il padre le ha appena regalato un attico con vista su Central Park. Ha debuttato pure lei in politica con un discorso alla Convention, e sembra determinata a continuare l’impegno pubblico a fianco del padre.

Così la First Lady slovena, Melania, si trova in famiglia due concorrenti al femminile. Riusciranno ad andare d’accordo, o si scateneranno le gelosie? 
Per ora Melania non si trasferisce a Washington: «Mio figlio Barron deve finire l’anno scolastico a New York».

Ma la vita della tribù Trump è comunque piena di trasferimenti. Per i week-end c’è il palazzo affogato nel verde in mezzo al campo da golf privato del New Jersey. Per le feste invernali la famiglia si trasferisce in blocco a Mar-a-Lago, la favolosa residenza da sette ettari nella città dei miliardari, Palm Beach.

Florida: incredibile predestinazione

Una storia curiosa anche questa: costruita negli anni 20 da un’ereditiera che alla sua morte la diede al governo Usa, con la clausola che fosse destinata a residenza per presidenti.
Guarda caso, Trump la comprò nel 1985 e la trasformò in club di lusso. Qui si sono sposati Michael Jackson con la figlia di Elvis Presley, e lo stesso Trump con Melania. E oggi Mar-a-Lago può finalmente ospitare un presidente.
Mauro Suttora

Thursday, November 24, 2016

intervista a Cicciolina

IL MITO EROTICO ITALIANO APPRODA IN TV CON UN DOCUMENTARIO SULLA SUA VITA

di Mauro Suttora

Oggi, 24 novembre 2016




«Partivo ogni mattina da casa sulla via Cassia con la mia Peugeot 205 e tornavo la sera tardi. Non avevo l’autista personale. Per cinque anni mi impegnai a tempo pieno in Parlamento, ero sempre presente. Mi impegnai per la riapertura delle case chiuse con garanzie d’igiene e nessun privilegio fiscale, contro il nucleare, per l’amore nelle carceri, l’informazione sessuale nelle scuole, la difesa degli animali…»

Cicciolina arriva in tv (Sky Arte, Cielo). Un documentario di Alessandro Melazzini sulla sua incredibile avventura: prima pornostar, poi deputata radicale nel 1987, infine sui rotocalchi internazionali per le nozze con Jeff Koons e la battaglia sul figlio.
Ma ancor oggi la diva dell’eros partecipa a serate in tutta Europa: «Ospite d’onore al party milanese di Givenchy, e in Francia devo perfino combattere per difendere il mio nome: due ristoranti si sono chiamati Cicciolina senza autorizzazione».

Per l’ungherese Ilona Staller la fama arriva nel 1976 con il programma notturno di Radio Luna: «Il titolo era Voulez-vous coucher avec moi?, chiamavo tutti gli ascoltatori “cicciolini” e così nacque il mio pseudonimo».

Fu Pannella a proporle la candidatura. Nonostante fosse fra gli ultimi nella lista radicale, in rigoroso ordine alfabetico, fu eletta con 20mila preferenze: «Marco era un fantastico leader, e per me più di un amico: un padre, un fratello. Ho pianto molto il giorno della sua scomparsa, lo scorso maggio. Conservo ricordi meravigliosi di lui, uomo politico carismatico e unico che ha segnato la storia della politica italiana».

Nacque la politica-spettacolo, con folle impazzite che le chiedevano di «mostrare la tettina». Spettacolarizzazione il cui apice è oggi Donald Trump presidente Usa: «Non condanniamolo subito, stiamo a vedere. Mio figlio Ludwig Koons ha votato per lui».

Però vive a Roma.
«Sì, studia all’Accademia di Belle arti. E mi aiuterà nell’attività artistica. Nel 2017 esporrò le mie opere surreali a Helsinki, oltre a continuare il Love tour in locali e discoteche. Canto le mie canzoni revival anni 80-90: Baby Love, Inno alla Trasgressione, Political Woman. Sono una eterna “fricchettona” sempre in cerca di cose belle: la vera opera d’arte è la vita di ognuno di noi».

Lo diceva anche il suo ex marito. Nel film lei si commuove ricordando il divorzio: «È stata tosta», dice. «Ma fa parte del passato. Il futuro oggi è ancora la radio: fra due mesi comincia un programma in cui dialogherò con tutti via webcam. E mio figlio: vorrei che i giovani come lui fossero felici del loro lavoro, entusiasti di poter mettere su famiglia, pagare un mutuo e sentirsi sicuri».

Mauro Suttora

Thursday, November 17, 2016

parla Riccardo Mazzucchelli, secondo marito di Ivana Trump

Donald Trump conserva ottimi rapporti con le due ex mogli, e ha coinvolto tutti i figli nella sua avventura politica. Da tenere d’occhio soprattutto il giovane genero Kushner

di Mauro Suttora

New York, 17 novembre 2016



«Incontravo Donald nell’ascensore della Trump tower a Manhattan. Io andavo all’ultimo piano, nell’attico dove viveva Ivana, la sua moglie separata. Lui si fermava prima, nell’appartamento dove stava dopo la separazione.
Ci salutavamo, avevamo rapporti cordiali, ma a un certo punto gli dissi: “Senti Donald, io amo la tua ex moglie, però vedo che avete buoni rapporti e che siete ancora molto legati dai vostri tre figli piccoli, Donald junior, Ivanka ed Eric. Quindi dimmelo subito, perché fra sei mesi sarà troppo tardi: se pensi che fra voi possa esserci una riconciliazione, io mi ritiro in buon ordine. Non voglio rovinare una famiglia”».

Riccardo Mazzucchelli, 73 anni, racconta a Oggi i suoi incontri ravvicinati del 1991 con Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti.
«Lui, sempre gentile, mi rispose: “No problem Riccardo, go ahead”». Vai avanti.

Così Mazzucchelli, businessman internazionale che oggi vive a Spalato (Croazia), divenne il secondo marito di Ivana Trump (il terzo, Rossano Rubicondi, ha confermato la passione della signora per gli italiani, così come il suo successivo fidanzato, Marcantonio Rota).

E Trump, dopo aver liquidato sontuosamente Ivana, sposò l’attricetta americana Marla Maples dopo anni di clandestinità. Leggendario rimane lo scontro fra la moglie Ivana e l’amante Marla su una pista di sci ad Aspen (Colorado) nel 1990.

Nel ’97, quasi contemporaneamente, Ivana divorziò da Riccardo e Donald da Marla. Il paperone newyorkese aveva incontrato la terza moglie Melania, confermando la propria passione per le slave.

Trump e le donne. Lui si vanta di conquistarle tutte grazie ai suoi soldi. Non va lontano dal vero, ma per questa ovvietà è stato crocifisso: maschilista. Eppure le sue ex mogli continuano ad avere ottimi rapporti con lui: Ivana ha sposato Rubicondi nel favoloso palazzo trumpiano di Mar-a-Lago in Florida, Marla non ha più pubblicato il libro contro Donald annunciato con la fanfara.

Entrambe gli hanno dato l’endorsement pubblico per la candidatura, e imperversano sui reality tv. Dopo The Apprentice che ha reso Donald un eroe tra i giovani, Ivana ha condotto il Grande Fratello Usa. E questa primavera Marla ha ballato con le stelle.

Fosse stato per lui, dopo la Convention repubblicana le avrebbe invitate anche sul palco della vittoria l’8 novembre, come un patriarca magnanimo. A Tiffany, 23enne unica figlia di Marla, ha appena regalato una casa nel quartiere più esclusivo di New York, l’Upper East Side, per la sua laurea alla Penn University (in quella Pennsylvania ex democratica che ha inopinatamente conquistato).



Ma a fare la parte del leone sono i tre figli di Ivana. Il miliardario ha annunciato che lascerà loro tutte le sue società, in un blind trust per evitare il conflitto d’interessi. E già molti avevano storto il naso per questa successione familiare assai poco blind (cieca).

Poi è arrivato l’incredibile annuncio: i tre trentenni sono tutti imbarcati nel Transition team, la squadra che sceglierà i ministri e gli altri 4 mila nuovi dirigenti che governeranno gli Stati Uniti. Un rinnovamento gigantesco, perché Trump è totalmente estraneo alla politica. E Ivanka farà politica come e più della matrigna Melania, splendida First Lady.

C’è posto anche per i generi, nella tribù Trump. Ricordatevi questo nome: Jared Kushner. Marito di Ivanka, pure lui come Donald figlio di un costruttore edile (condannato per evasione fiscale, finanziamenti illegali a politici e subornazione di testimoni), a 25 anni ha comprato il settimanale New York Observer per 10 milioni di dollari: «Li ho guadagnati vendendo case durante l’università ad Harvard». È stato uno dei cervelli del trionfo elettorale, per amor suo Ivanka si è convertita all’ebraismo. Conterà molto nella Casa Bianca.

Negli Anni 30 la mamma di Donald Trump approdò in America come emigrante dalla Scozia. Era poverissima: possedeva solo i vestiti che indossava. Trump senior, figlio di un immigrato tedesco, manifestava a New York col Ku Klux Klan contro gli immigrati italiani cattolici fascisti che minacciavano la supremazia degli anglosassoni protestanti come lui.

Il loro figlio un anno fa era dato al 2 per cento di possibilità di diventare presidente. Qualunque cosa si pensi del tycoon coi capelli arancioni, un altro sogno (o incubo) americano si è avverato.
Mauro Suttora

Tuesday, November 08, 2016

I segreti della Casa Bianca

di Mauro Suttora

Washington, 8 novembre 2016



Donald Trump, appena eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti, si trasferirà in questo palazzo bianco il 20 gennaio 2017. E per quattro anni (al massimo otto) governerà non solo il proprio Paese, ma anche il mondo, visto che gli Usa ne sono ancora la principale superpotenza.

Ma come si svolge la vita quotidiana alla Casa Bianca? Diciamo anzitutto che il famodo Studio ovale, con la scrivania presidenziale, non si trova nel corpo centrale del palazzo, costruito nel 1801, bruciato dagli inglesi nel 1814 e ricostruito.

Studio Ovale nascosto dagli alberi

La Oval room sta nella West Wing della Casa Bianca, aggiunta nel 1902. Questa Ala ovest non si vede mai nelle foto, perché è alta solo due piani ed è nascosta dagli alberi del parco interno.
Il presidente la raggiunge ogni mattina dai suoi appartamenti privati, al secondo e terzo piano del corpo centrale. Ma attenzione: nessuno, per ragioni di sicurezza, sa più esattamente in quale stanza dorma.

L’attuale President Room, infatti, fino al 1974 ospitava di solito le First Lady, che dormivano separate dal marito fino alla presidenza di Gerald Ford. Era la camera da letto di Jacqueline Kennedy, e John stava nella stanza accanto, che adesso è la Private sitting room (salotto privato).

La West Wing ospita tutti gli uffici operativi, compresa la Situation room per le riunioni d’emergenza, da dove Barack Obama nel 2011 ordinò l’uccisione di Osama bin Laden.
Obama è stato particolarmente severo nel proteggere la privacy della sua famiglia. Nessuno, tranne i parenti e gli amici strettissimi, sa neppure se le due figlie, la moglie Michelle e la suocera abbiano le stanze da letto al secondo o al terzo piano.

«Mi sveglio ogni mattina in un palazzo costruito da schiavi afroamericani come me»: queste parole della First Lady hanno infiammato la Convenzione democratica lo scorso luglio. Ed è vero: i lavori durarono nove anni, tanto che il primo presidente George Washington non riuscì mai ad abitarci (prima la capitale era Filadelfia). Ma al secondo piano c’è pure la stanza di Abraham Lincoln, che nel 1865 abolì la schiavitù (e fu assassinato).

Ogni stanza della Casa Bianca racconta un pezzo di storia. L’ex studio di Lincoln era anche il preferito di Richard Nixon, unico presidente a essere cacciato con l’impeachment nel 1974 per lo scandalo Watergate.

Sempre al secondo piano, la Yellow Oval room fu lo studio ovale usato dal presidente Franklin Delano Roosevelt che, costretto in carrozzina, non andava fino alla West Wing: qui gli giunse la terribile notizia dell’attacco di Pearl Harbor nel 1941.
E al piano terra la Map room era la Situation room della Seconda guerra mondiale, con tutte le cartine del mondo.

Mauro Suttora

Wednesday, October 19, 2016

Premio Nobel a Bob Dylan

C'È ANCHE UN PO' D'ITALIA IN DYLAN

di Mauro Suttora

Oggi, 19 ottobre 2016

Si sente più poeta o cantante? «Mi sento come uno che canta e balla», rispose scherzando Bob Dylan oltre mezzo secolo fa, quand’era già considerato molto più di un cantautore.
Da allora, non ha mai smesso di fare il contrario di quel ci si aspetta da lui. «Non seguire i capi, guarda i parchimetri» (Subterranean Homesick Blues, 1965), è uno dei suoi versi più famosi, che prendono in giro chi voleva imbalsamarlo a 23 anni nel ruolo di «leader», di «portavoce di una generazione».

«Non ci vuole un metereologo per saper da che parte soffia il vento», e «Qualcosa sta succedendo, ma non capisci bene cosa sia, vero signor Jones?» (Ballad of a Thin Man, 1965).
Il signor Jones era l’americano medio ignaro di Vietnam e contestazione, e oggi sono quelli che non capiscono perché i parrucconi svedesi abbiano dato il Nobel aprendo la porta del paradiso letterario alla quale Dylan non ha bussato (Knockin’ on Heaven’s Door, 1973). A uno che la sera dell’annuncio ha cantato in un casinò di Las Vegas col suo solito stile ubriaco, e il giorno dopo si è esibito seminudo a 75 anni con i Rolling Stones e l’ex Beatle Paul McCartney.

C’è anche un po’ d’Italia nell’immensa opera dylaniana, studiata da decenni nelle università Usa: l’«Italian poet of the 13th century» in Tangled up in blue (1975) è Dante; «Dicono che ho ucciso un certo Gray e ho portato sua moglie in Italia» (Idiot Wind, stesso anno); «Le strade di Roma sono piene di macerie, vedi doppio in piazza di Spagna, esco con la nipote di Botticelli» (When I paint my masterpiece, 1971).

«Qualche volta penso/che questo vecchio mondo/sia solo il cortile di una grande prigione: alcuni di noi sono prigionieri/il resto guardie» (George Jackson, 1971).

Non ci resta che scoprire con quali parole il vecchio libertario accetterà il Nobel a Stoccolma in dicembre. E se metterà una camicia sotto lo smoking, o si presenterà ancora seminudo

Equitalia cambia nome: parla Riccardo Zingales

UN ESATTORE DELLE TASSE CI VORRA’ SEMPRE, PIU’ CHE CAMBIAR NOME BISOGNA CAMBIAR METODO

di Mauro Suttora

Oggi, 19 ottobre 2016

Equitalia duemila anni fa si chiamava San Matteo. L'apostolo ed evangelista era esattore delle tasse. A Gesù bastò dirgli «Seguimi» per redimerlo. Al nostro Matteo (Renzi) basterà abolire Equitalia per riscattare la seconda professione più antica del mondo?

«Assolutamente no», sorride Riccardo Zingales, titolare di uno dei maggiori studi commercialisti di Milano, «perché la riscossione delle tasse è un'attività necessaria e non eliminabile. Tutto sta in come viene esercitata. Prima era appaltata a privati, che se l'aggiudicavano con aste. A Milano c'era la Cariplo, in Sicilia famiglie anche piuttosto chiacchierate».

Il «recupero crediti» fra privati perbene oggi si chiama «factoring» o «cartolarizzazione». A Roma quelli di mafia capitale spezzavano le dita ai debitori. A Genova, come racconta Fabrizio De André, i creditori mandavano le «pittime» a infastidire per strada chi non pagava.

«Perché Equitalia, società pubblica, applicava more usurarie e aggi ciclopici?», chiede Zingales. «Il costo dell'esazione è uguale sia per le cartelle da un euro, sia per quelle da un milione. Gli interessi si devono pagare, ma il tasso non dev'essere esagerato».

E adesso cosa succede: chi ha a casa una cartella di Equitalia non deve più pagare? Gli conviene aspettare, visto che spariscono sanzioni e interessi di mora (i famigerati interessi sugli interessi)?
«No, perché gli interessi sulla somma dovuta continuano a correre. Ma si spera che, cambiando ente di riscossione, cambi anche il metodo. Senza inquisizioni. Ma il problema vero è un altro».

Quale?
«La burocrazia. Oggi Equitalia manda cartelle per conto di vari enti - comuni, regioni, stato - e chi ha già pagato o vuole contestare deve risalire all'ente che richiede le somme. I cittadini, e noi commercialisti, abbiamo invece bisogno di uno sportello unico dove rivolgersi, per dirimere rapidamente le questioni».

Quindi si spera che l'Agenzia delle entrate, che riprenderà il controllo sulle tasse statali non pagate, semplifichi le procedure e risponda direttamente alle contestazioni. E così comuni, regioni o Inps, senza affidare a terzi la riscossione.

Saranno "rottamate" le cartelle emesse fino al 31 dicembre 2016. Quindi tutte quelle che al momento sono arrivate e quelle che arriveranno nei prossimi due mesi.
Non si pagheranno più le sanzioni e gli interessi di mora, cioè le aggiunte "punitive", mentre si dovranno pagare gli interessi per il ritardato pagamento, cioè quelli che maturano con il passare del tempo.

Sarà annullato o ridotto l'aggio, cioè la "commissione" che Equitalia si prendeva (3% nei primi due mesi, poi il 6).
E bisognerà aspettare i regolamenti attuativi per sapere se il processo sarà automatico (cioè semplicemente arriveranno nuove cartelle più "economiche") o se – più probabilmente – saranno i singoli a dover fare richiesta.

A quelli che stanno già pagando con le rateizzazioni, comunque, conviene continuare a saldare, perché gli sconti partiranno col primo gennaio.
Il governo prevede di incassare quattro miliardi con questo sconto. Si paga meno, quindi si è incentivati a pagare. Ma potrebbe verificarsi l’effetto opposto: visto il parziale condono, gli evasori sono spinti a continuare.

 È quel che denuncia Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze: «Renzi vuole solo far cassa, ma indebolisce l’effetto deterrente dell’accertamento. E non è vero che Equitalia fosse vessatoria più di quanto succede negli altri Paesi». 

Mauro Suttora