Friday, May 30, 2008

No sex, siamo in the City

DA SPARARSI

Un italiano a Manhattan: le americane godono solo con lo shopping. Da oggi nei cinema 'Sex in the City'

Libero, 30 maggio 2008

di Mauro Suttora

«Scusa Mauro, questo tuo articolo è ben scritto e divertente, ma non pubblichiamo vendette private. E poi parole come "frigidità" e "clitoride" rimangono ancora off limits per noi».

Così il vicedirettore del settimanale Newsweek bocciò una delle column che avevo scritto per loro. Era il 2004. Come sempre d’estate a New York faceva un caldo umido brutale, e io ero disperato perché la mia fidanzata americana mi aveva mollato. Di colpo, con un'e-mail. Non voleva più vedermi, né sentirmi al telefono. Eliminato senza discussioni dopo tre mesi di amore (un periodo medio-lungo, per i ritmi nevrastenici di Manhattan).
Mi sembrava di essere improvvisamente piombato dentro una puntata di "Sex and the City". Anche perché la mia Liza, trentenne imperiosa dai lunghi capelli lisci e tacchi a spillo, assomigliava a quelle quattro. Anzi, ne era la fusione: sexy come Samantha, dolce come Charlotte, abrasiva come Miranda, brillante come Carrie. E drogata di shopping come tutt'e quattro.

Per due notti dormii poco, per tre giorni mangiai pochissimo. Mentre andavo a lavorare alla Rizzoli, sulla 57esima Strada, mi veniva da vomitare per i miasmi provenienti dai ristoranti cinesi. Poi, avendo il triplo degli anni di un adolescente, vidi il lato comico della tragedia. E cominciai a scrivere. Da allora non ho più smesso. E sono diventato uno dei massimi esperti mondiali di quella inimitabile specie animale che sono le donne di Manhattan. Ho perfino scritto un libro su di loro: «No Sex in the City» (Cairo, 2a edizione 2007).

Cestinandomi l'articolo il caporedattore di Newsweek mi fornì un consiglio prezioso: «Perché non lo proponi al New York Observer? Quelli sì che lo apprezzerebbero». L'Observer: il settimanale in carta rosa dei radical-chic newyorkesi. Sessantamila copie vendute quasi tutte nell'Upper East Side, dove vivono i miliardari, e d'estate negli Hamptons, dove i Rockefeller e i Vanderbilt svacanzano sempre assieme, in gregge, fin dai tempi di Francis Scott Fitzgerald e del Grande Gatsby.

Quattro cose sono rimaste uguali da quei clamorosi anni Venti: il colore assurdamente giallo canarino e verde smeraldo dei vestiti estivi, le donne ridanciane e vogliose di parties, le auto veloci e il tasso alcolico.

Manhattan è, dopo la Carnia, il posto al mondo dove si beve di più. Per un motivo semplice: quando si smette non occorre prendere l’auto per tornare a casa, basta gettarsi in un taxi o in un vagone del metrò. Ma anche perché le donne di Sex and the City hanno bisogno di un bicchiere per cominciare a parlare, del secondo per sorridere e del terzo per disinibirsi. Al quarto però crollano, quindi la «finestra di opportunità» (come la chiamano gli americani, in marketinghese) per noi maschietti è molto stretta.

All’Observer sono stati felici di pubblicare il mio articolo, in cui descrivevo da entomologo la frigidità della mia apparentemente sexyssima (pantaloni aderenti color leopardo) ma in realtà anoressica e anorgasmica Liza, e la tendenza sua e di tante newyorkesi (statistiche alla mano) a soddisfarsi da sole, accarezzandosi il (la?) clitoride. Infatti il motto delle femmine di Sex and the City è: «Perché accontentarsi di un uomo, quando si può avere un intero dito (il proprio)?»

Sia chiaro: come tutti gli italiani, ero e continuo a essere perdutamente innamorato dell’America e di New. Ma un conto è divertirsi osservando le traversie delle quattro smandrappate di Sex and…, un conto è viverci dentro. Un inferno.

Liza (ma poi anche Marsha, mia fidanzata per un anno) smetteva di lavorare alle sei, e mi invitava a qualche «evento»: un aperitivo, l’inaugurazione di un negozio, la vernice di una galleria d’arte, la presentazione di un libro. Poi il ristorante. Le «ragazze» di Manhattan (si fanno pateticamente chiamare «girls» anche a 50 anni) si atteggiano a superfemministe, ma accettano svelte il conto pagato dal maschio. Dappertutto: dal cocktail al ristorante, dal taxi alla discoteca. Se poi gli lasci la tua carta di credito in un negozio di scarpe, borse o vestiti, ti sposano subito.

Tornavamo a casa dal Soho Club (di moda quattro anni fa) dopo mezzanotte. In taxi ci baciavamo, lei era focosa, ma arrivati su si lanciava sotto la doccia. Io la aspettavo speranzoso a letto. Però alla fine mi diceva: «Sono distrutta. Dormiamo, dai».

Al mattino di svegliava alle sei. Si metteva la tuta, le scarpe da ginnastica, e scendeva a far jogging a Central Park. Se pioveva o faceva troppo freddo o caldo, tapis roulant in palestra. Tornava a casa accaldata, rossa in viso, sensualissima. Io ero pronto, ma lei mi sgusciava via: doccia. E dopo era ormai «troppo tardi, devo correre al lavoro». Usciva di casa alle otto senza aver fatto neppure colazione: comprava un bicchierone sotto da Starbucks, e se lo portava in metro.

«Sono stressata, ho bisogno di relax», mi diceva per giustificare questa sua riluttanza all’accoppiamento. Io cercavo di spiegarle che il sesso serve appunto a rilassarsi. Ma lei non capiva: per gli americani il sesso è una specie di ginnastica, un’ulteriore attività pratica che si aggiunge alle tante altre. E in caso di problemi c’è sempre una guida che in 12 step li risolve.

Si rilassava nei wek-end, questo sì. Quindi facevamo regolarmente l’amore al sabato. «Come gli svizzeri», le ho detto. «Adoro il cioccolato svizzero», ha risposto, ignara del mio sarcasmo. Nonostante le scollature e il leopardume, a letto era più fredda del monte Bianco. «Non vengo mai la prima volta», mi disse Liza dopo un deludente debutto. Aspettai con trepidazione la seconda volta, e mi diedi un sacco da fare. Niente. «Vengo raramente», annunciò distrattamente. «Ma mi piace anche così», precisò subito, per non fare la figura della «loser», la perdente.

Ecco, questo è il vero Sex nella city. Certo, non si può generalizzare. New York resta la capitale del mondo gaudente, e ha il più alto tasso di single del pianeta. Quindi a letto ci si arriva facilmente. Ma è sul materasso che cominciano i dolori. Perché Carrie e amiche raggiungono molto più facilmente la soddisfazione comprando sandali Manolo Blahnik (la mia Liza preferiva il negozio Jimmy Choo di Madison Avenue, da me soprannominato «dai 200 ($) in su»). No Sex in the City.

Mauro Suttora

Friday, May 16, 2008

Mauro of Manhattan

New York Observer

April 29, 2008

by Mauro Suttora

“Why do you keep replying, ‘Thank you, but we already have plans for that evening,’ Marsha, when you know we’re free?”
“It’s just an excuse, Mauro. I just want to avoid an invitation by boring people.”
“Yes, but it sounds too … How can I say? Grandiose to me. In Italy we don’t make plans. I mean, not normal people. The government, maybe, sometimes. At least they boast it, to impress voters and pretend they are in charge. But ordinary people …”
“We are not ordinary. We’re supposed to have plans in our life. They can’t invite us like that, on the snatch, impromptu, with only a few days’ notice.”
Marsha, my Upper East Side girlfriend, can’t understand how Italians can survive always improvising—without inviting, nor making theater reservations or booking restaurants one month in advance.
“Come on, Marsha, don’t play it big. Don’t act precious. If one of my Italian friends calls us to go out on that same evening, we don’t have to invent ‘plans’ for fear of showing that our life is empty. You know we love to spend most of our evenings here, sitting in front of the TV. Actually, upgrading our cable TV menu has flooded us with wonderful movies, and improved my English, although it has almost killed our social life…”
“That was your idea.”
“No, no, no, darling, my idea was just to replace a crummy old little TV set with something civilized.”
“Yes, but then you invaded our sitting room with a monster, this humongous 42 inches plasma. Where the hell am I supposed to place food and beverage for our next parties?”
“Actually, I haven’t finished yet.”
“I know. Don’t come up with that again. No way. Don’t get me started on your freaking sound system with wires all over the place. Don’t even raise the subject.”
“But Marsha, that’s the normal consequence of buying a large-screen TV. What do we make of it, if the sound is not comparable to the vision, at the same excellence level?”
“It’s already stereo.”
“We’re talking ‘home cinema’ here, milady. … ‘Dolby Surround system.’ Remember the private screening we were invited to by the Italian distributor of Woody Allen’s Scoop in his luxurious Palazzo Borghese apartment in Rome?”
“Gee, but that was another planet. They are professionals, that’s their field. We are not movie geeks. Come on.”
“I just saw a five channels 400 dollars sound system in the store near my Rizzoli Bookstore office, on 57th Street.”
“I told you: I don’t want any of your ‘surround’ sound around here. Not that I don’t appreciate your will for improvement, but the only thing I’ll be surrounded by will be wires. See this? They’re already mushrooming all over: the TV cable, the connection to the DVD, the wire for the pay-TV box, the high-speed Internet, the telephone ... There’s such an intricated bush under the plasma screen. It was supposed to save room, but now it’s invading us.”
“It’s wireless.”
“What?”
“Yes, wireless.”
“You mean the five speakers come without wires?”
“Yeah … kind of.”
“Kind of what? The last time we had something wireless around, it was that pirate neighbor of us who stole from our wi-max, getting connected for free and making us pay for his all-night porno browsing and wanderings around the Net.”
“We discovered that almost immediately.”
“Yes, after some wonderful astronomical bills … You don’t like flat rates, do you?”
“The sound system is almost totally wireless, Marsha, I swear.”
“What do you mean ‘almost’? ‘Almost totally’ sounds sooo Italian. Like ‘Almost pregnant’.”
“The rear speakers are wireless.”
“You mean two out of five.”
“Yes ... But that’s the crucial problem we have overcome here, Marsha. Three speakers stay on the wall in front, connected by small threads we can easily disguise along the baseboard. And on this side of the room, behind the sofa, we place the other three pieces.”
“Three? Why one more? For a total of six speakers?”
“One is just a little box getting the radio signal from the other side, and distributing it to the rear speakers.”
“And that horrible big thing you showed me, what’s its name?”
“The bass subwoofer?”
“It’s too big. Where are we going to place it?”
“Did you prefer the old way, when all the speakers where huge?”
“At least they were only two, not six.”
“I love you, Marsha.”
“You stress me, Mauro. Do we have plans for tonight?”
“…”
“Don’t …”
“…”
“Come on, don’t start and touch me, I have to shower, been working all day.”
“I llloove your sexy smell.”
“I know what your plans are, regarding me. They are always the same, when we sit alone on the sofa. You only have sex in your mind.”
“I do have plans for you. I always have plans. I am a natural-born planner, my love. I wouldn’t have ventured in Iraq without a plan, like your president did, my sweet bushie …”

Mauro Suttora

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Thursday, May 15, 2008

Emergenza sicurezza

Rom, clandestini e criminali: tutti in riga

"Colpiremo solo chi viola la legge", assicura il ministro Ronchi, "e per loro non saremo più un Paese disarmato". Ma c' è chi dice: attenzione ai facili capri espiatori

di Mauro Suttora

Roma, 28 maggio 2008

"La nostra priorità è garantire ai cittadini la necessaria protezione. Le azioni previste dal pacchetto puntano a combattere la paura entrata nelle nostre famiglie. La verità è che ormai non ci sentiamo sicuri neanche tra le mura di casa. È ora che gli italiani percepiscano un' inversione di tendenza nella lotta contro l' immigrazione clandestina".

Mentre da molti settori della politica, dell' impegno sociale e della Chiesa si sollevano allarmi sul rischio che la lotta alla criminalità si trasformi in una "criminalizzazione del diverso", Andrea Ronchi, neoministro per le Politiche comunitarie, spiega a Oggi il contenuto del decreto legge sulla sicurezza in approvazione dal Consiglio dei ministri riunito a Napoli mercoledì 21 maggio.

Non avete paura di alimentare razzismo e xenofobia?
"Episodi come quelli avvenuti a Ponticelli, il quartiere di Napoli dove la folla ha assaltato un campo Rom dopo il tentato rapimento di un neonato, non devono più accadere. Ci stiamo muovendo proprio per evitare questo rischio. Il decreto non combatte lo straniero in quanto tale, ma solo quello che non vuole essere identificato per evitare l' espulsione. Vogliamo punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che delinquono sul nostro territorio. Negli ultimi anni siamo diventati il ventre molle del Mediterraneo, la porta d' accesso all' Europa. Adesso questa porta deve essere chiusa e deve cambiare la percezione di lassismo spesso accostata al nostro Paese".

Quali sono le misure previste dal decreto ?
"Il pacchetto è in linea con la legge Bossi Fini sull' immigrazione del 2002, e coniuga solidarietà e legalità. Puntiamo a rendere il meccanismo delle espulsioni più efficace. Deve essere chiaro che chi varca la frontiera può restare soltanto se dimostra di avere un posto di lavoro e quindi un reddito. Gli altri saranno espulsi, con alcune eccezioni come le badanti cui è scaduto il permesso di soggiorno e i rifugiati politici. Inoltre puntiamo a garantire la piena operatività dei Centri di Permanenza Temporanea (Cpt), assicurandone la ricettività ma anche l' umanità del trattamento. In questo senso è importante allungare il limite di permanenza nei Cpt fino a 18 mesi".

C' è il rischio che questo provvedimento possa entrare in contrasto con le leggi europee e gli accordi di Schengen? "Il nostro intento non è certo quello di chiudere le porte ai cittadini europei. D' altra parte il problema non è sentito soltanto dal nostro Paese. Si tratta di una partita delicata, tant' è che le stesse istituzioni europee proprio in questi giorni si avviano a ridiscutere alcune direttive in materia".

Riuscirete a introdurre il reato di immigrazione clandestina ? "Il discorso è aperto, ma punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che commettono reati sul nostro territorio ritengo sia nel pieno diritto di uno Stato sovrano. Inoltre introdurre questo reato avrebbe un effetto deterrente molto forte sui trafficanti di esseri umani: farebbe capire che l' Italia ha davvero cambiato rotta".

Sì, il governo Berlusconi vuole esordire con un segnale di rigore. Dopo l' indulto (votato da partiti di entrambi gli schieramenti) e l' entrata della Romania in Europa, infatti, i reati sono aumentati. Ed è un fatto che i due terzi degli stranieri nelle nostre carceri oggi abbiano passaporto rumeno (semplici cittadini rumeni, o rom, ovvero zingari).

"Ma non si può fare di tutta l' erba un fascio", si accalora con Oggi da Lanciano (Chieti) il professor Santino Spinelli, docente di cultura rom nelle università di Trieste, Torino e Chieti, e artista con il nome di Alexian, "perché soltanto il 20 per cento dei 130 mila rom che vivono in Italia vengono dalla ex Jugoslavia o dalla Romania. Il resto sono cittadini italiani di antico insediamento. E non è neanche vero che siamo nomadi per cultura. I campi nomadi andrebbero smantellati, sono una forma di apartheid. Ma esistono troppe organizzazioni italiane che percepiscono soldi per "assistere gli zingari". Dateci case normali, piuttosto".

"Io le case le devo dare innanzitutto a chi ne ha diritto, e cioé ai 17 mila residenti anche stranieri che sono regolarmente in graduatoria", ribatte Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano. "Il problema è molto semplice: nei nostri campi rom ci sono duemila posti, ma ultimamente dalla Romania sono arrivate parecchie migliaia di persone. Per questi non c' è spazio, devono andarsene. Anche perché la situazione sta diventando insostenibile: solo a maggio, a Milano nove donne sono state violentate". A Milano non è questione di destra o sinistra: il presidente della Provincia Filippo Penati del Partito democratico dice che bisogna mandar via tutti i 23 mila rom accampati alla bell' e meglio. Quanto a Roma, il nuovo sindaco Gianni Alemanno (Pdl) vuole armare i vigili urbani.

Non è questione neppure di quantità delle forze dell' ordine: fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili e guardie forestali, l' Italia è di gran lunga il Paese più presidiato d' Europa. Per lo meno in teoria. Nella realtà, sono troppi gli agenti e i militari che non scendono per strada. Il capo della Polizia Antonio Manganelli chiede: "Dateci personale civile per sbrigare le pratiche burocratiche". Ma bisognerebbe anche snellirle, queste pratiche. Non è possibile, per esempio, che sia ancora in vigore la legge d' emergenza promulgata trent' anni fa, subito dopo il sequestro Moro, che obbliga chiunque vende o affitta una casa a denunciarlo subito in commissariato.

Sette anni dopo gli attentati dell' 11 settembre, la residenza privata dell' ambasciatore statunitense a Roma è ancora presidiata giorno e notte da una pantera della polizia, con due agenti sottratti a compiti più utili. Per non parlare di tutte le scorte ai politici. Poi, c' è tutto il capitolo della giustizia che non funziona. Perché le leggi possono anche diventare più severe, e la polizia ancora più efficiente (a Milano, per esempio, l'80 per cento dei violentatori viene arrestato). Ma se anche i recidivi godono di sconti prima di aver espiato metà della pena, e se la permanenza media in cella per un furto è di sette mesi, qualsiasi successo delle forze dell' ordine viene vanificato dall' eccessivo garantismo delle leggi e della loro interpretazione da parte dei giudici.

Per questo, accanto al ministro Ronchi (perché ormai l' immigrazione è una questione europea) e a quello dell' Interno Roberto Maroni, anche il nuovo ministro della Giustizia Angelino Alfano ha messo a punto nuove norme. L' articolo 656 del codice di procedura penale, per esempio, dovrebbe ora consentire ai plurirecidivi sconti di pena solo nell' ultimo anno. I reati su donne, anziani e bambini avranno minimi di pena più alti. Ed è stata introdotta anche l' aggravante della rapina in casa.

Più in generale, però, c' è la situazione di un Paese come il nostro dove l' immigrazione, contrariamente ad altri Paesi europei come Francia, Inghilterra e Germania, non è stata graduale e "assorbibile". In Italia gli immigrati erano un milione nel 1997, e oggi sono quattro milioni. Un aumento impressionante, che non può non dare luogo a problemi. "I politici italiani sapevano da anni che con l' entrata della Romania in Europa le frontiere si sarebbero aperte automaticamente. La colpa degli attuali rigurgiti razzisti è loro", accusa il professor Spinelli. Che paragona le bombe molotov contro i rom ai pogrom nazisti: "Siamo sempre noi un ottimo capro espiatorio".

Certo, in un Paese che da Roma in giù è controllato dalle mafie nostrane, sarebbe assurdo imputare tutto ai rom o ai rumeni. La grande criminalità è ben altra. Ma purtroppo è quella spicciola a dare più fastidio alla gente comune. In certi quartieri come l' Esquilino a Roma a volte basta anche lo sguardo un po' pesante di uno straniero a far crescere l' insofferenza fra le donne italiane impossibilitate a uscir di casa col buio. "Ma chiamarci razzisti no, questo non lo accetto", dice De Corato, lui stesso emigrato dalla Puglia: "A Milano vivono e lavorano tranquillamente 200 mila stranieri su un milione e 300 mila abitanti: il 15 per cento, quasi come a New York".

Mauro Suttora

Daniela Cardinale e Barbara Mannucci

Per noi la politica è un gioco da ragazze

Parlano le due baby deputate elette nel nuovo Parlamento

Barbara Mannucci (Pdl) e Daniela Cardinale (Pd) hanno solo 26 anni. In questa intervista spiegano di avere idee in comune. E la prima è aiutare i coetanei a non essere più "bamboccioni"

di Mauro Suttora

Roma, 14 maggio 2008

Cos'è la politica ? Barbara Mannucci: "Il mezzo per organizzare la vita pubblica".
Daniela Cardinale: "Lo strumento della democrazia per governare le istituzioni e dare risposte ai problemi dei cittadini".
Cos'è la Casta ? B: "Una classe che si attribuisce privilegi non dovuti".
D: "Una distorsione della democrazia, che permette privilegi ad alcune categorie di cittadini".

Apre il nuovo Parlamento, i volti più freschi sono i loro. E in questa intervista doppia provano a convincerci di essere sì baby onorevoli, ma capaci già di pensare in grande.

La prima legge che proporrai?
B: "Meritocrazia: master postuniversitari gratis per i laureati fra 100 e 110 e lode. Mantenendo i livelli di eccellenza".
D: "Defiscalizzazioni e incentivi per i giovani del Sud che aprono attività artigianali, commerciali o di piccola imprenditoria".

Il tuo incubo ?
B: "Perdere le persone care".
D: "Non riuscire a essere all' altezza di questa nuova e grande responsabilità".
Il tuo sogno ? B: "Sposarmi e avere tre figli". D: "Poter vedere la mia Sicilia nelle stesse condizioni economiche e sociali della Lombardia".
Il giorno migliore della vita ? B: "Quand' è nata mia nipote Francesca, che ha dieci anni". D: "L' elezione a deputata".
Il giorno peggiore ? B: "Quando abbiamo perso le elezioni del 2006 per pochi voti". D: "Da bambina: cadendo da cavallo mi sono procurata una deviazione del setto nasale".
Il politico che ammiri di più ? B: "Berlusconi, ovviamente". D: "Franco Marini: carica umana oltre alle capacità politiche".
Quello che senti più lontano ? B: "Veltroni". D: "Bossi".
Un avversario che ammiri ? B: "Bertinotti, lo stimo molto". D: "Giulia Bongiorno, è seria".
Sei fidanzata ? B: "Sì, da due anni". D: "Sì, da tre e mezzo".
Vuoi fare carriera politica ? B: "Sì". D: "Sì, ma senza sconti".
L' ultimo libro letto ? B: "Me l' ha regalato Tito Boeri: Contro i giovani. Lo ha scritto lui, con Vincenzo Galasso". D: "I Viceré di De Roberto".
Lo scrittore preferito ? B: "Isabel Allende". D: "Leonardo Sciascia".
Il cantante ? B: "Eros e Vasco". D: "Nannini e Antonacci".
L' attore ? B: "Raoul Bova". D: "Michael Douglas".
Il politico straniero preferito ? B&D: "Barack Obama".
Il personaggio storico ? B: "L' imperatrice Sissi". D: "Giulio Cesare".
Se avessi la bacchetta magica... B: "Ridurrei la disoccupazione". D: "Darei lavoro ai tanti giovani che me l' hanno chiesto".
Hai comprato un vestito per il debutto alla Camera ? B: "Sì, un tailleur da 180 euro". D: "No, lo avevo già".
Lo Stato risparmia se... D&B: "Chiude enti inutili".
Lo spreco che aboliresti ? B: "Costose consulenze". D: "Auto blu".
Il privilegio da deputata cui rinunceresti ? B: "Treni e autostrade gratis". D: "Tutti quelli che ci mettono in cattiva luce".
Quello a cui non rinunceresti ? B: "Il permesso per l' auto in centro. Per me è una svolta". D: "L' immunità per i reati d' opinione".
Il film più bello ? B: "Arancia meccanica". D: "Nuovo Cinema Paradiso".
La canzone preferita ? B: "Albachiara, Vasco Rossi". D: "Donna cannone, De Gregori".
Il tuo hobby ? B: "Romanzi sudamericani". D: "Il nuoto".
La tua passione ? B: "La pastasciutta". D: "Il mare".
Sei religiosa ? B&D: "Praticante".
Il personaggio più antipatico ? B: "Michele Santoro". D: "Tremonti. Troppo freddo".
Il più simpatico ? B: "Ezio Greggio". D: "Berlusconi".
Il primo giorno alla Camera com' è stato ? B: "Emozionante". D: "Esaltante, preoccupante".
Il politico italiano più bello ? B: "Giorgio Jannone del Pdl". D: "Casini".
Ti senti raccomandata ? B: "No, faccio politica da 12 anni". D: "Non più di tanti altri".
Fortunata ? B&D: "Sì, senza dubbio".
Che farai con i 14 mila euro di stipendio da deputata ? B: "Così tanti ? Davvero ? Non lo sapevo, giuro...". D: "Tolte le spese, i contributi al partito e per l' assistente, ne rimarranno cinquemila: potrò avere una vera indipendenza dalla famiglia".
Il tuo primo bacio? B: "A ricreazione, 14 anni". D: "Fatemi fare la siciliana...".
Lo slogan che preferisci ? B: "Carpe diem". D: "Si può fare, e si farà prima o poi".
Il politico più elegante ? B: "Barbareschi". D: "D' Alema".
Uno sfizio che ora ti toglierai ? B&D: "Mi compro l' auto nuova".
Il momento peggiore della campagna elettorale ? B: "I primi exit poll, sbagliati". D: "Una mia finta intervista nell' inserto satirico dell' Unità".
Quello migliore ? B: "In Puglia con Gabriella Carlucci, lei mi ha insegnato tanto". D: "Il comizio conclusivo nel mio paese, Mussomeli".
Vivi in famiglia ? B&D: "Sì".
Ti senti "bambocciona" ? B: "No, ho sempre studiato e lavorato. Uscirò di casa solo per sposarmi". D: "No, sono sempre stata impegnata con studio e lavoro".
Che lavoro hai fatto ? B: "Call center, commessa, animatrice nei villaggi turistici". D: "Collaboratrice di un parlamentare regionale".
I tuoi amici sono invidiosi ? B: "Un po' ". D: "No".
Il viaggio dei tuoi sogni ? B&D: "Stati Uniti, in auto".
Una donna politica modello ? B: "Condi Rice". D: "Finocchiaro".
Programma tv imperdibile ? B: "Striscia". D: "Ballarò".
Amore, arte, politica, religione: in ordine di importanza... B&D: "Amore, religione, politica, arte".
Cosa rispondi a chi dice che la politica è sempre sporca ? B: "Sarà mio compito ribaltare questo giudizio". D: "Sporchi sono alcuni politici, ma non la politica".
Beppe Grillo è... B&D: "Un bravissimo comico".
La sorpesa più grande entrando a Montecitorio ? B: "L' aula è più piccola di quel che sembra in televisione". D: "Il palazzo invece è enorme, è una piccola città".
Volete aggiungere qualcosa ? B: "Sono entrati in Parlamento molti giovani. Speriamo di fare politica in modo serio e pulito". D: "A chi pensa che mio padre mi condizionerà, rispondo che gli chiederò consigli. Ma alla fine deciderò da sola".

Mauro Suttora

L'Ici va via (ma poi torna)

Lo Stato rimborsa ai sindaci la tassa sulla casa

Scompare l' imposta più odiata d' Italia. I Comuni, però, non possono rinunciare a quei soldi. Quindi continueremo a pagare in altri modi. E addio federalismo...

di Mauro Suttora

Roma, 14 maggio 2008

Sindaci di estrema sinistra che vogliono abolire l'Ici, d' accordo con Silvio Berlusconi. Sindaci di centrodestra i quali, invece, vorrebbero mantenerla. La promessa del nuovo premier di cancellare l'Imposta comunale sugli immobili scompagina gli schieramenti. "Chi è tornato al Paese dopo quarant'anni in miniera all'estero, e si è costruito la casa da solo impastando il cemento col proprio sudore, non dev'essere colpito da una tassa sulla propria abitazione", dice a Oggi Ippazio Stefàno, sindaco di Taranto, Sinistra Arcobaleno.

"Ma senza l' Ici addio federalismo, e non si possono più premiare i comuni che non sprecano", obietta Attilio Fontana, sindaco di Varese, Lega Nord. Su una cosa però tutti gli 8.100 sindaci d' Italia, destra o sinistra, sono d' accordo: quando il governo toglierà l' Ici sulle prime case, dovrà rimborsare ai comuni una cifra equivalente a quella finora incassata.

"Altrimenti non riusciamo ad andare avanti, perché l' Ici rappresenta più della metà delle nostre tasse e il venti per cento delle nostre entrate", ci spiega Graziano Vatri, Udc, sindaco di Varmo (Udine), uno dei 5.800 comuni italiani con meno di cinquemila abitanti. E così sarà. Lo ha promesso il ministro dell' Economia in pectore, Giulio Tremonti, al sindaco di Firenze Leonardo Domenici, Pd, presidente dell' Anci (Associazione nazionale comuni italiani): i due miliardi e 200 milioni annui di euro sulle prime case che i Comuni riscuotevano direttamente da quindici anni verranno sostituiti da trasferimenti statali.
Non cambia nulla, quindi. Quel che pagavamo ai Comuni due volte l' anno, a giugno e a dicembre, ci verrà tolto con l' Ire (Imposta sui redditi, ex Irpef) e con le altre tante tasse, dall' Iva alle accise sulla benzina.

Dal calderone dei soldi finiti a Roma, lo Stato poi aumenterà di due miliardi i trasferimenti ai Comuni. Cambierà soltanto la nostra percezione: non dovremo più mettere direttamente mano al portafogli. E i lavoratori dipendenti, che non pagano di persona l' Ire perché le tasse vengono loro trattenute automaticamente in busta paga, non si accorgeranno dell' aggravio sulla fiscalità generale. A ben pensarci, l' unica categoria che ci perderà è quella di chi non possiede la casa in cui abita. Anche i non proprietari, infatti, saranno costretti indirettamente a colmare il buco causato dalla scomparsa dell' Ici.

Si ritorna, insomma, a prima del 1992. In quell' anno il governo Amato, sull' orlo della bancarotta, oltre a un prelievo diretto sui conti correnti, si inventò l' Isi (Imposta straordinaria immobili) del 3 per mille sul valore di tutti i fabbricati. L' anno dopo la tassa divenne fissa e, per apparire meno odiosa, la riscossione fu delegata ai Comuni, in nome del federalismo. Ogni Comune da allora può decidere quale aliquota applicare, dal 4 al 7 per mille (8 per gli appartamenti sfitti in città ad "alta tensione abitativa").

Ora rimarrà l' Ici soltanto sulle seconde case e su quelle di lusso, che forniscono un introito di 800 milioni di euro circa all' anno.le conferme di tremonti "L' Ici", spiega il sindaco Domenici, "è la prima entrata dei comuni, dal quale dipendono gran parte dei servizi ai cittadini. È quindi necessario, come confermato da Tremonti, che un suo sgravio trovi una compensazione congrua, adeguata e precisa. Per noi il federalismo fiscale è una priorità assoluta".

L' esenzione dall' Ici avverrà con le stesse modalità che il governo Prodi aveva già previsto, allargando l'esonero dal 40 per cento concesso dal governo di centrosinistra al 100 per cento previsto dal nuovo governo per la prima casa a uso abitativo. Uno studio realizzato da Anci Cittalia dimostra che il 56 per cento dei comuni riscuote direttamente l' Ici, mentre il 38 per cento (quelli medio piccoli) utilizza concessionari. Il 60 per cento dei comuni italiani possiede dati aggiornati della banca dati catastale, con picchi maggiori nel Nord Est. Ma c' è anche un 25 per cento di comuni, equamente distribuiti sul territorio nazionale, che opera su dati non aggiornati, e quindi incassa meno del dovuto.

Clamoroso è il caso di alcune case nei centri storici delle grandi città accatastate come "popolari" invece che "di lusso". "Si parla anche di una riforma della fiscalità sugli affitti", dice Domenici, "con la proposta della tassazione con una cedolare secca del 20 per cento: ecco, chi sarebbe il beneficiario di quel gettito? Il rischio è di tornare a un sistema di finanza derivata, togliendoci autonomia fiscale e finanziaria. E questo è assolutamente contrario al federalismo fiscale".

Non è un mistero che il governo Berlusconi voglia tagliare la spesa pubblica. Togliendo l' Ici ai comuni, e riprendendo il controllo del rubinetto dei soldi, il governo può costringere gli enti locali a risparmiare, semplicemente negando loro i finanziamenti. "Ma per noi spendere di meno è impensabile", ci dice il sindaco leghista di Varese, Fontana. E mostra il suo bilancio, tipico di una città di 80 mila abitanti: una settantina di milioni di euro, venti dei quali coperti con l' Ici.

Fra le uscite, notiamo i tre milioni per la cultura. Ma come, sindaco, anche voi a Varese buttate i soldi pubblici nelle effimere "notti bianche" ?
"Soltanto per gli straordinari dei vigili", assicura Fontana, "tutto il resto è coperto da sponsor privati. Che ci hanno finanziato all' 88 per cento anche le tre mostre dell' ultimo anno: costavano un milione, noi abbiamo messo soltanto 120 mila euro. Quella sul Caravaggio ci è costata solo 10 mila euro. Io faccio di tutto per trovare sponsor... Dico a una banca: vengo alla vostra inaugurazione, ma in cambio sponsorizzateci per 50 mila euro...".

Problemi opposti a Taranto, prima città d' Italia a finire in bancarotta due anni fa con un debito di 637 milioni: il più alto al mondo dopo quello di Seattle (Stati Uniti). Il nuovo sindaco Stefàno, pediatra prestato alla politica, ha rinunciato allo stipendio e ha dimezzato quello di assessori e consiglieri comunali. "Uno dei risparmi più grossi l' ho ottenuto eliminando le spese di "relazioni pubbliche": 200 mila euro...".

Ecco, se tutti i comuni d' Italia seguissero il suo esempio, le spese calerebbero, le tasse pure, e il nostro Paese non avrebbe il macigno di 1.600 miliardi di debito pubblico, che ci costringe a pagare 70 miliardi annui solo di interessi. Rispetto a questa cifra, i due miliardi dell' Ici abolita sono briciole.

Mauro Suttora

Il terzo genitore

E se il patrigno diventasse un PAPÀ BIS ?

Fa discutere una proposta francese sui diritti dei nuovi compagni di mamma e papà

"Ormai un bimbo su tre ha madre e padre divisi, ma estendere i doveri di paternità ai fidanzati mariti delle donne separate (e viceversa) alimenterebbe le tensioni", dicono gli esperti. Spiega la divorziata Nancy Brilli: "Niente legge, serve il buon senso"

di Mauro Suttora

Roma, 30 aprile 2008

Aiuto, un' altra legge. Non bastavano le polemiche sull' affido condiviso. Ora dalla Francia arriva la balzana idea di permettere allo Stato di intrufolarsi nelle nostre faccende private anche per quanto riguarda la figura del cosiddetto "terzo genitore". Che sarebbero poi gli antichi "patrigni" o "matrigne": personaggi detestabili in certi libri o film, ma inevitabili quando il coniuge di un matrimonio si porta appresso i figli di un legame precedente.

Statisticamente, i figli di genitori divorziati e risposati sono ormai quasi un terzo del totale. Una questione che riguarda tutti, quindi, o per esperienza personale o per le vicende di parenti stretti e amici.Ma cosa prevede, in concreto, la legge sul "terzo genitore" ? Il suo diritto a entrare in scena in casi particolari, come andare a parlare con maestri e insegnanti, accompagnare il minore a una visita medica, poter fargli fare la carta d' identità o un altro documento, portarlo in vacanza all' estero.

"Tutti problemi che si possono risolvere col buonsenso", dice a Oggi Nancy Brilli, madre di Francesco, 7 anni, frutto del suo secondo matrimonio con Luca Manfredi. Ora l' attrice convive con il chirurgo plastico Roy De Vita. "Non c' è bisogno di una nuova legge per fare l' unica cosa che i genitori separati e quelli acquisiti devono fare: mettersi nei panni dei figli, e capire che cosa li fa stare bene e cosa male".

Precisiamo subito che nelle situazioni di conflittualità fra ex lo "statuto del terzo genitore", secondo il progetto in salsa francese, non verrebbe applicato: è necessario infatti il consenso di tutte le parti in causa. "Purtroppo, però", constata Nancy Brilli, "quando i rapporti personali sono deteriorati sorgono questioni di principio di ogni tipo, con avvocati e litigi. In questi casi ottenere il consenso dell' ex è impossibile. Poi però, una volta appianati i problemi di gelosia e, diciamolo, soprattutto quelli di soldi, tutto il resto si risolve".
Anche questioni pratiche come le visite mediche ? "Ma accompagnare il bimbo dal medico non è un diritto: è un dovere di tutti i genitori, naturali o acquisiti ! Vogliamo litigare anche su questo ? Mi pare il minimo della vita", si infervora Nancy Brilli.

E invece non è tutto così semplice. Almeno per i burocrati francesi, che sembrano così ansiosi di regolamentare ogni aspetto anche minimo della nostra vita. Forse non è un caso che questa "mania normativa" si scateni proprio ora che al potere a Parigi è arrivato un presidente, Nicolas Sarkozy, la cui ex moglie Cécilia ha allevato i suoi due figli precedenti. Da un' esperienza personale, quindi, si vorrebbe arrivare a una legge valida per tutti. La scusa ufficiale è sempre la stessa: "Tutelare i diritti". Ma quali ? E di chi ?

Le famiglie allargate come quella dipinta nel serial tv I Cesaroni ci dimostrano che i problemi e le parti in causa sono innumerevoli. I padri separati e divorziati, per esempio. Che già protestano: "Concedere ulteriori diritti d' intervento ai nuovi compagni delle nostre ex ? Ma neanche per sogno", tuonano le loro associazioni, sia in Francia sia in Italia. "Noi siamo già distrutti economicamente dagli assegni di mantenimento a figli ed ex moglie, spesso ricattati da quest' ultima che ci concede i diritti di visita solo in cambio di soldi, soldi che poi vanno a mantenere in parte e certe volte perfino totalmente il suo nuovo compagno, e ora dovremmo permettergli di sostituirsi a noi anche in compiti essenziali come il rapporto con gli insegnanti e con i medici dei nostri figli ? O consentirgli di scorrazzare da solo con loro in vacanza all' estero?"

"Be' , forse in alcuni casi estremi una legge potrebbe tutelare i diritti di alcuni genitori", ci dice Simona Izzo, moglie di Ricky Tognazzi, madre di Francesco Venditti e "terza genitrice" di Sara, la figlia avuta da Ricky con la moglie precedente. "Per esempio, se un giorno la mia storia d' amore con Ricky dovesse finire, vorrei comunque poter continuare a telefonare a Sara ovunque lei sia, così come ho fatto per vent' anni...".

Ma è evidente che qui sono in gioco i diritti (e soprattutto i sentimenti) dei minori. Nel caso di un genitore biologico che vive in un' altra città, se non addirittura all' estero o in un altro continente, va da sé che gli spazi del genitore "sociale" (questa è la definizione politicamente corretta di "patrigno" oggi in Francia) aumentano.
Ancora una volta, però, tutto dipende dai rapporti fra gli ex. Se sono buoni, basterà una procura privata per permettere al nuovo marito di intervenire con insegnanti o medici, soprattutto in caso di emergenza o impossibilità della madre.
Viceversa, se i rapporti fra ex sono burrascosi, non ci sarà legge o statuto che tenga: qualsiasi intromissione del nuovo genitore verrà vista come un' invasione indebita, e anzi verrà addebitata andando a ingrossare i faldoni degli avvocati. Insomma, inutile aggrapparsi alle "praticità" della vita per far risolvere alle leggi problemi che non sappiamo dipanare fra noi.


"Di figura paterna ce n' è una sola"
La psicologa Oliverio Ferraris spiega il "no" al "terzo genitore"

"Oggi si va sempre di più verso l' affido condiviso, per responsabilizzare il genitore biologico. Quindi ampliare per legge gli spazi del "terzo genitore" rischia di aumentare i problemi, invece di risolverli". Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia all' università di Roma, è autrice del libro Il terzo genitore (Cortina, 1997). E commenta così con Oggi il progetto di una nuova legge sul tema: "Spesso i genitori biologici si attaccano molto ad aspetti concreti della vita dei figli con i quali non possono più convivere, comei rapporti con i loro insegnanti o medici, proprio per avere l' impressione di svolgere un proprio ruolo. Difficile, quindi, che ci rinuncino spontaneamente".

E qual è invece il ruolo del "terzo genitore" ? Come può trovare un' identità questa nuova figura familiare, senza usurpare quella del genitore separato ? È possibile superare i conflitti, le gelosie, le reciproche diffidenze ? "Non esistono regole universali, ma solo errori che si possono evitare", risponde la professoressa Oliverio Ferraris.

Mauro Suttora

Wednesday, May 14, 2008

Carmen Lasorella

Libro-intervista ad Aung San Suu Kyi

Roma, 14 maggio

L’immagine che le ritrae assieme risale ormai a dieci anni fa. Ma il tempo sembra essersi fermato per la povera Aung San Suu Kyi, premio Nobel della Pace, che è ancora prigioniera dei generali birmani. Come nel 1998, quando Carmen Lasorella andò a intervistarla a Rangoon. In quel periodo la leader dell’opposizione birmana (e presidente della Birmania, se la giunta avesse rispettato il risultato delle elezioni del 1990) si trovava in uno dei suoi rari momenti di semilibertà. I dittatori infatti per qualche tempo le permisero di uscire una volta al mese dalla sua casa, anche se sotto un costante e soffocante controllo. Così Lasorella potè così incontrarla nella sede di un’ambasciata occidentale, della quale però ancora oggi non vuole rivelare il nome: «Promisi discrezione allora, e la mantengo adesso».

Il testo di quella lunga e bella intervista è stato pubblicato adesso da Bompiani, nel libro Verde e zafferano. A voce alta per la Birmania (euro 16,50). Lasorella lo ha scritto sull’onda dell’emozione che ha percorso il mondo intero lo scorso settembre, quando migliaia di monaci buddisti sono scesi in piazza reclamando libertà. E sono stati massacrati dai militari. Così com’è capitato questo inverno ad altri monaci, quelli tibetani, anch’essi picchiati, incarcerati e torturati dai militari cinesi.

Cos’è che non va, in quelle parti del pianeta? Perché i dittatori e le soldataglie cinesi e birmane, in mancanza di nemici armati, se la prendono con le persone più pacifiche della Terra? La signora Aung San e il Dalai Lama sono i simboli viventi della nonviolenza, eppure vengono trattati crudelmente dai loro avversari. Sembra quasi che i gerarchi comunisti di Pechino (senza l’appoggio dei quali anche quelli di Rangoon cadrebbero) vogliano spingere il Tibet e la Birmania alla rivolta violenta e armata, magari terrorista, visti i risultati nulli di decenni di lotte gandhiane.

Per discuterne siamo andati in via Teulada, nella sede della Rai dove anche Lasorella sta subendo nel suo piccolo, da quattro anni, i suoi «arresti domiciliari» personali, un po’ come Aung San Suu Kyi. «Non scherziamo», si schermisce lei, «paragonare la mia situazione alla sua sarebbe insultante per tutti». Fatto sta che il mobbing patito dall’ex corrispondente dei Tg Rai da Berlino (fino al 2003) e poi conduttrice del programma 'Visite a domicilio' le ha lasciato tutto il tempo necessario per scrivere il libro.

La «pena» che i vertici Rai infliggono ai propri giornalisti in disgrazia per mancanza di padrini politici, infatti, è quella di non farli lavorare. Pena dolcissima, perché lo stipendio viene percepito egualmente (tanto è a carico dei contribuenti), ma allo stesso tempo crudele per una come Lasorella abituata a girare il mondo come inviata di guerra. Tutti ricordano l’imboscata che patì nel ‘95 in Somalia, e che costò la vita all’operatore che l’accompagnava, Marcello Palmisano.

Scalpita impaziente, quindi, la signora 53enne nella sua stanza-prigione dorata della Rai, proprio sopra gli studi dove ogni giorno arrivano gli ospiti per registrare il Porta a porta di Bruno Vespa. E s’immalinconiva ancor di più lo scorso settembre, quando di fronte alle notizie che arrivavano di ora in ora sul suo computer dalla rivolta birmana, lei non poteva prendere e partire.

«Ma partire per dove, poi?», ragiona adesso a voce alta. Perché quando i dittatori massacrano, chiudono immediatamente le frontiere. Nessun giornalista può testimoniare le stragi. Tuttora quella cinese di piazza Tian an men, a quasi vent’anni di distanza, non ha un numero preciso di morti: centinaia? Migliaia? Decine di migliaia? Nessuna immagine, nessun resoconto.

E allora ben venga questa testimonianza della signora più dolce della Terra, quella Aung San Suu Kyi ormai 62enne che vent’anni fa tornò da Londra nella sua Birmania, e da allora si batte eroicamente per la libertà. Il 10 maggio i generali birmani hanno organizzato un referendum su una nuova costituzione, ma sembra solo l’ennesimo trucco di una giunta sanguinaria per mantenere il potere.

«La solidarietà dei popoli per la Birmania è diventata una ciclopica onda anomala», commenta Lasorella nel libro, «ha attraversato tutti i continenti. Ma la reazione politica rimane arenata nelle secche della retorica. Nei palazzi di vetro, a Washington come a Bruxelles, il cinismo degli interessi costruisce gli alibi all’impotenza. Anche di fronte ai bagni di sangue». E fa notare come tutti gli embarghi economici decretati dall’Onu contro la Birmania non riguardino gas e petrolio. Infatti la francese Total in Birmania è di casa. Ma la vera chiave per la liberazione della Birmania è la Cina: finché a Pechino comanderanno i dittatori, i militari di Rangoon saranno protetti.

«Li rivedo, i generali impettiti nelle parate che a Rangoon la tv trasmetteva con sussiego», racconta Lasorella. «Vietato filmare le loro caserme e i loro palazzi perfino dall’esterno, perfino i tassisti sono terrorizzati quando vedono la cinepresa di una turista, come io avevo finto di essere per potere entrare in Birmania».

La giornalista italiana e il suo operatore arrivano a Rangoon su due aerei diversi e in due giorni diversi. Durante l’intervista Aung San si dimostra ispirata, carismatica, convincente, paziente, ma anche pragmatica e a volte perfino sbrigativa. Ha studiato e insegnato nelle università inglesi, quindi inorridisce davanti alla retorica. Lasorella ha avuto il permesso di parlarle un’ora, ma poi pranza con lei, conversa in privato a telecamere spente, e va via dopo un intero pomeriggio dall’ambasciata.

«Com’è giovane!», la descrive la giornalista: «Magra e minuta, vestita con studiata semplicità: un corpetto grigio stile coreano a quadretti, gonna lunga color zafferano, una fascia ricamata larga sui fianchi, i sandali scuri, come la borsa di panno a sacchetto».

La Rai ha trasmesso solo parte dell’intervista, nel programma Prima donna dieci anni fa. Nel libro c’è invece il testo completo, emozionante. Anche perché da anni ormai intervistare la Signora della Birmania è impossibile, e questa rimane una delle rare interviste concesse ai giornalisti del mondo intero. Un documento quasi storico, quindi.

La domanda forse più importante che Lasorella rivolge ad Aung San Suu Kyi è: «Lei, come Gandhi e Martin Luther King, ha scelto la via della nonviolenza. Ma ha di fronte un regime dittatoriale, feroce. Come pensa di rovesciarlo?»
E la signora, pacata: «Come ho detto più volte, da sola non posso ottenere alcun risultato. È necessario l’aiuto di tutti. Abbiamo scelto la nonviolenza perché riteniamo che, diversamente, non renderemmo un buon servizio al nostro Paese. Non vogliamo cambiare regime con la violenza».

Tempi lunghi, quindi. Come Nelson Mandela, altro Nobel per la pace, rimasto in carcere per 28 anni prima di essere liberato nel 1990 (in curiosa staffetta con Aung San, che quell’anno venne arrestata), e di diventare infine presidente di un Sud Africa libero dall’apartheid.
Non resta che sperare che la Birmania non debba aspettare così tanto.

Mauro Suttora