Monday, September 24, 2007

Gli amici di Beppe Grillo a Roma

«Grillini»: così si fanno chiamare i simpatizzanti del comico genovese. E dopo il successo del Vaffa day fanno paura ai politici di professione. Ma chi sono ? Cosa vogliono ? Scopriamo le loro facce, le loro idee e i loro piani

Oggi, 22 settembre 2007

di Mauro Suttora



Chi l’avrebbe detto che bisogna andare fino a New York, al numero 632 di Broadway nel centro di Manhattan, per trovare il cuore del fenomeno di Beppe Grillo? La rete dei 50 mila «Amici di Grillo» sparsi in 250 città e paesi italiani (più una trentina all’estero) con i 350 gruppi che hanno organizzato il «Vaffa Day» dell’8 settembre, sconvolgendo la politica italiana, parte da qui. Dal server di Meetup.com, uno dei siti Internet più potenti della Terra, tipo My Space o You Tube

Quello di Grillo è solo uno dei 33 mila gruppi (in tutto il mondo e di ogni tipo: sportivi, culturali, politici, professionali, di semplici amici) che si fanno ospitare da questa rete globale.

Se quelli di Grillo si presentassero alle elezioni diventerebbero subito il secondo o terzo partito italiano: 17 per cento dei voti, con un 33 di simpatizzanti che «non lo esclude». Questo dicono i sondaggi. Praticamente, una mezza rivoluzione esplosa nel giro di due settimane. Perfino Tangentopoli, quindici anni fa, ci aveva messo più tempo per nascere.

«Ma noi non siamo nati ieri, siete voi giornalisti che non ve ne siete accorti fino al 7 settembre», dice a Oggi Serenetta Monti, 36 anni, custode di museo e coordinatrice di uno dei quattro gruppi degli amici di Grillo a Roma. Il più grande: 1.625 iscritti. Registrarsi su Internet non costa nulla, e ora gli aderenti aumentano al ritmo di venti al giorno. «Perché non viene a vederci, al nostro prossimo Meet up?», ci propone.

Accettiamo l’invito. Perché se fino a ieri i «grilli» (così si autodefiniscono quelli romani, e non grillini, grillisti o grillanti) erano solo la massa anonima degli spettatori di Grillo, ora che hanno fatto irruzione sulla scena politica siamo curiosi di vedere che facce hanno. E quali idee, quali proposte.

Scopriamo subito che la loro parola magica non è «Vaffa...», ma «Mitàp»: italianizzazione di «meet up», appunto, cioè incontrarsi. Perché è vero che i Grilli sono il primo movimento politico virtuale, nato su Internet appena due anni fa (ma subito esploso: il settimanale americano Time all’inizio del 2006 ha inserito il blog di Grillo fra i dieci più importanti del mondo). Però, per riuscire a raccogliere 350 mila firme in un solo giorno sulle loro tre proposte di legge (parlamentari incensurati, che tornino a casa dopo due mandati e che vengano scelti davvero, con preferenze o primarie), sono scesi nelle piazze in carne ed ossa. E hanno dovuto organizzare tutto, da volontari inesperti: chiedere permessi in questura, affittare impianti di amplificazione, procurarsi i tavolini dove si firmava...

«Il 16 agosto, quando ci siamo incontrati per organizzare il V-day romano a piazza San Paolo, eravamo in quattro gatti e avevamo paura di non farcela», confessa Stefano Franco, 42 anni, sposato, due figli, impiegato di una società informatica. Lui è uno dei quattordici «assistenti» che Serenetta, organizer eletta per sei mesi («A rotazione: pratichiamo quel che predichiamo»), si è scelta lo scorso giugno. «Invece alla fine è andato tutto bene, e solo a Roma abbiamo raccolto 40 mila firme. Dall’una del pomeriggio all’una del mattino in piazza sono passate 70 mila persone».

Così, per il primo «Mitap» dopo l’exploit, fissato per la sera di venerdì 21 settembre, addio cene in trattoria in dieci o venti. Sul sito piovono iscrizioni a valanga, e quindi Dario Tamburrano, 38 anni, dentista («Zazzaro» è il suo soprannome in rete) deve affittare una sala da 250 posti vicino a casa sua, nel quartiere Nomentano. Per pagarla, due euro a testa fra i partecipanti. Per arrivarci, istruzioni dettagliate on line con mappe, indicazione di parcheggio gratuito adiacente, mezzi pubblici e servizio di car-pooling (unica auto per quelli che arrivano dallo stesso quartiere).

Inizia l’assemblea. Presiede Serenetta, che ha esperienza di riunioni pubbliche come sindacalista («Ma di base, sono contraria a Cgil, Cisl e Uil»). Pochi preamboli, liquida la questione delle liste civiche in due parole: «Troppo presto per parlarne». E si tuffa subito, invece, a illustrare le attività pratiche portate avanti dal gruppo. Tutte nella scia delle idee che Beppe Grillo propaganda da quasi vent’anni nei palasport d’Italia. I Gas, per esempio: Gruppi di acquisto solidale. Li organizza la 35enne Lidia Gandellini, alias «Zampidia», terapista dell’arte (cura i disagi psichici e sociali con musica, pittura, danza): «Il nostro obiettivo è “accorciare la filiera” fra produttore e consumatore. Quindi acquistiamo in gruppo olio, carne biologica o detersivi da aziende di fiducia, che ci garantiscono qualità e prezzi più bassi». All’ultima riunione aveva portato taniche di olio dalla Sabina.

Lidia frequenta i Grilli romani da pochi mesi, dopo aver visto uno spettacolo di Grillo a Roma in febbraio. Da quasi due anni invece è impegnato Dario, il dentista così appassionato di ecologia che si è appena reiscritto all’università (facoltà di agraria con specializzazione ambientale a Roma): «Ma ora, con l’esplosione di Grillo, non so se avrò tempo per tutto. Io appartengo a una generazione cresciuta con lui, il programma Te la do io l’America era il nostro mito. All’inizio partecipare al suo blog era una valvola di sfogo: non pensavo che potesse arrivare ad avere un riscontro reale nella vita di tutti i giorni. Non mi sono mai occupato di politica. Ho votato a sinistra, tranne una volta per la Mussolini alla regione Lazio in segno di protesta contro gli scandali. Ma anche a destra ci sono persone stimabili, come la Prestigiacomo».

Per lui, Stefano e molti altri la passione principale è l’ecologia, e in particolare la spazzatura: «La raccolta differenziata è la chiave di tutto», spiega Stefano, «perché applicandola si può fare a meno degli inceneritori che contestiamo». Ma allora perché non siete andati nel Wwf, o in Greenpeace, o nei Verdi? «Perché Grillo ci ha messo a disposizione uno strumento più aperto».

Roberta Lombardi, 34 anni, laureata in legge, lavora in una società internazionale di arredamento: «Non mi sono mai occupata di politica, per snobismo, perché associavo questa parola ai partiti. Gli unici cortei cui ho partecipato sono stati quelli per Falcone e Borsellino, tanti anni fa. Mi interessa molto la proposta di Grillo di introdurre anche in Italia, come negli Stati Uniti, le class action, cioè le cause di risarcimento per danni di gruppo».

Dilettanti allo sbaraglio o rivoluzionari nonviolenti? Per ora fra i Grilli c’è tanto entusiasmo. L’impatto con i professionisti della politica, le loro manovre e i loro trucchi, sarà duro. Vedremo.

Mauro Suttora

Dalila Di Lazzaro e Ornella Muti

GUARDATECI, NUDE A 50 ANNI: PREFERITE ANCORA LE VELINE?

Milano, 23 settembre 2007

Volete vedere Ornella Muti e Dalila Di Lazzaro nude? Passate in corso Vittorio Emanuele a Milano dal 19 settembre al 14 ottobre. Le due attrici (52 anni la prima, 54 la seconda) esibiscono le proprie mature ma sempre affascinanti grazie in una mostra, con tanto di gigantografie senza veli. Assieme ad altre otto donne (l’attrice Anna Orso, una preside, un’agente immobiliare, una direttrice del personale e altre cinquantenni, professioniste in carriera o mamme) hanno accettato di spogliarsi per il fotografo Gianmarco Chieregato.

Vogliono lanciare un messaggio non solo alle coetanee, ma anche alle donne più giovani: la bellezza del corpo femminile nasce dall’orgoglio di mostrarsi come si è. Intense, profonde, uniche. Oltre alle signore italiane, sono esibiti i ritratti della fotografa più famosa del mondo: l’americana Annie Leibovitz, che riesce a valorizzare cinquantenni normalissime: una pasticcera, una fisioterapista.

La mostra, organizzata dal Fondo Dove per l’autostima, s’intitola «Pro-age, perché la bellezza non ha età», e contesta l’idea che l’avanzare dell’età sia considerato come un «difetto» da correggere, in nome di un’illusoria eterna giovinezza propagandata dai media e dalla pubblicità, a beneficio di chirurghi plastici e venditori di botulino e silicone.

«Ovviamente la bellezza ha avuto un posto predominante nella mia vita», ci dice la Di Lazzaro, «perché sono stata un’attrice, un volto noto del cinema. Quand’ero più giovane essere e sentirmi bella era una componente essenziale di me stessa. Poi sono accadute tante cose: ho sofferto e accettato di dover lottare ogni giorno anche per compiere le azioni più semplici».

Due gravi incidenti che l’hanno costretta immobile per anni a letto, la perdita dell’unico figlio: di fronte a queste prove la bellezza è passata in secondo piano? «No», risponde decisa l’indimenticabile Serafina del film di Lattuada con Renato Pozzetto del ’76, «perché oggi, come vent’anni fa, mi piace sentirmi bella e prendermi cura di me. Amo il mio corpo esattamente come allora, e vivo i suoi cambiamenti come un mutare della mia bellezza, non come un appassire. Sono certa che finché il mio corpo rifletterà la mia forza interiore e le mie conquiste, non smetterà mai di essere bello».

Ora Dalila, abbandonato il set, fa la scrittrice: dopo l’autobiografia Il mio cielo dell’anno scorso, nel 2008 uscirà il suo nuovo libro, Piccoli miracoli intorno a me. E il miracolo che la mantiene così bella, qual è? «Mai ritoccata, mai andata in palestra, mai diete, mangio quel che voglio, sono una forchettona. Faccio solo passeggiate in città e nuotate d’estate al mare. E massaggi tre volte la settimana per i problemi a collo e schiena. Linfodrenaggi per la circolazione, la riflessologia plantare ai piedi mi rilassa molto... Ammetto di avere avuto un regalo dal cielo, e mi basta mantenermi. Ho posato nuda solo un’altra volta in vita mia, per Playmen quando avevo 26 anni. E per la vecchiaia i miei modelli sono Brigitte Bardot, Jane Birkin, Charlotte Rampling e Katharine Hepburn, che non hanno ceduto alla tentazione del bisturi».

«La bellezza nasce da come si è», spiega Ornella Muti. «perché non è solo l’estetica a essere importante: a renderci belli è l’armonia tra corpo, anima e mente. Un’armonia che si trasmette all’esterno come un’energia contagiosa, che nulla a che vedere con l’età. Un esempio di bellezza, come la intendo io, è Anna Orso, che emana un’incredibile energia. La vedi e subito ti colpisce il suo sguardo profondo, limpido, chiaro. A quel punto non ti chiedi nulla di lei, perché pensi che lei è semplicemente se stessa: bellissima e trasparente. Il suo è un vero dono, e il fatto che non nasca solo da caratteristiche estetiche, ma dalla sua energia, è la dimostrazione del fatto che la bellezza non ha età».

La giornalista Barbara Palombelli non si spoglia, però partecipa a un tavola rotonda in Galleria il 19 settembre alle 18: «Noi over 50 apparteniamo a una generazione unica. Siamo state le prime a vivere l’emancipazione femminile e a conquistare un ruolo sociale attivo e riconosciuto. Dobbiamo esserne fiere, e trasmettere la nostra fierezza alle generazioni che verranno. Per riuscirci abbiamo alleati preziosi: una pienezza di vita e di interessi, e anche una bellezza intesa nel senso più ampio del termine, che le nostre madri non avevano».

L’orgoglio delle pantere grigie (molto pantere e pochissimo grigie) si accende sentendo i risultati di un sondaggio di Renato Mannheimer commissionato da Dove: anche i maschi vogliono vedere rappresentate donne reali, e non amano le finzioni della pubblicità che impone modelli irraggiungibili. Per i mille intervistati una donna è bella innanzitutto se «ha una sua personalità, un suo stile unico», se «è simpatica», e soprattutto se è «consapevole del proprio fascino». Solo dopo arrivano qualità come l’«aspetto fisico attraente» e la gioventù.

Tutti, poi, condividono queste affermazioni:
1) la bellezza non ha una data di scadenza, una donna può essere bella a qualsiasi età.
2) a 50 anni una donna può essere più interessante che a 30.
3) oggi una donna a 50 anni può essere molto più attraente che in passato.
4) una ruga rende la donna più interessante.

Grande consenso anche per queste critiche alla pubblicità:
1) le donne belle non sono solo veline o miss, bisogna contrastare questa immagine distorta.
2) i pubblicitari non hanno capito che le donne sono cambiate, e anche dopo i 50 anni sono apprezzate dalla società.
3) la maggioranza delle donne dopo i 50 anni è orgogliosa di quello che è, non rincorre i modelli della pubblicità.
4) le donne over 50 che dimostrano la loro età non si vedono mai negli spot.

«Insomma, pubblicità e media una volta tanto non sembrano essere più avanti rispetto alla società», commenta Mannheimer, «perché restano ancorati a stereotipi ormai obsoleti, forse per paura di osare il nuovo». E Lucia Rappazzo, direttrice del mensile Psycologies, alza il tiro: «Si può essere belle senza nascondere la propria età anche a 60 anni, e a 70». Le splendide settuagenarie Anna Orso, Virna Lisi, Jane Fonda o Sophia Loren sono lì a dimostrarlo.

Mauro Suttora

intervista a Ken Follett

Lo scrittore presenta il suo 17esimo romanzo: 'Mondo senza fine'

Roma, hotel Hassler, 19 settembre 2007

di Mauro Suttora

Posso protestare? Mi permette?
«Prego».

Questo suo ultimo libro è troppo lungo.
«The longer the better: più sono lunghi, meglio è. I miei lettori adorano i libri infiniti».

Anche se hanno 1.366 pagine?
«Tanti lettori di I pilastri della terra mi hanno scritto: “Lo volevamo ancora più lungo”...».

Ken Follett ha venduto cento milioni di copie dei suoi sedici romanzi. Il bestseller personale rimane 'I pilastri della terra' del 1989: undici milioni di copie (uno e mezzo solo in Italia). L’unico ambientato nel Medioevo. Da allora i suoi lettori (che lui coltiva, leggendo le loro lettere ed e-mail e firmando amabile e instancabile migliaia di copie in giro per il mondo) lo implorano: «Dacci una seconda puntata». Fatto. È appena uscito 'Mondo senza fine' (Mondadori), che si svolge nello stesso villaggio inglese immaginario (Kingsbridge), ma nel XIV secolo, 200 anni dopo il romanzo precedente.
Storie di abati corrotti, suore lussuriose, vescovi che pretendono lo ius primae noctis, medici che rischiano il rogo per stregoneria solo perché vogliono curare la peste...

Follett, confessi. Lei ce l’ha con i cattolici?
«Assolutamente no. Il conflitto che descrivo nel libro è tutto interno alla Chiesa, fra una parte di religiosi che si fida e affida alla scienza, e un’altra che ne diffida. Ma ci sono anche figure assai positive: la protagonista Caris, per esempio, è una suora».

Beh, almeno Umberto Eco nel 'Nome della rosa' aveva diviso equamente i monaci fra buoni e cattivi. Qui invece la grande maggioranza delle figure ecclesiali è negativa.
«Dice? Mi faccia pensare... Forse il problema è che in quell’epoca la Chiesa rappresentava tutto il potere, anche quello terreno. Ed è fatale che fra le figure di potere ce ne siano molte negative».

Comunque, lei fra scienza e religione sceglie la prima.
«Certo. La Chiesa ha sempre avuto torto quando ha perseguitato gli scienziati. Il Papa ha dovuto chiedere scusa a Galileo 400 anni dopo. Per un motivo molto semplice: la Chiesa non sa nulla di scienza, quindi non può che sbagliare».

Ma i suoi genitori non erano religiosissimi?
«E molto severi: fino a 16 anni mi vietavano il cinema. E in casa non c’era la tv».

Così nasce uno scrittore?
«Mi sfogavo leggendo libri. Lì non mi proibivano nulla, e così a dodici anni ero pazzo di James Bond: sognavo la sua vita peccaminosa piena di cocktail, sigarette, auto e donne sexy. Risultato: a 15 anni mi sono ribellato alla religione».

Ed è passato ai Beatles.
«Sì, la loro canzone che preferisco è Good Day Sunshine».

Perché?
«Perché le canzoni che ci piacciono a 17 anni ci accompagnano per il resto della vita. Perché sta in Revolver, uno dei loro dischi più belli. E anche perché avevo soprannominato Sunshine il mio primo figlio, nato quando avevo solo 19 anni ed ero all’università».

La musica è importante per lei?
«Molto. Suono il basso in un complesso di rock-blues. Spesso ci esibiamo in pubblico nella zona dove abito, in campagna, vicino a Londra».

Ho letto che un’altra canzone che predilige è My Cherie Amour di Steve Wonder.
«Sì, chiamavo così mia figlia quand’era piccola. Lei camminò su quel disco e lo ruppe».

È anche molto impegnato politicamente.
«Da tre mesi la mia seconda moglie Barbara Broer, che conobbi negli anni Ottanta quando facevo l’attivista nella sezione laburista di cui lei era segretaria, è diventata ministro».

Ah! E di che?
«Pari opportunità, nel nuovo governo laburista di Gordon Brown. Vuole unificare tutte le leggi che proteggono donne, gay, handicappati e minoranze razziali, per diminuire la burocrazia e semplificare la vita ai datori di lavoro».

Lei detestava Tony Blair, e invece adora Brown. Perché non è inglese, come lei?
«Ahahah! Io sono gallese e Brown scozzese, è vero, ma non l’ammiro per ragioni etniche. Credo veramente che sia più onesto e sincero di Blair».

Che pensa della conversione di Blair al cattolicesimo?
«È un uomo alla ricerca di una fede. C’è un po’ di vuoto nel suo cuore e nella sua anima, e lui avverte il bisogno di riempirlo. Con qualsiasi cosa: avrebbe potuto farlo anche con il buddhismo».

È molto duro con Blair. Ma pure lei all’inizio era favorevole alla guerra in Iraq.
«Ora abbiamo tutti capito che è stato un errore tremendo. Sì, quattro anni fa mia moglie, allora deputata, votò a favore della guerra dopo che assieme ci pensammo per giorni e giorni. Credevo fosse una buona idea eliminare un dittatore che aveva fatto fuori centomila dei suoi sudditi. Ma abbiamo sottovalutato la complessità della situazione irachena».

Torniamo alla scrittura. Quante pagine riesce a scrivere ogni giorno?
«In media quattro. Comincio presto, alle sette del mattino: appena sveglio mi vengono un sacco di idee, sono creativo. E vado avanti fino a metà pomeriggio. Poi mi riposo».

Mauro Suttora

Thursday, September 13, 2007

11 settembre, sei anni fa

E TUTTO CROLLO'

di Mauro Suttora

New York, 11 settembre 2007

Un anniversario in tono minore: così si ricorda, quest’anno, la data dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Sarà perché sei anni non è un numero tondo come cinque o dieci, sarà per l’impantanamento dell’esercito americano nelle guerre d’Afghanistan e Iraq, ma le cerimonie si svolgono in modo più sommesso degli anni scorsi. Meno spazio sui media, anche perché l’attenzione è rivolta al rapporto del generale David Petraeus sulla vera situazione militare a Baghdad, e sulle prospettive di una liberazione che si è trasformata in occupazione, e che con il passare del tempo è diventata per gli Usa l’incubo di un nuovo Vietnam. Eppure quei quasi tremila civili morti nel crollo delle Torri gemelle a New York, il «buco» nel Pentagono e l’aereo caduto in Pennsylvania rimangono nella memoria di tutti noi.

Non c’è stato alcun soccorso da prestare alle vittime dell’11 settembre: tutti coloro che si trovavano dentro le Torri al momento del crollo sono morti. Nessun ferito. «La cosa più brutta è stato vedere gli ospedali vuoti», ha detto l’allora sindaco di New York, Rudy Giuliani, «perché significava che erano tutti andati».
Oltre a coloro che si trovavano nei piani superiori a quelli degli impatti dei due aerei, e che non sono potuti scendere perché erano bloccati dall’incendio e dal fumo, sono stati travolti dal crollo inaspettato della prima torre tutti i poliziotti e vigili del fuoco che stavano cercando di spegnere l’incendio. Quelli della seconda torre hanno avuto pochi minuti per precipitarsi al piano terra, ma anche molti di loro non ce l’hanno fatta. Le autorità avevano proclamato che le Torri sarebbero state ricostruite, ma finora pochissimi si sono azzardati a prenotare uffici in quel luogo maledetto. Così i lavori vanno a rilento.

Poco dopo l’attacco alle due Torri di New York, i terroristi islamici scagliano un aereo civile dirottato, pieno di passeggeri innocenti, anche sul Pentagono di Washington, sede del ministero della Difesa statunitense. L’impatto su una facciata dell’edificio provoca circa 200 morti e un incendio. Ma soprattutto, in questi sei anni, ha alimentato polemiche a non finire su ciò che realmente accadde. Questo perché, per malintese esigenze di sicurezza militare, le autorità hanno sempre rifiutato di mostrare la quasi totalità delle immagini raccolte, comprese quelle provenienti dalle telecamere fisse nascoste nelle adiacenze del palazzo.

Così si è alimentato lo scetticismo di molti, i quali si sono domandati se veramente un aereo fosse piombato sul Pentagono. Sono state formulate le ipotesi più varie, compreso l’attacco di un missile Cruise, o di un altro missile terra-terra. Queste foto non porranno fine alle speculazioni, ma almeno forniranno qualche prova ufficiale in più contro i «negazionisti» più fantasiosi. Come quelli che ipotizzano addirittura un auto-attacco da parte del presidente George Bush per giustificare la guerra all’Afghanistan.

Le tesi opposte in due nuovi libri

Smontare un smontatura: questo è l’obiettivo che si è dato il giornalista Massimo Polidoro, che ha curato l’antologia "11/9. La cospirazione impossibile", edita da Piemme. Il libro cerca di smentire, punto per punto, tutti gli argomenti contenuti in un altro libro appena uscito, e curiosamente pubblicato dallo stesso editore: "Zero".
Quest’ultima è un’altra antologia, curata dall’eurodeputato Giulietto Chiesa, che definisce «montatura di Bush» l’attacco dell’11 settembre. I quindici autori, fra i quali il filosofo Gianni Vattimo, lo storico Franco Cardini e la scrittrice Lidia Ravera, non arrivano fino a incolpare il presidente degli Stati Uniti per la strage delle Torri Gemelle. Però lo accusano di avere ignorato gli avvertimenti dei servizi segreti statunitensi su un imminente attacco di Al Qaeda. Questo perché, a loro avviso, il «complesso militare-industriale» americano voleva trovare una scusa per fare una guerra, aumentare le spese militari e quindi guadagnare ancora di più grazie alle commesse belliche. I sostenitori di questa teoria del complotto mettono in luce anche tutte le incongruenze delle versioni ufficiali sul disastro. Non credono, per esempio, che le Torri siano crollate da sole, ma che siano state abbattute da cariche esplosive già contenute nell’edificio. E accusano l’Air Force di avere abbattuto il quarto aereo dirottato, che si dirigeva verso la Casa Bianca.

Tutte queste tesi vengono confutate nell’altro libro, che si avvale fra gli altri dei contributi di Umberto Eco, del matematico Piergiorgio Odifreddi e di Andrea Ferrero, ingegnere dell’Alenia. Questo libro costa 16,50 euro, l’altro 17,50. L’unico felice, in ogni caso, è l’editore Piemme, che prova a fare guadagni su entrambe le tesi.

E Bin Laden resta un fantasma

Queste immagini toccanti ci ricordano i tanti modi con cui sono state onorate le vittime dell’11 settembre 2001. Ma dopo sei anni dobbiamo anche ammettere che finora il loro assassino non è stato punito. Infatti Osama Bin Laden, mandante confesso dei 19 terroristi dirottatori, è ancora libero. Così come il suo compare, il mullah Omar capo dei talebani che lo ospitavano in Afghanistan.

Le due guerre scatenate dal presidente americano Bush, contro l’Afghanistan nel 2001 e contro l’Iraq due anni dopo, non sono valse a catturarli. E hanno provocato altre vittime: si stimano attorno ai centomila i civili iracheni e afghani morti, più 3.600 soldati americani uccisi e parecchie migliaia di mutilati. «L’Iraq rischia di essere un altro Vietnam», ha dovuto ammettere lo stesso Bush. Unica nota positiva: negli Stati Uniti non ci sono stati altri attentati.

Wednesday, September 12, 2007

Alitalia lascia Malpensa

Non si uccide cosi' un aeroporto?

Roma, 12 settembre

Quel che la Lega Nord non era riuscita a fare in vent’anni, lo sta combinando ora l’Alitalia: mettere l’uno contro l’altro gli aeroporti di Malpensa e Fiumicino, Milano e Roma, Sud e Nord. Di fronte alla voragine delle proprie perdite (più di due milioni di euro al giorno), la nostra compagnia di bandiera ha infatti annunciato che taglierà parecchi voli dallo scalo lombardo, ripristinando Fiumicino come propria base. Si sono scatenate subito le proteste del governatore della Lombardia Roberto Formigoni e della sindachessa di Milano Letizia Moratti. Il presidente di Malpensa vuole addirittura far causa per danni all’Alitalia.

Cosa sta succedendo, in realtà? Per vederci chiaro, abbiamo posto dieci domande a due esperti indipendenti di trasporto aereo: il consulente Nick Brough, amministratore delegato della società Interazione, e Dario Balotta, segretario lombardo della Cisl trasporti.

1) Cominciamo dall’inizio: perché Alitalia è in crisi?
«Ingerenze politiche», risponde Brough. «L’azionista pubblico ha imposto all’Alitalia troppi obiettivi in conflitto fra loro. L’unica soluzione era operare in perdita e ricevere sovvenzioni statali. Ma ora il mercato libero europeo, per impedire la concorrenza sleale, vieta le sovvenzioni».

Spiega Balotta: «Alitalia non ha più nulla: per ripianare i buchi ha venduto gli aerei prendendoli in leasing. Ma ormai la flotta è vecchia, un centinaio di Md80 vanno cambiati. Neanche la sede romana della Magliana è più sua. L’unica vera ricchezza che le rimane sono i diritti di traffico. Ma ora rinuncia pure a quelli, per esempio sulle rotte per l’Estremo oriente. Le garanzie monopoliste non ci sono più, però i politici non hanno rinunciato a controllarla. Per esempio, ogni ministro degli Esteri ha deciso quali aerei comprare: Boeing, McDonnell, Airbus, Fokker, Atr. Così c’è una flotta arlecchino con costi moltiplicati: i piloti devono saperli guidare tutti, oppure non c’è flessibilità. Idem per la manutenzione. Ryanair, invece, ha solo Boeing 737, con pezzi di ricambio che vanno bene per tutti».

2) Perché le altre compagnie aeree invece vanno bene?
Brough: «Quelle statali e inefficienti si sono trasformate negli ultimi 10-20 anni. Oppure sono fallite, come la belga Sabena e la Swissair. Solo in Italia abbiamo rinviato scelte difficili». Aggiunge Balotta: «Tutte le compagnie privatizzate hanno rinunciato ai privilegi clientelari di partiti e sindacati. Alitalia invece ha il rapporto dipendenti/passeggeri più alto d’Europa, ed è l’unica in crisi oltre alla greca Olympic».

3) L'asta per vendere Alitalia è andata deserta. Perché nessuno la vuole?
Balotta: «Perché il bando prevedeva vincoli impossibili: se si vende una casa non si può imporre all’acquirente di tenersi i mobili vecchi per cinque anni, oppure vietargli di revisionare l’ascensore».
Brough: «Il nuovo proprietario non avrebbe dovuto tagliare né rotte in perdite né personale. Una parte del governo sperava che comprasse Air One, ricreando così il monopolio sulla ricchissima rotta Roma-Milano e quindi aumentando i prezzi e ricavando utili grazie alla sospensione della concorrenza. Ma non si facevano i conti con l’antitrust».

4) C'è qualche acquirente preferibile ad altri?
Brough: «Deve avere la spalle robuste e credere nel progetto, senza comprare per smantellare. Deve voler sviluppare un network intercontinentale in ragione del potenziale di un mercato grande quanto Italia».
Balotta: «Siamo già nell’alleanza Skyteam con Air France, Klm, Korean, le americane Continental e Delta. Perché cambiare?»

5) Tutti gli stati hanno una compagnia di bandiera. Ci perderebbe l'Italia a non averla?
Qui i nostri esperti non concordano. Secondo Balotta, infatti, «così come la British ha comprato l’Iberia con l’11 per cento e la Swiss è in mano a Lufthansa», anche l’Italia può rinunciare a un vettore statale: «Meglio che i soldi pubblici finanzino pensioni, sanità e scuola».
Brough invece sostiene che «non esiste un paese sviluppato con 60 milioni di abitanti senza una compagnia di proprietà locale o che è di base nel paese. Se non ci fosse una compagnia Italiana avremmo comunque tanti voli e prezzi buoni, ma l’economia perderebbe: non ci sarebbe più una sede direzionale, forse non ci sarebbero più grandi centri di manutenzione e di formazione. La “cultura aeronautica” nazionale sarebbe indebolita. C’è anche il rischio che in momenti di grave difficoltà nazionale, a causa di terrorismo o epidemie, le compagnie straniere abbandonino il Paese. È importante quindi risanare Alitalia».

6) È possibile risanare l'Alitalia mantenendola pubblica?
Brough: «Il risanamento è possibile, e Alitalia ha manager all’altezza: basta lasciarli liberi. Ma finché comanda il governo sarà improbabile riuscirci. Impariamo dalle privatizzazioni precedenti: l’acquirente deve avere mano libera. Con due condizioni: garantire un’adeguata ricapitalizzazione e avere una strategia di sviluppo della compagnia, ovvero non pensare solo a ridurre Alitalia a una piccola compagnia regionale che alimenta una base all’estero, con voli dall’Italia verso quella base e basta».
Più pessimista Balotta: «Sul nuovo piano presentato da Alitalia c’è scritto “2008-2010”. Questo significa che i boiardi di stato vogliono rimanere alla cloche per altri tre anni».

7) Conviene concentrare i voli Alitalia su Roma?
Balotta: «No. Alitalia ha il 56% dei suoi voli su Milano, ma ha mantenuto il 90% dei suoi dipendenti a Roma. Quello del Nord Italia è un mercato ricco e in crescita, e Malpensa è un aeroporto nuovo con spazi di crescita. Fiumicino invece ha pochi passeggeri d’affari e non è in grado di accogliere altro traffico: come si è visto quest’estate, lo smistamento bagagli è inadeguato».
Brough: «Alitalia paga le conseguenze di uno sviluppo aeroportuale irrazionale. Non si costruiscono grandi aeroporti senza prima aprire linee ferroviarie veloci e ottimi collegamenti autostradali. Questa regola basilare è stata dimenticata a Malpensa, troppo lontana da Milano. L’aeroporto di Monaco di Baviera ha ben due linee di metropolitana per la città. Così si è potuto chiudere il vecchio scalo senza creare problemi per nessuno. A Milano invece si diceva che il treno Malpensa-Milano (stazione Cadorna, poi, neanche la Centrale) sarebbe stato raddoppiato entro cinque anni. Ne sono passati quasi dieci e non si è visto nulla. Ora si vorrebbe costringere le compagnie a trasferire i voli da Linate a Malpensa, ma senza collegamenti veloci si penalizzerebbe la stragrande maggioranza dei passeggeri che volano a Milano, i quali fanno voli di una-due ore, e che quindi vedrebbero raddoppiare la durata dei loro viaggi».

8) Come farà Malpensa senza l'Alitalia?
Brough: «Anche il Canada fece lo stesso nostro errore: costruire un grande aeroporto lontano da Montreal. Ma passeggeri e vettori preferivano il vecchio scalo. Dopo molti decenni di sforzi il governo ha lasciato il nuovo aeroporto al suo destino. Per evitare lo stesso futuro è essenziale collegare bene Malpensa con la città. Gli errori hanno un costo, a Malpensa lo dovrà affrontare. Nel frattempo, continueranno i voli intercontinentali di altre compagnie, per i quali la pista di Linate è troppo corta. Ci sono molte compagnie straniere, soprattutto in Asia, che vorrebbero volare a Milano, ma il governo non le autorizza. Bisogna chiarire gli obiettivi».
Balotta: «Il vero problema di Malpensa non è Fiumicino, ma i troppi aeroporti: Linate, Orio-Bergamo, Torino, Verona, Parma. Meglio meno aeroporti, ma ben gestiti».

9) Un paese come l'Italia può permettersi due «hub» internazionali con voli intercontinentali?
Balotta: «La tedesca Lufthansa ne ha tre: Francoforte, Monaco, e ora Zurigo con la Swiss. Non c’è conflitto, basta chiarire specializzazioni e gerarchie».
Brough: «Milano, come Roma, costituisce un grande bacino di traffico, sufficiente per sostenere una rete di servizi verso le maggiori destinazioni nel mondo. A condizione però che la compagnia aerea nazionale sia molto efficiente, con aerei delle giuste dimensioni e caratteristiche. E oggi Alitalia non ne ha abbastanza per il lungo raggio».

10) La crisi Alitalia può rifllettersi sulla sicurezza dei voli?
Risposta decisa e unanime: «Assolutamente no. Gli standard vengono sempre rispettati, e il ministero vigila».

Mauro Suttora

dati:

FIUMICINO
30 milioni di passeggeri nel 2006
8 milioni da/per l’estero
4 piste
32 km da Roma
un treno ogni 30 minuti, ci mette 30 minuti

MALPENSA
22 milioni di passeggeri nel 2006
18 milioni da/per l’estero
2 piste
48 km da Milano
un treno ogni 30 minuti, ci mette 40 minuti

ALITALIA
deficit 2006: 380 milioni
deficit tendenziale 2007: 700 milioni
18 mila dipendenti a Roma
1.800 dipendenti a Milano

Saturday, September 08, 2007

intervista ad Albertazzi

Oggi, 17 agosto 2007

È nato un nuovo sodalizio artistico: Giorgio Albertazzi-Sabrina Ferilli. Lui regista, lei nel ruolo di produttrice. Assieme mettono in scena a teatro nel prossimo autunno (debutto in settembre al festival di Benevento) la commedia Sunshine, con Benedicta Boccoli e Sebastiano Somma (vedere il riquadro).

Racconta Albertazzi, 83 anni: «Sono sempre state le donne a cercarmi, nella mia vita. E anche questa volta è stata Sabrina a propormi Sunshine. Credo che da tempo pensasse a me come qualcuno con cui voleva avere a che fare, per creare qualcosa di intelligente. E penso che volesse anche interpretare il ruolo della protagonista, oltre a produrre questa commedia che io avevo già portato al festival di Spoleto verso la fine degli anni Ottanta, con Mariangela D’Abbraccio. È un bel testo dell’italoamericano William Mastrosimone, la tipica commedia brillante statunitense. Fatto sta che Sabrina non può farlo, probabilmente ha troppi impegni. Così ho incontrato Benedicta Boccoli, che cercava un’evasione dai suoi soliti ruoli. Sunshine è una quasi prostituta, lavora in un peep-show. Sono quegli spettacolini dove l’uomo, da dietro un vetro, ordina alla donna di spogliarsi e di mimare a pagamento tutte le sue fantasie erotiche, anche le più spinte, comprese masturbazioni o coiti virtuali. Ma lei, come Nastassia Kinski nel film Paris, Texas di Wim Wenders, è una ragazza tenera e appassionata. È un personaggio che mi piace molto: non è esplicito, mai patetico, ha allo stesso tempo qualcosa d’intenso e leggero».

«Benedicta va benissimo per questo ruolo, possiede un fascino freddo...»

Come parecchie delle attrici che vanno per la maggiore in questo decennio degli anni Zero, da Gwyneth Paltrow a Nicole Kidman.
«Sì. Ho doppiato la voce recitante in un film di due anni fa con la Kidman, Dogville di Lars Von Trier. Ora, durante le prove, cerco di scaldare Benedicta, vorrei metterle il fuoco sotto i piedi. La provoco, la faccio spogliare completamente e rivestire... Perché il tipo di sesso che pratica lei in questo lavoro, stando dietro al vetro, è avulso dall’amore: quasi solo ginnastica, e infatti Benedicta ha fatto acrobazie al circo in passato. Sunshine ama in modo straordinario non poter essere toccata dai suoi spettatori, si sente una diva. Un professore suo cliente le legge poesie, un ragazzino s’innamora schizzando sperma sul vetro... E a me piace sciogliere il suo personaggio, scomporlo e decomporlo, finché alla fine Sunshine lascerà il marito perché lui ha osato uccidere un’aragosta, che lei considerava un animale domestico. E si innamora di Sebastiano Somma».

Albertazzi gran seduttore, la lista delle donne che ha amato è infinita: da Bianca Toccafondi ad Anna Proclemer, da Aba Cercato a Pia de’ Tolomei, fino a Elisabetta Pozzi, Mariangela D’Abbraccio, Fiorella Ceccacci in arte Rubino, oggi deputata di Forza Italia.

Maestro, lei che ha conosciuto la bellezza e frequentato l’amore in tutte le sue varianti, come descriverebbe la sua nuova produttrice?
«Premesso che ormai sono au dessus de la melée, al di sopra della mischia, Sabrina Ferilli possiede il fascino irresistibile della simpatia romana. Oltre a essere bellissima, riesce a sedurre istantaneamente con la sua risata da tragedia greca, meravigliosa ma non di sollievo: con qualcosa, appunto, che sa di tragico. Sembra una riedizione giovanile di Anna Magnani, solo che quella era figlia della guerra, mentre lei lo è del dopoguerra».

Beh, il paragone rischia di non essere un gran complimento: la Magnani era così bella?
«Ma scherza? Aveva una pelle stupenda, bianchissima, oltre alla bellezza dell’intelligenza, della simpatia, della spontaneità. Ricordo che prima dei David di Donatello le feci vedere in proiezione privata il mio L’’anno scorso a Marienbad. E lei a metà mi disse: “Lo sai che non ho capito un cazzo? Quindi ora sei a cavallo: potrai fare tutti i film che vanno di moda adesso, quelli in cui non si capisce nulla...”»

Cosa le piace di più, della Ferilli?
«Nei suoi occhi c’è tutta la bellezza di Roma antica, la Roma classica. La novellistica del Novecento attribuisce una potenza misteriosa alla sguardo delle donne, e nel suo c’è tutto, perché è allo stesso tempo ridente e irridente. Sabrina potrebbe essere la figlia di un imperatore, che so, Ottaviano...»

E per fortuna non ha detto Adriano, le cui Memorie Albertazzi sta portando in scena in tutto il mondo da diciotto anni (prossimo appuntamento New York). Rischierebbe di essere una predilezione incestuosa.
«Ma no, è la castità la forma più voluttuosa di godimento possibile. Detto questo: le cosce nelle donne sono la prova dell’immortalità. Con quelle della Ferilli entriamo nell’architettura pura, materia in cui sono laureato: posseggono, come dire, un rivestimento estetico della funzione che risulta mirabile. Mi spiego meglio: il seno non riesce a nascondere la sua funzione principale, che è quella di allattare. Invece, grazie alle cosce, è prodigioso immaginare lo slittamento verso l’alto, verso qualcosa di irraggiungibile. Perché le cosce delle donne, così come le gambe, i ginocchi o i menti, entrano nello spazio, ma senza occuparlo...»

Mauro Suttora

Wednesday, September 05, 2007

Benedicta Boccoli e Sebastiano Somma

protagonisti della commedia Sunshine

Oggi, 5 settembre 2007

Lo spogliarello sarà integrale e frontale? Oppure saranno solo ammiccamenti e allusioni? Difficile saperlo ora. Certo è che in Sunshine, la commedia che quest’autunno Giorgio Albertazzi porta in tournée in Italia, Benedicta Boccoli avrà problemi con la censura. Perché la bella attrice milanese sorella di Brigitta, con la quale è reduce da Reality Circus di Canale 5, interpreta una pornodiva che si esibisce a pagamento dietro a un vetro.
«Mostro il mio corpo per eccitare gli uomini, ma in realtà il mio personaggio è fragile e sensibile», dice. «E alla fine mi innamoro di uno dei miei clienti, un paramedico molto timido che lavora sulle ambulanze. L’unico al quale mi darò veramente tutta».

L’infermiere, sposato, ha il volto di Sebastiano Somma (che vedremo anche come avvocato nella fiction tv autunnale Un caso di coscienza 3). «Siamo due perdenti che si redimono con l’amore», spiega l’attore napoletano, che torna al teatro dopo il grande successo tv ottenuto nei panni del magistrato della serie Sospetti.
Nella vita reale Somma è sposato con Morgana e ha una figlia di due anni, Cartisia. La Boccoli invece convive da undici anni con l’attore e regista Maurizio Micheli. «Ho proposto io alla mia amica Sabrina Ferilli di produrre Sunshine», dice, «e abbiamo subito chiesto di curare la regia ad Albertazzi, l’ultimo mostro sacro del teatro italiano. Per prepararmi alla parte, molto diversa dai miei ruoli precedenti, ho perfino visitato un call center erotico».

Mauro Suttora