Thursday, September 08, 2005

New Orleans/4

A NEW ORLEANS SONO RIMASTI SOLAMENTE GLI ALLIGATORI

Oggi, 8 settembre 2005

dal nostro inviato Mauro Suttora

Le principali nemiche di Nancy Snyder ora sono le zanzare: «Guardi qua, mi hanno massacrato la schiena...» Però le zanzare c'erano anche prima. «Sì, ma mi sembra che dopo l'inondazione siano aumentate. O forse sono diventate più cattive. Il problema è che quando lavoravo, me ne stavo in un negozio con l'aria condizionata per sei giorni alla settimana e otto ore al giorno, e delle zanzare proprio non mi preoccupavo. Ora invece, con tutto questo tempo libero...»

La signora Snyder, cinquantenne, è l'ultima sopravvissuta di New Orleans. Ha aspettato l'ultimatum delle ore 18 di giovedì 8 settembre per andarsene. Poi, quando i soldati sono arrivati, non ha opposto resistenza. Ha obbedito all'ordine di evacuazione totale del sindaco, assieme al marito Mike Collins. L'unico suo rammarico: non poter portarsi appresso i due gatti. «Le gabbie le ho, ma mi hanno detto che non si può. Però in questi ultimi dieci giorni li ho ingrassati per benino. Gli ho dato così tanto da mangiare che ora sembrano due elefanti. E anche quegli altri due randagi che sfamavo, dall'altra parte della strada, sopravviveranno».

Fino all'ultimo Nancy è stata seduta, fumando una sigaretta dopo l'altra, sulla sedia a dondolo sotto il portico della sua casa a due piani di Magazine Street. Una bella via alberata proprio nel centro di New Orleans, con le villette di legno colorate in stile sudista. Radio sempre accesa con le notizie in diretta. La sua zona è stata risparmiata dall'acqua, ma non dal tornado: l'albero di fronte si è sradicato, rami pesanti sono caduti sul tetto, quello posteriore è crollato. Però la casa è rimasta in piedi. Così lei e il marito sposato tredici anni fa (raro caso di matrimonio interrazziale) sono rimasti, unici nell'isolato, e per dieci giorni si sono attrezzati contro la mancanza di elettricità: «Ventilatori a batteria, torce elettriche e candele per la sera. Con le scorte d'acqua potabile e cibo potremmo andare avanti un mese. Non chiamateci "rifugiati", siamo sopravvissuti, ecco quello che siamo. Dovrebbero dare a noi il premio da un milione di dollari del reality tv». «Se sono sopravvissuti gli indiani, perchè non dovremmo riuscirci noi?», aggiunge il marito, che non riesce a star fermo e si mette a potare la siepe.

E ora? «Non lo so», dice la signora Snyder. «Non so in quale città ci porteranno. Se avessimo un'auto potremmo scegliere noi, ma così decideranno loro. Se sarà per più di due settimane, mi troverò un lavoro nella nuova città. L'unica cosa che so è che ritorneremo».

Ritorneremo. E‚ questa la parola d'ordine dei sopravvissuti all'uragano Caterina, il più disastroso nella storia degli Stati Uniti. Un milione di «evacuati» (questa è la definizione ufficiale, in un Paese sensibilissimo ai nomi), decine di miliardi di danni, migliaia di morti. La cifra esatta si saprà soltanto quando l'ultimo cadavere verrà dissepolto dal fango. Ci vorrà parecchio tempo, perchè dopo aver riparato gli argini crollati occorrerà pompar via la montagna d'acqua che ha distrutto interi quartieri. A mezzo mese dal disastro, poche pompe funzionano: qualche decina su 150. Un'altra incredibile inefficienza della superpotenza più ricca del mondo, che ha conquistato la Luna e vorrebbe ricostruire intere nazioni come Iraq e Afghanistan, ma poi permette che una delle sue città più belle venga inghiottita da burocrazia e inefficienza, come l'ultimo Paese del Terzo mondo.

«Serpenti d'acqua e alligatori: questo si trova ora nell'acqua che ha invaso la città», dice la signora Snyder. «Una mia amica giura di aver visto addirittura un pescecane, ma probabilmente era solo un enorme pesce gatto». L'acqua circondava New Orleans già da prima. Per raggiungerla, infatti, superati i posti di blocco militari, attraversiamo un lungo viadotto sul «bayou», un misto palude-laguna. Sembra di arrivare a Venezia. Poi, però, c'è solo un impressionante deserto di case vuote. Per chilometri e chilometri, perchè le autorità hanno mandato via anche gli abitanti delle immense periferie residenziali rimaste asciutte. In giro ci sono soltanto i 63mila soldati inviati (troppi e troppo tardi) dal presidente George Bush junior. E' uno spettacolo impressionante e pauroso: tutte le strade sono state devastate prima dal vento dell'uragano, poi dal diluvio dell'acqua, infine dalle scorribande degli sciacalli.

Dormiamo in auto (non si trova una stanza d'albergo nel giro di 300 chilometri) nel centro della città. Di fronte c'è un lussuoso negozio di vestiti Brooks Brothers, la catena ormai di proprietà italiana. Le vetrine sono sfasciate, ma c'è dentro ancora parecchia preziosa mercanzia. Una giovane soldatessa della Guardia nazionale dell'Oklahoma e uno dei trecento poliziotti mandati da New York lo sorvegliano.

Tre isolati più in là, Bourbon Street. Un luogo di valore inestimabile. Qui è nata tutta la musica del Novecento: blues, jazz, rythm and blues. Grazie a Dio il quartiere francese (Nouvelle Orleans è rimasta sotto Parigi fino al 1803, quando Napoleone la vendette agli Usa) è salvo. Ma subito dopo comincia l'inferno: un avvallamento con le case ancora invase dall'acqua. Ci avventuriamo sul liquido puzzolente con un canotto, e scopriamo l'agghiacciante verità: il drenaggio dell'acqua dell'alluvione va a rilento anche perchè si teme che le pompe si intasino di resti umani. Intanto all'acqua di fogna si è aggiunto anche petrolio. I colibatteri fecali sono dieci volte più del consentito. Chi tocca muore: già cinque le vittime dell'infezione.

Per non vomitare torniamo sulla «terraferma». All'angolo di Canal Street un banco dell'Esercito della Salvezza offre vettovaglie e bevande. Ma ormai in città di sopravvissuti non ce ne sono più, quindi i soldati della Salvezza finiscono per sfamare i soldati veri. «Io sono dell'Alleanza delle chiese battiste del Sud», mi dice un tizio dietro al tavolo, allungandomi un tramezzino al prosciutto. Poi mi rifila anche un volantino di propaganda della sua chiesa, «per darmi speranza», dice. «Hope? In Italy we already got the Pope..», noi abbiamo già il Papa, gli rispondo in rima, snobbando il proselitismo.
Nessuno osa dirlo perchè non è politicamente corretto, ma certi ambienti non così isolati della destra religiosa americana considerano New Orleans, la «Big Easy» (Grande Facile), città piena di casini e casinò, sesso, soldi e musica, un posto vizioso e quindi degno di fare la fine di Sodoma e Gomorra. Come lo tsunami, che ha distrutto l'industria del porno turistico thailandese e delle perversioni pedofile in Sri Lanka.

Dietro l'angolo il cadavere gonfio di un uomo di colore giace sulla strada. Avvertiamo un poliziotto, ma il giorno dopo il corpo è ancora lì. «Dobbiamo occuparci prima dei vivi», si giustificano alla Protezione civile. Ma la temperatura supera di molto i trenta gradi, l'umidità è soffocante. I cadaveri si decompongono immediatamente, c'è un rischio colera.

La polemica sulle colpe continua, e andrà avanti per anni. Il sindaco e la governatrice della Louisiana, di sinistra (partito democratico), danno la colpa al governo di destra (repubblicano) di Bush e al suo capo della protezione Civile. I quali ribattono che spettava al sindaco sorvegliare gli argini crollati. Una cosa è certa: se quegli argini avessero protetto un quartiere di ricchi, sarebbero stati più alti. Parte dei soldi per la manutenzione sono stati stornati verso la guerra in Iraq. E un terzo della Guardia nazionale della Louisiana, invece di dedicarsi alla protezione civile, è finito a Bagdad. Ma anche le colpe locali sono molte: «I primi a entrare a rubare nel supermercato qui accanto sono stati i poliziotti di New Orleans», arriva addirittura ad accusare il signor Collins.

Quel che è certo, è che oggi New Orleans è la città più spettrale dai tempi di Hiroshima. Rinascerà? Può darsi, anche se alcuni (fra cui il capo dei deputati repubblicani) non vogliono ricostruire sotto il livello del mare. Seguendo questa logica, bisognerebbe allora sgomberare metà Olanda. Per ora hanno sgomberato un milione di persone. Nancy e Mike sono stati gli ultimi ad andarsene, ma vogliono essere i primi a tornare.

Mauro Suttora

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